L’interruzione della prescrizione in pendenza del processo esecutivo.

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Una recente sentenza resa dal Tribunale di Lecco (Giudice Unico Dott. Magliacani – depositata il 23/05/2005) dà spunto per una breve disamina dell’istituto dell’interruzione permanente del decorso del termine di prescrizione dei crediti, ex art. 2945 c.c., in pendenza di un’azione esecutiva.
Mentre non vi sono particolari incertezze sull’applicabilità in generale di tale istituto anche all’esecuzione forzata, controversa è la determinazione del momento in cui la prescrizioni riprende a decorrere, quando sia venuta meno la ragione della sospensione.
Il caso. Una persona, nei cui confronti era stato azionato un debito in forza di due decreti ingiuntivi emessi nel 1988, si opponeva al precetto assumendo che nel tempo intercorso tra la notifica dei titoli e quella del precetto, ossia oltre dieci anni, era ampiamente intervenuta la prescrizione del credito vantato dalla controparte.
Replicava il creditore di avere promosso nel 1987, in forza di quei titoli, due distinte procedure esecutive mobiliari, poi riunite.
Aggiungeva, inoltre, che i beni staggiti erano stati venduti all’asta nel febbraio 1990 e che a seguito del ricorso depositato avanti al Giudice di quella esecuzione mobiliare, nel gennaio del 1997, il Pretore aveva distribuito il ricavo della vendita con ordinanza depositata nel maggio 1997.
Il creditore concludeva affermando che la prescrizione aveva ricominciato a decorre, ex art. 2945 c.c., solo a partire dalla data dell’avvenuta distribuzione della somma ricavata dalla vendita forzata e che, da allora, non era trascorso il termine ordinario di prescrizione.
Secondo l’opponente, anche considerando la promozione dell’esecuzione forzata, il credito si sarebbe comunque estinto per intervenuta prescrizione.
Questa, infatti, avrebbe ripreso il suo decorso dalla data fissata per le aste pubbliche (febbraio 1990): da allora, e fino alla notifica del precetto, poi opposto avanti al Tribunale di Lecco, erano comunque trascorsi dieci anni.
Il debitore assumeva infatti che la sospensione del termine di prescrizione si protrae alla data della vendita forzata del compendio pignorato e non a quella dell’ordinanza di distribuzione del ricavato dalla vendita.
L’istituto in esame. L’art. 2943 c.c. dispone che “la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo.
È pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio. L’interruzione si verifica anche se il giudice adito è incompetente. La prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall’atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri”.
Il successivo art. 2945 c.c. precisa che “per effetto della interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione. Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio. Se il processo si estingue, rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell’atto interruttivo”.
Il legislatore ha dunque previsto che nel caso in cui si promuove un giudizio di cognizione, o cautelare o di esecuzione, il decorso della prescrizione del relativo diritto rimanente interrotto permanentemente (quindi, di fatto, risulta sospeso).
Se, tuttavia, il codice di merito ha cura di precisare che tale effetto, nei giudizi di cognizione, si protrae sino a che la sentenza passa in giudicato, nulla viene detto a riguardo del processo esecutivo (né, anche se non è oggetto di questo scritto, per quello cautelare).
La sentenza del Tribunale di Lecco. Secondo il Giudice lecchese: “in dottrina e giurisprudenza è opinione assolutamente unanime, per il tenore chiarissimo della disposizione di legge, che l’art. 2945, 2° comma, c.c. trovi applicazione nel processo esecutivo. Tale norma, pur espressamente richiamando gli atti indicati nei primi due commi dell’art. 2943 c.c., dove si fa riferimento all’atto con il quale si inizia il processo esecutivo, come atto idoneo a interrompere il decorso della prescrizione, allorquando parla del termine di interruzione permanente (sospensione) fa riferimento esclusivo alla sentenza che definisce il giudizio. Ma tale mancanza non è da ascrivere alla volontà del legislatore di escludere nel processo esecutivo o conservativo il verificarsi dell’effetto interruttivo – sospensivo della prescrizione, quanto alla prevalente considerazione data, come disciplina di riferimento, al processo di cognizione nel dettare le norme in questione. Deve pertanto essere individuato il provvedimento omologo alla sentenza passata in giudicato nel processo esecutivo, ossia l’atto istituzionalmente destinato a provvedere in maniera definitiva sulla pretesa fatta valere in giudizio, in quanto la ratio dell’art. 2945 cc è quella di sospendere la prescrizione per tutta la durata del processo esecutivo. Orbene, è agevole evidenziare che la stabilità del processo esecutivo viene riconosciuta ai provvedimenti del giudice contro i quali non è più possibile proporre opposizione agli atti ex art. 617 cpc. D’altra parte, l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cpc svolge la stessa funzione che l’art. 161, 1° comma, c.p.c. assolve nel processo ordinario di cognizione, in quanto se è vero che le nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione e che in mancanza di impugnazione la sentenza passa in giudicato, è anche vero che la mancata opposizione avverso il provvedimento assunto nel processo esecutivo rende lo stesso definitivo e inoppugnabile. Orbene, alla luce di queste premesse, deve concludersi nel senso che nel processo di espropriazione forzata mobiliare il provvedimento simile alla sentenza in quanto idoneo – in caso di mancata opposizione agli atti esecutivi – a chiudere definitivamente il processo esecutivo iniziato con il pignoramento è l’ordinanza assunta dal giudice, in applicazione dell’art. 541 e 542 cpc, di distribuzione della somma ricavata dalla vendita. E’ questo il provvedimento conclusivo del processo esecutivo mobiliare avverso il quale è proponibile l’opposizione agli atti esecutivi. Solo da tale momento inizia nuovamente a decorrere il termine di prescrizione. Ne consegue che, al momento della notifica dell’atto di precetto in data 6 dicembre 2004, il termine decennale di prescrizione del credito di **** – decorso dalla data del deposito dell’ordinanza di distribuzione del 13 maggio 1997 – non era ancora spirato. Viene pertanto respinta sia l’eccezione di prescrizione sollevata da *** sia la connessa domanda di invalidazione dell’atto di precetto”.
In estrema sintesi, quel Giudicante assume che: 1) anche per il processo esecutivo debba valere la regola posta dall’art. 2945, comma 2, c.c. ossia la sospensione del decorso del termine di prescrizione in pendenza del giudizio; 2) che la sospensione perdura finché non viene emesso un provvedimento definitivo; 3) che, nel silenzio serbato dal legislatore per il processo di esecuzione, esso debba individuato in quello non più impugnabile ex art. 617 c.p.c. e quindi nel provvedimento di distribuzione della somma ricavata ex artt. 641 – 642 c.p.c.
Precedenti. Sul punto si rinvengono i seguenti precedenti giurisprudenziali, di legittimità e di merito.
La Suprema Corte, con sentenza del 25/03/2002 n. 4203 ( in Giur. it. 2002, 1649) ha statuito che “l’atto con il quale si inizia un processo esecutivo, al quale l’art. 2943, comma 1, c.c., attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione, è assistito dall’effetto sospensivo previsto dal successivo art. 2945, comma 2, sino al momento in cui il processo esecutivo giunga ad un risultato che possa considerarsi l’equipollente di ciò che quest’ultima norma individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio”.
Tale risultato verrebbe raggiunto “quando, esaurita la serie normale degli atti dell’intero procedimento, il processo esecutivo abbia fatto conseguire al creditore procedente l’attuazione coattiva, in tutto o in parte, del suo diritto ovvero quando la realizzazione della pretesa esecutiva non sia stata conseguita per motivi diversi dalla estinzione del processo, quali, ad esempio, la mancanza o l’insufficienza del ricavato della vendita, la perdita successiva del bene assoggettato ad espropriazione e simili”.
Cercando, nel processo esecutivo, un equipollente al passaggio in giudicato della sentenza di merito, la Suprema Corte lo individua nel momento in cui il creditore ottiene (anche solo parzialmente) la realizzazione del suo credito (e quindi l’incameramento di una certa somma di denaro, presumibilmente ricavata dalla vendita giudiziale dei beni pignorati).
A ciò viene pure equiparato il caso in cui tale risultato pratico, per qualsiasi ragione, non possa essere raggiunto, ad esempio perché il ricavato dall’asta risulti essere insoddisfacente oppure per la perdita del bene staggito.
Precedentemente, sempre il Giudice di legittimità, con sentenza del 03/10/1997 n. 9679 (in Giust. civ. Mass. 1997, 1857), aveva concluso con l’affermare che “nell’espropriazione forzata il ricorso per intervento costituisce una domanda proposta nel corso del giudizio, secondo l’espressione contenuta nel comma 2 dell’art. 2943 c.c., sicché dal momento in cui esso è presentato al momento in cui il processo esecutivo si chiude con l’approvazione del progetto di distribuzione del ricavato che provvede sulla domanda formulata con l’intervento la prescrizione non corre, come previsto dal comma 2 dell’art. 2945 dello stesso codice”.
Alla sentenza passata in giudicato viene equiparata l’approvazione definita del progetto di distribuzione del prezzo ricavato dalla vendita giudiziale del bene.
Tra i Giudici di merito si rinviene una interessante sentenza del Pretore di Monza, 05/06/1996 (Foro it. 1997, I,2339) con la quale si è affermato che “l’intervento del creditore nell’espropriazione forzata, in quanto atto di esercizio dell’azione esecutiva, è idoneo ad interrompere il corso della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 comma 1 c.c., con efficacia permanente fino al momento in cui il processo esecutivo giunga ad un risultato che possa considerarsi equipollente a quello che per la giurisdizione cognitiva l’art. 2945 comma 2 c.c. individua nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (nella specie: ordinanza di approvazione del piano di riparto del ricavato dalla vendita forzata)”.
Il Giudice di Monza osserva che ancorché la norma di cui all’art. 2945 c.c. “sia dettata con una formulazione ambigua e la dottrina, sia di diritto sostanziale che del processo civile, non risulti avere indagato particolarmente il tema dell’idoneità e dei limiti in cui l’esercizio dell’azione esecutiva può spiegare effetti interruttivi di natura permanente in ordine al corso della prescrizione, non sembra dubitabile che l’inizio dell’azione esecutiva (individuato per ogni tipo di esecuzione nell’atto che riveste tale natura) determini effetti interruttivi permanenti …”.
Altrimenti non si spiegherebbe “il fatto che 2° comma dell’art. 2945 faccia riferimento omnicomprensivamente alla fattispecie dell’interruzione del corso della prescrizione mediante “uno degli atti indicati dai primi due commi dell’art. 2943”. Tra tali atti sono ricompresi nel 1° comma di detta norma l’atto di inizio di un processo esecutivo …”.
Quanto al momento in cui l’interruzione permanente (meglio sarebbe dire la sospensione) spiega i sui effetti, premesso che il processo esecutivo non termina, come quello di cognizione, con una sentenza (destinata, salvo riforma, al passaggio in giudicato), osserva il Pretore di Monza che in questo caso, come in quello del giudizio cautelare, occorre riferirsi all’atto con il quale il procedimento “si definisce”.
Per quanto attiene al processo cautelare, l’interruzione permane fino al giudizio di reclamo o fino al termine per reclamare.
“Nella giurisdizione esecutiva l’effetto interrutivo non può che durare fino alla chiusura del processo e così, in un processo esecutivo immobiliare … fino al momento dell’approvazione del progetto di riparto ex art. 598 c.p.c., che è appunto l’atto con cui trova definizione il processo esecutivo immobiliare”
Considerazioni finali. Non vi è dubbio, e si condivide in tal senso la dottrina e la giurisprudenza pressoché unanime, che anche l’esercizio dell’azione giudiziale nel processo esecutivo comporti l’interruzione permanente (sospensione) del decorso della prescrizione.
Sarebbe assurdo supporre che il legislatore non avesse voluto un simile effetto, determinando un rischio per il creditore procedente, o intervenuto, di perdere definitivamente le proprie ragioni creditorie per il decorso del termine di prescrizione del loro diritto.
Più problematica è la corretta determinazione del momento in cui la prescrizione debba ricominciare a decorrere anche perché, a differenza del processo ordinario di cognizione, non è possibile addivenire ad identica soluzione per i diversi tipi di azioni esecutive.
Per la corretta determinazione di tale momento si deve tenere conto che il creditore non deve soffrire la perdita del proprio diritto a causa dei tempi (a volte, non brevi) della giustizia.
D’altro canto, il debitore non deve rischiare che il decorso della prescrizione sia lasciato alla discrezionalità del creditore che, invece, deve dipendere dal verificarsi di circostanze oggettive.
Occorre, a questo punto, riflettere su quanto accade nel processo ordinario di cognizione.
Il legislatore ha in quel caso fissato la ripresa del decorso del termine di prescrizione con il passaggio in giudicato della sentenza poiché è in quella fase che si rende certa la portata del diritto, prima controverso.
Il creditore, definitivamente, è in grado di potersi affermare titolare di determinate pretese e il debitore è a conoscenza del dovere di adempiere all’obbligazione oggetto del rapporto giuridico oggetto della pronuncia irrevocabile.
Il debitore e il creditore sanno che quel diritto, da quel momento, dovrà essere fatto valere nei previsti termini (decennali o abbreviati), pena la sua estinzione per prescrizione.
Il dies a quo (passaggio in giudicato della sentenza) non dipende dalla mera volontà del creditore, che ovviamente tende a posticiparlo, e nemmeno è connesso alla volontà del debitore, che lo vorrebbe anticipato per ottenere, quanto prima, la prescrizione.
Ciò avviene con il deposito della sentenza, che poi passerà in giudicato, al termine dell’attività giudiziale.
Le parti possono, con la notifica della pronuncia, stimolare l’avversario ad impugnare la pronuncia, ma né l’attore e né il convenuto possono decidere quando deve avvenire il deposito della sentenza o il suo passaggio in giudicato.
Ebbene,anche nel processo esecutivo deve essere individuato un evento, che non deve dipendere dalla mera volontà delle parti, al verificarsi del quale ricomincerà il decorso della prescrizione.
Per il processo esecutivo immobiliare tale “momento” può coincidere con la approvazione del progetto di distribuzione, poiché solo allora il creditore può conoscere in quale misura il suo diritto è stato soddisfatto e decidere se intraprendere ulteriori iniziative giudiziali.
L’udienza per l’approvazione del piano di distribuzione è indicata dal Giudice, senza che occorra una apposita istanza del creditore (art. 596 c.p.c. “se non si può provvedere a norma dell’articolo 510 primo comma, il giudice dell’esecuzione, non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e lo deposita in cancelleria affinchè possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando l’udienza per la loro audizione”).
Nel processo esecutivo mobiliare, al contrario, una identica soluzione non appare immune da seri censure di legittimità.
Nella esecuzione mobiliare deve essere il creditore, o uno dei creditori intervenuti, a chiedere la distribuzione della somma ricavata (art. 541 c.p.c. “se i creditori concorrenti chiedono la distribuzione della somma ricavata secondo un piano concordato, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, provvede in conformità”).
Ne consegue che finché i creditori non depositano tale istanza il giudice non procede alla distribuzione.
Il debitore non può sostituirsi ai creditori nel chiedere la distribuzione del prezzo della vendita, poiché non ha evidentemente interesse.
Se si volesse collegare pure in questo caso, come per l’esecuzione immobiliare, la ripresa del decorso della prescrizione all’approvazione del piano di riparto, questo momento sarebbe lasciato alla discrezionalità del creditore.
Per assurdo, questi potrebbe promuovere un’azione esecutiva mobiliare e non chiedere mai la distribuzione della somma ricavata per ottenere, di fatto, che il suo credito non si prescriva mai.
Il contrasto con i precetti di ordine pubblico, che invece impongo che tutti i diritti debbano prescriversi per il loro mancato esercizio, è evidente.
In conclusione, quindi, per quanto riguarda l’esecuzione mobiliare pare più corretto assumere che il decorso del termine prescrizione ricominci a decorre dall’effettuazione dell’asta.
Anche così argomentando, le pretese del creditore non subirebbero alcun grave pregiudizio poiché nel momento in cui avviene l’asta, questi verrà a conoscenza del prezzo ricavato (o della mancata vendita) e quindi potrà avere tutti i dati necessari per decidere se desistere da ogni ulteriori iniziativa oppure intraprendere altre esecuzioni.
Avv. Sergio Vergotti
Studio Legale Associato Gerosa di Lecco
 

Vergottini Sergio

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