L’efficacia temporale delle disposizioni tributarie

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Sommario: 1) Introduzione; 2) Efficacia temporale norme tributarie e principio di retroattività; 3) La norma tributaria retroattiva e i principi costituzionali; 4) Le tipologie di disposizioni aventi efficacia retroattiva; 5) Le disposizioni tributarie sanzionatorie e penali: l’istituto della confisca per equivalente; 6) La norma tributaria e la declaratoria di illegittimità costituzionale.

1) Introduzione.

Il concetto di “efficacia delle norme nel tempo” è un principio giuridico di grande rilievo nel nostro ordinamento, e rimanda a problematiche concernenti il momento di inizio dell’obbligatorietà della norma, il momento della cessazione e l’individuazione dei rapporti giuridici ai quali la norma si applica nei periodi di tempo intercorrente tra i due momenti indicati1.

Il legislatore ha previsto una dettagliata disciplina in materia di efficacia temporale della norma, distinguendo l’entrata in vigore – di solito trascorsi quindici giorni dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale, ex art. 73 Cost. –, l’inizio dell’obbligatorietà della norma ex art. 10 Preleggi e l’efficacia nel tempo della legge (art. 11 Preleggi).

Dal combinato disposto delle tre citate disposizioni emerge che la legge emanata – al pari delle fonti normative secondarie, quali i regolamenti emanati ai sensi dell’art. 17 L. 400/88 – deve essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore dal quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione (cd. vacatio legis)2, salvo che la stessa legge non disponga diversamente3: inoltre non può disporre che per il futuro, non avendo generalmente effetto retroattivo.

In particolare, la formulazione dell’art. 11 Preleggi è molto chiara e dal contrasto fra la forma positiva – “la legge non dispone che per l’avvenire” – e quella negativa – “non ha effetto retroattivo” – si coglie esattamente il concetto che il legislatore del 1942 voleva esprimere: l’irretroattività della norma, le cui conseguenze sono fondamentali sia sul piano della certezza del diritto sia su quello della tutela del cittadino, in quanto le nuove disposizioni possono essere applicate solo a fattispecie concrete verificatesi dopo l’entrata in vigore della norma stessa.

Tuttavia, come osservato da autorevole dottrina4, nell’ordinamento italiano – eccettuate le norme penali incriminatrici (art. 25, II c., Cost.) – il principio di irretroattività non ha rango costituzionale, essendo regola posta da norma di legge ordinaria, come tale derogabile da altra disposizione avente pari rango, quale la legge ordinaria, sempre che l’intervento retroattivo del legislatore abbia una ragionevole giustificazione e non incontri limiti in particolari norme costituzionali.

Conseguentemente il legislatore potrebbe creare un collegamento tra la nuova disposizione ed un fatto avvenuto nel passato, originando un fenomeno giuridico particolare per cui la norma prende a base della sua disciplina fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore.

Relativamente alla cessazione dell’efficacia giuridica di una disposizione, tale fenomeno può avvenire mediante abrogazione tacita o espressa della norma, in quanto incompatibile con diversa norma di pari rango e successiva nel tempo oppure mediante deroga – in ossequio al principio di lex specialis derogat lex generalis – quando una norma successiva, ad ambito più ristretto, contrasta con la precedente, con la conseguenza che relativamente a quell’ambito applicativo produrrà effetti la norma successiva e quindi la precedente risulta derogata.

Delineato l’istituto dell’efficacia temporale della legge in generale, si devono adesso analizzare le problematiche relative all’efficacia temporale delle norme tributarie, che presentano peculiarità proprie che le distinguono dalla disciplina generale dettata dal legislatore.

2) Efficacia temporale norme tributarie e principio di retroattività.

La disciplina sopradescritta si applica anche alle norme tributarie contenute sia in leggi che in regolamenti5.

Pertanto, anche le disposizioni normative tributarie sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore decorsi quindici giorni da tale pubblicazione.

Tuttavia, il termine di “vacatio legis” può essere derogato mediante legge ordinaria: tale fenomeno è particolarmente diffuso in ambito tributario, stante la possibilità di operare modifiche economiche o legislative intermedie ovvero di consentire la migliore conoscenza da parte dei contribuenti.

Costituisce chiaro esempio il D.P.R. 917/86, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 31 dicembre 1986 ed entrato in vigore solo il 1 gennaio 1988, decorso un anno dalla pubblicazione.

Inoltre, la norma tributaria, in ossequio ai principi generali dell’ordinamento, non ha di solito effetto retroattivo.

Tale principio è stato ulteriormente ribadito dall’art. 3, L. 212/00 (cd. statuto dei contribuenti), il quale dispone che – escluse le ipotesi di norme interpretative autentiche – le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo6.

Conseguentemente, anche le modifiche introdotte in relazione ai tributi periodici si applicano solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso al momento dell’entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.

La ratio di tale disciplina è da ricercarsi nella necessità di garantire la preventiva ed effettiva informazione del contribuente e tutelare l’affidamento di costui, mediante il principio di certezza giuridica.

Il principio di irretroattività della norma tributaria è disciplinato attraverso una legge ordinaria, la quale, al fine di assicurare la certezza giuridica necessaria, prevede genericamente che la norma non possa prendere a base della propria disciplina fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore: tuttavia, proprio il rango di semplice legge7 – diversamente dall’ambito penale, in cui il principio di irretroattività è costituzionalmente previsto – determina la possibilità di derogare a tale divieto sempre con fonte legale avente pari rango8.

Tale peculiare caratteristica è stata sottolineata dalla giurisprudenza9, la quale ha evidenziato come “il principio di irretroattività delle leggi tributarie non può considerarsi un principio immanente nell’ordinamento – la Costituzione prevede, all’art. 25, un divieto di irretroattività solamente per le disposizioni penali – ma nello Statuto costituisce una garanzia ulteriore attribuita ai contribuenti ed è pur sempre un valido criterio interpretativo da applicare anche alla normativa preesistente ed anche con riferimento a fattispecie anteriori”, inquadrando il divieto di retroattività all’interno del principio più generale di correttezza e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra amministrazione e contribuente.

La possibilità per il legislatore, dunque, di emanare disposizioni legislative è stata riconosciuta anche dai Giudici della Carta10, i quali hanno osservato come il divieto di irretroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale: il legislatore, pertanto, può emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.

3) La norma tributaria retroattiva e i principi costituzionali.

La norma tributaria retroattiva avrebbe dunque carattere eccezionale, e conseguentemente l’interprete dovrebbe preferire la qualificazione della stessa come non retroattiva, conformemente alla previsione di cui all’art. 11, I c., Preleggi11.

A tal proposito, la giurisprudenza ha precisato come sia necessario che il legislatore, nel suo emanare leggi aventi efficacia retroattiva, rispetti sempre alcuni principi di particolare valore, quali il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost., quello generale di ragionevolezza e uguaglianza e, soprattutto, tuteli l’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico.

Tuttavia, tale assunto è in parte disatteso dalla stessa Corte Costituzionale, la quale ha individuato criteri elastici per l’individuazione dell’attualità della capacità contributiva: in alcune pronunce12, infatti, ha ritenuto legittima la norma che estendeva al triennio precedente il regime di tassazione riguardante l’espropriazione e la cessione volontaria di aree nel corso di provvedimenti ablatori, sulla stregua della “presumibile sussistenza attuale dei proventi realizzati e sulla prevedibilità derivante da un orientamento emerso talora nei dibattiti in materia”.

Diversamente, avuto riguardo della tutela dell’affidamento, i Giudici della Carta hanno sottolineato come tale principio non possa essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti, traducendosi nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli.

Accanto a tali principi – cui il legislatore deve attenersi nell’emanazione di una disposizione avente efficacia retroattiva – il contribuente dispone di ulteriori fonti di tutela.

Lo Statuto del Contribuente, infatti, prevede due disposizioni concernenti l’ambito temporale delle nuove disposizioni e delle norme interpretative.

In particolare, le leggi di interpretazione autentica possono essere emanate unicamente nei casi di urgenza, nella forma di legge ordinaria e devono avere espressa qualificazione di “legge di interpretazione autentica”; le nuove disposizioni, invece, se relative a tributi periodici possono essere applicate solo da periodo successivo13.

Deve, tuttavia, osservarsi come l’eventuale contrasto di un provvedimento legislativo con i principi sopraenunciati non comporta l’incostituzionalità del medesimo, in quanto non è possibile attribuire allo Statuto del contribuente alcuna diretta valenza costituzionale14.

Inoltre, la giurisprudenza ha chiarito come anche le stesse disposizioni dello Statuto del contribuente abbiano efficacia non retroattiva, con la conseguenza che la disciplina di cui all’esaminato art. 3 L. 212/00 non trova sua applicazione con riferimento alle leggi anteriormente vigenti15.

4) Le tipologie di disposizioni aventi efficacia retroattiva.

Il legislatore, pertanto, può emanare, nel rispetto dei principi sopra esaminati, disposizioni aventi efficacia retroattiva.

Leggi tributarie retroattive possono essere sia quelle di interpretazione autentica ex art. 3, c. I, L. 212/00, sia quelle innovative con efficacia retroattiva in virtù di una specifica regolazione dello stesso legislatore.

Nel primo caso, la retroattività deriva dalla tipologia della norma stessa; nel secondo caso, invece, deve esserci l’esplicita previsione del legislatore o quantomeno risultare l’inequivocabile volontà del legislatore in tal senso.

La legge di interpretazione autentica ha la funzione di precisare il significato di una precedente disposizione legislativa, attribuendole il significato concepito originariamente dal legislatore.

La dottrina ha evidenziato come l’emanazione di una legge di interpretazione autentica si presti ad alcune distorsioni da parte del legislatore: si pensi all’ipotesi in cui la legge di interpretazione autentica attribuisca un determinato significato ad una disposizione tributaria, di fatto estendendo la portata della norma, ricomprendendo situazioni prima escluse secondo l’interpretazione precedente, al fine di soddisfare le esigenze di cassa16.

Così operando, il legislatore potrebbe surrettiziamente introdurre di fatto un nuovo tributo, ampliando la portata della disposizione già in vigore, attribuendole ex tunc un significato estensivo.

A tal proposito, la giurisprudenza ha sottolineato come costituisca una violazione dell’art. 111 Cost. l’emanazione di una norma retroattiva (sia di interpretazione autentica che innovativa) che incida su un procedimento in corso, nel quale l’Amministrazione finanziaria sia parte in causa.

Tale rimedio, tuttavia, è limitato alle sole ipotesi in cui sia già pendente un ricorso, mentre nel caso in cui l’Amministrazione richieda per la prima volta il pagamento del tributo in virtù della legge di interpretazione autentica, il contribuente si troverebbe senza difesa, potendo solo eccepire la lesione della tutela dell’affidamento.

In tale ultimo caso, inoltre, non pare neanche applicabile l’art. 1, III c., L. 212/00 in tema di sanzioni, in quanto tale enunciato è subordinato ad una violazione da parte del contribuente, nel caso in cui non abbia adempiuto nel termine previsto a causa di obiettive condizioni di incertezza sulla portata ed ambito di applicazione della norma tributaria, non trovando applicazione alle ipotesi in cui, forte del nuovo significato estensivo della disposizione, l’Amministrazione finanziaria richieda per la prima volta il pagamento del tributo, anche con riferimento a fattispecie temporalmente precedenti.

5) Le disposizioni tributarie sanzionatorie e penali: l’istituto della confisca per equivalente.

La disciplina esaminata, che prevede la possibilità, in casi eccezionali, di emanare disposizioni aventi efficacia retroattiva, trova suo limite con riferimento alle norme tributarie sanzionatorie amministrative e penali.

Stante il carattere peculiare di tali enunciati normativi, il legislatore ha previsto apposito regime temporale sia mediante legge ordinaria sia nella Costituzione.

L’art. 3 D.Lgs. 472/97, infatti, richiamando i principi generali dell’ordinamento in materia sanzionatoria quali l’art. 25 Cost., prevede che nessuno possa essere assoggettato a sanzione se non in forza di una legge già entrata in vigore al momento della commissione dell’illecito: inoltre, è necessario che il fatto costituisca violazione punibile sia per la legge vigente al momento della sua realizzazione sia per le disposizioni future, salvo diversa disposizione di legge.

Nel caso di successione di leggi nel tempo, le quali stabiliscono sanzioni di entità diverse, deve essere applicata la legge più favorevole.

Tale disciplina sia applica, tuttavia, alle sole disposizioni precettive, mentre non si estende alle disposizioni non incriminatrici: tuttavia, vi sono disposizioni normative che presentano caratteristiche proprie, in relazione alle quali risulta fondamentale ai fini dell’applicazione retroattiva qualificare la norma come precettiva o non precettiva.

Particolari problematiche in tale contesto sono emerse con riferimento all’istituto della confisca per equivalente, introdotta dalla Finanziaria 2008 per i reati tributari, in quanto, in assenza di norma transitoria, la dottrina e la giurisprudenza avevano sollevato dubbi sull’applicabilità anche ai reati commessi prima della sua entrata in vigore.

A tal proposito, sono state elaborate diverse teorie.

Una prima tesi17 sosteneva la natura retroattiva della norma, poiché non risultava applicabile al caso di specie il principio di irretroattività della legge penale ex artt. 2 c.p. e 25, II c., Cost., operante unicamente nei riguardi delle norme incriminatrici e non estendibile alle misure di sicurezza.

L’art. 200, I c., c.p., infatti, prevede che le misure di sicurezza quali la confisca per equivalente siano regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione: la giurisprudenza aveva precisato come tale assunto dovesse interpretarsi nel senso che, mentre non si può applicare una misura di sicurezza per un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato, è consentita l’applicazione per un fatto di reato per il quale originariamente non era prevista tale misura, in quanto le misure di sicurezza per loro natura sono correlate alla situazione di pericolosità del reo18.

Diversa elaborazione dottrinale19 e giurisprudenziale, invece, ha eccepito la natura non retroattiva della norma, sottolineando come tale ipotesi di confisca abbia natura sanzionatoria, con conseguente applicazione dei principi di irretroattività ex art. 25 Cost.

Inoltre, è stato osservato20 come l’applicazione retroattiva della confisca – costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti21 e dunque avendo natura sanzionatoria – contrasterebbe anche con l’art. 7 della CEDU, ove è previsto che non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento della commissione del reato.

La giurisprudenza maggioritaria22 ha aderito a tale orientamento, qualificando la norma come avente natura non retroattiva – e come tale applicabile solo ai reati commessi post dicembre 2007 – specificando come la natura sanzionatoria renda necessariamente applicabili i principi fissati dalla Costituzione, analogamente a quanto già accaduto con riferimento al D.Lgs. 231/01 e L. 300/00 e che, da una lettura costituzionalmente orientata della norma, la confisca debba ritenersi una misura di sicurezza avente natura sanzionatoria, costituendo una pena secondo l’interpretazione fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo23.

Tale orientamento è stato ulteriormente ribadito dalla Corte Costituzionale24, la quale, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, ha rilevato la confisca per equivalente abbia natura eminentemente sanzionatoria, con conseguente divieto di applicazione retroattiva ai sensi degli artt. 25 Cost. e 7 CEDU.

6) La norma tributaria e la declaratoria di illegittimità costituzionale.

Esaminate le problematiche relative all’efficacia temporale delle disposizioni tributarie, si deve analizzare l’ipotesi, invero non infrequente, in cui una disposizione tributaria sia ritenuta successivamente incostituzionale.

A tal proposito, problematiche sono emerse in relazione all’efficacia da riconoscersi alle sentenze della Corte Costituzionale ed i loro riflessi in relazione ai tributi già versati in ottemperanza di norme poi dichiarate incostituzionali.

Deve, infatti, osservarsi come, secondo un orientamento costante, “le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche consolidate per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto25.

Conseguentemente, deve ritenersi che le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale abbiano effetto ex tunc ed erga omnes, con la conseguenza di negare l’esistenza stessa dell’obbligazione tributaria ed incidere su un rapporto tributario ancora pendente per il quale non vi è stata ancora la definitiva affermazione della volontà di legge in ordine all’obbligazione.

Tuttavia, problematiche sorgono qualora il rapporto tributario non sia più pendente, avendo il contribuente adempiuto alla prestazione richiesta.

In tale circostanza, infatti, la carenza di potere impositivo non comporta, ipso facto, la restituzione del tributo già versato da parte del contribuente: la ripetizione, infatti, è subordinata, da un lato, ad una esplicita richiesta della parte avente diritto e, dall’altro, alla sussistenza dei requisiti richiesti per la restituzione dei pagamenti sine causa26.

In particolare, è stato evidenziato come sia necessario che il contribuente abbia diritto alla ripetizione del quantum già versato, ossia non sia intervenuto alcun termine prescrizionale per ottenere il rimborso.

Conseguentemente, la declaratoria di incostituzionalità della norma originante la pretesa impositiva è condizione necessaria, ma non sufficiente alla ripetizione del tributo, essendo richiesto anche che il contribuente sia, secondo la normativa vigente, titolare del diritto al rimborso, e che tale diritto non risulti prescritto per decorso del tempo, non potendosi in tal caso produrre alcuna richiesta di restituzione27.

 

1 Sul punto, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, Cedam, 1999, pag. 89 ss.

2 La dottrina più attenta ha evidenziato come di solito il momento dell’entrata in vigore della legge coincida con l’inizio dell’efficacia della disposizione normativa: tuttavia, vi sono numerosi casi in cui il momento dell’entrata in vigore indica soltanto che la legge è perfetta, ma i suoi effetti sono differiti o retroagiscono. A tal proposito, esempio significativo in ambito tributario è rappresentato dal D.Lgs. 546/96 regolante il processo tributario: entrato in vigore in data 15 gennaio 1997, l’efficacia è stata tuttavia differita alla data del 1 aprile 1996, quando si insediarono le Commissioni tributarie.

3 Eccezione a tale regime è prevista per i decreti legge, i quali, stante le peculiari caratteristiche di necessità e urgenza, entrano in vigore il giorno stesso della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

4 Sul punto, R. Caponi, Atti convegno Consiglio Superiore della Magistratura “Diritto, processo, tempo”, 2000. L’Autore, in particolare, si sofferma sulla circostanza che l’art. 11 disp. prel. c.c. contenga una direttiva rivolta al legislatore ed una regola rivolta all’interprete, poiché al principio di irretroattività può sottrarsi il legislatore ordinario, ma non può sottrarsi l’interprete. Come regola d’interpretazione l’art. 11 disp. prel. c.c. sarebbe vincolante, a meno che la norma, nella sua interpretazione retroattiva, sia ‘favorevole’ rispetto a tutti gli interessi coinvolti nella situazione da disciplinare (ad es., in caso di norma che alleggerisca la posizione del contribuente).

5 In particolare, si evidenzia come in campo fiscale sia particolarmente diffuso l’uso di regolamenti di legificazione emanati in forma di D.P.R., i quali necessitano di un’autorizzazione contenuta in legge specifica che fissi le norme generali regolatrici della materia e disponga l’abrogazione di norme vigenti, con l’effetto dell’entrata in vigore delle disposizioni regolamentari.

6 La giurisprudenza ha evidenziato il carattere peculiare delle disposizioni contenute nello Statuto del Contribuente, osservando come la materia dell’efficacia temporale delle disposizioni tributarie sia regolamentata dall’art. 3 L. 212/00, attribuendo a tale disposizione il valore di principio generale dell’ordinamento tributario.

Tale autoqualificazione trova sua puntuale rispondenza nell’effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, da loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti delle altre norme della legislazione e dell’ordinamento tributari, nonché dei relativi rapporti: queste clausole rafforzative assumono un preciso valore normativo sia perché hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo Statuto sia perché costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario.

Pertanto, il legislatore ha manifestato esplicitamente l’intenzione di attribuire ai principi espressi nelle disposizioni dello Statuto, o comunque desumibili da questo, una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia: i principi statutari, dunque, non sono solo diretti al futuro legislatore tributario, ma si applicano anche con riferimento a tutte le norme dell’ordinamento tributario. Sul punto, Cass. Civ., Sez. V, 14 aprile 2004, n. 7080; Cass. Civ., Sez. V, 10 dicembre 2002, n. 17576. In dottrina, si veda G. Mommo, I principi dello Statuto del Contribuente prevalgono sulle altre norma tributarie, in Azienditalia, 2004, pag. 780 ss.

7 Corte Cost., sent., 9 ottobre 1999, n. 419. In senso conforme, Corte Cost., sent., 11 giugno 1999, n. 229.

8 A tal proposito, la dottrina è solita distinguere tra retroattività propria ed impropria.

Nel primo caso, la fattispecie ed i suoi effetti si collocano nel passato rispetto all’entrata in vigore della legge.

Esempio tipico è rappresentato dalle disposizioni che prorogano l’efficacia di esenzioni scadute: dopo la loro scadenza, il legislatore può ritenere necessario il loro mantenimento e ne dispone la proroga attraverso una norma di legge che produca effetti dal momento della cessazione delle esenzioni, quindi anteriormente alla sua entrata in vigore. Diversamente, ipotesi di retroattività impropria si verificano qualora la legge istituisca un tributo da corrispondersi successivamente alla sua entrata in vigore, ma riferendolo a fatti verificatesi prima di essa. Si veda, A. Fantozzi, Manuale di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 1997, pag. 158 ss.; P. Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, Giuffrè, 199, pag. 109 ss.; L. Natoli, Corso di diritto tributario, Milano, Giuffrè, 1999, pag. 63 ss.

Tale orientamento dottrinario è stato sottoposto a considerazioni critiche. Alcuni autori, infatti, negano la validità di tale distinzione, riconducendo tutte le ipotesi di retroattività alla categoria della retroattività impropria: si osserva che, nel caso di retroattività propria, gli effetti prodotti dalla norma non sono anticipati, ma si producono anche essi solo successivamente alla sua entrata in vigore. Sul punto, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, Cedam, 1999, pag. 99 ss.; G. Bertora, Legittimità delle norme di prelievo cosiddette retroattive, in Riv. Dir. fin., 1969, pag. 350.

9 Cass. Civ., Sez. V, 14 aprile 2004, n. 7080.

10 Corte Cost., sent., 11 giugno 1999, n. 229. Sul punto, Corte Cost., sent., 13 luglio 1995, n. 376.

11 Sul punto, Cass. Civ., Sez. V, 14 aprile 2004, n. 7080.

12 Sul punto, Corte Cost., sent., 20 luglio 1994, n. 315.

13 La Suprema Corte ha, infatti, osservato come il principio di irretroattività della norma tributaria sia stato codificato nello Statuto del contribuente, dovendosi escludere, dunque, l’applicazione retroattiva della legge salvo i casi espressamente previsti. Cass. Civ., Sez. V, 9 dicembre 2009, n. 25722. In senso conforme, Cass. Civ., Sez. V, 2 aprile 2003, n. 5015.

14 Corte Cost., ord., 19 dicembre 2006, n. 428.

15 Cass. Civ., Sez. V, 16 aprile 2008, n. 9913.

16 La dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato come, per l’emanazione di norme di interpretazione autentica, sia sufficiente che l’interpretazione accolta dal legislatore rientri tra le possibili varianti interpretative del testo originale. G. Rebecca, Retroattività delle norme tributarie nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, in Fisco, 2007, pag. 3125. In giurisprudenza, Corte Cost., sent., 22 novembre 2000, n. 525.

17 G. Soana, La confisca per equivalente ne diritto penale tributario è applicabile solo per i reati commessi dopo il 31 dicembre 2007, in Dir. E Prat. Trib., 2009, pag. 177.

18 Cass. Pen., Sez. I, 1 marzo 2006, n. 9277; Cass. Pen., Sez. I, 19 maggio 1999, n. 3717; Cass. Pen., Sez. I, 11 marzo 2005, n. 13039.

19 S. Capolupo, Finanziaria 2008: estesa ai reati fiscali la confisca per equivalente, in Fisco, 2008, pag. 585; R. Bricchetti, Confisca anche per i vecchi reati tributari, in Giuda dir., 6, XXI, pag. 210.

20 I. Caraccioli, La confisca per equivalente ed il sequestro preventivo nei reati tributari, in Giuda ai controlli fiscali, 2008, n. 3.

21 Cass. Pen, SS.UU., 25 ottobre 2005, n. 41936. Sul punto, si veda anche Cass. Pen., Sez. II, 21 febbraio 2007, n. 9786.

22 Per ultimo, Cass. Pen., Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39172

23 Sul punto, Corte europea dei diritti dell’uomo, sent., 9 febbraio 1995, n. 307/A.

24 Corte Cost., ord., 2 aprile 2009, n. 97. In dottrina, P. Murgia, L’irretroattività della disciplina della confisca per equivalente estesa ai reati tributari, in Fisco, 2009, pag. 3941.

25 Cass. Civ., Sez. III, 28 luglio 1997, n. 7057; Cons. Giust. Amm. Sic., Sez. Giurisd., 23 dicembre 1999, n. 675.

26 Va ricordato che, in tema di ripetizione da indebito, è stato per lungo tempo in Italia diversificato l’onere probatorio a seconda che si trattasse di prelievi contrastanti con l’ordinamento comunitario (norme del Trattato UE e di diritto comunitario derivato, in primis regolamenti e direttive) quali le tasse e/o misure di effetto equivalente ai dazi doganali ovvero di prelievi contrastanti con disposizioni legislative interne (si pensi al vasto contenzioso interessante le acciaierie per il rimborso dell’addizionale Enel ritenuta dall’Amministrazione finanziaria applicabile ai consumi quantunque esenti dall’imposta erariale sull’energia utilizzata come materia prima nei processi produttivi)

Nel caso di indebito comunitario – sotto le spinte della giurisprudenza comunitaria – è stato inizialmente disapplicato dai giudici nazionali l’art. 19 del D.L. 30 settembre 1982, n. 688, convertito, con modificazioni, nella L. 873/82 (regolante la ripetizione dei diritti doganali) perché subordinava il rimborso alla prova (negativa) e documentale da parte del solvens della mancata traslazione del carico tributario sul consumatore finale.

Tale indirizzo portava il legislatore alla riformulazione di cui all’art. 29 L. 428/90, norma costantemente interpretata nel senso che spetta all’Amministrazione finanziaria resistente provare in positivo – trattandosi di eccezione in senso proprio (cioè di fatto impeditivo al diritto rimborso e non di fatto costitutivo del diritto stesso) – che vi è stata traslazione del peso economico dell’imposta sul consumatore.

Nel caso di indebito nazionale ha continuato invece, a rimanere in vigore l’art. del D.L. 688/1982 stabilente l’inversione della prova (in negativo) a carico del contribuente onerato della dimostrazione scritta della mancata traslazione del tributo quale fatto costitutivo della sua azione di rimborso.

Tale ingiustificata disparità probatoria è stata opportunamente eliminata da un duplice intervento della Corte Costituzionale che – ponendosi sulla linea dell’effettività della tutela giurisdizionale proclamata dalla Corte di Giustizia – ha prima svincolato la prova da ogni limitazione documentale e da ultimo ha dichiarato l’illegittimità della restante regolamentazione sulla inversione dell’onere probatorio per contrasto con il canone di ragionevolezza garantito dall’art. 3 della Costituzione. Sul punto, Corte Cost., sent., 20 aprile 2000, n. 14; Corte Cost., sent., 9 luglio 2002, n. 332.

27 Sul punto, Comm. Trib. Centr., 4 giugno 1997, n. 2919.

Vitiello Nicola

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