La continuità economica nel private enforcement

Redazione 17/07/19
Scarica PDF Stampa

di Carlo Edoardo Cazzato*

* Ph.D.

Sommario

1. Premessa

2. La continuità economica nel public enforcement

3. Il caso finlandese

4. La continuità economica nel private enforcement

5. Conclusioni

1. Premessa

Come noto, nell’ambito dei rimedi apprestati dall’ordinamento per fronteggiare un illecito antitrust, il private enforcement rappresenta uno strumento indispensabile per dare effettività alla tutela dei danneggiati da una violazione del diritto della concorrenza.

La centralità di tali presidi è riconosciuta oramai da svariati lustri[1], e cioè da quando la giurisprudenza comunitaria ha cominciato a ragionare sulla responsabilità delle imprese sanzionate dalla Commissione europea nell’ambito delle prime azioni risarcitorie introdotte per il ristoro dei danni subiti.

Ad alcune prime intuizioni hanno fatto seguito importanti sviluppi giurisprudenziali[2] e legislativi[3], che, tuttavia, non hanno esaurito il quadro delle questioni poste dall’introduzione di un parallelo e complementare strumento di tutela, il quale risente ancora e molto delle peculiarità processuali dei singoli ordinamenti europei.

In tale prospettiva, va letto un recente pronunciamento comunitario, del quale si intende dar conto nel presente lavoro, che ha toccato il tema dell’applicazione in sede di private enforcement di un principo proprio del public enforcement ovverosia quello della c.d. continuità economica.

[1] Conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa H.J. Banks & Co. Ltd contro British Coal Corporation., C-128/92.

[2] Cfr., inter alia, sentenza della Corte (Terza Sezione) del 13 luglio 2006, Vincenzo Manfredi contro Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA (C-295/04), Antonio Cannito contro Fondiaria Sai SpA (C-296/04) e Nicolò Tricarico (C-297/04) e Pasqualina Murgolo (C-298/04) contro Assitalia SpA, Cause riunite C-295/04 a C-298/04; sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage Ltd contro Bernard Crehan e Bernard Crehan contro Courage Ltd e altri, Causa C-453/99.

[3] Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea (di seguito, anche solo “Direttiva”), recepita in Italia con D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, recante “Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea” (di seguito, anche solo “Decreto”).

2. La continuità economica nel public enforcement

Nell’ambito del public enforcement e, quindi, dell’applicazione a livello pubblico del diritto della concorrenza da parte delle autorità garanti della concorrenza, ivi inclusa in Italia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito, anche solo “Agcm” o “Autorità”), si ricorre al principio della continuità economica al fine di agevolare la determinazione dei soggetti responsabili della violazione di tali norme.

Fondato sulla interpretazione, notoriamente amplia, della nozione di “impresa” propria del diritto della concorrenza, tale principio stabilisce che la responsabilità di un illecito antitrust non è limitata alla persona giuridica, che ha effettivamente partecipato alla condotta anticoncorrenziale; in caso di sopravvenute modifiche della struttura organizzativa della impresa coinvolta, è possibile, infatti, imporre una ammenda a qualsiasi soggetto che, in termini economici, possa dirsi identico all’ente che ha violato il diritto della concorrenza e quindi “in continuità con esso”[4]. Ciò nella logica funzionale, tipica del diritto antitrust, che bada più alla sostanza che alla forma e che nei fatti persegue l’obiettivo di prevenire che un qualsiasi bizantinismo possa impedire al public enforcement di perseguire i propri fini.

D’altro canto, se venisse inflitta una sanzione a un’impresa che continua a esistere giuridicamente, ma che ha cessato la propria attività economica[5], tale ammenda non avrebbe alcun effetto deterrente e l’interesse pubblicistico alla tutela della concorrenza verrebbe certamente svilito[6].

In definitiva, sebbene la responsabilità personale rimanga la regola generale, la ratio dell’estensione della responsabilità amministrativa all’ente che ha continuato le attività del soggetto che ha violato il diritto della concorrenza consiste nella circostanza che, altrimenti, le imprese potrebbero sfuggire alle ammende, alterando la propria identità mediante strumentali ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa.

Dal punto di vista del diritto della concorrenza, pertanto, tali modifiche non creano necessariamente una nuova impresa libera da responsabilità per la condotta del suo predecessore, quando, da un punto di vista economico, i due soggetti possono dirsi identici. Ciò in quanto, a dispetto di forme giuridiche od organizzative, da un punto di vista economico, l’ente che subentra rimane identico al precedente, per l’appunto “continua economicamente”[7].

Tale principio è pacificamente ripreso anche nella prassi dell’Agcm, che a più riprese ha confermato l’orientamento comunitario di cui si è detto, rilevando che “il cambiamento della forma giuridica e del nome di un’impresa non ha l’effetto di creare un’impresa del tutto nuova esente dalla responsabilità per i comportamenti tenuti dalla precedente qualora vi sia identità tra le due sotto l’aspetto economico”. In tal modo, si evita, per l’appunto, che la scomparsa dell’impresa autrice della condotta illecita “o di un suo iniziale segmento” lasci impunita la violazione[8].

[4] Cfr., ex pluribus, Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 18 dicembre 2014, Commissione europea contro Parker Hannifin Manufacturing Srl e Parker-Hannifin Corp, Causa C-434/13 P, punto 39, secondo cui “La Corte ha precisato che, qualora un ente che ha commesso un’infrazione alle norme sulla concorrenza sia oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, tale modifica non ha necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi è identità fra i due enti. Infatti, se le imprese potessero sottrarsi alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identità sia stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa, lo scopo di reprimere comportamenti contrari alle regole della concorrenza e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive sarebbe compromesso […]”; sentenza della Corte (grande sezione) dell’11 dicembre 2007, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro Ente tabacchi italiani – ETI SpA e altri e Philip Morris Products SA e altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e altri, Causa C-280/06, punti 45 e s.; sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland A/S (C-204/00 P), Irish Cement Ltd (C-205/00 P), Ciments français SA (C-211/00 P), Italcementi – Fabbriche Riunite Cemento SpA (C-213/00 P), Buzzi Unicem SpA (C-217/00 P) e Cementir – Cementerie del Tirreno SpA (C-219/00 P) contro Commissione delle Comunità europee, Cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P., punto 59; sentenza della Corte (Sesta Sezione) dell’8 luglio 1999, Commissione delle Comunità europee contro Anic Partecipazioni SpA, Causa C-49/92, punto 145; sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 28 marzo 1984, Compagnie royale asturienne des mines SA e Rheinzink GmbH contro Commissione delle Comunità europee, Cause riunite 29 e 30/83, punto 9.

[5] Sulle sanzioni antitrust, sia permesso rinviare a C. E. Cazzato, Le linee guida sulla quantificazione delle sanzioni antitrust, Giappichelli, Torino, 2018.

[6] Sentenza della Corte (grande sezione) dell’11 dicembre 2007, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro Ente tabacchi italiani – ETI SpA e altri e Philip Morris Products SA e altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e altri, Causa C-280/06, punti 40 e ss.

[7] Conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Skanska Industrial Solutions e a., Causa C-724/17.

[8] Cfr., tra tutte, Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 marzo 2006, n. 1397.

3. Il caso finlandese

Su tali premesse, di recente alla Corte di Giustizia exart. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (di seguito, anche solo “TFUE”) è stato chiesto di valutare l’applicabilità in sede di private enforcement del principio sopra riportato.

Il tema, più in particolare, è stato sollevato dal giudice nazionale finlandese, investito di un contenzioso risarcitorio, introdotto nei confronti di alcune società che avevano continuato l’attività economica di determinate imprese, coinvolte in una intesa restrittiva della concorrenza nel mercato finlandese dell’asfalto tra il 1994 e il 2002.

Dal 2000 in poi, infatti, alcune delle imprese interessate dalla suddetta concertazione avevano posto in essere una serie di operazioni societarie, volte a trasferire gli asset direttamente coinvolti nell’infrazione a nuovi soggetti e poi a liquidare, su base volontaria, gli enti giuridici preesistenti (di seguito, rispettivamente, anche solo “Imprese Liquidate” e “Imprese Subentrate”).

Nel marzo 2004 l’Autorità antitrust finlandese accertava, dunque, una violazione dell’art. 101 del TFUE[9] e, con sentenza del settembre 2009, proprio in applicazione del criterio della continuità economica di cui si è detto, la Corte amministrativa suprema locale condannava le Imprese Subentrate per il comportamento delle Imprese Liquidate.

A valle delle suddette sentenze, nel dicembre 2009 una città finlandese, che aveva concluso con uno dei cartellisti alcuni contratti nel settore dell’asfalto, introduceva dinanzi al Giudice locale una azione risarcitoria nei confronti delle Imprese Subentrate, ritenute responsabili in solido per i costi supplementari sopportati per la realizzazione di lavori di asfaltatura in ragione dell’illecito accertato. Le Imprese Subentrate, di contro, negavano ogni addebito, sostenendo che la domanda di risarcimento avrebbe dovuto essere presentata nell’ambito delle procedure di liquidazione delle Imprese Liquidate.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda di parte attrice, ritenendo che, al fine di garantire l’efficacia dell’art. 101 TFUE, occorresse applicare il criterio della continuità economica all’imputazione della responsabilità per il risarcimento di tale danno allo stesso modo in cui esso è utilizzato in sede di public enforcement.

La locale Corte di appello, di contro, sostenendo che il principio di effettività non potesse rimettere in discussione le caratteristiche fondamentali del regime finlandese sulla responsabilità civile e che il criterio della continuità economica, applicato in materia di imposizione di ammende, non potesse, in mancanza di modalità o di disposizioni più precise, essere trasposto tout court alle azioni di risarcimento danni, respingeva le domande della attrice dirette contro le Imprese Subentrate.

Presentato ricorso per cassazione, la locale Corte suprema, rilevato come il diritto finlandese non prevedesse regole d’imputazione della responsabilità per danni causati da una violazione del diritto della concorrenza dell’Unione in una situazione come quella di cui al procedimento principale[10], ha ritenuto che dalla giurisprudenza comunitaria non emergessero chiare indicazioni. Da qui la sospensione del giudizio e la rimessione alla Corte[11].

[9] All’epoca dei fatti art. 81 del Trattato della Comunità Europea.

[10] Le norme sulla responsabilità civile rinvenibili nel diritto finlandese si basano sul principio secondo il quale soltanto l’ente giuridico che ha cagionato il danno è responsabile. Per quanto concerne le persone giuridiche, è possibile derogare a tale principio escludendo l’autonomia della persona giuridica. Ciononostante, tale via è percorribile solo nel caso in cui gli operatori interessati si siano serviti della struttura del gruppo, dei collegamenti tra le imprese o del controllo dell’azionista in una maniera censurabile o artificiosa che ha condotto all’elusione della responsabilità giuridica.

[11] Più in particolare, sono state poste le seguenti questioni pregiudiziali:
1) Se la questione di chi sia tenuto al risarcimento del danno conseguente a una condotta contraria all’art. 101 TFUE debba essere risolta applicando direttamente tale articolo o in base alle disposizioni nazionali.
2) Qualora il soggetto obbligato al risarcimento sia individuato applicando direttamente l’art. 101 TFUE, se risponda del risarcimento chi rientra nella nozione di “impresa” di cui al predetto articolo e se, per individuare i soggetti obbligati al risarcimento, siano applicabili i medesimi principi utilizzati dalla Corte di giustizia in cause in materia di ammende per individuare i soggetti ivi responsabili, in base ai quali è possibile, in particolare, giustificare una responsabilità in base all’appartenenza alla stessa entità economica o alla continuità economica.
3) Qualora il soggetto obbligato al risarcimento sia individuato in base alle norme di diritto interno dello Stato membro, se violi il principio di effettività, ai sensi del diritto dell’Unione, una disposizione nazionale, in base alla quale una società che, successivamente all’acquisto della totalità delle azioni di una società partecipante a un’intesa contraria all’art. 101 TFUE, ha sciolto tale società e ne ha proseguito l’attività, non risponda del risarcimento del danno cagionato dalla società estinta mediante una condotta restrittiva della concorrenza, nonostante sia praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere un risarcimento dalla società estinta. Se il principio di effettività osti a un’interpretazione del diritto interno di uno Stato membro, in base alla quale si richiede, come condizione per una responsabilità per danni, che una modifica societaria come quella precedentemente descritta sia illecitamente o artificiosamente realizzata al fine di eludere gli obblighi risarcitori in materia di concorrenza, o sia altrimenti attuata in maniera sleale o che, almeno, la società conoscesse o avrebbe dovuto conoscere la violazione delle norme in materia di concorrenza al momento della realizzazione della modifica societaria“.

4. La continuità economica nel private enforcement

La Corte di giustizia si è dunque pronunciata sulle questioni poste, riconoscendo l’applicabilità del principio della continuità economica in sede di private enforcement[12].

A tale decisione, la Corte è giunta, muovendo dai seguenti assunti:

(i) secondo il diritto finlandese, solo il soggetto giuridico che ha causato il danno è, in linea di principio, tenuto al risarcimento e, sotto il profilo prettamente societario, ogni società per azioni costituisce una persona giuridica distinta dotata di un proprio patrimonio e personalmente responsabile;

(ii) in ambito comunitario il diritto di chiedere un risarcimento per la violazione del diritto della concorrenza è fondato sui Trattati[13] ed è finalizzato a garantire la riparazione dei danni causati da condotte anticoncorrenziali, nonché ad assicurare la piena efficacia del diritto della concorrenza[14];

(iii) il private enforcement del diritto della concorrenza si basa anche sul diritto privato nazionale e sulle relative norme procedurali;

(iv) il legislatore comunitario ha cercato di fare luce sull’interazione tra il diritto dell’Unione e i diritti nazionali degli Stati membri con la Direttiva, non applicabile, però, al caso di specie ratione temporis.

Su tali premesse, secondo la Corte l’art. 101 del TFUE – e invero anche il successivo art. 102 – producono effetti diretti nei rapporti tra i singoli ed attribuiscono direttamente a questi ultimi diritti che i giudici nazionali devono tutelare[15]. Conseguentemente, tutti hanno il diritto di chiedere il risarcimento del danno subito, quando sussiste un nesso di causalità tra tale danno e una condotta vietata dall’art. 101 del TFUE.

Certamente, spetta all’ordinamento giuridico interno stabilire le modalità di esercizio del diritto di agire per il risarcimento del danno, sempre nel pieno rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Tuttavia, secondo la Corte, la questione della determinazione dell’ente tenuto a risarcire il danno causato da una violazione dell’art. 101 del TFUE è direttamente disciplinata dal diritto dell’Unione. In altri termini, non rappresenta un dettaglio della disciplina dell’esercizio del diritto al risarcimento, rimessa ai singoli ordinamenti, ma una condizione costitutiva della responsabilità, come tale disciplinata dal diritto comunitario. Infatti, la sussistenza del diritto di chiedere un risarcimento sulla base dell’art. 101 TFUE presuppone che vi sia un obbligo giuridico che è stato violato[16] e, dunque, che vi sia un soggetto responsabile di tale violazione.

Le condizioni costitutive della responsabilità devono essere uniformi (i.e. una o più imprese che hanno posto in essere una data condotta, l’esistenza di un danno, un nesso di causalità tra il danno fatto valere e la suddetta condotta, l’illegittimità della condotta considerata)[17]; se i soggetti tenuti al risarcimento del danno differissero da uno Stato membro all’altro, d’altro canto, vi sarebbe un evidente rischio di trattamento differenziato per gli operatori economici, a seconda del giudice nazionale competente per l’azione di risarcimento di diritto privato. Da ciò seguirebbe: (a) un limite p>forum shopping).

Il soggetto cui imputare la condotta può essere, d’altro conto, desunto dallo stesso art. 101 del TFUE. La norma considerata, infatti, notoriamente si applica alle imprese, nozione applicata dalla giurisprudenza comunitaria e, quindi, nazionale con assoluta flessibilità nel contesto del public enforcement[18]. Dato che la responsabilità per il danno risultante dalle violazioni del diritto della concorrenza è personale, spetterà all’impresa che viola tali regole rispondere del danno causato dalla violazione.

Per definire tale nozione, non potrà allora che farsi ricorso anche in sede di private enforcement alla nota giurisprudenza che:

ricomprende sotto tale nomen iuris qualsiasi ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modap>[19];

si riferisce a un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche[20];

appp>[21].

Ne consegue che la nozione di “impresa”, ai sensi dell’art. 101 del TFUE, che costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione, non può avere una portata diversa a seconda che si sia in sede di public o di private enforcement.

Pertanto, secondo la Corte non è incompatibile con il principio della responsabilità personale il fatto di imputare la responsabilità di un’infrazione a una società, nella sua qualità di società che ha assorbito quella che ha commesso l’infrazione quando quest’ultima ha cessato di esistere.

[12] Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 14 marzo 2019, Skanska Industrial Solutions e a., Causa C-724/17.

[13] Cfr., tra tutte, sentenza della Corte (Terza Sezione) del 13 luglio 2006, Vincenzo Manfredi contro Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA (C-295/04), Antonio Cannito contro Fondiaria Sai SpA (C-296/04) e Nicolò Tricarico (C-297/04) e Pasqualina Murgolo (C-298/04) contro Assitalia SpA, Cause riunite C-295/04 a C-298/04, punto 60; sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage Ltd contro Bernard Crehan e Bernard Crehan contro Courage Ltd e altri, Causa C-453/99, punto 26.

[14] Cfr., ex pluribus, sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 5 giugno 2014, Kone AG e altri contro ÖBB-Infrastruktur AG, Causa C-557/12; Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 6 giugno 2013, Bundeswettbewerbsbehörde contro Donau Chemie AG e altri, Causa C-536/11; sentenza della Corte (Grande Sezione) del 6 novembre 2012, Europese Gemeenschap contro Otis NV e altri, Causa C-199/11; Sentenza della Corte (grande sezione) del 14 giugno 2011, Pfleiderer AG contro Bundeskartellamt, Causa C-360/09.

[15] Cfr. sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 5 giugno 2014, Kone AG e altri contro ÖBB-Infrastruktur AG, C-557/12, punto 21; sentenza della Corte (Prima Sezione) del 6 giugno 2013, Bundeswettbewerbsbehörde contro Donau Chemie AG e altri, Causa C-536/11, punto 21; sentenza della Corte (Grande Sezione) del 6 novembre 2012, Europese Gemeenschap contro Otis NV e altri, Causa C-199/11, punto 41; sentenza della Corte (Terza Sezione) del 13 luglio 2006, Vincenzo Manfredi contro Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA (C-295/04), Antonio Cannito contro Fondiaria Sai SpA (C-296/04) e Nicolò Tricarico (C-297/04) e Pasqualina Murgolo (C-298/04) contro Assitalia SpA, Cause riunite C-295/04 a C-298/04, punto 60;. sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage Ltd contro Bernard Crehan e Bernard Crehan contro Courage Ltd e altri, Causa C-453/99, punto 26.

[16] Cfr. V. W. Hohfeld, Some Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning, in Yale Law Journal, Vol. 23, 1913, pp. 30 e ss.; W. Van Gerven, Of rights, remedies and procedures, in Common Market Law Review, vol. 37, 2000, pp. 501 e ss.

[17] Cfr. conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa Banks, C-128/92, EU:C:1993:860, punti 49 e ss.

[18] Cfr., tra tutte, sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 27 aprile 2017, Akzo Nobel NV e a. contro Commissione europea, Causa C-516/15 P, punto 46; sentenza della Corte (Prima Sezione) del 18 dicembre 2014, Commissione europea contro Parker Hannifin Manufacturing Srl e Parker-Hannifin Corp, Causa C-434/13 P, punto 39; sentenza della Corte (grande sezione) dell’11 dicembre 2007, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro Ente tabacchi italiani – ETI SpA e altri e Philip Morris Products SA e altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e altri, Causa C-280/06, punto 38;

[19] Cfr. sentenza della Corte (grande sezione) dell’11 dicembre 2007, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro Ente tabacchi italiani – ETI SpA e altri e Philip Morris Products SA e altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e altri, Causa C-280/06, punto 38.

[20] Cfr. sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 27 aprile 2017, Akzo Nobel NV e a. contro Commissione europea, Causa C-516/15 P, punto 48.

[21] Cfr. sentenza della Corte (Prima Sezione) del 18 dicembre 2014, Commissione europea contro Parker Hannifin Manufacturing Srl e Parker-Hannifin Corp, Causa C-434/13 P, punto 40; sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 5 dicembre 2013, SNIA Spa in amministrazione straordinaria contro Commissione europea, Causa C-448/11 P, punto 22; sentenza della Corte (grande sezione) dell’11 dicembre 2007, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro Ente tabacchi italiani – ETI SpA e altri e Philip Morris Products SA e altri contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e altri, Causa C-280/06, punto 42.

5. Conclusioni

In definitiva, secondo la Corte, sebbene il principio della continuità economica sia stato sviluppato nel contesto dell’imposizione di ammende, lo stesso è applicabile anche in caso di azioni risarcitorie. Infatti, il diritto riconosciuto a chiunque di chiedere il risarcimento del danno cagionato da un’intesa vietata dall’art. 101 del TFUE garantisce la piena efficacia di tale disposizione; tale diritto rafforza il carattere operativo delle regole di concorrenza, contribuendo quindi al mantenimento di un’effettiva concorrenza.

Ciò perché le azioni antitrust di risarcimento danni costituiscono una componente indispensabile del sistema di tutela apprestato dal diritto della concorrenziale. Pertanto, se le imprese responsabili del danno provocato da un’infrazione potessero sfuggire alla loro responsabilità risarcitoria per il semplice fatto che la loro identità è stata modificata a seguito di ristrutturazioni, aziendali di vario genere, l’obiettivo perseguito da tale sistema nonché l’effetto utile delle suddette regole verrebbe ridimensionato, se non compromesso.

Tali conclusioni, invero, non sembrano messe in discussione nemmeno dalla sopravvenienza dell’art. 11, paragrafo 1, della Direttiva, secondo cui gli Stati membri provvedono affinché le imprese che hanno violato il diritto della concorrenza con un comportamento congiunto siano responsabili in solido per il danno causato dalla violazione del diritto della concorrenza.

Sebbene da tale disposizione sembri evincersi che spetta al singolo ordinamento giuridico interno determinare l’ente tenuto a risarcire tale danno, a previsione considerata, in realtà, non riguarda la determinazione degli enti tenuti al risarcimento di tale danno, ma la ripartizione della responsabilità tra i suddetti enti. La Direttiva non conferisce, dunque, agli Stati membri il potere di procedere alla individuazione degli enti responsabili.

D’altro canto, tanto l’art. 1, par. 1, della Direttiva, quanto l’art. 1, co. 1, del Decreto in Italia individuano espressamente nelle “imprese” che hanno commesso la violazione azionata i soggetti nei cui confronti agire. Se del caso, per quanto sopra, facendo applicazione anche del principio della continuità economica.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento