La distinzione tra universalità e pertinenze e il regime degli spazi di parcheggio.

Portera Adele 04/02/21
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1. Universalità e pertinenze.

All’interno del titolo I del libro terzo del codice civile, in materia di beni, il legislatore ha previsto, come fattispecie distinte, le universalità e le pertinenze, disciplinate rispettivamente all’art. 816 c.c. e agli artt. 817 ss c.c. Si tratta di due distinte ipotesi, volte al raggiungimento di un unico fine economico.

In particolare, l’universitas facti è costituita da una pluralità di cose semplici, di regola omogenee, la cui unità appare soggettivamente collegata soltanto dalla voluntas domini, pur in assenza di un nesso fisico o di una relazione di accessorietà tra esse. Tuttavia, se è vero che non tutte le cose che si trovano in certo luogo costituiscano, per ciò solo, un’universalità, anch’esse possono formare oggetto, globalmente considerate, di atti giuridici unitari di carattere negoziale. In tal caso, però, sarà necessario provare di essere proprietario di tutte le cose oggetto dell’atto negoziale stesso. L’universalità è composta, quindi, da beni distinti che permangono nella loro individualità, nella loro autonomia funzionale e, pertanto, anche nella loro idoneità a svolgere la loro normale funzione anche separatamente dal complesso degli altri beni. Esse si distinguono dalle pertinenze perché non esiste rapporto di subordinazione o di servizio tra un bene e altro[1].

Le pertinenze, invero, sono le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa. Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio, è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell’appartenenza  di entrambi al medesimo soggetto, nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni.

Qualora le cose appartengano a due proprietari diversi, la destinazione dell’una al servizio, in modo durevole, dell’altra può avvenire solo in forza di un rapporto obbligatorio convenzionalmente stabilito tra il proprietario della cosa principale e quello della cosa accessoria. Tale vincolo pertinenziale non necessita, per essere istituito, di alcuna forma solenne. Invero, l’automatica estensione alla cosa pertinenziale degli atti e dei rapporti che hanno per oggetto la cosa principale può essere esclusa soltanto mediante la manifestazione espressa di una volontà contraria. Così, la vendita della cosa principale comprende le pertinenze (art. 1477 c.c.). L’usufrutto si estende alle pertinenze ed anche l’ipoteca (art. 2810 c.c.). La cessazione del rapporto pertinenziale consegue al venir meno anche di uno solo di tali elementi. Di conseguenza, le pertinenze si distinguono dalle universalità, sia perché cosa principale e pertinenze possono essere indifferentemente cose mobili o immobili, sia in quanto, anziché una destinazione unitaria, nella pertinenza deve realizzarsi durevolmente un vincolo reale di subordinazione funzionale[2].

Inoltre, il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono, tuttavia, una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire[3].

 

2. Il regime degli spazi di parcheggio.

2.1. La nozione generale di parcheggio.

A fronte dei numerosi interventi legislativi, problematica appare, in tale contesto, la qualificazione giuridica degli spazi di parcheggio.

Prima di delineare la disciplina giuridica dei parcheggi privati pertinenziali, è opportuno, però, fornire una nozione generale di «parcheggio» . Con tale termine deve intendersi, in senso lato, qualsiasi area o spazio (pubblico o privato) destinato alla sosta temporanea o permanente dei veicoli; detto termine viene, poi, diversamente utilizzato dal legislatore a designare parcheggi «a rotazione», quali quelli destinati, ad esempio, agli utenti di un centro commerciale o, invece, parcheggi destinati in via permanente al servizio di singole unità immobiliari e quindi, di utenti specificatamente individuati, come i parcheggi privati pertinenziali indissolubilmente collegati alle abitazioni[4].

La legge, nel disciplinare in modo unitario l’intera tematica dei parcheggi e nel favorirne la realizzazione, introduce varie tipologie di parcheggi e procedure differenziate, con riferimento alla loro natura ed alla loro funzione: parcheggi privati pertinenziali per le nuove costruzioni e per gli edifici preesistenti, collegati all’abitazione (posto auto o box), ai quali si ha diritto come condomini o inquilini[5]; parcheggi pubblici, ai quali hanno diritto i cittadini in quanto tali, per la sosta, al fine di garantir loro una mobilità non solo pedonale nella città[6]; parcheggi privati in concessione, realizzabili da parte di privati, singoli o associati, sul suolo e nel sottosuolo di aree pubbliche, da cedersi da parte del Comune, in diritto di superficie[7].

2.2. La natura giuridica del diritto di parcheggio.

Con specifico riguardo alla natura giuridica di tale fenomeno, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’escludere la configurabilità del diritto di parcheggio dell’autovettura quale servitù prediale, mancando il requisito dell’inerenza al fondo. Non si mostrano integrati nemmeno gli estremi per la identificazione di un diritto d’uso o dei contratti di locazione o di comodato, in quanto si ci allontanerebbe dalla natura propria degli spazi di parcheggio. Si tratta, infatti, di una materia che consente una interazione tra il diritto pubblico e il diritto privato[8].

In proposito, appare opportuno precisare come, prima del 1967, era semplice, sotto un profilo strettamente civilistico, qualificare le aree di parcheggio come una pertinenza che segue il bene principale, ma che, in taluni casi, può essere oggetto di autonoma alienazione. La situazione è divenuta più complessa con l’introduzione dell’art. 41 sexies l. 1150/1942, da parte dell’art. 18 l. 765/1967 (cd. legge ponte). Tale disposizione ha, invero, previsto l’obbligo di associare alla costruzione di abitazioni la predisposizione di spazi di parcheggio (in misura non inferiore ad un metro quadro per ogni venti metri cubi), al fine di disciplinare l’attività edilizia futura. Ci si è interrogati molto in merito a tale normativa sia con riguardo alla sua efficacia temporale, sia in riferimento agli effetti dalla stessa prodotti. Sotto il primo profilo, dottrina e giurisprudenza dominante hanno precisato che la disposizione de qua è applicabile esclusivamente agli immobili costruiti successivamente all’entrata in vigore della legge stessa, ricollegando tali effetti a una scelta del legislatore la quale risponde ad esigenze nuove e di interesse generale[9]. Sotto il secondo profilo, quello inerente al bene giuridico protetto, alcuni autori hanno affermato che tale normativa abbia rilevanza solo in riferimento alla possibilità di annullare il provvedimento amministrativo illegittimo, mentre altri studiosi hanno sostenuto che la disposizione de qua sia stata posta a tutela di interessi generali. Conseguenza di tale ultimo orientamento sarebbe il riconoscimento della possibilità, da parte del giudice, di integrare eventuali contratti difformi, anche in riferimento al corrispettivo pattuito. Si configurerebbe, in tal modo, una sorta di pertinenza necessaria, con conseguente nullità delle clausole contrattuali difformi. Tuttavia, ben si potrebbe, all’opposto, ritenere legittimo che, a seguito dell’introduzione di tale normativa, il costruttore, obbligato per legge a creare delle aree di parcheggio, decida di restare titolare del diritto di proprietà sulle stesse cedendo esclusivamente l’uso di tali posti agli acquirenti dei singoli appartamenti. Tale impostazione non trova riscontro, però, nell’evoluzione normativa successiva.

 

2.3. L’evoluzione normativa.

Con l’art. 26 l. 47/1985, il legislatore ha posto, sulle aree di parcheggio, un vincolo pubblicistico di destinazione d’uso, che non può essere sciolto dall’autonomia privata e che incide anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato, comportando l’assoggettamento dello spazio di parcheggio, quale cosa accessoria, al regime giuridico previsto per la cosa principale. L’interpretazione successiva di tale disposizione ha, però, previsto la possibilità che la pertinenza e la cosa principale costituiscano oggetto di rapporti differenti, purché gli stessi non si mostrino in contrasto con il vincolo pubblicistico che ha carattere cogente[10].

Un’impostazione più rigida ha trovato conferma nel disposto della l. 122/1989 (cd. Tognoli), la quale, nel raddoppiare gli spazi minimi obbligatori da adibire a parcheggio, ha ribadito la inderogabilità del vincolo, in quanto caratteristica fondamentale del rapporto pertinenziale. Di conseguenza, l’alienazione autonoma di un immobile e delle aree di parcheggio allo stesso annesse comporta la nullità delle relative clausole con conseguente integrazione ex lege del contenuto del’accordo negoziale. Si crea, in tal modo, un rapporto di pertinenza necessaria tra parcheggio e costruzione, la cui caratteristica principale è l’impossibilità che gli stessi vengano ceduti separatamente, salvo che vengano costruiti spazi di parcheggio in misura superiore a quella prevista dalla legge.

Inoltre, tale norma prevede che i comuni, previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su richiesta dei privati interessati o di imprese di costruzione o di società anche cooperative, possono prevedere, nell’ambito del programma urbano dei parcheggi, la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse[11]. Una rigorosa interpretazione della normativa è sembrata ragionevole, pena il venir meno delle finalità proprie della stessa. Per potersi parlare di parcheggi pertinenziali ex lege n. 122 del 1989, è, quindi, necessario che gli stessi non siano suscettibili di costituire un reddito proprio attraverso la loro autonoma utilizzabilità per finalità estranee o diverse da quelle a servizio dell’edificio cui accedono e da soggetti che con lo stesso edificio non hanno alcun rapporto o titolo di usufruibilità.

Un radicale mutamento di rotta, dietro l’impulso della giurisprudenza[12], è stato posto in essere dal legislatore con la l. 246/2005, la quale ha eliminato il vincolo pubblicistico, pur mantenendo la destinazione d’uso, introducendo la medesima disciplina prevista in precedenza per i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto ai limiti statuiti dalla legge[13].

Sulla stessa linea si pone il Capo II del D.L. n. 5/2012, il quale ha modificato il comma 5 dell’art. 9, L. n. 122/1989, disponendo che è possibile trasferire, a servizio di un altro appartamento dello stesso Comune, il posto auto o il box realizzati nel pianterreno o nel sottosuolo dello stabile, e sinora inscindibilmente asserviti allo stesso. L’art. 10 del D.L. n. 5/2012 spezza (quasi) definitivamente il legame fra il parcheggio posto al piano terreno o sottostante il fabbricato al servizio del quale era stato in origine realizzato. Il posto auto può essere alienato a soggetti che non abitino nello stesso immobile al servizio del quale è devoluto. Deve, però, conservare la stessa destinazione a parcheggio dell’altra unità abitativa localizzata nel territorio dello stesso Comune. Oggi, si riconosce, quindi, la possibilità di trasferire il solo vincolo pertinenziale. Viene, dunque, concepita la possibilità di disgiungere la proprietà del parcheggio pertinenziale dal vincolo pertinenziale stesso. L’attenzione del diritto alla questione parcheggi è oggi incentrata prevalentemente sul tema della loro circolazione e, quindi, della maggiore appetibilità commerciale e dell’incentivo all’investimento nel mercato delle aree per il parcheggio. Il regime di commerciabilità dei parcheggi privati è chiaramente delineato nelle singole disposizioni normative che ne definiscono le varie tipologie[14]. Si tratta del risultato di un complesso iter, intrapreso probabilmente con finalità diverse rispetto a quelle che ne costituiscono l’attuale punto di arrivo.

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Note

[1] Cfr. Gazzoni F., Manuale di Diritto Privato, Napoli, 2006, pp. 206 ss; Trimarchi P., Universalità di cose, in Enc. Dir., Vol. XLV, Milano, 1980, p. 804.

[2] Cfr. Barbero D., Il sistema del diritto privato, UTET, 2001; Tamburrino G., Pertinenze, in Enc. Dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 550: Albano A., Pertinenze, in Enc. Giur., XXIII, Roma, 1990.

[3] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 51280/2017.

[4] Cfr. L. 1150/1942 e successive modifiche.

[5] Cfr. artt. 1117 e 1136 c.c.

[6] Cfr. D.P.R. 495/1992.

[7] Cfr. D.P.R. 480/2001 e L. 122/1989.

[8] Cfr. Cass. n. 23708/2014.

[9] Cfr. Cass. n. 6600/1984.

[10] Cfr. SSUU n. 3363/1989.

[11] Cfr. Cass. n. 1488/2018; 6738/2018.

[12] Cfr. SSUU n. 12793/2005.

[13] Cfr. Cass. n. 2265/2019, sulla non retroattività delle disposizioni contenute nell’art. 12 l. 246/2005.

[14] Spazi di parcheggio liberamente circolabili perché costruiti ante 1967; parcheggi costruiti ex art. 41 sexies l. 1150/1942, alienabili purché se ne garantisca il diritto di uso; parcheggi realizzati in eccedenza rispetto alle previsioni di cui all’art. 41 sexies della Legge Urbanistica; parcheggi pertinenziali nelle costruzioni ex art. 9 l. 122/1989; posti auto su spazi pubblici.

Portera Adele

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