La fase decisoria e l’appello nel rito sommario di cognizione

Redazione 19/06/19
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Il procedimento sommario di cognizione si svolge, prevalentemente, in forma orale, limitandosi la scrittura ai soli due atti introduttivi. Pertanto, le memorie scritte, di cui, peraltro, non vi è traccia negli artt. 702 bis e ter c.p.c., sono tendenzialmente escluse, in quanto la loro previsione finirebbe per snaturare il procedimento, riportandolo sulla scia di quello ordinario. Lo stesso vale per il deposito di eventuali comparse conclusionali o per la possibilità per le parti di ottenere un rinvio della discussione, come è previsto nell’art. 281 sexies c.p.c.

Ovviamente, l’autorizzazione al deposito di memorie scritte, di comparse conclusionali o la fissazione di un’apposita udienza per la sola discussione orale non è causa di nullità del procedimento ma, al massimo, può incidere sulla ragionevole durata del processo (1). In ogni caso, le domande, le eccezioni in senso stretto e le istanze istruttorie dovranno essere contenute nei limiti di quelle già formulate negli atti introduttivi, fatta salva la producibilità di nuovi documenti, con divieto di mutatio libelli, se non nei casi ammessi dalle regole generali (2), nonché di proporre nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio e di dedurre nuove prove costituende. L’eventuale violazione di tali preclusioni è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Ordinanza decisoria: forma e contenuto

In mancanza di un’espressa suddivisione in fasi (salvo quella introduttiva disciplinata dall’art. 702 bis c.p.c.) il procedimento, almeno in teoria, si esaurisce in un’unica udienza ove il giudice, svolta l’istruzione sommaria, “provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande”. Essa, ai sensi dell’art. 134 c.p.c. deve essere succintamente motivata e, se è pronunciata in udienza, deve essere inserita nel processo verbale, mentre, se è pronunciata fuori udienza, deve essere scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del giudice. L’omissione della data nel foglio separato contenente l’ordinanza non determinerà alcun vizio, ma una mera irregolarità, non essendo prevista neppure la formalità della pubblicazione dell’ordinanza (come avviene, invece, per le sentenze ex art. 133 c.p.c.) ed essendo consolidato l’orientamento (formatosi per le sentenze e da applicarsi anche alle ordinanze sommarie), secondo il quale l’indicazione della data di deliberazione non è elemento essenziale dell’atto processuale e la sua mancanza non integra alcuna ipotesi di nullità deducibile con l’impugnazione, ma costituisce un mero errore materiale, emendabile ex artt. 287 e 288 c.p.c. (3).

L’omessa sottoscrizione costituirà, invece, un’ipotesi di inesistenza del provvedimento (4), con la conseguenza che, non applicandosi la regola di conversione dei vizi di nullità in motivi d’impugnazione ex art. 161, comma 2, c.p.c., la parte soccombente potrà far valere l’inesistenza giuridica del provvedimento, oltre che con l’appello nel termine breve di cui all’art. 702 quater c.p.c., anche mediante un’actio nullitatis o l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., non soggette a termini di decadenza. L’ordinanza, che può essere di accertamento, di condanna (anche generica) e costitutiva, ha contenuto decisorio e se viene pronunciata fuori udienza deve essere comunicata integralmente con avviso di cancelleria ex art. 134, comma 2, c.p.c. (5). Infine, sebbene l’ultimo comma dell’art. 702 ter c.p.c. disponga che «il giudice provvede in ogni caso sulle spese del procedimento, ai sensi degli artt. 91 ss. c.p.c.», l’inciso “in ogni caso” va intenso nel senso di includervi solo le ordinanze che definiscono, in rito o sul merito, il processo sommario, non anche l’ordinanza che dispone il mutamento del rito ex art. 702 ter, comma 3, c.p.c., la quale non possiede alcuna attitudine decisoria e che, comportando la prosecuzione della lite nelle forme ordinarie, non determina alcuna soccombenza (6).

Il presente contributo è tratto da

L’istruttoria nel processo sommario

L’opera in questione mira ad approfondire il nuovo rito sommario di cognizione alla luce delle recenti modifiche normative. Il rito sommario di cognizione introdotto nel 2009 al fine di velocizzare i tempi processuali e permettere di ottenere decisioni più velocemente rispetto alle controversie instaurate secondo il rito ordinario, è diventato negli anni uno strumento fondamentale nel panorama giudiziario.Dal 2011 costituisce uno dei tre riti alternativi in cui possono essere incardinate le controversie civili: è possibile parlare di un rito sommario di cognizione facoltativo e di un rito sommario di cognizione obbligatorio.Si tratta pur sempre di un procedimento a cognizione piena, ma ad istruttoria semplificata: ed è proprio la fase istruttoria a destare non poche perplessità. Si è discusso a lungo sia sulla natura del procedimento sommario di cognizione sia sul significato da attribuire alla locuzione istruttoria (non) sommaria.Dubbi sono emersi sulle modalità di espletamento della fase istruttoria e sulle prove che possono essere utilizzate. La scelta del rito sommario di cognizione era inizialmente rimessa esclusivamente nelle mani dell’attore, l’unico a poter scegliere di iniziare una controversia secondo il predetto rito, mentre al giudice era concesso di disporre la conversione del rito in rito ordinario oppure di concludere il giudizio con un’ordinanza impugnabile con l’appello e suscettibile di divenire, in mancanza, cosa giudicata ex art. 2909 c.c.Nel 2014 con l’introduzione dell’art. 183-bis c.p.c. viene introdotta l’ipotesi inversa, ovvero si consente al giudice di disporre il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, eliminando quella situazione a senso unico presente nel passato.Al volume è collegata una pagina web con significative risorse integrative.Su https://www.maggiolieditore.it/approfondimenti è infatti possibile accedere al formulario, in formato editabile e stampabile.Sara Caprio, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, diploma di specializzazione in Professioni Legali presso l’Università di Napoli Federico II, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso la medesima Università.Barbara Tabasco, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, professore a contratto presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso l’Università di Napoli Federico II.

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