L’importanza dell’equilibrio contrattuale

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I. Equilibrio contrattuale e contratti sinallagmatici

Quando si parla di equilibrio del contratto occorre considerare che si tratta di un concetto da analizzare sotto una duplice veste: in senso economico nonché in senso strettamente normativo.

In termini economici, l’equilibrio va inteso essenzialmente quale “valore delle prestazioni”, dando così preferenza ad una dimensione suscettibile di valutazione patrimoniale. Prestazioni che, in ogni caso, vanno considerate non singolarmente bensì tenendo conto dell’intera e complessa operazione economica cui le stesse accedono.

Diversamente, se spostiamo l’attenzione verso la prospettiva normativa, l’equilibrio andrà qualificato quale insieme delle prestazioni normative assunte dai soggetti aderenti alla contrattazione. Dunque, quale assetto di natura contrattuale teso, sotto il versante finalistico, alla assegnazione dei rispettivi diritti e doveri, obblighi, oneri e rischi.

È evidente che l’equità sia concetto ontologicamente connesso a quello di giustizia contrattuale. Ciò in ragione del fatto che l’esigenza primaria – cui tende lo stesso Legislatore – è quella di evitare una sproporzione tra prestazione e controprestazione. Pertanto, la ratio che muove l’intera disciplina è la seguente: preservare l’equità dei rapporti contrattuali e, dunque, la proporzionalità. Venendo così in rilievo il concetto di sinallagma, tanto utilizzato in relazione alla categoria dei contratti a prestazioni corrispettive, proprio per questo definiti contratti sinallagmatici[1].

Viene spontaneo chiedersi cosa dobbiamo intendere con il termine “sinallagma”. Semplicemente si tratta di un legame, di un nesso c.d. di “corrispettività” che deve intercorrere tra le prestazioni dedotte a fondamento di un contratto e la cui esistenza può riscontrarsi tanto in fase di costituzione e/o nascita quanto in fase di svolgimento del negozio giuridico.

Nel primo caso, si suol discorrere di sinallagma genetico; nel secondo caso, invece, di sinallagma funzionale. Il “discrimen” afferisce essenzialmente al momento in cui viene ad esistenza il legame tra prestazione e controprestazione, ben potendosi intendere quale distinzione inerente la dimensione temporale.

A seconda del momento in cui il sinallagma viene a mancare o risulta viziato, entreranno in gioco diversi meccanismi  tesi a salvaguardare la vita del contratto e gli interessi delle parti aderenti allo stesso. Prendiamo ad esempio il contratto di locazione, ex art. 1571 c.c., classico esempio di contratto sinallagmatico.

Se manca il sinallagma di tipo genetico, il contratto de quo sarà considerato nullo ab origine in quanto risulterebbe mancante la causa, quale elemento essenziale del contratto ex art. 1325 c.c..

Al contrario, se ricorre una violazione del sinallagma funzionale, il contraente si vedrà riconosciuta la possibilità di esperire, quale rimedio civilisticamente previsto, la risoluzione. La motivazione è semplice: solo nel secondo caso, si è presenza di un contratto originariamente valido ma divenuto inefficace per una sproporzione intervenuta successivamente tra prestazione e controprestazione.

 

II. I rimedi volti a tutelare la proporzionalità: rescissione e risoluzione

Come anticipato nel paragrafo precedente, al fine di porre rimedio ad una alterazione e, dunque, ad uno squilibrio tra prestazioni, entrano in gioco la rescissione e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. Interventi aventi natura e finalità correttiva, dal momento che la loro applicazione ha luogo nei casi in cui la determinazione del corrispettivo avviene in modo anomalo, ovvero sotto l’influenza di cause e/o circostanze perturbatrici[2].

Se, per un verso, è possibile accomunarli sotto il profilo applicativo, per altro, invece, va sicuramente detto che non mancano elementi di distacco. Difatti, nelle ipotesi rescissorie si è in presenza di uno squilibrio già presente al momento della conclusione del contratto; diversamente, nelle ipotesi risolutive, l’alterazione del valore delle prestazioni si verifica in un momento successivo rispetto alla conclusione del contratto. Più precisamente, in conseguenza di avvenimenti imprevedibili e straordinari.

Partiamo dalla rescissione e, nello specifico, dalla disamina degli artt. 1447 e 1448 c.c..

La previsione normativa di cui all’art. 1447 c.c., propriamente rubricato “Contratto concluso in stato di pericolo”, regolamenta l’ipotesi in cui una parte assume obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé stessa o altri dal pericolo attuale di un grave danno alla persona[3].

Orbene, la parte che si è obbligata[4] si vede riconosciuta la possibilità di avanzare richiesta di rescissione del contratto, fermo restando che il giudice può, tenuto conto delle circostanze del caso, assegnare un equo compenso all’altra parte per l’opera prestata (cfr. secondo comma, art. 1447 c.c.).

Va precisato che, già ad una prima lettura del dato normativo de quo, è possibile delineare gli elementi che vanno a caratterizzare tale ipotesi di rescissione, dovendo, in proposito, scindere tra componenti di natura oggettiva e di natura soggettiva.

Da un punto di vista strettamente oggettivo, rilevano due estremi: l’assunzione da parte di un contraente di obbligazioni a condizioni inique[5] nonché lo stato di pericolo, dal quale possa derivare un danno grave ed imminente alla persona. Al riguardo, non si è fatto attendere l’intervento della giurisprudenza di legittimità. Difatti, orientamenti ormai costanti sostengono che debba trattarsi di pericolo individuato e circoscritto nell’oggetto e nei suoi effetti e, in quanto tale, non potrà essere meramente potenziale o futuro bensì reale e concreto[6].

In chiave soggettiva, invece, merita attenzione l’inciso normativamente cristallizzato secondo cui la situazione di pericolo deve essere “nota alla controparte” che trae vantaggio dall’esecuzione del contratto iniquo. Ciò significa che a rilevare non è la semplice e mera conoscibilità della circostanza ma occorre l’effettiva conoscenza, sull’assunto che il pericolo deve essere attuale e perdurare fintanto che non venga inoltrata richiesta di rescissione.

Secondo dato normativo da tenere in debita considerazione è poi l’art. 1448 c.c., intitolato “Azione generale di rescissione per lesione”.

Anche tale norma richiede la compresenza di specifici presupposti, che possono essere schematizzati nel seguente modo: stato di bisogno di una parte; approfittamento dello stato di bisogno in cui versa la controparte; lesione “ultra dimidium[7].

Elementi costitutivi tra i quali non deve intercorrere un rapporto di subordinazione o alcun ordine di priorità e precedenza. Ciò sta a significare che, una volta riscontrata la carenza o la mancata dimostrazione dell’esistenza di uno solo dei tre elementi, diviene superflua l’indagine circa la ricorrenza degli altri due requisiti, dovendosi respingere l’azione di rescissione[8].

In ogni caso, anche in merito a tali elementi è possibile operare una scissione, nel senso che anch’essi possono essere analizzati sotto una duplice veste: oggettiva e soggettiva.

Partiamo dallo stato di bisogno, la cui valenza oggettiva è indubbia. Circa la sua qualificazione, ormai è opinione costante quella per cui deve trattarsi di una situazione di difficoltà economica reale, che vada ad incidere sulla libera determinazione a contrarre[9], costituendo così il motivo principale dell’accettazione della sproporzione tra le prestazioni da parte del contraente danneggiato[10].

Ancor più, orientamenti sia tradizionali che recenti sono concordi nel ritenere che, ai fini della rescissione per lesione, lo stato di bisogno  non debba coincidere con una situazione di difficoltà meramente putativa o con una totale incapacità patrimoniale (rectius: degenza); al contrario, può essere ravvisato nella semplice difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità, sempre che sia reale. Deve trattarsi, in altri termini, di una carenza di liquidità e non già di uno stato di povertà, tale da non consentire di fronteggiare impegni di pagamento con mezzi normali[11].

Ulteriore parametro di natura oggettiva è rappresentato dalla lesione oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, definito altrimenti lesione “ultra dimidium”. Deve verificarsi una violazione del nesso di corrispettività tra entrambe le prestazioni poste a fondamento del contratto, la cui ricorrenza deve essere ancorata non solo al momento della conclusione bensì deve  rimanere per tutto lo svolgimento del rapporto contrattuale, fino a quando non venga esercitata la relativa azione di rescissione[12].

Infine, vi è da considerare  la componente soggettiva, dovendo in proposito analizzare l’approfittamento dello stato di bisogno altrui. Ricorre quando sia configurabile una duplice consapevolezza: quella inerente lo stato di bisogno in cui versa la controparte nonché quella riguardante la grave sproporzione intercorrente tra le reciproche prestazioni.

Diverse sono le ricostruzioni che sono andate profilandosi nell’ampio e variegato campo giurisprudenziale. Ricostruzioni che hanno dato il via all’emersione di due contrapposte correnti di pensiero. Un primo orientamento ha inteso risolvere lo stato di approfittamento in termini di mera conoscenza dello stato di bisogno; altro filone fa perno, invece, su  un aspetto aggiuntivo, da potersi intendere quale quid pluris, rappresentato dalla intenzionalità dell’altro contraente di voler profittare dello stato di bisogno.

In sostanza, stando a questa seconda linea interpretativa, l’approfittamento è diverso dalla semplice conoscenza, in quanto richiedente un comportamento attivo e, dunque, un vero e proprio “facere”.

Al di là di ogni possibile ricostruzione, pur non richiedendo la prova di una specifica attività diretta a promuovere o a concludere un contratto, la ricorrenza dell’elemento soggettivo dell’approfittamento postula pur sempre la conoscenza dello stato di bisogno altrui, rappresentando uno stimolo psicologico a contrattare. Non a caso, determina nel contraente il consapevole proposito di agire avvantaggiandosi della situazione in cui versava la controparte[13].

Sulla medesima scia della rescissione si colloca la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, atteso che in entrambi i casi vi è un riferimento al rapporto sinallagmatico e, dunque, alla tematica dell’equilibrio contrattuale.

La disposizione normativa che rileva in tal caso risulta essere l’art. 1467 c.c., strutturalmente composta di tre commi.

Particolarmente interessante è il primo comma, il quale prevede che nei contratti ad esecuzione periodica o continuata ovvero ad esecuzione differita, la parte che è tenuta ad eseguire la prestazione può domandare la risoluzione del contratto nell’ipotesi in cui la stessa sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili.

Dunque, l’onerosità, quale squilibrio tra il valore economico delle rispettive prestazioni, deve essere non solo sopravvenuta bensì anche eccessiva. Cosa significa?

Viene in soccorso ancora una volta la giurisprudenza, che ha inteso soffermarsi proprio sulla disamina dei necessari requisiti fondanti la risoluzione del contratto, a mente dell’art 1467 c.c..

In particolare, si ritiene che l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione per poter determinare la risoluzione richieda: per un verso, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto; per altro, la riconducibilità dell’eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi imprevedibili e straordinari, che non rientrino nell’alea normale del contratto[14].

Al contrario, non potrà legittimamente avanzarsi richiesta di risoluzione se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto (2 comma, art. 1467 c.c.). Si pensi, a titolo esemplificativo, a quelle ipotesi in cui l’alea normale del contratto è costituita da oscillazione di valore delle prestazioni, originate dalle normali fluttuazioni del mercato. In tal caso, non potrà escludersi che costi e benefici realizzati possano essere diversi da quelli originariamente messi in conto, con la conseguenza che il rimedio ex art. 1467 c.c. non potrà trovare accoglimento, in quanto non sorretto da una giustificazione di natura causale e, più precisamente, da una sopravvenienza che alteri il normale andamento dell’affare.

Si tratta dei contratti c.d. aleatori, ovvero di fattispecie negoziali ove lo schema causale non è ben definito a monte e dunque non può essere inteso quale momento originario ed essenziale che colora il contratto; in questi contratti, quindi, non può escludersi che vicende economiche sopravvenute possano determinare una alterazione della situazione di equilibrio che le parti avevano concordemente pattuito. Ragion per cui, nei contratti aleatori, le sopravvenute modificazioni rappresentano un momento del tutto intrinseco al meccanismo e al contenuto del contratto, non potendo così trovare applicazione la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta stante la carenza dei presupposti fondanti la stessa[15].

Il terzo ed ultimo comma della norma in commento introduce un importantissimo tassello a livello normativo: offre alla parte avverso la quale è domandata la risoluzione di evitarla sempre che accetti di modificare equamente le condizioni del contratto. La norma de qua non impone alla parte (che intenda evitare le conseguenze derivanti dalla risoluzione) di offrire una modifica tesa a ristabilire esattamente l’equilibrio -tra le rispettive prestazioni- esistente al momento della stipula del contratto. Più precisamente, essa discorre di offerta di modifica che sia equa e, dunque, tale da ricondurre il contratto in una prospettiva sinallagmatica tale che la parte onerata non avrebbe dovuto avanzare domanda risolutoria[16].

Il giudice, dal canto suo, dovrà stabilire se le modificazioni siano atte a normalizzare il rapporto contrattuale. E, soprattutto, verificare l’idoneità dell’offerta, attenendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico e non anche a meri criteri equitativi.


[1] Un esempio di contratto sinallagmatico (bilaterale) è la compravendita. Difatti, quest’ultimo si caratterizza per il fatto che una parte si obbliga a corrispondere una quantità di denaro o di altro valore fungibile dietro il trasferimento della proprietà di un bene o di altro diritto.

[2] Istituzioni di diritto privato, a cura di M. BESSONE, Giappichelli, Torino, 2002, p. 764. Per cause perturbatrici occorre intendere non solo il dolo, la violenza e l’errore, quali vizi del consenso, ma anche lo stato di pericolo e lo stato di bisogno che sono alla base del rimedio rescissorio, codicisticamente positivizzato.

[3] Esempio: colui che è costretto a promettere una somma di denaro elevata al fine di salvare un familiare disperso in viaggio in paesi lontani.

[4] Stante l’iniquità delle condizioni contrattuali.

[5]L’iniquità delle condizioni contrattuali è elemento necessario ai fini della rescissione . Sul punto, la giurisprudenza ritiene che si tratti di un requisito imprescindibile laddove la legge tutela non tanto una indifferenziata libertà del contraente ma la specifica libertà di evitare contratti dannosi (Cfr. Cass. sez. I, 22 ottobre 1979, n. 5482).

[6] In merito alla definizione dello stato di pericolo, gli Ermellini sostengono che il periculum cui l’art. 1447 c.c. fa riferimento prescinde da un collegamento causale con un fatto volontario dello stesso soggetto obbligato. Ancor più, precisano che la nozione di pericolo non è diversa da quella accolta dall’art. 54 c.p., quale condizione di non punibilità, o dall’art. 2045 c.c., quale motivo di esenzione della responsabilità (Cfr. Cass., 25 luglio 1951, n. 2147).

[7] Cfr. Cass., sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3646, per cui “L’azione generale di rescissione per lesione richiede la simultanea presenza di tre requisiti: l’eccedenza di oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, l’esistenza di uno stato di bisogno el’avere, infine, il contraente avvantaggiato tratto profitto dall’altrui stato di bisogno di cui era consapevole”.

[8] Cfr. Cass., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12116.

[9] Merita attenzione una pronuncia del 1990, n. 4630 ove i giudici di legittimità nell’individuare portata e significato dello stato di pericolo, quale requisito imprescindibile dell’azione di rescissione ex art. 1448 c.c., sono giunti alla conclusione che lo stato di bisogno, pur potendo consistere in una situazione di difficoltà economica, non può tuttavia prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera determinazione del contraente.

[10] Si suol affermare che le difficoltà economiche devono essere in rapporto di causa ad effetto con la determinazione a contrarre, ovvero che costituiscano il motivo per il quale è stata accettata la sproporzione tra le prestazioni.

[11] Si vedano, Cass. n. 6630/1988; Cass. n. 4807/1988; Cass. n. 2328/2010.

[12] Giurisprudenza tradizionale ha sostenuto che l’accertamento della sproporzione fra le reciproche prestazioni è preliminare all’accertamento sia dello stato di bisogno che dell’approfittamento di tale stato, come è possibile evincere, per un verso, dalla lettura dell’art. 1448, 2 comma, c.c. e dall’altro dalla considerazione che è proprio da tale sproporzione che il giudice può trarre elementi di natura presentiva in ordine al consapevole approfittamento a fine di lucro (Cfr. Cass. n. 1553/1989).

[13] Cfr. Cass., sez. II, n. 19625/2003.

[14] Si veda, in proposito, Cass. 19 ottobre 2006, n. 22936. I giudici hanno affermato che il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando l’evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni e quindi tali da consentire classificazioni di carattere statistico; diversamente, il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza.

[15] Cass., sez. lavoro, 7 marzo 2002, n. 3296; Cass., n. 1/1983; Cass. n. 9263/2011.

[16] Si veda Cass., 11 gennaio 1992, n. 247.

Dott.ssa Stefanelli Eleonora

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