La Conversione al Senato del decreto Cura Italia. Il nuovo articolo 83: la smaterializzazione del difensore nel processo penale

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 La conversione al Senato del decreto Cura Italia. Il nuovo comma 12 bis dell’art. 83: il difensore nel processo processo penale smaterializzato dalle Aule

Decreto Cura Italia. La conversione al Senato ed il nuovo art. 83: la smaterializzazione del difensore nel processo penale

 

Premessa

In data 9 aprile il Senato della Repubblica ha votato la questione di fiducia approvando l’emendamento del Governo – interamente sostitutivo dell’articolo unico del ddl 1766 di conversione del Decreto Legge n 18 del 2020 –  con 142 favorevoli, 99 contrari, 4 astenuti. Il provvedimento è quindi passato all’esame della Camera dei deputati.

Al di là di particolari “sorprese” è prevedibile che il Testo venga confermato dall’Aula di Montecitorio, attesa la questione di fiducia posta dal Governo sul proprio maxiemendamento e che, sicuramente,  reitererà avanti la Camera dei Deputati.

Certamente vi erano attese ed aspettative, rimaste drammaticamente frustrate,  rispetto alla formulazione definitiva dell’art. 83. Ciò soprattutto  in ragione delle numerose osservazioni pervenute da Avvocati e Magistrati all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge.

Le maggiori perplessità riguardavano proprio la gestione del processo civile e di quello penale durante la fase della sospensione (per i procedimenti non soggetti al lockdown della Giustizia) e, forse con maggiore preoccupazione, la celebrazione dei processi nel periodo successivo ( quest’ultimo cronologicamente non stimabile, ma sicuramente non breve).

Le difficoltà interpretative ed i dubbi di legittimità del testo originario

Una prima questione – con riferimento all’art. 83, commi 5,6 e 7 – riguardava la mancanza di ogni criterio rispetto all’esercizio della discrezionalità affidata al Capo dell’Ufficio Giudiziario nella organizzazione dei processi (compresi i rinvii) ai sensi della lettera g) del comma 7. Non era nemmeno previsto l’onere di “sentire” il Magistrato competente per la decisione e per l’istruttoria del procedimento da rinviare. Residuava, pur sempre, il potere del Giudice competente di disporre la trattazione per ragioni di urgenza (se sollecitato dalla parte) in conformità alla previsione della lettera a) del comma 3, ma ciò non rendeva meno aleatoria e generica la discrezionalità riconosciuta al Capo dell’ufficio.

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Sul punto veniva indicato come  irrinunciabile un correttivo normativo, poiché diversamente sarebbe emerso   un evidente problema di costituzionalità e, nondimeno, di rispetto della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Il sacrificio che la legge eccezionale impone – legittimamente – all’effettività di alcuni principi costituzionali non può giungere  a coinvolgere anche l’art. 3 in materia di uguaglianza del cittadino di fronte alla legge. Ciò in quanto era  facile pronosticare una applicazione a macchia di leopardo sull’intero territorio nazionale della disposizione della lettera g) pur in presenza di eguali condizioni sanitarie e comunque l’adozione di Protocolli radicalmente diversi nei vari Distretti. La previsione di una tale estensione dei poteri di rinvio affidati al Capo dell’Ufficio Giudiziario ( al limite dell’arbitro) era, peraltro, n considerazione della  possibilità di procedere nelle forme dettate dalle lettere e, f ed h. Proprio l’esistenza di tali ultimi opzioni determina un   contrasto della previsione del comma 7 lett.g  con l’art. 15 della Convenzione. Se al Giudice vengono messi a disposizione, dal legislatore, gli strumenti per poter celebrare i procedimenti,  la previsione  di procedere a dei rinvii di udienza ancora  oltre il termine di sospensione (30 giugno 2020)  incontra il limite dettato dal citato art. 15 della Convenzione. Almeno laddove la norma pattizia consente il sacrificio di diritti inviolabili (il giudizio in un tempo ragionevole)  solo ed esclusivamente “nello stretto limite richiesto dalla situazione”.

Il tema è di particolare delicatezza se si considerano due circostanze:

1)       La prima riguarda l’evidente sovraccarico che graverà sugli Uffici Giudiziari terminato il periodo di sospensione

2)       In secondo luogo è pressoché certo che alla data del 11 maggio 2020  l’emergenza sanitaria non sarà affatto risolta, ma è altrettanto incerto – da un punto di vista scientifico – quali saranno gli scenari nei mesi a venire.

Il rischio è di evidenza: il rinvio oltre il 30 giugno 2020 diventa lo strumento per alleggerire il sovraccarico con conseguenti lesioni dei principi costituzionali (artt. 3 e 24) e delle disposizioni dettate dalla Convenzione.[1]

 

In effetti i timori che sul territorio nazionale si attuassero protocolli tra loro radicalmente diversi si sono compiuti e realizzati. Certamente nello sforzo di assicurare, per quanto possibile, lo svolgimento delle attività necessarie ed indispensabili. [2]

la Presidente del Tribunale di Pisa – nel contributo appena citato – ha rilevato come: Alcuni tribunali hanno cercato di garantire il massimo col minimo rischio, utilizzando tutte le potenzialità del processo civile telematico, stabilendo priorità per il personale in presidio nelle cancellerie civili, adottando una nozione ampia di urgenza rilevabile d’ufficio, interpretando l’espressione “alimenti o obbligazioni alimentari” di cui al comma 2 dell’art 2 dl n. 11/2020 e 83 dl n. 18/2020 nel senso reso chiaro dalla lettera della legge (per cui le due espressioni non possono far riferimento ad un unico istituto), dai lavori preparatori (la relazione al dl n. 18/2020), dal contesto europeo e internazionale (Reg. Eu e Conv. de L’Aja sulle obbligazioni alimentari) comprendendovi anche la più parte delle cause in materia di famiglia (separazioni, divorzi, procedimenti ex art. 337 bis cc). Tra questi, con unanime accordo, il mio ufficio (che cito non per pretesa qualità ma per la conoscenza diretta)[2] . Altri hanno fatto la scelta opposta: riduzione delle attività al minimo sulla base di una interpretazione restrittiva delle disposizioni del menzionato comma 2 fino a considerare obbligatoria e non facoltativa la sospensione, vietato il deposito di provvedimenti in procedimenti sospesi da parte dei magistrati, compresi i provvedimenti di rinvio ex officio, non accettazione nel senso di rifiuto di atti di parte in procedure non sospese o qualificate urgenti dal difensore. Un esempio per tutti, il Tribunale di Torino.[3]

A prescindere dal merito di questi diversi protocolli (alle volte opposti nei contenuti anche nell’ambito dello stesso Distretto di Corte di Appello) e dall’enorme impegno profuso dai Magistrati (anche in costante collaborazione con gli Ordini degli Avvocati) non se ne può ignorare un effetto oggettivo non certo positivo. Una disciplina del processo – civile e penale – mutevole da Distretto a Distretto con previsioni di modalità di trattazione del rito non affatto uniformi. Il tema non è di scarso rilievo, atteso che spesso il Protocollo (privo di ogni efficacia normativa generale) non regola un profilo organizzativo, ma va a derogare o integrare la norma processuale e, non di rado, a principi generali dell’ordinamento anche di rango costituzionale. Ad esempio prevedere che l’udienza di opposizione all’archiviazione venga celebrata senza la presenza de difensori che vi rinunciano in assenza di esplicita richiesta alla presenza in Aula, sovverte la disciplina processuale. Peggio se l’ipotesi trova applicazione in alcune Regioni piuttosto che in altre che magari prevedono la partecipazione del difensore da remoto.

Se questo era solo un esempio (peraltro concreto ed attuale e non astratto) una compiuta analisi (quando ve ne sarà tempo) delle mailing-list, delle chat, dei Protocolli di Intesa di presidenti, procuratori generali, penalisti, civilisti, giudici tutelari e della famiglia disvelerà una così frammentata disciplina tale da aver stravolto e travolto le norme che reggono il rito.

Il pericolo di questa situazione è proprio nell’innata tendenza del nostro legislatore di non essere mai in grado di intervenire in maniera organica e coordinata, così che, per dirla come Prezzolini, in Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio

In questo quadro le maggiori preoccupazioni si sono proprio manifestate rispetto a quei provvedimenti che nemmeno ipotizzano la presenza del difensore in Aula. Ad esempio il Protocollo di Intesa per le udienze di convalida ed il conseguente rito direttissimo sottoscritto in data 24 marzo dal Tribunale di Bologna, Procura della Repubblica, Ordine Avvocati e Camera Penale prevede regole radicalmente diverse[4] da quello sottoscritto presso il Tribunale di Torino ove è data facoltà al difensore di partecipare al giudizio: i) direttamente in Aula; ii) o presso il luogo ove è collegato in videoconferenza l’indagato; iii) o ancora di indicare un proprio collega che partecipa a sua volta in videoconferenza con l’indagato mentre il difensore è in Aula. Analogo sistema è previsto dal Protocollo siglato dal Tribunale di Milano [5

Appare arduo definire queste misure meramente  organizzative: esse incidono in maniera rilevante sulla disciplina processuale vigente modificandola se non addirittura abrogandola nell’alveo di una legislazione speciale ed eccezionale che nemmeno le prevedeva e che non ha inciso su detta disciplina (almeno fin tanto che il decreto legge non avrà compiuta conversione). Al fine di evitare ogni ambiguità deve essere chiarita l’assenza di ogni intento polemico in queste osservazioni o, peggio, di posizione o contrapposizione tra Magistratura ed Avvocatura. La situazione che si descrive è il frutto di una analisi sull’oggettività degli avvenimenti, riconoscendo non solo l’impegno, ma pure il sacrificio e le difficoltà, che i soggetti (Magistrati ed Avvocati) sui quali grava la responsabilità delle decisioni hanno dovuto affrontare in una emergenza inedita (che pure richiede la necessità di tutelare, in primis, la salute dei cittadini).

Altrettanto oggettivamente occorre riconoscere – se si conviene sul fatto che le misure organizzative hanno inciso sul tessuto normativo derogandolo o modificandolo – che i provvedimenti e le decisioni assunte nelle procedure così “modificate o derogate” rischiano di caratterizzarsi, ancora prima che per la loro anomalia, per una loro intrinseca “abnormità” che difficilmente potrà resistere alle ragioni di eccezionalità. Non foss’altro per la ragione che quelle modifiche o deroghe traggono fonte da un “Protocollo” e non dall’intervento del legislatore che, nei fatti, ha “dimenticato” di disciplinarle. [6]

In primo piano: EMERGENZA CORONAVIRUS

Le modifiche all’art. 83 ed il nuovo comma 12 bis: la smaterializzazione del difensore

In sede di conversione del D.L. n 18 del 2020 il Senato della Repubblica ha approvato il maxi emendamento del Governo introducendo il comma 12 bis che così espressamente recita:

12-bis. Fermo quanto previsto dal comma 12, dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020 le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell’udienza avviene con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti e al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità di collegamento. I difensori attestano l’identità dei soggetti assistiti, i quali, se liberi o sottoposti a misure cautelati diverse dalla custodia in carcere, partecipano all’udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore. In caso di custodia dell’arrestato o del fermato in uno dei luoghi indicati dall’articolo 284, comma 1, del codice di procedura penale, la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all’udienza dì convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile. In tal caso, l’identità della persona arrestata o formata è accertata dall’ufficiale di polizia giudiziaria presente. L’ausiliario del giudice partecipa all’udienza dall’ufficio giudiziario e dà atto nel verbale d’udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché della impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell’articolo 137, comma. 2, del codice di procedura penale o di vistarlo, ai sensi dell’articolo 483; comma 1, del codice di procedura penale.

La norma pare essere una non ben riuscita copiatura di alcuni dei Protocolli emessi da diversi Uffici Giudiziari. Almeno questi ultimi avevano il pregio (e non è poco) di disciplinare alcune garanzia difensive come il diritto di partecipare in Aula all’udienza ed il diritto di conferire con il proprio assistito. Principi che trovano riscontro nella Costituzione e nella Convenzione dei Diritti dell’Uomo.

Non può sfuggire come il “nuovo processo da remoto” non sia stato previsto dal legislatore e, quindi, escluso in caso di presenza di testimoni, atteso che la sua celebrazione è prevista solo in caso di partecipazione del pubblico ministero, delle parti private e dei rispettivi difensori, degli ausiliari del giudice, degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, degli interpreti, consulenti o periti

Quindi nell’ipotesi che dovessero essere assunti dei testimoni sono ipotizzabili due alternative:

  • Il processo viene rinviato
  • Il processo non viene rinviato, ma non è chiaro come e dove verranno assunte le testimonianze. Ciò al di là della fin troppo ovvia considerazione dell’inammissibilità di un esame o di un controesame via skype

Certo è che – in assenza di una previsione normativa – si assisterà alla più variegata formazione di Protocolli e comunque ogni decisione che verrà assunta (pur se congrua, di buon senso, funzionale o logica) si porrà in insanabile contrasto con una disciplina processuale risultante da Protocolli o Circolari interne (atteso che il legislatore nemmeno ha voluto prendere in considerazione l’ipotesi in cui debbano essere assunti dei testimoni).

Sul punto sorge un ulteriore interrogativo. Il comma 12 bis prevede la celebrazione da remoto di quei procedimenti dove devono partecipare: consulenti, periti, ufficiali di polizia giudiziaria. Questi soggetti partecipano al processo (fatta salva l’ipotesi del giuramento del perito) perché devono essere assunti come testimoni o nella loro qualità di periti e consulenti tecnici (almeno diversamente il codice di procedura penale non ne prevede la presenza).

Per la verità il legislatore nemmeno si è curato di indicare da quale postazione questi ulteriori soggetti si dovessero collegare, come venga accertata la loro identità e le garanzie di luogo (già solo per la presenza di altri soggetti estranei al processo).

Si può affermare – senza tema di smentita – che un contraddittorio testimoniale via skype è per definizione, prima che inammissibile o illegittimo, sicuramente “abnorme”.

Non certamente secondario il fenomeno di “smaterializzazione” del difensore assente dall’Aula quale conseguenza delle disposizioni dettata dall’art. 83 al comma 12 bis.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – sebbene con riferimento all’art. 146 disp att. c.p.p. e quindi in un contesto ancora più garantito di quello attuale – ha precisato come  la comparizione dell’imputato di persona in udienza assume un ruolo di fondamentale importanza per assicurare un processo penale equo ai sensi dell’art. 6 della CEDU, il quale “letto nel suo insieme riconosce all’imputato il diritto di partecipare  realmente al processo”, mentre “ogni misura che limiti i diritti di difesa deve essere assolutamente necessaria”. (sent. Viola /Italia del 2006)

Ne deriva che la partecipazione effettiva, fisica e reale del difensore nell’Aula del processo è sicuramente imprescindibile ai sensi delle disposizioni dettate dall’art. 6 della Convenzione.

Sul punto nemmeno può essere richiamato l’art. 15 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo che recita espressamente:

  1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.
  2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 § 1 e 7.
  3. Ogni Alta Parte contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione.

 

A prescindere dalla circostanza che, ad oggi, non è affatto stato reso noto se lo Stato Italiano abbia informato – con i dovuti aggiornamenti – il Segretario generale del Consiglio d’Europa, si è inteso sottolineare l’espressione “nella stretta misura in cui la situazione lo richieda” perché essa costituisce il limite invalicabile oltre il quale la misura eccezionale diviene “violazione”.

All’evidenza se il Presidente del Tribunale di Milano – appartenente al Circondario più gravemente colpito dai devastanti effetti dell’epidemia – ha espressamente previsto la possibilità per il difensore di partecipare in Aula all’udienza è chiaro ed indiscutibile che la partecipazione dell’avvocato al processo da una postazione “remota” non costituisce misura strettamente necessaria per la prevenzione dei rischi di diffusione del COVID 19. Diversamente non vi sarebbe ragione di consentire la partecipazione dell’imputato da remota presso il più vicino ufficio di polizia giudiziaria perché comunque si realizzerebbe la contestuale presenza di più persone.

In questo quadro i principi della Convenzione costituiscono un “faro” al fine di meglio comprendere l’espressione “davanti al Giudice” dettata dalla nostra Costituzione [7]

D’altra parte il codice di procedura penale prevede la presenza fisica del difensore in diverse norme (artt. 391 comma I e 420 comma I.) Ed anche nelle udienze camerali che prevedono la presenza facoltativa del difensore in aula (ad esempio le udienze ex artt. 127 o 599 c.p.p.), la facoltà deve intendersi come presenza fisica del difensore e non con altro strumento.

Nell’emergenza sanitaria – e pur con tutte le salvaguardie e tutele possibili ed esistenti – ogni attività essenziale ha proseguito nel pieno delle sue funzioni e nondimeno la Giustizia può fare a meno della presenza in Aula del Giudice, del Pubblico Ministero e dell’Avvocato.

Non è un iperbole affermare che una Giustizia che manca o una Giustizia ferita nei suoi fondamenti e nei suoi principi può determinare  la differenza tra vita e morte, sia fisica che sociale. Vale per tutti e per tutte quelle vicende che – prima di questa drammatica quotidianità – pensavamo come “routine”. La convivenza forzata significa l’esplodere di tensioni che avrebbero avuto diverso epilogo in tempi ordinari. Ciò che un tempo rimaneva nell’ambito del contenzioso civile diviene, oggi, violenza domestica, maltrattamenti, spesso terrore. L’impossibilità di proseguire anche nella più ordinaria attività imprenditoriale può significare chiudere con il futuro ed entrare a pieno titolo sotto la soglia di povertà. Migliaia di lavoratori sono appesi ad un ibrido periodo transitorio privo di ogni tutela. Anche ciò che prima appariva una semplice, ed al più burocratica, attività giudiziaria (fosse pure la cancellazione di una trascrizione pregiudizievole) assume, ora, un significato che può fare la differenza.

Non possiamo immaginare e non dobbiamo nemmeno ipotizzare che le udienze penali avvengano con il difensore “da remoto” ed il medesimo principio dovrà valere per i procedimenti civili dove l’avvocato dovrà discutere, esporre argomentazioni, contraddire, perché diversamente non ci sarà più “sintesi” tra una “tesi” ed una “antitesi”. I testimoni dovranno avere davanti ai propri gli occhi del Giudice, perché anche le loro movenze fanno la differenza tra menzogna e verità.

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La decretazione emergenziale relativa alla sospensione dei termini e delle udienze processuali ha comportato spaesamento in seno all’ordine forense, circa le attività espletabili, la gestione delle urgenze e degli atti in scadenza, nonché la prosecuzione dei procedimenti.Pur nella consapevolezza dell’indefinito numero di interrogativi che possono derivare dall’applicazione pratica della norma di cui all’art. 83 d.l. 18/2020 nei diversi procedimenti civili, col presente lavoro si è cercato di fornire una risposta in merito ai quesiti più frequenti.Roberto Di NapoliAvvocato in Roma, abilitato al patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni Superiori. Esercita la professione forense prevalentemente in controversie a tutela degli utenti bancari e del consumatore. È autore di vari “suggerimenti per emendamenti” al disegno di legge (S307) di modifica della disciplina sui benefici alle vittime di usura ed estorsione, alcuni dei quali recepiti nella legge 3/2012. È titolare del proprio blog www.robertodinapoli.it.

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Note

[1] Sul punto Sull’argomento cfr. Emergenza, Diritti e Giustizia -,Coronavirus e legislazione eccezionale , Maurizio Vecchio, pagg 37 e segg, Maggioli Editore 2020

[2] Particolarmente interessante la disamina della Presidente del Tribunale di Pisa : La Giustizia in quarantena, Maria Giuliana Civinini, in Questione Giustizia http://www.questionegiustizia.it/articolo/la-giustizia-in-quarantena_31-03-2020.php L’autrice osserva che Percorrendo mailing-list e chat (di presidenti, penalisti, civilisti, giudici tutelari e della famiglia …) si è colto fin da subito l’impegno per assicurare il servizio, soprattutto da parte di chi, addetto alle funzioni non sospese (giudici tutelari e giudici penali), si è trovato in prima linea, ha cercato soluzioni e pensato a come realizzare nel modo più efficace nuove modalità operative – in particolare videoconferenze e trattazioni scritte. E’ stato allora un fiorire di modelli per pct scambiati da nord a sud e da est a ovest, di tutorial per utilizzare Microsoft Teams e Skype for Business, strumenti che il Ministero ha messo tutti rapidamente in condizione di utilizzare

[3] Proprio sul provvedimento adottato dal Presidente del Tribunale cfr Coronavirus, divieto di deposito telematico e rifiuto degli atti per procedimenti sospesi, Maurizio Vecchio in https://www.diritto.it/coronavirus-divieto-di-deposito-telematico-e-rifiuto-degli-atti-per-procedimenti-sospesi/

[4] Il Protocollo è reperibile in https://www.camerapenale-bologna.org/wp-content/uploads/2020/03/Protocollo-dintesa-direttissime-in-videoconferenza-Trib.-Bologna.pdf . In esso viene stabilita la facoltà del difensore d partecipare in videoconferenza nell’apposito ufficio attrezzato in Tribunale ovvero nella medesima postazione ove è collegato l’indagato. Non è chiaro se la partecipazione presso la postazione allestita in Tribunale è la medesima d quella ove è presente il Giudice

[5] Il Protocollo Tribunale di Torino  è reperibile https://www.ordineavvocatitorino.it/sites/default/files/documents/News/News_2020/protocollo%20udienze%20rito%20direttissimo.pdf.pdf  Il Protocollo Tribunale di Milano in https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_37794_1.pdf

[6] il provvedimento anomalo è il risultato di un errore nell’iter della sua costituzione: la deviazione dalle norme che regolano il procedimento può avvenire nella fase finale, al momento dell’adozione del provvedimento, o in uno stadio anteriore, con detrimento delle garanzie legate alla forma dell’atto (l’iter di assunzione; gli elementi intrinseci; i mezzi di impugnazione). L’abnormità è un vizio più grave della semplice anomalia. Anche il provvedimento abnorme è il risultato di un procedimento illegittimo, ma è viziato non, o non solo, per la sua forma esteriore, quanto per il suo contenuto, esorbitante dai poteri attribuiti nella fattispecie all’organo giudiziario, e perciò, nella sua essenza contrario al diritto fondamentale di difesa oppure che si pone «(in) contrasto insanabile con i principi generali dell’ordinamento» (così Cass., sez. un., 1 marzo 1995, n. 2317, in Corr. giur., 1995, 444).

[7]

La fiducia che noi tutti riponiamo nella funzione giurisdizionale ed il rispetto che le tributiamo, nasce – e non è un caso – da quell’impianto di norme che garantisce tutti: l’Avvocato i, il Giudice e, prima ancora, il popolo (nel cui nome vengono pronunciate le sentenze) cui spetta di controllare.

Si controlla non soltanto il percorso argomentativo delle decisioni (il 111 è pietra miliare di democrazia, in questa prospettiva), ma, anche, assistendo, guardando.

La fiducia non è una regola scritta, ma un sentimento.

Non passa nei cavi ad alta velocità.

Vecchio Maurizio

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