La disciplina dell’indebito pensionistico

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Sommario: 1. Premessa; 2. Normativa di riferimento e analisi giurisprudenziale; 3. Errore e dolo del pensionato; 4. Osservazioni conclusive

1. Premessa

Scopo dello scritto, senza alcuna pretesa di completezza ed esaustività, è quello di segnalare alcuni concetti della disciplina dell’indebito pensionistico e, allo stesso tempo, di rimarcare le perduranti contraddizioni in ordine alle richieste di restituzione di prestazioni ritenute successivamente, per vari motivi, non dovute (per intero o in parte).

Può accadere, infatti, che un pensionato venga chiamato a restituire importi ricevuti molti anni prima, pure di consistente entità.

Ebbene, tale richiesta è da reputarsi sempre legittima o l’ente previdenziale deve osservare alcuni requisiti essenziali?

La materia dell’indebito pensionistico, invero, ha caratteri peculiari e – per certi versi – inversi alla disciplina generale dettata dal codice civile. Se l’art. 2033 c.c. fissa il principio cardine per cui chiunque abbia eseguito un pagamento non dovuto ha diritto alla restituzione, in ambito previdenziale la regola è quella dell’irripetibilità delle prestazioni pensionistiche indebitamente erogate[1].

Invece, sono escluse dal campo di applicazione delle norme di favore – e ricadono quindi nel generale principio civilistico della ripetizione dell’indebito – le prestazioni pensionistiche erogate in assenza di un atto amministrativo di attribuzione; pertanto, riconducibili al mero fatto della corresponsione, in mancanza assoluta di qualsivoglia titolo[2].

Tuttavia, anche laddove sussistano le condizioni per la ripetibilità da parte dell’Istituto previdenziale delle somme indebitamente erogate, il relativo diritto di credito soggiace al termine ordinario di prescrizione decennale (v. art. 2946 c.c.).

Ciò vuol dire che, trascorsi 10 anni, l’Ente non potrà comunque richiedere indietro le somme erogate: il termine inizia a decorrere dalla data in cui è stato effettuato il pagamento indebito oppure, qualora l’indebito sia da ricollegare a situazioni che devono essere comunicate dall’interessato, il termine di prescrizione decorre dalla data della comunicazione.

Non è questa la sede per scrutinare l’intera problematica involgente l’indebito pensionistico ma, oltre a quanto sin qui già detto, è opportuno ricordare che l’INPS potrà recuperare unicamente quanto percepito dal pensionato al netto delle trattenute fiscali.

In proposito, va osservato che, nel rapporto tra l’Istituto previdenziale e il pensionato, il primo versa al secondo la pensione al netto delle ritenute fiscali; ciò si verifica altresì quando l’istituto eroghi al pensionato somme maggiori di quelle dovute. Anche in questo caso l’Istituto previdenziale opera – sulle somme erogate in eccesso – le ritenute fiscali, a loro volta correlate al predetto eccesso.

Di conseguenza, la ripetizione dell’indebito nei confronti dell’accipiens ha per oggetto somme da quest’ultimo “percepite”, vale a dire esclusivamente quanto e solo, effettivamente, entrato nella sfera patrimoniale del pensionato; se questi ha percepito somme al netto delle ritenute fiscali, come normalmente accade, sono dunque solo dette somme, effettivamente ricevute, a poter costituire oggetto di ripetizione. L’Istituto previdenziale, dunque, non può pretendere di “ripetere” somme al lordo delle ritenute fiscali, se dette somme lorde non sono mai state “percepite” dal pensionato[3].

Quanto poi alle ritenute e versamenti fiscali erroneamente disposti dall’amministrazione quale sostituto d’imposta, l’amministrazione può provvedere alla richiesta di rimborso direttamente nei confronti del fisco allorché ne sussistano le condizioni [4].

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Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. 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2. Normativa di riferimento e analisi giurisprudenziale

La materia dell’indebito previdenziale è regolata a livello legislativo da una molteplicità di disposizioni speciali, ciascuna riferibile a singole fattispecie di erogazione indebita o a sanatorie per specifici periodi transitori, mancando l’enunciazione di principi generali sottostanti all’intera disciplina[5].

Un primo indirizzo giurisprudenziale – preso atto della frammentarietà del quadro normativo – si è dapprima orientato verso un’interpretazione delle norme sulla irripetibilità dei trattamenti previdenziali indebiti quali ipotesi eccezionali, non applicabili analogicamente alle fattispecie concrete da esse non specificatamente non contemplate, le quali rimanevano sottoposte alla generale regola di ripetizione di cui agli artt. 2033 ss. c.c. [6].

In seguito, sia in giurisprudenza sia in dottrina, si è fatta strada un’opzione interpretativa di fondo che, in contrapposizione a quella sopra enunciata, vede nelle norme tese a sancire l’irripetibilità della prestazione indebita – per quanto a loro volta in deroga alla regola di diritto comune – non già disposizioni eccezionali, come tali insuscettibili di applicazione analogica, bensì norme generali nell’ambito del sottosistema del diritto della previdenza sociale[7].

L’art. 2033 c.c. dispone che Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.

Si può dire che la norma disciplina il pagamento indebito non supportato da idonea giustificazione causale giuridicamente rilevante, accordando al solvens la ripetizione di quanto pagato, indipendentemente da ogni altra considerazione circa la scusabilità dell’errore e la buona fede dell’accipiens.

Ci si chiede, però, se l’art. 2033 c.c. possa trovare applicazione anche nell’ambito previdenziale.

Una prima tesi interpretativa, alla stregua di tale norma di carattere generale, asseriva che anche laddove gli indebiti pensionistici fossero stati arrecati da errori dell’INPS non riconducibili ai pensionati (o quantomeno da loro non riconoscibili), malgrado ciò essi sarebbero stati tenuti alla restituzione degli indebiti pensionistici.

Tuttavia, la giurisprudenza ha introdotto, progressivamente, il principio della tutela dell’affidamento ingenerato nel privato in buona fede dalla legittimità del provvedimento pensionistico provvisorio adottato, da valutarsi in concreto, tenendo conto delle peculiarità di ciascuna fattispecie; in particolare il lasso temporale intercorso tra la fruizione della prestazione pensionistica indebitamente rogata e il momento in cui ne è chiesta la ripetizione, nonché l’assenza di dolo dell’interessato nella causazione dell’errore o la riconoscibilità di quest’ultimo con l’ordinaria diligenza [8].

Dal punto di vista normativo, l’art. 80 R.D. n. 1422/1924, disponeva al suo ultimo comma che, trascorso un anno dall’avviso di assegnazione della pensione all’interessato, salvo il caso di dolo da parte di quest’ultimo, le prestazioni indebitamente corrisposte divenivano irripetibili.

La norma faceva riferimento ad errori, quali ad esempio l’inesatta determinazione dell’anzianità contributiva o del reddito pensionabile[9].

Secondo l’interpretazione consolidata, ne derivava la normale ripetibilità delle prestazioni eseguite quando lo stesso diritto alla pensione fosse mancante o si fosse parzialmente o totalmente estinto, anche per circostanze sopravvenute[10].

Con riferimento specifico all’indebito pensionistico accertato in sede di attribuzione del trattamento di pensione definitiva e riferito alla differenza fra trattamento di pensione provvisorio e trattamento di pensione definitiva, l’art. 162, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, recante il testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, nel disciplinare la liquidazione provvisoria del trattamento di pensione, stabilisce che “dalla data di cessazione dal servizio e sino all’inizio del pagamento della pensione diretta, la competente direzione provinciale del tesoro corrisponde al pensionato un trattamento provvisorio, determinato in relazione ai servizi risultanti dalla documentazione prodotta ovvero in possesso dell’amministrazione, purché sussistano i presupposti per il loro riconoscimento a norma di legge, da recuperare in sede di liquidazione della pensione definitiva (..)”.

L’art. 206 del d.P.R. n. 1092/1973 ha introdotto un principio di settore, secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito (art. 2033 cod. civ.), trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione in tutti quei casi, in cui a seguito di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione venga accertata la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta.

Per quanto riguarda i provvedimenti provvisori, occorre ricordare i primi due commi dell’art. 9 della L. n. 428/1985, i quali così dispongono: <<La revisione dei pagamenti delle spese fisse di competenza delle direzioni provinciali del Tesoro disposti mediante procedure automatizzate dovrà essere espletata entro il termine di un anno dalle relative lavorazioni>> (comma 1); <<Le liquidazioni di cui al precedente comma hanno carattere provvisorio fino allo spirare del periodo previsto per la revisione>> (comma 2).

La disciplina dell’art. 9 della legge 428/1985 prevede, quindi, l’effettuazione del controllo entro il termine di un anno, trascorso il quale le liquidazioni diventano definitive, senza alcuna possibilità di recupero.

Si tratta di una disposizione originariamente valida per tutte le liquidazioni effettuate dalle Direzioni provinciali del Tesoro con procedure automatizzate, emanata con lo scopo di accelerare i tempi dei pagamenti degli stipendi e delle pensioni, sostituendo il controllo anticipato degli atti di spesa con la revisione posticipata degli elaborati meccanografici.

La norma è stata in seguito integrata dal D.P.R. 8 luglio 1986 n. 429, il quale, all’art. 4, quarto comma, nel dettare le norme tecniche per la trasmissione dei dati necessari al pagamento delle pensioni, ha infatti previsto che <<Le direzioni provinciali del tesoro accertano l’esattezza dei dati immessi nel sistema informativo. Esse verificano altresì i dati relativi alle partite di pensione per le quali i centri hanno segnalato incongruenze logiche o errori e dispongono le rettifiche e gli eventuali conguagli>>.

Il termine annuale è anche previsto dall’art. 5 del D.P.R. 429/1986  qualora, per disposizioni di legge o per istruzioni ministeriali, si renda necessario apportare variazioni di carattere generale alle partite di pensione in carico alle direzioni provinciali del tesoro, con o senza pagamento di arretrati (commi 1 e 2), con affermazione del carattere provvisorio delle liquidazioni disposte con procedure automatizzate sino allo spirare del suddetto termine annuale e, comunque, impregiudicata l’azione dell’amministrazione per il recupero, anche dopo tale termine, delle somme indebitamente corrisposte (comma 4).

Lo stesso D.P.R., all’art. 5, ha previsto quindi l’ipotesi in cui, ove si tratti di modifiche comuni alla generalità delle partite di pensione, le riliquidazioni devono essere disposte direttamente dai centri di elaborazione dati. In tal caso, in considerazione del gran numero delle pensioni interessate alle variazioni, il riscontro (da effettuarsi entro lo stesso termine di un anno, a norma dell’art. 9 della legge n. 4287/1985), avviene in base ai criteri selettivi fissati periodicamente dal Ministro del tesoro con proprio decreto, nel quale sono stabiliti per le diverse direzioni provinciali del tesoro – tenendo conto delle loro possibilità operative – gli scaglioni di pensioni e la percentuale delle partite da verificare nell’ambito di ogni scaglione.

A seguito all’introduzione dell’art. 5 del d.P.R. n. 429/1986 della regola secondo cui “resta comunque impregiudicata l’azione dell’amministrazione per il ricupero, anche dopo tale termine, delle somme indebitamente corrisposte”, solo i crediti erariali derivanti da variazioni di carattere generale possono essere recuperati anche dopo il termine revisionale, mentre per quelli derivanti da variazioni individuali l’acquisizione del carattere di definitività dell’erogazione impedisce ogni successiva attività di recupero[11].

Nello studiare la problematica, la giurisprudenza ha seguito prospettive diverse.

Secondo la Suprema Corte di legittimità, ancorché si voglia ritenere che la possibilità del recupero permanga oltre il termine annuale di revisione, il recupero stesso non è incondizionato, in quanto il carattere non più provvisorio dei pagamenti effettuati rende applicabile, per identità di principio, il criterio di cui all’art. 206 del T.U. n. 1092/1973, che consente la ripetibilità soltanto in presenza di dolo del pensionato[12].

Invero, come infatti è stato giustamente affermato, gli errori commessi a causa dell’automazione delle procedure non debbono far carico, sempre e comunque, ai titolari delle pensioni, a fronte del vantaggio di ricevere tempestivamente i pagamenti: tempestività che non può essere riguardata come un bene aggiuntivo dei pensionati ma come assetto normale e doveroso dei servizi erogati dalla P.A., anche se di faticosa realizzazione[13].

Altra teoria contesta questa impostazione, sostenendo che la buona fede prevista in detta norma trova testuale e logica applicazione a fronte di percezione di trattamenti definitivi: la legge non consente dunque una tutela delle situazioni giuridiche già acquisite che non derivino da provvedimento definitivo in quanto l’art. 206 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, così come interpretato dall’art. 3 della l. 7 agosto 1985, n. 428 recita: “deve intendersi applicabile nel caso in cui, verificandosi le condizioni stabilite negli articoli 204 e 205 dello stesso testo unico, il provvedimento definitivo di concessione e riliquidazione della pensione, assegno o indennità venga modificato o revocato con altro provvedimento formale soggetto a registrazione” [14].

In altri termini, a stretto rigore, le somme risultate indebitamente corrisposte dall’amministrazione nel trattamento provvisorio dovrebbero essere restituite, in applicazione dell’art. 2033 c.c. e di quanto dispone l’art. 162, comma 8 del T.U. 1092/1973.

Tuttavia, con il trascorrere del tempo si è attenuato il rigore di tale previsione attraverso una progressiva valorizzazione giurisprudenziale della generale regola della c.d. tutela dell’affidamento incolpevole: si è osservato, infatti, che non può restare senza rilievo l’affidamento e la buona fede del pensionato nella percezione delle maggiori somme ad esso erogate dall’amministrazione in sede di attribuzione della pensione provvisoria, e la conseguente impossibilità di procedere al recupero dell’indebito soprattutto allorché il conguaglio fra la pensione provvisoria e la pensione definitiva avvenga a distanza di un notevole lasso di tempo[15].

Dopo alcune oscillazioni[16], le nutrite censure avanzate in dottrina hanno indotto la giurisprudenza a rivisitare l’indirizzo tradizionale, licenziato ufficialmente in occasione della sentenza n. 7/2007/QM, con la quale le Sezioni Riunite della Corte dei Conti hanno abbandonato la ricostruzione più risalente a favore dell’orientamento opposto. In particolare, la Corte coglie l’occasione per ripudiare il vecchio insegnamento della giurisprudenza e ritenere che “il recupero dell’indebito formatosi su trattamento pensionistico provvisorio può effettuarsi, ai sensi dell’art. 162 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 e dell’art. 2, secondo comma, della legge 7 agosto 1990 n. 241, entro e non oltre il limite temporale stabilito con il regolamento ministeriale; decorso tale termine, il recupero non può più effettuarsi, stante il consolidamento della situazione esistente, per effetto dell’affidamento riposto nella legittima attività dei pubblici poteri”[17].

Sulla base di tali argomentazioni le Sezioni Riunite hanno conclusivamente affermato, nella predetta sentenza n. 7/2007/QM, che “in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nell’art. 162 del d.p.r. n. 1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di detta legge n. 241 del 1990, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione”, affidamento avente carattere “oggettivo” e non legato allo stato “soggettivo” di buona fede, “per la sua natura variabile in relazione alle mutevoli circostanze individuali di ciascun rapporto pensionistico, e, come tale, inidoneo a orientare con i necessari criteri di uniformità e di certezza sia le aspettative del privato, sia la condotta della pubblica amministrazione, sia, infine, l’operato del giudice di tale rapporto”.

Il principio di cui sopra è stato, successivamente, rielaborato dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 2/2012/QM: “Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’amministrazione del diritto-dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo.

L’organo di nomofilachia, prendendo spunto anche dagli interventi normativi sul corpo della legge n. 241/1990, ha inteso puntualizzare rispetto al precedente orientamento che l’affidamento del percipiente, legittimante nella sussistenza delle altre circostanze l’irripetibilità dell’indebito pensionistico, non si configura in maniera “automatica” e “presuntiva” alla scadenza del termine procedimentale previsto dalla legge n. 241/1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo.

Ne consegue che l’interesse del privato al mantenimento di una situazione giuridica di vantaggio, quale quella conseguente ad un indebito pagamento pensionistico, è meritevole di tutela se da un lato l’errore in cui è incorsa l’amministrazione non è facilmente percepibile con l’ordinaria diligenza perché in tale ipotesi, a prescindere dal decorso del tempo, non vi può essere alcun affidamento da tutelare; dall’altro se la situazione giuridica di vantaggio si è protratta per un considerevole lasso temporale che giustifica l’affidamento, lasso temporale da valutare “anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque con riferimento al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie”, sempre che l’amministrazione non “fosse già in possesso, ab origine, degli elementi necessari alla determinazione del trattamento pensionistico[18].

Ad ogni modo, il settore previdenziale è stato profondamente riformato, consentendo di introdurre una normativa di carattere speciale in deroga al disposto di cui all’art. 2033 c.c.

Infatti, l’art. 52 L. n. 88/1989  così recita: “Le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, nonché la pensione sociale, di cui all’ articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione. Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. Il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave”.

In materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, pertanto, la ripetizione dell’indebito è ammessa nei soli casi di non addebitabilità al percepiente dell’erogazione non dovuta, per come disposto dall’art. 52 L. 88/89.

Il carattere di specialità della normativa in materia previdenziale, rispetto alla disciplina generale del pagamento dell’indebito, è stato ribadito dalla Corte di Cassazione[19], la quale ha ricordato che la “L. n. 88 del 1989, art. 52 è espressione di un principio generale di irripetibilità delle pensioni (Cass. n. 328/02), perché la disciplina della sanatoria è globalmente sostitutiva di quella ordinaria di cui all’art. 2033 c.c.”.

L’art. 13 della L. n. 412/1991, successivamente, ha  fornito un’interpretazione autentica del citato art. 52 della Legge n. 88/1989,  disponendo che “Le disposizioni di cui all’articolo 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all’interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. L’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite” (comma 1); inoltre, l’ente di previdenza “procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza” (comma 2).

L’art. 13, quindi, estende le ipotesi di ripetibilità ai casi in cui il pensionato, a conoscenza di informazioni non in possesso dell’ente e rilevanti ai fini della spettanza o della quantificazione della prestazione pensionistica, non le abbia comunicate o le abbia comunicate in maniera inesatta.

Inoltre, ai fini della irripetibilità, si richiede che le somme indebitamente corrisposte siano riferibili ad un formale e definitivo provvedimento di attribuzione del trattamento pensionistico, e che tale provvedimento sia comunicato all’interessato: rimangono dunque escluse dalla disciplina di favore tutte le erogazioni eseguite in virtù di un provvedimento provvisorio.

La norma in questione, più che un’interpretazione autentica della disposizione già vigente in materia, fornisce in realtà una disciplina innovativa e ben più restrittiva sul piano della tutela della posizione del pensionato. Tanto è vero che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’art. 13 in esame costituzionalmente illegittimo, con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui è applicabile anche ai rapporti sorti precedentemente alla data della sua entrata in vigore o comunque pendenti alla stessa data[20].

In sostanza, la nuova disposizione, incidendo sulle situazioni sostanziali poste in essere nella vigenza di quella precedente, frustra l’affidamento di una vasta categoria di cittadini nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto.

Infine, per quanto concerne la disciplina transitoria su base reddituale (corresponsione indebita di pensioni e trattamenti previdenziali eseguita prima del 1996), i commi da 260 a 265 dell’art. 1 L. n. 662/1996 hanno disposto l’irripetibilità nei confronti dei percipienti titolari per l’anno d’imposta 1995 di un reddito imponibile non superiori a 16 milioni di lire. Invece, per i redditi superiori è prevista la ripetizione delle prestazioni erogate nei limiti dei tra quarti.

In seguito, una disciplina del tutto simile è stata dettata dall’art. 13 L. n. 448/2001, con riguardo ad identica situazione reddituale per l’anno 2000, ma per i soli debiti pensionistici erogati dall’INPS anteriormente al 2001.

3. Errore e dolo del pensionato

Innanzitutto, occorre chiarire cosa si intenda per “dolo” del beneficiario e quando esso vada distinto dall’errore imputabile esclusivamente all’ente, posto che l’irripetibilità trova sempre il suo fondamento nella buona fede o nel legittimo affidamento del percipiente.

A tal proposito, la Suprema Corte a Sezioni Unite[21] aveva già chiarito che <<rispetto alla norma civilistica sulla condictio indebiti – l’art. 2033, che legittima l’azione di restituzione sulla base del solo fatto oggettivo dell’assenza di causa del pagamento e, assimilando l’accipiens al possessore di cosa altrui (art. 1148 c.c.), dà rilievo allo stato soggettivo di buona fede solo quanto alla restituzione dei frutti e degli interessi – il complesso delle norme sull’indebito previdenziale […] non si pone come eccezione rispetto alla regola, bensì viene a formare un “microsistema” normativo, ossia un sistema di regole dettate per singoli istituti o classi di rapporti, con comuni principi di disciplina e perciò dotati di una propria logica e di un proprio autonomo sviluppo. Nell’ambito di tale “microsistema” si è consolidato il principio secondo cui, in luogo dell’art. 2033 cod. civ., trova applicazione l’esclusione della ripetizione in presenza di una situazione di fatto (variamente articolata, ma comunque) avente come comune denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta (così Corte cost., sent. n. 431 del 1993) e verosimilmente destinata dal percettore alle proprie esigenze di vita (art. 38 cpv. Cost.)>>

Ciò premesso, sulla natura dell’elemento psicologico del pensionato può osservarsi che, se non sussistono dubbi sulla rilevanza del dolo consistente nella messa in atto di artifici o raggiri al fine di trarre un vantaggio ingiusto nei confronti dell’ente di previdenza, più problematica appare l’ipotesi del c.d. dolo omissivo.

Sul punto, vanno ricordati i precedenti giurisprudenziali che hanno lumeggiato aspetti del c.d. dolo omissivo sotto il profilo ricostruttivo della fattispecie: quali, l’affermazione del principio secondo cui l’irripetibilità del diritto dell’Istituto al recupero delle somme pagate in eccedenza viene meno solo se l’errore è imputabile al pensionato[22]. In particolare, se l’interessato aveva già comunicato all’istituto tutto ciò che incideva sul suo diritto e sull’importo della pensione, ma l’Ente previdenziale aveva comunque continuato ad erogare somme che non gli spettavano, l’INPS non potrà richiedere la restituzione di quanto corrisposto in eccesso in quanto era tenuto a verificare la situazione reddituale del pensionato.

Senza dubbio, invece, l’INPS avrà diritto di recuperare le somme indebitamente versate laddove il pensionato abbia omesso di comunicare all’istituto fatti che avrebbero potuto incidere sul diritto alla pensione, o sul suo importo, non potendosi imputare a quest’ultimo alcuna responsabilità dell’errore.

In altri termini, l’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente[23], consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite.

Viene accolto così un concetto di dolo rilevante ai fini della ripetibilità comprensivo anche della semplice omissione di comunicazione: ove sia ragionevole presumere che il pensionato, anche in relazione alle sue condizioni culturali, non sia ignaro dell’errore in cui l’ente è incorso.

L’ipotesi concreta che forse più frequentemente è venuta all’attenzione della giurisprudenza è quella del soggetto che riceve una pensione esageratamente eccessiva in rapporto allo stipendio percepito durante il periodo di lavoro, risultando inverosimile che l’interessato non si sia avveduto dell’errore.

Nel caso di comportamento reticente del beneficiario, da equipararsi ad un comportamento doloso, la giurisprudenza di merito ha dedotto che “In una situazione siffatta, in cui il beneficiario della pensione abbia omesso di segnalare una evidentissima discrasia nella liquidazione provvisoriamente eseguita dall’INPS, facilmente ravvisabile a ragione della clamorosa discrepanza, rilevabile dunque senza sforzo e con i connotati dell’ovvietà, tra stipendio ricevuto in costanza di lavoro e pensione successivamente erogata (nel caso concreto nella misura di quasi il doppio), non vi è più ragione per tutelare ad oltranza, e cioè oltre il termine annuale di cui sopra detto, l’affidamento del percipiente il quale, a fronte della peculiarità della situazione nei termini sopra descritti, abbia dolosamente omesso di segnalare all’INPS l’errore commesso in sede di liquidazione provvisoria e la necessità di correggerla prima di procedere a quella definitiva. In una situazione di provvisorietà della liquidazione, insomma, ancorché protrattasi nel tempo oltre l’anno, non vi è ragione di tutelare ad oltranza chi abbia voluto coscientemente approfittare di un errore clamorosamente evidente e ben riconoscibile dell’Ente erogante la pensione” [24].

La suddetta tesi interpretativa si articola, poi, in un ampio spettro di variazioni dottrinarie, in funzione della rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione (così, ad esempio, non sarà ravvisabile alcun affidamento nella ipotesi in cui il rateo della pensione provvisoria sia addirittura maggiore rispetto al rateo dello stipendio che l’interessato percepiva in servizio); in giurisprudenza, c’è chi si spinge oltre affermando che “per il principio di leale collaborazione, espressione del più generale principio di buona fede che conforma il rapporto tra amministrazione e amministrati, in presenza di tale situazione di fatto (corresponsione di arretrati e aumento del rateo mensile in misura non marginale) deve ritenersi sorto, in capo al beneficiario, un corrispondente onere di informarsi e informare, dalla cui osservanza sarebbe verosimilmente emerso, in tempo utile per limitare l’incremento dell’indebito, l’errore in cui era incorso l’INPS e la cui inosservanza ha, invece, comportato l’assunzione del rischio del futuro recupero da parte dell’Ente, entro il solo limite costituito dal termine di prescrizione (qui, però, non maturata) [25].   

In definitiva, bisognerà valutare l’entità dell’errore commesso dall’ente previdenziale: se di entità modesta, non potrà desumersi il dolo del soggetto beneficiario, diversamente – laddove detto errore abbia determinato l’erogazione di una pensione eccessiva rispetto allo stipendio percepito in precedenza – non è plausibile che il soggetto non si sia accorto dell’errore.

Può essere rilevato infine che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di legittimità, la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo in capo al pensionato non viene meno, ai fini della ripetibilità, nel caso in cui il percettore si sia avvalso, nei rapporti con l’ente previdenziale e nella gestione delle relative attività burocratiche, dell’assistenza di un patronato[26].

  1. Osservazioni conclusive

In materia pensionistica, si registra una notevole accentuazione dei giudizi di restituzione di importi pensionistici, sia sotto il profilo quantitativo dei processi, sia sotto quello qualitativo delle tecniche giuridiche attraverso le quali pervenire ad un’equa decisione.

Preme ricordare che sulla questione della ricuperabilità dell’indebito accertato in sede di liquidazione della pensione definitiva si è formato un orientamento giurisprudenziale non sempre univoco, che ha ammesso talvolta l’obbligo della ricuperabilità delle somme erogate in più al pensionato in sede di liquidazione della pensione provvisoria, talaltra il diritto del pensionato a trattenere le maggiori somme percepite in buona fede, soprattutto allorché lo stesso le abbia percepite in assoluta buona fede e le abbia ormai utilizzate per attendere alle quotidiane necessità della vita, e la corrispondente impossibilità per l’amministrazione di recuperare le maggiori somme erogate al pensionato, soprattutto allorché il conguaglio fra l’attribuzione della pensione provvisoria e l’attribuzione della pensione definitiva sia avvenuto a distanza di un notevole lasso di tempo, sì da determinare l’affidamento dell’interessato.

La materia dell’indebito previdenziale è stata interessata da numerosi interventi normativi, tutti tendenti al contemperamento delle due contrapposte esigenze di fondo: la tutela della posizione “debole” del percipiente pensionato e la necessità di una gestione delle risorse pubbliche da parte degli enti di previdenza.

Concludendo questa panoramica sull’indebito pensionistico, ai fini della soluzione del problema in scrutinio, l’INPS ha titolo per procedere fondatamente al recupero dell’indebito pensionistico qualora si verifichino le seguenti condizioni: 1) il pagamento delle somme a titolo di ratei di pensione sia stato eseguito in forza di un formale e definitivo provvedimento; 2) sia stata effettuata la comunicazione del provvedimento stesso all’interessato; 3) si sia verificato un errore di qualsiasi natura non imputabile all’ente erogatore; 4) in caso di indebiti determinati da errori nella valutazione del reddito dei pensionati, non determinati da comportamenti dolosi, l’I.N.P.S. dovrà aver effettuato ogni anno le verifiche sulla situazione reddituale dei beneficiari ed aver successivamente esercitato la relativa azione di recupero entro e non oltre l’anno seguente; 5) in ogni caso, quando vi sia stato dolo da parte dell’interessato.

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Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. 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Note

[1] Nel caso in cui venga accertato il diritto alla irripetibilità dell’indebito, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa, il pensionato ha diritto alla restituzione da parte dell’Amministrazione previdenziale delle somme eventualmente recuperate mediante trattenuta sulla pensione in pagamento, peraltro limitatamente alla sola sorte capitale (rivalutazione monetaria ed interessi esclusi), trattandosi comunque di somme percepite senza legittimo titolo, di cui viene solo negata la legittimità della ripetizione; cfr. C. Conti, sez. III app., 22.7.2013 n.524; id., sez. I app., 18.2.2013 n.132; id., sez. III app. n. 198/2011, id., sez. I app., nn. 817, 815, 806 del 2012, id., sez. II app. n. 404 del 2007; id., sez. I app. n.68 del 2011, id. sez. I app. n. 311 del 2009, id., sez. I app. n. 431 del 2008, id., sez. III app. n. 404 del 2007, id., sez. app. Sicilia n. 279 del 2012 e n.252 del 2009; id. sez. Lazio n. 597 del 2003; id., sez. Veneto n. 94 del 2003 e n. 1136 del 2008; id., sez. Lombardia n. 393 del 1998.

[2] In tema, Cass. n. 328/2002; n. 15819/2000; n. 10832/2000; n. 5167/1998; n. 4805/1989.

[3] Così, Corte dei Conti, sez. Siciliana, sentenza 26/04/2017, n. 266.

[4] In termini, Consiglio di Stato, Comm. Spec., 5 febbraio 2001.

[5] In dottrina, M. Muschio, Indebito previdenziale, in Ripetizione dell’indebito a cura di E. Bargelli, Utet 2014, pag. 311 e ss.

[6] Così, Cassazione civ., sentenza 29/09/2004, n. 19574.

[7] Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 431/1993; in dottrina, v. Finocchiaro, Ripetizione dell’indebito pensionistico, in Riv. infortuni, 1995, II, 235.

[8] Cfr. Corte dei Conti, sez. Siciliana, sentenza 29/01/2018, n. 56; Corte dei Conti, sez. Siciliana, sentenza 26/04/2017, n. 266; Corte Conti, Sez. Sicilia, sentenza n. 726/2012; Corte Conti, sez. Molise, sentenza n. 8/2010. All’uopo, sono stati richiamati gli insegnamenti espressi dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 431/1993, n. 240/1994 e n. 155/1996) secondo i quali “…diversamente dalla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione (nella materia pensionistica) la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto …avente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta”, nonché quelli pronunciati dalla Corte di Giustizia Europea (ex multis, sentenza 03/05/1978, C 112/77) secondo cui “il principio di tutela dell’affidamento fa parte del diritto comunitario”.

[9] Cfr. Albanese, Il pagamento dell’indebito, Padova, 2004, 949.

[10] In tal senso, Cassazione civ., n. 2701/1989.

 

[11] Nella ricostruzione operata, sia pure incidenter tantum, dalla Sezioni Riunite della Corte dei conti con sentenza n. 7/2011/QM, si è chiarito che i trattamenti pensionistici liquidati con procedure automatizzate hanno, per espressa definizione normativa, carattere provvisorio sino alla scadenza del termine di un anno dalla trasmissione da parte del competente centro di calcolo dei risultati delle lavorazioni e dei controlli automatici eseguiti, trasfusi in appositi tabulati che vanno riscontrati entro il detto termine annuale (con tutte le connesse implicazioni in tema di ripetibilità di indebiti pensionistici corrisposti con carattere di provvisorietà), restando peraltro “impregiudicata l’azione dell’Amministrazione per il recupero, anche dopo tale termine, delle somme indebitamente corrisposte” (cfr. art. 5, commi 2 e 4, del d.P.R. 8 luglio 1986 n. 429). Ma, è stato aggiunto (cfr. Corte dei Conti, Sez. Riun. 25.7.2008, n. 4), “non può revocarsi in dubbio che alla scadenza del termine annuale di che trattasi si conclude ex lege il periodo di provvisorietà della liquidazione pensionistica disposta con procedura automatizzata, con cessazione della fase di incondizionata ripetibilità naturalmente collegata a detta fase, sicché il recupero di indebiti maturati oltre tale scadenza, pur rientrando tra le azioni di titolarità della P.A., resta comunque condizionato – secondo una lettura teleologica della norma funzionale alla “ratio legis” (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 166 del 1996 cit.) – dalla valutazione della sussistenza di uno stato soggettivo di buona fede”.

[12] Cfr. Cassazione civ., sez. lavoro, sentenza 20/02/2017, n. 4323.

[13] Tra le tante, Cassazione civ., sentenza 25/01/1991, n. 64543; Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per la Regione Marche, sentenza 27.02.2012.

[14] Sul principio di affidamento, v. Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per la Regione Lombardia, sentenza n. 40/2017. In particolare, la questione è stata affrontata funditus dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, che con sentenza n. 1/99/QM del 14 gennaio 1999 hanno affermato, fra l’altro, che <<attese le norme di diritto comune (art. 2033 c.c.) e di diritto amministrativo (art. 162 d.P.R. n. 1092/1973, nel testo sostituito dal d.P.R. n. 138/1986) che regolano la materia e la natura non suscettibile di interpretazione analogica dell’art. 206 d.P.R. n. 1092/1973 – cui non va riconosciuto carattere di principio generale di irripetibilità delle somme erroneamente corrisposte, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge relative a provvedimenti di revoca o modifica di pensioni definitive – non sussiste la possibilità per il giudice di attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte dall’amministrazione su trattamenti provvisori ex art. 162 del T.U. n. 1092/1973, pur se sia decorso un notevole lasso di tempo>> .

[15] Cfr. Corte dei conti – Giudice Unico delle Pensioni Sezione giur. Regione Piemonte, n. 531 del 28 febbraio 2003. In particolare, dopo la richiamata sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 1/99/QM del 14 gennaio 1999, è stato ribadito che “i criteri informatori del principio dell’irripetibilità di somme erroneamente erogate in materia pensionistica sono: a) la buona fede del percettore; b) la conseguente utilizzazione di dette somme per le quotidiane necessità della vita; c) la non immediata riconoscibilità dell’errore da parte del pensionato”. Sempre in epoca successiva alla predetta sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 1/99/QM del 14 gennaio 1999, la stessa giurisprudenza del giudice delle pensioni (ex multis, Corte dei conti – Sezione giur. Regione Piemonte, n. 2183 del 18 dicembre 1999; Corte dei conti – Sezione giur. Regione Liguria, n. 966 del 19 ottobre 1999; Corte dei conti – Sezione giur. Regione Veneto, n. 520 del 15 ottobre 1999) ha avuto modo di precisare che “anche nel caso di erogazione di trattamento pensionistico provvisorio, per sua natura suscettibile di essere modificato in aumento o in diminuzione al momento della determinazione della definitività della pensione, non appare tuttavia conforme a legge il recupero di quanto indebitamente corrisposto, allorché il pensionato abbia percepito in buona fede il trattamento non definitivo, per lunghissimo tempo, oltre, cioè, il limite ragionevole dei normali tempi tecnici di operatività dell’amministrazione, maturando quindi una ragionevole convinzione sulla correttezza e sulla definitività delle somme man mano percepite”.

[16] V. Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, 26 aprile 2006, n. 99; Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, 29 maggio 2006, n. 236; Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana, 6 novembre 2006, n. 172 e 4 gennaio 2007, n. 5.

[17]Le Sezioni Riunite hanno altresì osservato che “con l’art. 2 della menzionata legge n. 241 del 1990 è stato normativamente introdotto il principio della generalizzata certezza dei tempi dell’azione amministrativa, con articolazione del nuovo sistema dei termini su tre livelli: a) il termine predeterminato per legge (livello normativo); b) il termine determinato dalle singole amministrazioni modulandone la durata sulla base della complessità del procedimento da disciplinare (livello regolamentare amministrativo); c) il termine residuale unico e indifferenziato, previsto in caso di carenza di fissazione espressa, sostanzialmente determinato “in misura tale da indurre le Amministrazioni a provvedere” (Corte costituzionale, 23 luglio 1997, n. 262; vedasi anche Corte costituzionale, 22 giugno 2004, n. 176)” e che“quale che sia la natura che viene attribuita a detti termini (quelli fissati dalla legge n. 241/1990 e successive integrazioni e modificazioni, e dai regolamenti ministeriali – ndr), essi comunque ora rappresentano un limite oggettivamente predeterminato ex lege, e si configurano quale elemento essenziale del procedimento destinato a eliminare ogni possibile incertezza, vigendo ora, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, l’obbligo per l’amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, entro un limite certo”, e che “tale innovazione, per quel che qui rileva, è destinata a tutelare i pensionati destinatari dell’azione della pubblica amministrazione, i quali da un lato possono ora riporre un affidamento qualificato nella durata dei procedimenti che li riguardano, e, dall’altro, possono immediatamente far valere le conseguenze dell’inadempimento per superamento del termine prefissato, dovendo peraltro escludersi nella subiecta materia la necessità di previa diffida per contrastare l’inadempimento, in quanto nella fattispecie si fanno valere diritti soggettivi non subordinati all’adozione di un provvedimento costitutivo dell’Amministrazione (Corte dei conti, Sezioni riunite, 23 aprile 1999, n. 10/QM cit.; ex plurimis cfr. anche Consiglio di Stato, Sezione V, 14 luglio 1997, n. 820; Sezione IV, 11 giugno 2002, n. 3256), ferma restando la diversa e autonoma problematica relativa alle modalità per accertare e far valere, anche facendo ricorso alle modalità già sommariamente indicate con la sentenza di queste Sezioni riunite n. 1/QM del 1999 (diffida ex legge n. 241 del 1990 e/o denuncia di omissione di atti d’ufficio), eventuali responsabilità in ordine al ritardo e/o all’omissione del provvedimento di liquidazione della pensione definitiva (cfr. art. 3-ter del decreto-legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, nella legge 11 luglio 1995, n. 273)”.

[18] Cfr. Corte dei Conti, sez. Siciliana, sentenza 29/01/2018, n. 56; Corte Conti, Sez. Sicilia, sentenza n. 726/2012; Corte Conti, sez. Molise, sentenza n. 8/2010.

[19] Così, Cassazione civ., sez. lav., sentenza 11/01/2017, n. 482, la quale ha precisato che, secondo il principio generale ex art. 52 L. n. 88/1989, “le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita prestazione sia dovuta a dolo dell’interessato”.

[20] Così, Corte Costituzionale, sentenza 10/02/1993, n. 39.

[21] V. Cassazione civ., SS.UU., sentenza 21/02/2000, n. 30, in Riv. giur. Lavoro, 2000, II, 571, con nota di Boer.

[22] Tra le tante, cfr. Tribunale di Palermo, sez. lav., sentenza 30/10/2018, n. 3238.

[23] Cfr. Circolare INPS, n. 31/2006.

[24] Cfr. Corte Appello Trento, sentenza n. 24/2017.

 

[25] Così, Corte dei Conti, sez. siciliana, sentenza n. 148/2019.

[26] V. Cassazione n. 3273/1998.

 

 

 

Giorgio Seminara

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