La dirigenza incaricata: oltre al danno erariale

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Gli incarichi di funzione dirigenziale affidati a persone esterne alla Pubblica Amministrazione in generale od anche solo a quella che opta per tale modalità per ricoprire i propri posti vacanti e disponibili in pianta organica, sempre comunque nel rispetto delle percentuali previste dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 “ Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e precisamente all’art. 19, comma 6, resta uno degli argomenti trasversalmente spinosi e controversi della P.A., ravvivato di tanto in tanto da una pronuncia di qualche sezione regionale di controllo della Corte dei conti o da qualche sentenza dei Giudici amministrativi.

In merito a tale tipologia di incarichi si discute, essenzialmente, circa la legittimità degli stessi per il peso che si dà all’aspetto dell’intuitu personae a base della scelta, per alcuni, troppo personale e fiduciaria oltreché ampiamente discrezionale, dei soggetti esterni “di particolare e comprovata qualificazione professionale” che non sono rinvenibili tra le risorse umane – personale in servizio e a disposizione dell’ente conferente[1], ma anche circa l’opportunità fosse solo perché, si ritiene, di tal guisa non si utilizzano e men che meno si valorizzano le professionalità interne, che il più delle volte non vengono  preventivamente interpellati (attraverso uno specifico avviso di selezione interno), e questa specifica mancanza è oggetto di censura dai predetti organi giudiziari amministrativi e di controllo[2], i quali a volte ravvisano i presupposti per imputare agli alti vertici della P.A. interessata anche la responsabilità per danno erariale (Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, pronuncia n. 165 del 24 marzo 2009 e, recentemente, Corte dei Conti – Seconda Sezione Centrale di Appello – Sentenza 28/07/2017, n. 535)[3].

Infatti, rispettato il limite delle percentuali entro cui ciascuna amministrazione può affidare agli esterni gli incarichi dirigenziali (l’art. 19, comma 6, del D. lgs. 165/01, per citare un esempio, prescrive un “limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia”), il cui sforamento costituirebbe motivo di illegittima e conseguente insanabile nullità  degli incarichi conferiti, resta l’altro baluardo della preventiva e formale “verifica ” dell’assenza nei ruoli interni di personale competente e qualificato con cui far fronte alle esigenze organizzative e funzionali (art. 7, comma 6, del D. lgs. 165/01), rimettendo ad una “fase successiva ed eventuale, conseguente all’esito infruttuoso della prima, la ricerca all’esterno finalizzata al conferimento di un incarico ai sensi del comma 6, che, in ogni caso, deve discendere da una rinnovata volontà discrezionale dell’Amministrazione medesima, debitamente motivata  6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione” (per tutte: Deliberazione n. SCCLEG/36/2014/PREV – Corte dei conti – Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni pubbliche).

L’altro aspetto fondamentale nella questione della nomina di dirigenti esterni è sicuramente la già accennata discrezionalità tecnica ed organizzativa di cui gode l’Amministrazione nell’individuare le migliori professionalità – entro il predetto limite numerico/percentuale nonché quello della spesa pubblica – in relazione alle esigenze e agli obiettivi programmatici della stessa. Tale procedura[4], alla quale è pacificamente riconosciuta la natura di determinazioni negoziali e non concorsuale assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D. lgs. 165/01 (Cass. 18972/2015), deve essere comunque sempre improntata alla correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. ed all’osservanza dei superiori principi di imparzialità  buon andamento di cui all’art. 97 della Cost, oltreché della trasparenza, dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa, si caratterizza per la possibilità di una scelta adeguata, opportuna ed anche conveniente da parte di coloro che nominano i soggetti esterni che, in base ai canoni appena citati, ritengono che questi prescelti siano dotati di una qualificazione professionale e di un bagaglio esperienziale certamente superiore a quella dei funzionari in posizione utile per assumere incarichi dirigenziali e che come minimo possano apportare quel quid pluris che gli interni non sarebbero in grado di assicurare per il ruolo da assegnare.

Sulla valutazione discrezionale che si opera in questa tipologia di incarichi ci sono significativi contributi dottrinali[5] ed importanti pronunce giurisprudenziali[6], che a dire il vero sostanzialmente rispettano tale potere datoriale, che sottolineano, oltre la funzione dei predetti criteri e principi generali, la necessità ed il rispetto della definizione di preventivi e predeterminati paramenti generali di valutazione per l’affidamento, la pubblicità dei posti vacanti, il mutamento e la revoca degli incarichi, il più possibile oggettivi, per arginare un illimitato potere discrezionale di scelta che non sfoci nell’arbitrio incontrollato.

In tal senso si può citare la specifica direttiva del Dipartimento per la Funzione Pubblica n. 10 del 19/12/07:

“L’esigenza di operare scelte discrezionali ancorate a parametri quanto più possibili oggettivi e riscontrabili evidenzia l’opportunità che le amministrazioni si dotino preventivamente di un sistema di criteri generali per l’affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi. Ciò al fine di consolidare anche in questo settore la trasparenza in modo da favorire la fiducia dei dirigenti nel funzionamento dell’organizzazione e ridurre le possibilità di contenzioso.

“Anche la discrezionalità insita nel conferimento di incarichi in base all’articolo 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 e nelle corrispondenti norme organizzative vigenti per gli enti pubblici e per la Presidenza del Consiglio deve sempre svolgersi nel rispetto della correttezza, attuando un’attenta stima della professionalità e dell’esperienza degli interessati ed evitando in ogni caso che allo strumento in questione si faccia ricorso in modo arbitrario”.

Dunque, si è almeno cercato di imporre l’adozione di criteri di valutazione, al fine di delimitare la discrezionalità tecnica delle Commissioni in modo da garantire una selezione rispondente agli interessi pubblici perseguiti (Ex multis: T.A.R. Campania Napoli sez. VI, 15 gennaio 2015, n. 257; T.A.R. Puglia Bari sez. II, 14 novembre 2013, n. 1528; Consiglio di Stato sez. V, 25 maggio 2012, n. 3062).

Se però da una parte si è cercato di imbrigliare in una gabbia di parametri di valutazione comparativa la procedura in questione, dall’altra parte – in alcuni casi – ci si è spinti fino ad affermare che nell’adottare l’atto di nomina dirigenziale in siffatta procedura, attraverso la valutazione delle caratteristiche attitudinali e della professionalità del singolo partecipante, il titolare di tale potere, non sia nemmeno obbligato né ad effettuare una comparazione valutativa tra più candidati (per tutte: Cass. n. 7623/2003), né ad attribuire punteggi e formulare graduatorie (per tutte: TAR Campania – Napoli n. 10168/04) e nemmeno a fornire una minima motivazione del perché la scelta sia ricaduta su un candidato e non su un altro, in quanto trattasi dell’espressione dell’esercizio di una forma di potere unilaterale/negoziale e la natura fiduciaria della scelta del dirigente al quale conferire l’incarico di II fascia obbligano l’Amministrazione al rispetto dei criteri indicati dal bando e quelli legali, tra cui il divieto di discriminazione e i principi generali di correttezza e buona fede che presidiano ogni rapporto obbligatorio contrattuale (Cass. 6 marzo 2009 n. 5457; conformi tra le altre: Cass. civ., sez. un., 19 luglio 2011, n. 15764; Cass. 3 novembre 2006, n. 23549 e Cass. 12 novembre 2007, n. 23480 e tra quelle di merito: Tribunale, Salerno, sezione lavoro, sentenza 22/01/2013 n° 295. In buona sostanza queste pronunce pongono in rilievo l’aspetto di giudizio essenzialmente discrezionale e di natura ampiamente fiduciaria del rapporto, che non permetterebbe alcun sindacato sotto il profilo dell’eccesso di potere nella figura sintomatica del difetto di motivazione. Tribunale di Roma, sezione lavoro con la sentenza del 9 ottobre 2012).

Va però rilevato che si leva sempre più forte e ricorrente la voce di chi vede nella motivazione di un qualsiasi atto/provvedimento della P.A. uno degli elementi che permette di sindacare la scelta operata sotto il profilo della manifesta irragionevolezza e della palese arbitrarietà della stessa. I motivi esplicitati a base di questa tipologia di nomine, a volte tra una pluralità di concorrenti tutti altamente qualificati, passando proprio per un analitico esame delle esperienze e competenze curriculari, che sicuramente non si risolvono in una motivazione stereotipata, devono essere alla base dell’operare dei vertici di una qualsiasi articolazione della P.A. che conferiscano incarichi dirigenziali esterni, ex art. 19 del d. lgs. 165/2001 che è stato opportunamente integrato circa la previsione secondo la quale: “Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione.. “ (da ultimo Cassazione – Sezione Lavoro –  Ordinanza n. 26694 del 10/11/2107; conformi: Corte di Cassazione sentenza 14 aprile 2015 n. 7495; Cass. Sez. lav., 26 novembre 2008, n. 28274; Cass. Sez. lav., 14 aprile 2008, n. 9814). A tal proposito sono più volte intervenuti i giudici contabili, ribadendo che è buona norma che, qualora non si percorra la strada dei concorsi pubblici, in generale, si devono rispettare i requisiti procedurali di selezione e di relativa trasparenza degli incarichi e, soprattutto, i prescelti devono poter vantare non una “normale” competenza e preparazione nel settore all’interno della P.A. in cui si ritiene non presente quella specifica risorsa, ma elevatissimi requisiti culturali e professionali da impiegare a beneficio dell’efficienza e dell’efficacia dell’ente conferente (Corte dei conti, sez. Lombardia, sentenza 13 giugno 2016 n. 97; sez. giur. Liguria, sentenza 23 giugno 2017 n. 92; sez. giur. Campania, sentenza 17 maggio 2017 n. 175; sez. giur. Campania, sentenza 31 marzo 2017 n. 129).

Proprio sul punto della preventiva ricerca all’interno dell’amministrazione conferente, di professionalità idonee a svolgere l’incarico, che va accertata con le necessarie e formali verifiche (avvisi di selezione comparativa rivolti ai funzionari interni), il più delle volte interviene la Corte dei conti, costituendo oramai un consolidato e pacifico orientamento di non registrazione delle nomine, laddove è stata accertata l’omessa preliminare verifica in ordine alla effettiva impossibilità di ricorrere a personale interno, imposta da norme di legge primaria e, a volte, ribadite anche da disposizioni regolamentari interne. Questo aspetto si collega anche a quanto appena argomentato cica la necessità evidente di motivazione dell’agire della P.A. in quanto il più delle volte nei preamboli degli atti di nomina ovvero degli avvisi di selezione si ripetono frasi di stile del tipo “Ravvisata l’impossibilità di provvedere con personale interno… non possedendo al proprio interno figure idonee e professionalità adeguate allo svolgimento dell’incarico in oggetto”, senza però indicare il modus operandi seguito ovvero gli estremi della procedura espletata al fine di accertare preliminarmente l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno della struttura organizzativa di riferimento. Con ciò si crede di poter superare il vaglio dei giudici che, invece, si rifanno ai principi di diritto affermati dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (deliberazione. n. 6/05) che al riguardo affermano: “Deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi. L’affidamento dell’incarico deve essere preceduto, perciò, da un accertamento reale, che coinvolge la responsabilità del dirigente competente, sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’ente, che siano in grado di adempiere l’incarico”.

Ebbene, è stato ampiamente dimostrato che laddove le procedure di nomina di esperti esterni difettano del tutto della predetta fase propedeutica, si incorre realmente nel non superamento dei profili di legittimità degli incarichi effettuati e del conseguente mancato rilascio del regolare visto e della conseguente registrazione dei provvedimenti stessi da parte della Corte dei Conti, quale organo di controllo preventivo di legittimità prescritto dall’art. 3, comma 1, lett. f-bis, della legge 20/1994 (tra le tante: Deliberazione n. SCCLEG/6/2016/PREV e conforme Deliberazione n. SCCLEG/32/2014/PREV entrambe della Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, e deliberazione n. 124/2017, della sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Cdci; Sentenza n. 240/2012 della Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria della Cdc.).

Ma piuttosto che proseguire sulle pur interessanti tematiche connesse alla nomina di dirigenti esterni, come fatto in maniera egregia e completa con molti interventi autorevole dottrina,  quali: la capacità e i poteri riconosciuti nelle nomine in parola alla P.A. quale privato datore di lavoro e il dibattito incentrato sul riparto di giurisdizione[7], sulla qualificazione del provvedimento di conferimento e/o revoca dell’incarico dirigenziale[8], sullo spoils system e gli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni[9], sulla natura concorsuale o meno della procedura di nomina[10], sulla vexata quaestio dell’autonomia e la responsabilità della dirigenza rispetto agli organi politici[11], si vuole approfondire una singola particolare dinamica dell’intera questione scaturente dalla nomina di soggetti esterni alla P.A. che non presentano propriamente  quel quid pluris indispensabile all’assunzione del ruolo, fino a giungere alla riflessione se, nell’ambito dell’organizzazione degli uffici amministrativi, l’inserimento di una risorsa esterna, sia pur selezionata nel rispetto dei predetti principi ed i criteri di cui alla citata normativa, sia un rimedio ovvero un danno. Ciò, però, non solo sotto l’aspetto propriamente economico bensì anche organizzativo: un rimedio per far fronte alla mancanza di figure di un certo profilo e qualità professionali oppure un danno c. d. erariale, come hanno dimostrato e sancito alcune pronunce della magistratura contabile (per tutte: Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sentenza n. 483/2017 e Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Basilicata, sentenza 1 luglio 2015, n. 36), in quanto si pagano fior di quattrini a soggetti esterni alla P. A. che invece potrebbe investire sui funzionari interni, su quelli che presentano un ricco percorso di studi universitari e post-universitari ed un particolare bagaglio di esperienze professionali,  ma valutando anche il non secondario aspetto del danno non erariale ma inteso, questa volta, nella ristretta accezione di malessere percepito dai soggetti incardinati nell’amministrazione che vedono l’innesto di soggetti per canali non concorsuali, costituenti per loro perdita di chance e di mancato avanzamento di carriera. Una carriera per la quale hanno fatto a suo tempo delle scelte di vita, a partire da mirati studi universitari, impegnandosi a superare un concorso per ruoli funzionali alla dirigenza, svolgendo il più delle volte delle mansioni superiori al proprio profilo giuridico-professionale e successivamente è accresciuto il legittimo affidamento nella progressione di carriera, non solo sotto il profilo economico ma anche di realizzazione personale (sul punto: Corte Costituzionale, sentenza 20 maggio 2016, n. 108).

Ebbene, non vi è dubbio alcuno che la ratio della normativa  in parola (art. 19 del citato decreto 165/01) è quella di affidare articolazioni degli uffici della P. A. a persone meritevoli e che si distinguono per il loro oggettivo percorso formativo e professionale, che la stessa, in buona sostanza, individua in chi ha svolto “ … attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato”.

Quindi una previsione altamente nobile indirizzata a potenziare, anche i termini di innovazione e semplificazione, gli standard di efficienza ed efficacia contrattualizzando soggetti che dovrebbero rappresentare un sicuro investimento ed arricchimento per la P.A. e, di conseguenza, nulla quaestio su tale modus procedendi.

Ma cosa accade quando di tale possibilità se ne fa un uso non propriamente consentito secondo le stringenti disposizioni esaminate? Accade che si introducono soggetti che non presentano le elevate caratteristiche professionali ben delineate dalla predetta norma, accade che chi ha preso parte alla selezione comparativa, in particolare i funzionari interni alla amministrazione procedente, già ad un sommario confronto tra il percorso di studi ed esperienziale del prescelto ed il proprio, ravvisa una possibile sopravvalutazione del candidato nominato e una sottovalutazione del proprio curriculum vitae et studiorum, ed allora si dà la stura a contenziosi sui quali si può anche registrare una netta oscillazione giurisprudenziale in quanto ad esito, annullamento delle nomine e addebito di danni erariali[12].

A tal riguardo, si citano recenti vicende, riguardanti varie procedure selettive bandite, ad esempio, dalla Regione Emilia Romagna al fine di conferire degli incarichi dirigenziali a tempo determinato presso le diverse Direzioni generali, i cui esiti sono stati impugnati dai funzionari dipendenti della Regione inquadrati nella categoria “Cat. D”[13]. In precedenza era accaduto per la Regione Sardegna[14] con l’annullamento da parte del competente TAR della delibera della giunta regionale numero 64/10 del 2 dicembre 2016, con la quale l’esecutivo regionale, aveva bandito una manifestazione d’interesse per il conferimento degli incarichi dirigenziali della Direzione generale dell’organizzazione e del personale, affidandola ad un esterno e non a dipendenti in possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale. Così anche per la Regione Lazio, nei cui confronti si è pronunciato il competente TAR (Tar Lazio, sezione I ter, con la sentenza n. 3670 del 3 marzo 2015) annullando la disposizione del Direttore del Dipartimento Istituzionale e Territorio della Regione Lazio n. A03499 del 7/5/2013, con la quale si era disposto di ricercare all’esterno i soggetti cui affidare incarichi dirigenziali di svariate Direzioni, sull’erroneo presupposto “dell’assenza di professionalità interne idonee”[15].

Questi solo alcuni esempi di contenziosi scaturenti dalle reazioni dei soggetti interni alla P. A. che non accettano di buon grado nomine esterne e le sottopongono al vaglio dei giudici amministrativi, e a volte anche delle Procure della Repubblica. Ma sono sempre più numerosi i casi in cui sono le sezioni della Corte dei conti che annullano le nomine di soggetti esterni per le medesime ragioni di cui sopra: mancanza di procedure atte a verificare preventivamente la disponibilità di risorse interne ovvero mancanza delle qualità prettamente tecnico – professionali[16] richieste dalla normativa in capo ai soggetti nominati[17] (da ultimo: Sentenza della Corte dei Conti – Sez. Giurisdizionale della Lombardia – n. 97 del 13.6.2016).

Orbene, a tacer del pur importante aspetto della modalità con la quale la nostra Costituzione, all’art. 97 comma 4,  sancisce l’accesso agli “impieghi nelle pubbliche amministrazioni” e cioè per concorso pubblico, e alcuni soggetti incaricati non hanno nemmeno i titoli per partecipare ai concorsi pubblici per il profilo dirigenziale, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede di Controllo 8.3.2011 nn.12 e 13, hanno stabilito che “il conferimento degli incarichi dirigenziali nel pubblico impiego appartiene alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2 lett. L sub voce “ordinamento civile”, come inteso da pacifica giurisprudenza, e le sezioni giurisdizionali territoriali della Cdc sempre più di continuo – su segnalazione anche di alcuni esponenti di nascenti partiti politici[18] – sentenziano che certi soggetti sono trovati privi del requisito del pregresso servizio quinquennale quale funzionario della carriera direttiva e, comunque, di particolare comprovata professionalità o specializzazione culturale e scientifica per l’incarico di vertice, addebitando il relativo danno all’erario corrispondente alle retribuzioni erogate, inapplicazione del noto principio della compensatio lucri cum damno (art. l, comma l-bis, della legge 14 gennaio 1994, n. 20)[19].

A tal riguardo, va anche rilevato che anni prima i mancati visti delle nomine effettuate avvenivano per lo più per omissioni procedurali: mancata pubblicità dell’avviso a candidarsi, con conseguente mancata comparazione dei potenziali aspiranti all’incarico, anche interni; mancata motivazione della scelta, ecc.

Ma nella realtà di quegli uffici dove si procede con nomine che non vengono sindacate dagli autorevoli organi qui richiamati, che con i loro chiari enunciati giurisprudenziali ricordano ai vertici della P.A. la lettura logica, razionale e conforme ai principi generali del principio di legalità e di buon andamento dell’art. 19, comma 6 del citato T.U., norma primaria disciplinante la materia degli incarichi dirigenziali (operante anche per le Regioni, gli enti locali e per enti “satellite” di detti soggetti pubblici – cfr. Cass. sez. lav., 19 marzo 2015 n. 5516; Cass., sez. lav., 13.1.2014, n. 478;) connesse al perseguimento dell’economicità e dell’efficacia dell’azione amministrativa, oltre che la sana gestione delle finanze pubbliche, cosa avviene?

Avviene che le posizioni di comando, coordinamento, gestione dei vari uffici sono affidate a soggetti che non solo non sono in possesso di un soddisfacente bagaglio conoscitivo e di esperienze “sul campo” nelle materie di cui si deve interessare, che invece presentano i funzionari interni che avrebbero potuto aspirare a ricoprire l’incarico. A volte i prescelti sono, altresì, carenti proprio di quei severi requisiti di assoluta eccellenza professionale e di titoli universitari (o post-universitari), espressivi di “particolare” robusta preparazione anche teorica e istituzionale, previsti dalla stessa norma, che considera come assolutamente eccezionale l’affidamento di funzioni dirigenziali a soggetti che non abbiano superato il prescritto percorso di qualificazione concorsuale per l’inserimento nel ruolo dirigenziale (così si esprime la Corte dei conti, sez. giurisdizionale Lombardia, con la recente sentenza n. 91/2017 in merito ad un incarico dirigenziale presso l’ARPA Lombardia, una delle poche pronunce nel pur vasto panorama giurisprudenziale che prende in esame anche le ricadute negative degli incarichi de quibus sull’assetto organizzativo/gestionale interno alla P.A.). E ciò vale ancor più quando l’incarico di vertice da conferire ha natura squisitamente tecnica, amministrativa, giuridica e contabile richiede dunque una più mirata e settoriale esperienza nello specifico campo operativo dell’incarico stesso, si pensi solo all’elevata specializzazione giuridica/normativa necessaria a ricoprire l’incarico di dirigente di un’articolazione della P.A. al cui interno vi è un ufficio legale sottoposto alla gestione del dirigente incaricato laureato in discipline non propriamente affini a quella in Giurisprudenza quali: Fisica, Architettura, Lettere antiche ovvero moderne, educazione fisica, conservatorio ecc.

Dunque, è palese l’illogicità, irragionevolezza, e la conseguente conflittualità organizzativa/gestionale che ne può derivare, se  il superiore gerarchico sia culturalmente e professionalmente meno dotato (nelle materie oggetto dell’incarico ma lo è magari in altri settori) rispetto ai funzionari sottordinati che dirige e coordina. Ecco perché nel pubblico per accedere ad incarichi dirigenziali si deve superare un concorso (tramite i corsi – concorsi della SNA ex SSPA) in cui vengono valutati i titoli specifici e non l’attività lavorativa pregressa, e soprattutto si devono superare delle prove selettive – scritte ed orali – molto dure, protese a reclutare i migliori aspiranti secondo le disposizioni costituzionalmente orientate. Ecco perché anche nel privato più vicino alla nostra quotidianità per diventare un direttore di filiale bancaria si deve aver fatto una pluriennale esperienza allo sportello e in altre mansioni di profilo inferiore e, ancora più semplicemente, per essere individuato come direttore di un punto vendita di un supermercato, si deve almeno aver lavorato per qualche anno in qualche corsia dello stesso.

Quindi se il dirigente incaricato non passa per una fase concorsuale che garantisca una ferrea selezione e un principio di meritocrazia tra tutti i partecipanti, a fortiori dovrà possedere e poi dimostrare di avere significativa, elevata, specifica e non comune esperienza lavorativa e preparazione almeno superiore ai soggetti che deve gestire e che magari hanno partecipato alla sua stessa selezione (quali funzionari interni con esperienza pluriennale nel settore e per i quali non vi è stato un c.d. interpello preventivo) e che non hanno visto concretizzarsi la loro legittima aspettativa di carriera, in un pluriennale arresto del sistema di reclutamento nazionale dei dirigenti tramite i corsi-concorsi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (ex SSPLA).

Ma vi è, tra l’altro, un non meno importante aspetto della situazione che fin qui si è delineata, e cioè che ai soggetti nominati è rimessa per legge ai sensi dell’art. 17 lett e-bis) del D. Lgs. 165/01 effettuare “…. la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti”. Ma come può un soggetto che non ha gli strumenti conoscitivi ed operativi di un determinato settore (esempi tipici di pratiche che si svolgono in un uffici pubblico: ricostruzione di carriera legate alla pensione, esercizio di azioni disciplinari, costituzioni in giudizio in difesa e rappresentanza della P.A., pratiche di recupero crediti, gestione di personale ecc.) effettuare una ponderata ed oggettiva attività di misurazione e valutazione della performance individuale circa mansioni e ruoli e collegata al raggiungimento degli obiettivi predeterminati. E magari si verifica anche l’occasione di strumentalizzare la fase valutativa per premiare i collaboratori più disponibili a travalicare le proprie competenze esecutive e dare un segnale a quelli visti inopinatamente come più riottosi (magari solo perché meno inchini a svolgere il lavoro che spetta ai soggetti che ricoprono siffatti ruoli dirigenziali, con le connesse responsabilità) per ricordare chi è il “capo”, generando così altro astio tra gli stessi colleghi – che in materia di valutazione è sempre all’ordine del giorni – e anche altro contenzioso tra i dipendenti e la P.A. avente ad oggetto proprio quella valutazione del proprio contributo lavorativo non accettata perché ritenuta ingiusta e palesemente iniqua.

Per non parlare della rappresentanza funzionale al rapporto gestorio, di delicatissimi compiti istituzionali che necessitano di approcci tecnici e giuridici particolarmente complessi, sia per la natura delle problematiche sottese, sia per le rilevantissime implicazioni finanziarie erariali ad esse conseguenti, che si snodano dall’interlocuzione con altri enti per la definizione di progetti interdisciplinari, alla partecipazione a conferenze di servizio, alla definizione di accordi quadro o intese su materie trasversali, all’esercizio del potere del licenziamento disciplinare, agli obblighi nascenti dalla normativa in materia di tutela dei dati personali, all’esecuzione di provvedimenti giudiziari, alle relazioni sindacali e alla relativa contrattazione integrativa di sede per la disciplina dei diritti dei lavoratori e molto altro ancora, di cui oggi è investito un dirigente preposto alla direzione di una branca/settore o un articolazione della P.A., che potrebbero dare adito – qualora non gestiti con sapiente conoscenza ed equilibrata competenza – a dispendio di risorse economiche pubbliche nonché nuocere gravemente all’immagine della complessiva Pubblica Amministrazione.

Un tale corto circuito dovuto a nomine non propriamente “azzeccate”, in quanto eventualmente influenzate da pressioni politiche, clientelari o lobbistiche, che invece possono apparire legittime per una multinazionale privata che per la scelta dei suoi top-manager non ha parametri normativi da seguire, ma un solo severo “giudice”, ovvero il mercato, che punisce con il fallimento o con calo di utili società mal guidate da dirigenti inidonei[20], non permette di affidare la gestione della cosa pubblica al migliore, sia esso in primis un soggetto interno ed in mero subordine, ed in ossequio a tutte le garanzie di legge, procedurali e di merito, ad soggetto esterno.

Per i soggetti interni, in riferimento alle mancate selezioni preventive mirate ad individuare delle professionalità interne ovvero l’adozione di nomine oggettivamente selettive e comparative ed in assenza di ragioni giustificatrici delle scelte operate, la giurisprudenza sta sempre più spesso riconoscendo un danno agli stessi, laddove “l’Amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile” (ex multis: Cass. 14 aprile 2015, n. 7495, 12.10.2010 n. 21088 e 14 aprile 2008, n. 9814).

In materia di domanda di risarcimento danno da perdita di chance, specifica la Corte di Cassazione con due recenti ordinanze, Sezione Lavoro Civile, del 25 agosto 2017, n. 20408 e del 10 novembre 2017, n. 26694, “il giudice del merito è chiamato ad effettuare una valutazione che si svolge su due diversi piani in quanto occorre innanzitutto che, sulla base di elementi offerti dal lavoratore, venga ritenuta sussistente una concreta e non meramente ipotetica probabilità dell’esito positivo della selezione e solo qualora detto accertamento si concluda in termini positivi vi potrà essere spazio per la valutazione equitativa del danno, da effettuare in relazione al canone probabilistico riferito al risultato utile perseguito. In tal modo non viene risarcito un danno probabile in quanto «il danno è certo quanto all’an debeatur perché certo è l’inadempimento di un’obbligazione strumentale da parte del datore di lavoro (quella di effettuare la scelta secondo un determinato criterio e comunque secondo correttezza e buona fede), obbligazione che ha un contenuto patrimoniale. Il criterio probabilistico gioca solo sul piano della quantificazione del danno nel più generale ambito della liquidazione equitativa (Corte di Cassazione, n.5119 del 2010)».

In conclusione, non vi è chi non vede in un sicuro apporto proveniente dall’esterno alla P.A., qualificato e di elevato spessore professionale (ed anche personale, che non guasta), e non a caso il legislatore cita soggetti quali professori universitari, magistrati e avvocati e procuratori dello Stato (art. 19, comma 6, del D. lgs. 165/01, un vantaggio per la gestione e l’intera amministrazione, permettendo alle persone che si confronteranno con tali comprovate competenze di riceverne un anche arricchimento. Ma è altrettanto indubbio che se colui che ricopre un incarico di vertice sul piano del management e della gestione dell’ufficio non ha nulla da insegnare ma tutto da imparare, si ha un problema generale di non poco conto.

Si rischia il collasso delle procedure e dei flussi documentali, rapporti tesi tra colleghi e superiore gerarchico, i sottoposti che non osano sollevare questioni e sugli stessi preme l’incaricato, nell’ansia di non deludere i piani alti, che ritengono – bontà loro – di aver individuato un nuovo yes man che dovrebbe dirigere e coordinare senza alcuna difficoltà una pluralità di settori di cui è composto un ufficio pubblico e una moltitudine di persone allo stesso, all’improvviso, sottoposte gerarchicamente. Fino ad arrivare ai casi limite di conflitti personali che possono portare a vere e proprie procedure di mobbing [21] in cui esperti del settore potrebbero tranquillamente parlare di un classico caso di effetto Dunning-Kruger: distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in materia. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti[22].

Infatti, già più di una sezione di controllo della Corte dei conti ha sottolineato che “occorre tenere presente che i dirigenti pubblici sono chiamati in prima persona non solo a dirigere, ma anche ad adottare atti amministrativi e/o tecnici, sicché il possesso della sola laurea o di un’esperienza “manageriale” di per sé non possono essere sufficienti a giustificare la copertura di un posto specifico, nel quale non ci si può solo limitare a impartire direttive, poiché occorrono conoscenze specifiche a supporto di un’azione amministrativa concreta, che deve essere effettuata da chi è in grado di garantire non solo efficienza, ma anche legittimità, imparzialità e buon andamento, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione” (cfr. sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale della Calabria, 5 febbraio 2014, n. 25).

Proprio quest’ultima pronuncia termina con delle considerazioni costituzionalmente orientate in linea con le sentenze della Corte Costituzionale sulle procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali (la n. 103/2007 e, in particolare, la n.161/2008), ritenendo superati la fiduciarietà e l’intuitus personae per tali nomine (salvo quelle riguardanti gli incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e dei massimi vertici ministeriali che sono legittimamente connaturati da carattere politico-amministrativo, ai sensi degli articoli 4 e 14 del d. lgs. 165/01), che devono essere necessariamente il frutto di procedure quanto meno comparative se non concorsuali, perché senza procedure selettive oggettive ma scelte discrezionali e senza motivazioni ovvero motivazioni c. d. “a stampone”, si dà la stura alla nomina di persone non capaci di gestire le risorse pubbliche e di perseguire le finalità dell’amministrazione, ed inclini se non al servizio dei poteri che li hanno sponsorizzati[23], incidendo negativamente su tutta la comunità degli amministrativi e degli amministrati, e non solo quindi sotto l’aspetto del danno alle risorse economiche pubbliche ma anche sotto quello, più interno ma con sicuri riflessi sull’utenza, organizzativo/gestionale.

[1] Amministrazioni centrali, Comuni, Regioni, aziende sanitarie, ecc. Per queste ultime, la materia delle nomine della dirigenza del ruolo professionale, tecnico ed amministrativo, è comunque regolata dal d.lgs. 165/2001, salvo i profili di specialità contenuti nel d. lgs. 502/19925.   Per i Comuni, invece, la disciplina di principio di cui al d.lgs. 165/01 è integrata dalle disposizioni dettate dal d. lgs 267/00 T.U. in materia di enti locali oltre che dalla contrattazione collettiva (cfr. sentenza n. 76/2015 della Sezione giurisdizionale Lombardia della Cdc e delibera 8.3.2011 n. 14 delle Sezioni riunite della Corte dei conti.

[2] Ad esempio: sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale della Calabria, 5 febbraio 2014, n. 25, che si riferisce all’assegnazione di un incarico di responsabile di servizio in un comune privo di dirigenza, ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del d. lgs. 267/2000, ma le indicazioni fornite dalla magistratura contabile valgono in generale per la fattispecie degli incarichi dirigenziali in senso tecnico. Un primo assunto fondamentale della sentenza è la diretta applicabilità all’ordinamento locale dell’articolo 19, commi 6 e seguenti del d. lgs 165/2001. L’elemento di particolare pregio della decisione della Corte dei conti della Calabria, tuttavia, va oltre. Infatti, la pronuncia precisa che non solo gli esterni ma anche i dipendenti dell’ente che partecipano agli incarichi dirigenziali a contratto devono “possedere i requisiti prescritti dal comma 6 dell’articolo 19, non essendo allo scopo sufficiente la mera circostanza di intrattenere un rapporto di lavoro con l’ente”. Infatti, chiariscono i giudici contabili, “possono ancora conferirsi incarichi a dipendenti interni non dirigenti, in possesso dei requisiti richiesti dalla norma”. Dunque, i dipendenti interni, per essere eventualmente destinatari di incarichi a contratto occorre che “abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza”. Nello stesso senso di recente si è pronunciata la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Campania, con sentenza n. 007/2017 e precedentemente anche la sezione giurisdizionale regionale per il Veneto con sentenza n. 213/2016.

[3] Il primo caso interessa il Comune di Milano per “l’illegittimità del conferimento degli incarichi dirigenziali da cui muove il danno erariale azionato nei confronti dei convenuti, per gli emolumenti corrisposti a persone non aventi titolo al conferimento degli incarichi predetti. Di detto danno erariale sono chiamati a rispondere i seguenti soggetti che, con comportamento gravemente colposo – ai limiti del dolo per avere artatamente modificato la norma regolamentare regolante detti conferimenti (art.28) 3 giorni prima dei conferimenti stessi – concorsero a vario titolo nel complesso procedimento posto in essere per il conferimento degli incarichi suddetti: Sindaco, Assessori componenti la Giunta deliberante, Direttore Generale e Dirigenti di settore proponenti”. Mentre nel secondo la questione oggetto della pronuncia riguarda il sindaco del Comune di Cercola (NA), condannato nella sua qualità, al risarcimento del danno subito dal medesimo ente locale, in quanto è stata ritenuta dannosa la condotta tenuta dallo stesso circa un decreto sindacale (il n. 3 del 13 gennaio 2010), con il quale è stato conferito l’incarico di responsabile del servizio finanziario dell’ente ad un soggetto estraneo all’amministrazione in violazione della normativa che ne disciplina i presupposti (art.110 TUEL, art.69 statuto comunale) ed, in particolare, secondo la parte appellata “conferì l’incarico da cui è disceso il dedotto danno erariale senza neppure considerare che l’ente annoverava risorse umane in grado di svolgere i compiti affidati ad un estraneo all’apparato burocratico”.

[4] Che deve essere scandita necessariamente dalle seguenti fasi: pubblicazione dell’avviso di selezione, acquisizione delle domande presentate dai soggetti interessati, valutazione comparativa delle candidature. Il previo avviso pubblico di selezione deve predeterminare i criteri di scelta da adottare per la valutazione comparativa, allo scopo di rendere gli stessi conoscibili.  Solitamente viene predisposta una specifica griglia di valutazione che viene compilata per ogni candidato e precisate alcune delle regole per la valutazione dei titoli e i criteri di preferenza a parità di punteggio.

[5]  P. Fuso, Principi in materia di conferimento di conferimento degli incarichi dirigenziali: il giusto procedimento, in “La nuova riforma del lavoro pubblico” (a cura di M. Tiraboschi e F. Verbaro), Giuffrè, Milano, 2010; A. Boscati, S. Mainardi, V. Talamo, Unità 1- Dirigenza Area 1, in “La dirigenza nelle pubbliche amministrazioni” ( a cura di F. Carinci e S. Mainardi), Giuffrè, Milano, 2005;

[6] Ex plurimis: Consiglio di Stato, sez. IV, 20 maggio 1996, n. 633, in Foro Amm., 1996, p. 1482;  TAR Umbria – Perugia, Sez. 1, Sentenza 30.4.2015, n. 195; Trib. Forlì, 15 ottobre 2004, in LPA, 2004, p. 1171, con nota di A. Tampieri, Incarico dirigenziale illegittimo e diritto al risarcimento del danno per perdita di chances; Cass. 4275/2007, 21700/2013.

[7] Per tutte le pronunce sul tema: Cass., SS.UU, ord. 8 giugno 2016, n. 11711, 30 settembre 2014, n. 20571; Corte di Cassazione, SS.UU., sentenze 1° dicembre 2009, n. 25254;13 marzo 2009, n. 6058; 23 settembre 2013 n. 21671; Consiglio di Stato, Sez. V, sentenze 6 dicembre 2012; 16 gennaio 2012 n. 138; Consiglio di Stato, SEZ. IV – sentenza 14 maggio 2014; sez. V, sentenza 14 maggio 2013 n. 2607; 16 gennaio 2012 n. 138 e Sez. V del Consiglio di Stato con la sentenza 3 febbraio 2015 n. 508, che nel confermare l’orientamento giurisprudenziale prevalente in materia ribadisce il principio secondo il quale: ”rientrano nella giurisdizione del Giudice amministrativo le controversie direttamente concernenti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento della loro titolarità, come stabiliti dalle Amministrazioni ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, a monte dell’organizzazione e gestione dei singoli rapporti di lavoro (c.d. atti di macroorganizzazione – nda), rientrando nella giurisdizione devoluta al Giudice ordinario i giudizi direttamente concernenti atti di gestione del rapporto di impiego pubblico, anche dirigenziale”.

[8] Cass. 20 marzo 2004, n. 5659, in LPA, 2004, p. 153, con nota di A. BOSCATI, Atto di conferimento dell’incarico dirigenziale: la Cassazione ne riafferma la natura privatistica.

[9] Sordi, La giurisprudenza costituzionale sullo spoils system e gli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, in Arg. dir. lav., 2009, 84; Cortese F., Spoils system e illegittima rimozione di dirigenti pubblici: la Corte costituzionale

afferma l’inderogabilità della reintegrazione nel posto di lavoro, in www.giurcost.it.; Silvestro C. e Sileri F., Dirigenti esterni e spoils system, su Giornale Dir. Amm., 2009, 1, 19.

[10] Dalla recente deliberazione n. 218/2017 della Corte dei conti – Sezione di controllo per la Campania “Come da consolidata giurisprudenza di legittimità, la procedura di conferimento degli incarichi dirigenziali non ha natura concorsuale, rivestendo la scelta effettuata nell’ambito di tale procedura carattere fiduciario ed orientata a ricercare non il migliore in assoluto, ma il soggetto in possesso delle attitudini necessarie per gestire, organizzare e dirigere il lavoro che afferisce all’incarico da ricoprire. La scelta del dirigente ‘idoneo’ richiede che l’Amministrazione tenga conto essenzialmente delle attitudini e delle capacità professionali del ‘singolo dirigente’, non rinvenendosi, ad oggi, nell’art. 19, comma 1, del D. lgs. n. 165/2001 alcun riferimento ad obbligo di valutazione comparativa, né a concorsualità o a paraconcorsualità. Quando la selezione, pertanto, non si esprime in una forma tipica, la stessa mantiene i connotati della scelta fiduciaria, attinente al potere privatistico dell’Amministrazione pubblica in materia di personale dipendente”.

[11] G. D’Alessio (a cura di) L’amministrazione come professione, Bologna, Il Mulino, 2008; Battini S., L’autonomia della dirigenza pubblica e la riforma Brunetta, in Gior. Dir. Amm., I, 2010; si veda anche Ponti B. Indipendenza del dirigente e funzione amministrativa, Rimini, Maggioli, 2012. Gasperini Casali, La dirigenza pubblica nel rapporto tra politica e amministrazione, in www.giustamm.it.

[12] Un ulteriore recente esempio al seguente link: http://www.ilquaderno.it/casoria-boom-dirigenti-20mila-euro-mese-danno-erariale-15-milioni-euro-119711.html.

[13] Approfondimenti ai seguenti link: http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2016/4-febbraio-2016/concorso-dirigenti-regione-polemica-vincitori-annunciati-2405082615.shtml; http://www.segretaricomunalivighenzi.it/07-02-2017-sugli-incarichi-dirigenziali-temporanei-decide-il-giudice-ordinario.

[14] Approfondimenti al seguente link:  http://www.lanuovasardegna.it/regione/2017/02/24/news/in-regione-solo-dirigenti-interni-1.14933120.

[15] Approfondimenti ai seguenti link: http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/ABYLlFX/0;

http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=26419.

[16] Va precisato che parte della  giurisprudenza di legittimità ritiene che la procedura di conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni sia ope legis orientata a ricercare non il “migliore in assoluto”, bensì il soggetto in possesso delle attitudini necessarie per gestire, organizzare e dirigere il lavoro che afferisce all’incarico da ricoprire (cfr. Cass. civ., sez. un., 19 luglio 2011, n. 15764; Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8850).

[17] È il caso della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo della Cdc  che con deliberazione n. 253/2016 non ha vistato la nomina di un soggetto esterno a ricoprire un incarico dirigenziale di II fascia presso una delle articolazioni parifiche dell’USR per l’Abruzzo che ha ricordato nuovamente proprio quell’onere di “previa verifica della sussistenza delle risorse umane interne all’Amministrazione in possesso di requisiti professionali richiesti dall’incarico. Soltanto ove tale indagine dia esito negativo sarà possibile attribuire il posto vacante a soggetto esterno, se dotato della particolare specializzazione richiesta” (delibere della Corte dei conti n. SCCLEG/18/2010/PREV e n. SCCLEG/36/2014/PREV adottate dalla Sezione Centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e dell’Amministrazione dello Stato).

[18] Come nel caso delle nomine effettuate presso la Regione Lazio e la Regione Lombardia, dove esponenti del Movimento 5 stelle hanno inviato esposti alla Procura della Corte dei conti competente.

[19] La giurisprudenza della Corte dei conti per la Lombardia Sez. Il n.430 del 26 ottobre 2010) testualmente indica: “Al riguardo, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che l’erogazione di compensi in favore di soggetti che abbiano svolto un’attività senza il possesso del prescritto titolo di studio costituisce danno a carico del bilancio dell’ente interessato, a nulla rilevando la circostanza che gli emolumenti percepiti abbiano corrisposto a prestazioni effettivamente svolte. Infatti, nei casi come quello in esame il possesso dei requisiti culturali e professionali si pone come necessaria premessa per l’utile svolgimento della relativa attività (fra le altre, Sez. III centrale, n. 151 del 20.2.2004, sez. III centrale, n. 279 del 26.1.2001)”. Va rilevato un orientamento più generale contrario all’addebito di tale danno erariale, secondo il quale “nessun vantaggio può essere tratto dallo svolgimento di funzioni dirigenziali assegnate ad un soggetto privo della laurea e di adeguata professionalità” (C. conti, sez. Lazio, n. 864/2012; id., sez. Toscana, n. 363/2011; id., sez. Sicilia, n. 1158/2011; id., sez. giur. Lombardia, n. 627 del 2/11/2010; id., sez. giur. Sardegna, n. 1246 del 14/12/2009; id., sez. giur. Trentina-Alto Adige, Bolzano, n. 2 del 4/4/2008; id., sez. giur. Basilicata, n. 14 del 02/02/2005).

[20] Che nel pubblico sono soggetti a valutazione ai sensi degli art. 19 e 21 del D. Lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, T. U. sul Pubblico Impiego.

[21] Un caso per tutti: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/29/crotone-funzionaria-inps-si-autodenuncia-da-5-anni-sono-pagata-per-non-far-nulla-la-dirigente-non-ha-titoli-puniscono-me/3982738/

[22] Per approfondimenti: https://www.internazionale.it/opinione/oliver-burkeman/2016/11/08/incompetenza-potere-pubblico;  https://lamenteemeravigliosa.it/effetto-dunning-kruger-inferiorita/. Marco Ferrari, La forza dello stupido, in Focus, nº 268, febbraio 2015, p. 26.

[23] La Corte dei conti della Calabria in materia di distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione, ricorda che tale principio è “alla base della stessa distinzione funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e cioè tra l’azione di governo – che è normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’amministrazione, la quale, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche e dunque al “servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.), al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento» (sentenza n. 103 del 2007).

 

Dott. Silvio Garofalo Quinzone

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