La distinzione tra la decadenza e la prescrizione nell’ambito del diritto civile

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La prescrizione e la decadenza sono disciplinate dagli artt. 2934 e ss. cod.civ.
Si intende menzionare, con riferimento alla distinzione tra la decadenza e la prescrizione, le affermazioni di alcuni autori, indi si analizzerà brevemente la giurisprudenza e, sempre in relazione alla distinzione predetta, la normativa poc’anzi citata.
Negli anni Ottanta, Ruperto, concludendo l’analisi dei contributi dottrinali volti ad enucleare la distinzione tra la decadenza e la prescrizione nell’ambito del diritto civile, ha scritto: “In definitiva, però, non può dirsi che alcuno degli autori che si sono cimentati nella ricerca di un criterio discretivo tra decadenza e prescrizione, sia a tutt’oggi riuscito a formularne uno che valga  «a lasciar da una parte tutti i casi di decadenza, e dall’altra tutti i casi di prescrizione», secondo quanto osservava – con riguardo alla dottrina fiorita sotto la previdente legislazione – il Saraceno, il cui scetticismo, come quello del Bigiavi, sopra lumeggiato, non ha quindi ancora trovato una decisa smentita, pur dovendosi riconoscere che gli sforzi dei vari autori hanno tutti contribuito a rendere più agevole la soluzione del problema, che si presenta all’interprete davanti ad una norma speciale che stabilisca un termine senza qualificarlo, se debba applicarsi la disciplina della prescrizione o quella della decadenza. Problema che si pone anche – contrariamente a quanto affermano Azzariti e Scarpello – davanti ai termini fissati dalla volontà privata. Infatti, se è vero che i privati non possono fissare termini di prescrizione, non è affatto vero per ciò stesso che i termini da loro stabiliti debbano considerarsi sempre di decadenza, giacché i privati avrebbero potuto intendere di modificare la disciplina legale della prescrizione, nel qual caso si deve ritenere nullo il patto” [Ruperto C., Prescrizione e decadenza, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, Torino, 1985, p. 632].
Gazzoni, fra l’altro, ha puntualizzato: “non sempre è agevole stabilire se un certo termine è previsto dalla legge a pena di decadenza o di prescrizione […] Sul piano più empirico indici sono quello della maggiore brevità del termine di decadenza (ad es. art.1168, 1170) e quello secondo cui la prescrizione riguarda sempre e solo l’esercizio di diritti mentre la decadenza può riguardare anche atti conservativi strumentali all’esercizio del diritto stesso (ad es. artt. 1457, 1517 co.3)” [Gazzoni F., Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 110].
Con riferimento al suindicato scetticismo di Saraceno, è stato precisato: “Subito dopo l’entrata in vigore del codice del 1942, Saraceno ha scritto che gli istituti della prescrizione e della decadenza hanno identica causa (inerzia) e identico effetto (perdita di una posizione giuridica) per modo che non sarebbe ragionevole contrapporli” [Alpa G., Istituzioni di diritto privato, Torino, 1997, p. 1203].
 
Può rilevarsi d’altra parte che Gazzoni, riguardo alla prescrizione, ha sostenuto quanto segue: “il riferimento operato dalla legge alla estinzione del diritto non appare del tutto proprio. In verità se la prescrizione operasse nel senso di estinguere il diritto, più non si comprenderebbe la regola posta dall’art. 2940 secondo cui non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto. Infatti se il diritto (di credito) più non esistesse il pagamento sarebbe non più dovuto ed è regola del nostro ordinamento che il pagamento dell’indebito ammette la ripetizione (art. 2033). Dovrebbe allora ipotizzarsi che a seguito della prescrizione nascerebbe in capo al debitore un’obbligazione naturale ex art. 2034, con conseguente soluti retentio in caso di spontaneo adempimento. Sembra dunque più opportuno dire che il diritto prescritto non si estingue ma perde la propria forza, nel senso che, se si agisce in giudizio, il terzo potrà eccepire l’intervenuta prescrizione, in tal modo bloccando l’iniziativa giurisdizionale. Ma se tale eccezione non viene opposta, il diritto potrà essere fatto valere ad ogni affetto. Con altra terminologia può dirsi che la prescrizione non opera sul merito della pretesa esercitata, da cui prescinde, per determinare solo un effetto preclusivo e non già estintivo” [Gazzoni, Manuale di diritto privato, op.cit., p. 110].
Affinché le riflessioni di Gazzoni siano comprensibili, è necessario tenere presente l’art. 2934 co.1, cod.civ.: «ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge».  
Se, per giunta, si accetta la tesi di Gazzoni, non si può ritenere che la decadenza e la prescrizione abbiano il medesimo effetto, dacché, secondo lo studioso anzidetto, la decadenza “è sanzionata con la perdita del diritto” [Gazzoni, Manuale di diritto privato, op.cit., p. 117]; viceversa “il diritto prescritto non si estingue ma perde la propria forza […]” [Gazzoni, Manuale di diritto privato, op.cit., p. 110].
Alpa, in relazione al profilo giurisprudenziale, ha osservato: “In giurisprudenza talvolta si è sottolineato la esigenza di vedere lo spirito della legge per accertare se si è in presenza di prescrizione o di decadenza; altra volta si è accolta la tesi di Santi Romano; altra volta ancora si è ritenuto impossibile concettualizzare la differenza tra i due istituti. Ma di regola la giurisprudenza si limita a constatare che vi è prescrizione ove vi è inerzia del titolare di un diritto e decadenza ove vi è mancanza di un certo atto-contegno. Come si vede un atteggiamento quanto mai anodino” [Alpa G., Istituzioni di diritto privato, op.cit., p.1204].
Riguardo alla succitata teoria di Santi Romano, Alpa ha spiegato: “[…] Ed è in questo senso che la dottrina successiva (in Italia, Giuliana) procederà a definire la decadenza come materia di un termine il cui decorso ha effetto preclusivo nei confronti dell’acquisto di un diritto (mentre la prescrizione è materia di un termine il cui decorso porta all’estinzione di un diritto già acquistato).
Secondo Alberto Romano si può risolvere il problema solo se ci si allontana dal concetto di diritto soggettivo per fondare la nozione di «potere» (v. la tesi di Guarino e di Santi Romano): il potere che si ricollega alla capacità di agire del soggetto, della quale rappresenta la più tipica espressione, manifestandosi nella produzione di rapporti nei quali il potere non si esaurisce essendone la fonte: rapporti che originano diritti soggettivi.
E’ infatti in questa chiave che Santi Romano, nei suoi Frammenti distingue dalla prescrizione (che opera sul diritto soggettivo) la decadenza (che opera sul potere, o meglio sul suo esercizio).
Cioè, decadenza significherebbe causa di preclusione dell’esercizio del potere (che di per sé è imprescrittibile). Ma si è obiettato che talvolta il legislatore riferisce la decadenza al diritto soggettivo; basti guardare all’art. 2966 (tanto per semplificare: se il venditore riconosce il diritto del compratore alla risoluzione del contratto per vizi della cosa; non opera il termine di decadenza dell’art. 1495). Ma A. Romano obietta che la norma va letta nel senso che, quando l’esistenza di un diritto dipende dall’esercizio di un potere, tale esercizio perde rilevanza se il diritto stesso è riconosciuto dalla controparte.
Un’altra obiezione è che in certi casi – in cui è questione di perdita di un potere – la legge parla di prescrizione: basti pensare al potere di azione degli artt. 1449 e 1442 c.c.: ma A. Romano obietta che è da vedere se questi non siano termini di «decadenza» nonostante il linguaggio del legislatore, che comunque è questione di intendersi nelle parole (potrebbe darsi che i redattori avessero inteso l’azione come dir. sogg. e non come potere).
Ciò posto e scendendo al problema concreto, il problema di vedere se nel caso di specie debba applicarsi la disciplina della decadenza o quella della prescrizione non si deve risolvere concettualisticamente sul piano della contrapposizione di diritto soggettivo e di potere, bensì guardando al conflitto degli interessi in gioco per vedere se, nella specie, si tratti (prescrizione) di voler adeguare lo stato di diritto allo stato di fatto, o (decadenza) di dover limitare nel tempo la possibilità di attuare una data modificazione giuridica.
In conclusione A. Romano ritiene che la teoria di Santi Romano sia un punto fermo a livello concettuale: mentre in funzione di esegesi e dei casi della pratica, meglio gioca una immagine in chiave di «caratterizzazione» della decadenza sotto un profilo finalistico (cioè la ratio dell’istituto)” [Alpa, Istituzioni di diritto privato, op. cit., p. 1203].
Due aspetti, messi in rilievo da Ruperto, sono utili al fine di rinvenire taluni criteri di riferimento in ordine alla distinzione fra la decadenza e la prescrizione.
In primo luogo, egli ha precisato: “La giurisprudenza, specie della Suprema Corte, ha sempre individuato il fondamento della decadenza nella necessità obiettiva del compimento di particolari atti, entro un termine perentorio stabilito dalla legge o dai privati, indipendentemente dalle circostanze che abbiano determinato l’inutile decorso del tempo; così distinguendolo da quello della prescrizione, individuato nella presunzione di abbandono del diritto per inerzia del titolare: v. Cass. civ., 3 febbraio 1942, n. 327, in Rep. Foro it., 1942, voce Prescrizione civ., nn. 6-9; Id., 30 luglio 1942, n. 2305, in Magistratura del lavoro, 1943, 37; Id., 15 marzo 1949, n. 532, in Temi, 1950, 1, con in nota il già citato studio di Candian Aur., Decadenza e prescrizione; Id., 12 giugno 1963, n. 1568, in Rass. Avv. Stato, 1963, 193; Id., 14 marzo 1968, n. 819, in Mass. Giust. civ., 1968, 411; Id., 12 settembre 1970, n. 1401, in Foro it., 1971, I, 1328 e in Giur. it., 1971, I, 1, 1196; Id. (Sez. un.), 21 agosto 1972, n. 2690, in Giust. civ. 1972, I, 1930 e in Rass. giur. Enel, 1973, 33 […] Non mancano tuttavia sentenze di giudici di merito in cui si avverte l’eco di qualche particolare teoria dottrinale […]” [Ruperto C., Prescrizione e decadenza, cit., p. 632-633].
In secondo luogo, Ruperto ha rilevato quanto segue: “Con la […] sentenza n. 2690 del 1972 […], la Suprema Corte, sempre a sezioni unite, ha confermato in sostanza il suo precedente orientamento. Infatti, assumendo quale base del proprio ragionamento l’idea che la decadenza sia destinata ad assolvere più efficacemente della prescrizione alla funzione di assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici, atteso il maggior rigore cui è informata la sua disciplina che prevede termini più brevi, non né ammette la interruzione e, soltanto in via eccezionale, ne ammette la sospensione, la Corte suprema ha osservato che per stabilire in concreto se un termine legislativamente fissato sia di prescrizione o di decadenza, «occorre non soltanto fare riferimento all’espressa definizione contenuta nella legge, quanto alla sua finalità: nella prescrizione, quella di ritenere, in via presuntiva, abbandonato il diritto per l’inerzia protrattasi per un certo tempo (termine di durata) del suo titolare, e nella decadenza, quella corrispondente alla necessità obiettiva di compimento di determinati atti entro un determinato tempo (termine fisso o perentorio)». […] Nello stesso ordine di idee la Suprema Corte si è espressa, successivamente con le sentenze 27 febbraio 1975, n. 789 (Mass. Giust. civ., 1975, 360) e 9 febbraio 1979, n. 896 (ivi, 1979, 391), affermando, in via generale, la irrilevanza della non esplicita qualificazione come di decadenza del termine legale o convenzionale imposto per il compimento di un atto, in quanto la lettura decadenziale del termine può risultare anche implicitamente, purché in modo chiaro ed univoco con riferimento allo scopo perseguito e alla funzione che il termine è destinato ad assolvere. Ancora più recentemente, nello stesso senso, si veda Cass. civ., 8 gennaio 1981, n. 187 (Mass. Giust. civ., 1981, 68), […]” [Ruperto C., Prescrizione e decadenza, cit., p. 634-635].
Alla luce di siffatto orientamento giurisprudenziale, si può dire che la prescrizione sanziona l’inerzia del titolare del diritto, qualora questa si protragga per il tempo previsto, di volta in volta, dalla legge; nel senso che, ogniqualvolta l’inerzia del soggetto permanga per un periodo di tempo stabilito dalla legge, si presume che costui abbia, per così dire, abbandonato il suo diritto, laddove “nella decadenza il diritto si estingue per decorso del termine perentorio stabilito dalla legge o per volontà dei privati, per il compimento di particolari atti, senza riguardo alle circostanze soggettive o obiettive dalle quali sia dipeso l’inutile decorso del tempo” [Cass. sent. n. 2960/1972].
Questa concezione della decadenza, si può arguire altresì dalla sentenza n. 9304/1980 della Cassazione: «L’indagine dei motivi che abbiano ostacolato o reso impossibili i fatti impeditivi della decadenza è del tutto irrilevante, salvo che la norma che sancisce la decadenza faccia esplicitamente riferimento alla volontarietà del fatto o all’ammissione del soggetto interessato»
Ambedue gli istituti, del resto, sono contrassegnati dalla funzione di assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici, tuttavia la disciplina prevista per la decadenza è più rigorosa, dal momento che essa esclude sia l’applicazione dell’interruzione del decorso del termine sia l’applicazione della sospensione del decorso del termine, salvo casi eccezionali (art. 2964 cod.civ.). Oltretutto, generalmente, per la decadenza sono previsti termini più brevi.
Infine, può rilevarsi una differenza ulteriore tra la prescrizione e la decadenza: la perdita della posizione giuridica, nel caso della prescrizione, è sempre subordinata alla proposizione della relativa eccezione, poiché il giudice non può rilevare d’ufficio l’intervenuta prescrizione (art. 2938 cod.civ.), laddove, nel caso della decadenza, il rilievo d’ufficio non è sempre escluso (art. 2969 cod.civ.).
La rinunzia alla prescrizione è ammessa. Deve peraltro precisarsi che “[…] in base all’art. 2937, la prescrizione, se già maturata e dunque non in pendenza del termine, è rinunziabile ad opera del soggetto che potrebbe avvalersene [C. 02/10235, GC 03, I, 1597] […]” [Gazzoni, Manuale di diritto privato, op.cit., p. 111].
La rinunzia alla decadenza è parimenti ammessa, salvo che si tratti di materia sottratta alla disponibilità delle parti (art. 2968 cod.civ.).
 
dott. Angelo Ippoliti

Ippoliti Angelo

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