L’istanza cautelare di revoca degli amministratori ex Art. 2476, comma 3, c.c. – i profili problematici

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La riforma del diritto societario, posta in essere dal legislatore attraverso l’emanazione del decreto legislativo n. 6 del 2003, in attuazione della legge delega n. 366 del 2001, è intervenuta a modificare sensibilmente numerosi aspetti nella disciplina delle società a responsabilità limitata.
Tra questi, particolare rilievo è offerto dalla nuova formulazione dell’articolo 2476, che, titolando “Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci”, disciplina, al terzo comma, l’azione di responsabilità esperibile dai soci nei confronti degli amministratori.
Questi i caratteri salienti della disciplina: anzitutto la proponibilità da parte di ciascun socio, singolarmente ed a prescindere dalla quota di capitale sociale detenuta. Inoltre, ma a condizione che sussistano gravi irregolarità nella gestione della società, la possibilità di chiedere al giudice un provvedimento cautelare di revoca nei confronti degli amministratori (potendo in tal caso l’organo giudicante adito, aggiunge la disposizione, subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione).
La disposizione, va detto, sostituisce l’art. 2409 del codice civile che, nella legislazione ante riforma, pur se espressamente riferito alle società per azioni, era fatto oggetto di apposito richiamo e ritenuto pertanto applicabile anche alle società a responsabilità limitata.
Ciò premesso, è opportuno chiarire come l’applicazione della fattispecie dedotta nell’articolo di legge di cui si tratta sia stata oggetto di una serie di controversie interpretative[1] vertenti sulla portata di questa. Due, in particolare, sono i profili problematici emersi. In primo luogo la presunta non equivalenza tra la tutela che il procedimento camerale istituito ex art. 2409 e l’attuale tutela apprestata dall’articolo 2476, comma 3, predispongono.
Ciò in ragione di una serie di considerazioni specifiche. In primo luogo la necessarietà, ai fini dell’esperibilità della revoca, del requisito del grave pregiudizio in capo all’organo societario, venutosi a determinare, è logico supporre, a seguito del comportamento negligente dell’amministratore. Circostanza questa che renderebbe più difficile raggiungere la prova del cattivo operato di questi ultimi, in particolare qualora non sia certa né facilmente accertabile la configurabilità di un danno.
Viceversa, si sostiene, lo strumento predisposto dall’articolo 2409 si limitava, ai fini della legittima esperibilità di un provvedimento di revoca, a chiedere il requisito della grave irregolarità, a prescindere dunque da qualunque indagine sul pregiudizio arrecato al patrimonio sociale.
Secondo ordine di ragioni è quello cui attengono i poteri d’indagine riconosciuti al giudice dalle due disposizioni. Secondo l’articolo 2476, questo non avrebbe il potere di ordinare l’ispezione dell’amministrazione. Invece, si affida, al secondo comma, agli stessi soci il compito di chiedere agli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali, nonché di consultare (eventualmente con l’avvalimento di professionisti di propria fiducia) i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione.
Ciò a differenza di quanto prevede invece l’articolo 2409, al secondo comma, che consentiva al giudice di effettuare personalmente delle verifiche sull’amministrazione, ai fini della rilevazione di eventuali, concrete, ipotesi di responsabilità.
Infine, ultimo ordine di argomentazioni utilizzato nel raffronto critico tra le due disposizioni, è quello che riguarda il ventaglio di ipotesi a disposizione dell’organo giudicante, a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’amministratore. Secondo quanto previsto dall’articolo 2409 (al quarto comma) il giudice aveva la possibilità di disporre gli “opportuni” provvedimenti, intendendosi dunque quella tipologia che fosse ritenuta più idonea al caso di specie. Nel caso dell’articolo 2476 invece la possibilità si riduce alla sola revoca dell’amministratore.
Sulla scorta di queste considerazioni è possibile finalmente introdurre la seconda, e più rilevante, problematica che scaturisce direttamente dall’interpretazione della reale collocazione sistematica del terzo comma dell’articolo 2476. A fronte cioè di queste legittime osservazioni, il giudice di merito ha operato, da una parte, una giustificazione a posteriori della disposizione, e dall’altra ha tentato di estenderne la portata applicativa, nel tentativo di superarne i limiti.
Sotto il primo profilo si è ricostruito l’istituto del provvedimento di revoca degli amministratori alla stregua di un provvedimento cautelare tipico. Non, dunque, soggetto alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (cui, invece, si informava l’art. 2409) bensì a quella che scaturisce dagli articoli 23 e 24 del D.lgs n. 17 del 2003, nonché quella sul procedimento cautelare uniforme previsto dal codice di rito negli articoli 669 bis e seguenti[2].
A questo proposito, prima di esplicare il secondo profilo, è bene rendere nota (in quanto strettamente pertinente) anche l’estrema significatività dell’orientamento interpretativo emerso in sede di giudizio che ha considerato il rapporto tra società ed amministratori come un rapporto che, pur funzionale all’esecuzione dell’attività imprenditoriale, resta, di fatto, esterno al contratto sociale[3]. Ebbene, proprio in ragione di questa estraneità al contratto sociale del rapporto tra la società e gli amministratori (potendosi per il giudice parlare, semmai, di mandato) giustificherebbe, seppure sotto una luce diversa, le conclusioni finora raggiunte. Quelle cioè secondo le quali la responsabilità degli amministratori dovrebbe fare riferimento a criteri informatori totalmente diversi rispetto alle logiche che giustificavano l’applicazione dell’art. 2409, e, di conseguenza, anche il mutato regime di tutela.
Il secondo profilo, quello attinente alle modalità temporali nel cui rispetto si dovrebbe esperire l’azione di responsabilità, presenta un numero di pronunce decisamente più ampio, tanto da poter ritenere che si sia in presenza di un orientamento che va formandosi. Al riguardo, la problematica ha investito la possibilità di proporre ante causam  l’azione tutelare di revoca nei confronti degli amministratori. Ipotesi che, è bene anticipare, il giudice ha riconosciuto valida, anche e soprattutto in ragione della nuova collocazione del terzo comma dell’articolo 2476.
Pertanto, confermata questa premessa, il giudice, in diverse occasioni[4], ha ribadito che il fatto che la disciplina di questa azione di responsabilità sia stata inserita nella sedes materiae dedicata all’azione di responsabilità sociale, non per questo deve essere sottratta dal suo reale ambito applicativo, quello cioè dei procedimenti cautelari.
Si potrà, semmai, discutere dell’opportunità di collocare due ipotesi diverse accanto, ma, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, “il legislatore ha inteso inequivocabilmente ancorare la concessione della prima (la revoca) al concreto verificarsi di un danno al patrimonio sociale, presupposto necessario della seconda (l’azione di responsabilità sociale), in sostanza riducendo rispetto al passato e rispetto al vigente regime in materia di società per azioni, nell’ottica liberalizzatrice sottesa alla riforma societaria”[5].
In altre parola, la definizione contenuta nell’articolo 2476 appare chiara, legittima il socio ad esperire anche (la disposizione recita: “altresì”) un rimedio cautelare tipico, qualora ne sussistano i presupposti, ma non contiene alcuna indicazione in merito alla circostanza che per esperirlo di debba previamente instaurare il giudizio di merito.
Resta un ultimo interrogativo da dirimere: se questa proponibilità ante causam incontri o meno dei limiti. Problema al quale la giurisprudenza[6] ha già dato una risposta affermativa, identificando sei principali ipotesi eccezionali. Si tratta dell’ipotesi contemplata dall’articolo 23 del codice civile, secondo cui l’esecuzione delle deliberazioni assembleari delle associazioni e fondazioni impugnate possono essere sospese “su istanza di colui che ha proposto l’impugnazione”; del secondo comma dell’articolo 1109, in tema di deliberazioni assunte dai partecipanti alla comunione; del secondo comma dell’articolo 1137, sulla sospensione delle delibere di assemblee condominiali; del comma secondo dell’articolo 2287, con riferimento alla sospensione di esecuzione di delibere di esclusione di soci nelle società di persone; dell’articolo 2378, il quale prevede espressamente che, nelle società per azioni, il socio che impugni la deliberazione assembleare, al fine di richiederne la sospensione debba depositare, in copia, anche la citazione; ed infine il quarto comma dell’articolo 2388, che, sempre in tema di società per azioni, riguarda la sospensione dell’esecuzione delle deliberazioni dei consigli di amministrazione.


[1] Al riguardo estremamente interessanti sono le deduzioni svolte da Olivieri M., La tutela cautelare ante causam e in corso di causa nella riforma del processo societario, in www.judicium.it
[2] Tali deduzioni possono trarsi dalla sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 22 giugno 2004, a corredo della quale si vedano i commenti svolti da Pedrelli C., La proponibilità ante causam dell’istanz cautelare di revoca degli amministratori ex art. 2476 comma 3 c.c. trova conferma nella giurisprudenza, in Giurisprudenza di merito, 2005, I, pagg. 97-101
[3] Ci si riferisce in particolare alla sentenza del Tribunale di Cataniza, IV sezione civile, del 18 febbraio 2005.
[4] In particolare si vedano le pronunce del Tribunale di Marsala del 15 marzo 2005, del Tribunale di Roma, III sezione civile, del 28 settembre 2004, ed infine la sentenza del Tribunale di Milano del 23 maggio 2005.
[5] V. Tribunale di Roma, III sezione civile, 28 settembre 2004
[6] V. Tribunale di Roma, 22 giugno 2004

Loiacono Dalila

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