La cessione di volumetria

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SOMMARIO:

  1. Nozione – 2. Natura giuridica – 3. Elementi necessari – 4. Modalità negoziali di cessione di volumetria – 4.1 Diritto reale e diritto di superficie – 4.2 Diritto di servitù e negozio ad effetti obbligatori – 4.3 Provvedimento amministrativo

1. Nozione

Per “cessione/trasferimento di volumetria” o “di cubatura” si fa riferimento ad una prassi negoziale[1] con la quale il proprietario di un fondo trasferisce in tutto o in parte al proprietario di un’area confinante la potenzialità edificatoria del proprio terreno. Il cessionario vedrà in tal modo incrementata la cubatura di spettanza del proprio terreno e potrà richiedere al Comune una concessione edilizia al fine di realizzare un edificio di volume maggiore di quello che potrebbe edificarvi[2]. Il fondo di cui si cede la potenzialità edificatoria diviene così in tutto o in parte inedificabile. Ivi inclusa, quindi, l’impossibilità che l’area venga presa nuovamente in considerazione ai fini del rilascio di una nuova concessione edilizia. Si è anche sottolineato come la cessione di cubatura o di volumetria siano consentite in quanto il Comune è indifferente rispetto alla possibilità che la potenzialità edificatoria di un’area sia sfruttata da un unico o da più proprietari di fondi vicini[3].

2. Natura giuridica

Come si è detto, per cessione di volumetria si intende per lo più una prassi negoziale, lungi dall’essere definita con esattezza dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Rilevante è quanto affermato a riguardo dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui la cessione di cubatura si realizzerebbe per effetto del solo titolo edilizio maggiorato, che avrebbe effetti verso i terzi e tra le parti ex nunc[4]. Il titolo amministrativo perciò renderebbe superfluo l’accordo privato e attribuirebbe al fondo una nuova qualità[5]. La prassi amministrativa adottata dalla stragrande maggioranza dei Comuni differisce però da tale posizione, richiedendo de facto un negozio privato soggetto a trascrizione nei Registri Immobiliari. In assenza di una normativa che definisca con precisione questi aspetti, la dottrina ha individuato almeno tre requisiti che il contratto di cessione di cubatura deve prevedere: 1) esso deve stipulato tra proprietari di fondi distinti che si trovino però nella medesima area urbanisticamente omogenea; 2) deve rispettare le prescrizioni dello strumento urbanistico vigente; 3) non deve porsi in contrasto con le disposizioni dell’amministrazione comunale.

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3. Elementi necessari

Tra gli elementi necessari ed imprescindibili al fine di addivenire ad un negozio di cessione di cubatura vi è l’esigenza che i due fondi in oggetto appartengano a due proprietari distinti. Non potendosi paventare ipotesi di accrescimento di volumetria in presenza di un unico soggetto, nel caso in cui questi limiti l’indice di edificabilità su parte del proprio terreno al fine di operare sulla restante parte del medesimo l’accrescimento del cespite di potenzialità edificatoria[6]. Altra ipotesi, invece, è quella che vede il proprietario di due fondi rinunciare ad edificare su uno dei rispettivi, al fine di vedersi riconosciuta dalla P.A. la facoltà di edificare sul restante terreno con un indice di volumetria accresciuto. In giurisprudenza e in dottrina[7] si è piuttosto discordi sulla necessità o meno di dover ricorrere in questo caso alla stipula di un atto con valenza negoziale. Una certa prassi amministrativa, di cui si è accennato in precedenza, è concorde nel richiedere al proprietario dei fondi la rinunzia al diritto di edificare su uno dei terreni, al fine di ottenere dal Comune stesso il permesso a costruire maggiorato. Tale negozio giuridico unilaterale viene definito “atto di asservimento su proprio fondo”. In questi termini si esprime il Consiglio di Stato: «L’atto di asservimento, per cui un fondo viene destinato a servire al computo dell’edificabilità di un’altra area, costituisce una fattispecie negoziale avente effetti obbligatori, in cui la qualità edificatoria di un fondo viene posta a servizio di un altro fondo al fine di incrementare la cubatura realizzabile su quest’ultimo; il conseguente vincolo di inedificabilità che viene ad insistere sul fondo “asservito” è destinato a permanere nel tempo anche in caso di sua successiva alienazione e ciò non solo per la natura oggettiva del vincolo, ma soprattutto perché esso trova il suo fondamento, prima che nel negozio di asservimento, nella disciplina urbanistica che fissa un limite per l’edificabilità dell’area»[8].

4. Modalità negoziali di cessione di volumetria

«Se si esalta la fase genetica della vicenda, costituita dall’accordo tra i privati proprietari, la disciplina del particolare autoregolamento di interessi andrà individuata nel diritto privato; diversamente, qualora l’attenzione si sposti alla fase conclusiva del procedimento, ponendo l’accento sul provvedimento amministrativo che contribuisce a realizzare l’effetto voluto (autorizzazione al nuovo assetto programmato, concessione edilizia, ecc.) è doveroso ricorrere ai principi del diritto amministrativo»[9]. Come si è ripetuto ad inizio trattazione, il trasferimento di volumetria è disciplinato di volta in volta, a seconda dello strumento giuridico richiesto dalle amministrazioni comunali. Si sono dunque fatti strada diversi filoni di pensiero volti ad individuare nel trasferimento di volumetria, un trasferimento di diritto reale, di diritto di superficie, di diritto di servitù, un negozio ad effetti obbligatori o, viceversa, l’autosufficienza del provvedimento amministrativo[10].

4.1 Diritto reale e diritto di superficie

La Corte di Cassazione parla di “cessione di cubatura”, sotto la lente di un «trasferimento […] di una facoltà inerente al diritto di proprietà, in quanto tale avente sicure caratteristiche di realità […]»[11]. Si avrebbe quindi, secondo tale tesi, un negozio traslativo di diritto reale. Come tale, dunque, sottoponibile a quanto previsto dall’art. 1350 c.c., per «i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili» (art. 1350, n.1 c.c.), e all’obbligo di trascrizione degli stessi (art. 2643, n. 1 c.c.). Negozio traslativo la cui efficacia risulta comunque subordinata al rilascio amministrativo della accresciuta concessione. D’altra parte, la suprema Corte in alcune pronunzie si è espressa nel ritenere inquadrabile il trasferimento di cubatura nell’alveo del diritto di superficie, pur avendo connotati propri e atipici rispetto allo schema legale, questione che in verità desterebbe non poche problematiche[12].

4.2 Diritto di servitù e negozio ad effetti obbligatori

Ai sensi dell’art. 1027 c.c. la «servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario». Secondo una pronunzia della Cassazione il trasferimento volumetrico è da intendersi quale «servitù prediale a contenuto atipico, e pertanto, trascrivibile»[13]. Più esattamente, come una “servitù di non edificare”. Peraltro, come già visto in precedenza, il negozio è sottoposto alla condizione risolutiva del mancato rilascio del permesso a costruire maggiorato da parte del Comune.

La tesi del “negozio ad effetti obbligatori” prevede invece che il negozio traslativo di trasferimento di cubatura sia perfezionato esclusivamente attraverso un provvedimento autorizzativo della P.A, «[…] ultimo atto (amministrativo) di un procedimento a formazione progressiva»[14]. Prima di allora detto negozio produrrebbe soltanto effetti obbligatori tra le parti, indispensabili ma non sufficienti, poiché creerebbe i «presupposti necessari a una eventuale modificazione del piano regolatore da parte della P.A.»[15].

4.3 Provvedimento amministrativo

La Corte di Cassazione in una nota sentenza ha stabilito che «[…] quando […] sia indispensabile destinare la proprietà di un terzo a servizio del costruendo edificio, non è necessario un atto negoziale privato, diretto alla costituzione di una servitù o di altro vincolo giuridico tra le parti, poiché a “cessione di cubatura” si realizza in virtù del solo provvedimento amministrativo di concessione edilizia, che ha effetto verso i terzi e tra le parti». E poi, continuando «[…] non v’è dubbio che colui che intende costruire debba disporre della volumetria realizzabile sul fondo vicino e che tale disponibilità debba esser nota al Comune, ma non è necessario […] un atto negoziale con effetti obbligatori (n.d.a. che si è affrontata in precedenza) o reali, essendo sufficiente l’adesione al progetto da parte di colui che cede la cubatura». Adesione che «[…] può essere espressa in varie forme: con autonoma atto di rinuncia rivolto al “cessionario”, o con una dichiarazione rivolta al Comune ed espressa, come nel caso in esame, mediante istanza congiunta per ottenere la licenza, oppure con successivo atto di notifica»[16]. Il Consiglio di Stato successivamente, rifacendosi tra l’altro alla riportata sentenza della suprema Corte, alla linea da essa seguita in altre pronunzie e alla «[…] giurisprudenza di gran lunga prevalente del giudice amministrativo […] coerente con tale orientamento»[17], ha affermato che il negozio di trasferimento di volumetria tra le parti è da considerarsi «un contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il provvedimento amministrativo»[18].

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Note

[1] Cfr. A. Candian, Traferimento di volumetria, in Dig. disc. priv. – Sez. civile, Appendice, I, Torino 2000, p. 735; T. Campanile – F. Crivellari – L. Genghini, I diritti reali, Cedam, Padova 2011, p 270.

[2] È utile ricordare che con l’entrata in vigore dell’art. 41-quinquies della L. n. 1150/1942 la legislazione nazionale ha previsto uno “standard edilizio” «[…] contribuendo a modificare la qualità dell’intervento pubblico nel processo conformativo della proprietà edilizia privata». (M. Leo, Il trasferimento di cubatura, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 1763 approvato il 29 settembre 1999).

[3] Cfr. A Guarnieri, La superficie. Artt. 952-956, in Il Codice Civile. Commentario, Giuffrè, Milano 2007, p. 140. «Ai fini del rilascio della concessione edilizia, l’asservimento di un’area per consentire l’edificazione nella volumetria di progetto non comporta che la contiguità dei fondi debba intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata» (Cons. Stato, 30 ottobre 2003, n. 6734).

[4] Cons. Stato, 21 gennaio 1997, n. 3637, in “Giur. it.”, 2001, 400.

[5] Cass. civ., 12 settembre 1998, n. 9081, in “Giust. civ. Mass”, 1998, 1895.

[6] Cfr. T. Campanile – F. Crivellari – L. Genghini, I diritti reali, cit., p. 273.

[7] Sulla contrarietà alla necessità di un atto negoziale si esprimono P. Fava – P. Giuliano – F. Sorano, La tutela della proprietà e degli altri diritti reali, Maggioli, Rimini 2006, p. 545 e parte della giurisprudenza amministrativa. Favorevoli, invece, sono tra gli altri N. Grassano, La cessione di cubatura, in “Riv. Not.”, 1992, p. 1083 e la prassi amministrativa seguita da diversi Comuni.

[8] Cons. Stato, sez. VI, sentenza 9 febbraio 2016, n. 547.

[9] Consiglio Nazionale del Notariato, Il trasferimento di cubatura, studio n. 1763, 29.09.1999, in URL: https://www.notariato.it/sites/default/files/1763.pdf

[10] Cfr. T. Campanile – F. Crivellari – L. Genghini, I diritti reali, cit., pp. 277-289. Da qui in avanti si esporrà succintamente la traiettoria seguita dagli autori del testo appena accennato, nella descrizione delle diverse “tesi” negoziali sinora “in gioco”. Per un approfondimento dettagliato si rimanda quindi alla lettura inerente il paragrafo dello stesso volume.

[11] Cass. 14 maggio 2007, n. 10979, in “Mass. Giur. It.”, 2007.

[12] Cfr. T. Campanile – F. Crivellari – L. Genghini, I diritti reali, cit., pp. 277-278.

[13] Cass. 25 ottobre 1973, n. 2743, in “Giust. civ.”, 1974, I, p. 922.

[14] T. Campanile – F. Crivellari – L. Genghini, I diritti reali, cit., p. 283.

[15] G. Ceccherini, Il c.d. «trasferimento di cubatura», Giuffrè, Milano 1985, p. 53.

[16] Cass. 12 settembre 1998, n. 9081, cit.

[17] Cons. Stato 28 giugno 2000, n. 3637, cit.

[18] Ibidem.

Diego Benedetto Panetta

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