L’autotutela non poteva essere esercitata in ragione del fatto che la stessa può colpire solo provvedimenti amministrativi

Lazzini Sonia 17/02/11
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L’autotutela non poteva essere esercitata in ragione del fatto che la stessa può colpire solo provvedimenti amministrativi: si era invece in presenza di un ritenuto grave inadempimento che non poteva essere sanzionato con un provvedimento in autotutela, ma doveva essere esaminato alla luce della normativa convenzionale, procedendo, se del caso, anche alla risoluzione della convenzione

Project financing: è’ fuori discussione, naturalmente, che qualora si proceda alla risoluzione della convenzione per intervenuto inadempimento, che la concessione risulta priva dello sbocco suo tipico, per cui la stessa, pur corretta, da un punto di vista pubblicistico, non ha più possibilità di essere eseguita e, da qui, la conseguenza della sua inefficacia in con creto.

Ora, come è evidente, il meccanismo che caratterizza l’istituto del progetto di finanza, come specificamente indicato negli artt. 37 bis e seguenti dell’allora vigente legge n. 109 del 1994 e successive modificazioni, prevede due distinte fasi:

una fase pubblicistica per la scelta del promotore, che si conclude con l’affidamento della concessione al soggetto vincitore dell’apposita sequenza di evidenza pubblica, e una successiva fase di natura prettamente privatistica, per la quale viene sottoscritta una convenzione con la quale si stabiliscono, per l’esecuzione delle attività di cui alla concessione, una serie di contrapposte obbligazioni e dove si individuano le ragioni (e il relativo procedimento) per contestare inadempimenti, per diffidare all’esecuzione di prestazioni e anche per dare corso alla eventuale risoluzione della convenzione, qualora gli inadempimenti siano così gravi da non poter essere considerati superabili con l’applicazione delle altre misure.

Sulla base di questa premessa di fatto, che poi costituisce la base su cui è costruita la fattispecie che successivamente è sfociata nel contenzioso giudiziario, al momento da decidere da parte del Collegio, si individuano le conseguenze necessitate della stessa.

E cioè: le due serie vanno tenute rigorosamente distinte, per cui, qualora si dovessero individuare vizi nel procedimento che ha condotto all’aggiudicazione della concessione, per mezzo di “project financing”, al concessionario, indubbiamente soccorrono tutti i mezzi tipici per poter procedere in autotutela da parte dell’Amministrazione al fine di caducare l’aggiudicazione, con la conseguenza del venir meno anche della successiva ed adesiva convenzione, che non ha una sua autonomia propria, ma trae la sua esistenza dall’esistenza della concessione, mentre, qualora si verifichino inadempimenti della convenzione, senza che essi tocchino in qualche modo la precedente concessione e il relativo procedimento, questi inadempimenti possono colpire esclusivamente la convenzione, nella misura che si riterrà, a seconda delle circostanze, potendo quindi anche arrivare alla risoluzione della stessa convenzione, sulla base evidentemente delle norme inserite nella convenzione stessa, che prevedono la reazione delle parti allorquando l’inadempimento risulti verificato, contestato e non sanabile in qualche modo, sempre secondo le specifiche indicazioni della convenzione stessa

E’ fuori discussione, naturalmente, che qualora si proceda alla risoluzione della convenzione per intervenuto inadempimento, che la concessione risulta priva dello sbocco suo tipico, per cui la stessa, pur corretta, da un punto di vista pubblicistico, non ha più possibilità di essere eseguita e, da qui, la conseguenza della sua inefficacia in con creto.

Il Comune di Milano ha invece proceduto invertendo la serie di atti ed operando in senso esattamente contrario: verificato l’inadempimento, sulla cui gravità non si ritiene in questa sede di doversi intrattenere, esulando il medesimo dalle ragioni della decisione, in luogo di procedere alla risoluzione del contratto nei modi previsti dalla convenzione e secondo le regole inserite nella stessa, ha tratto la conclusione della decadenza dall’aggiudicazione della concessione, che invece era stata legittimamente disposta, utilizzando poteri di autotutela che dovevano e non potevano che riferirsi alla fase pubblicistica, e, poi, da ciò ha tratto la conclusione della risoluzione del contratto.

Ora, non è chi non veda, come il provvedimento comunale sia stato illegittimamente disposto; l’autotutela non poteva essere esercitata in ragione del fatto che la stessa può colpire solo provvedimenti amministrativi, allorquando questi siano viziati, mentre nella specie non si era in presenza di un illegittimo affidamento a seguito di “project financing”, ma si era invece in presenza di un ritenuto grave inadempimento che non poteva essere sanzionato con un provvedimento in autotutela, ma doveva essere esaminato alla luce della normativa convenzionale, procedendo, se del caso, anche alla risoluzione della convenzione, con le conseguenze che prima si sono indicate.

Riportiamo qui di seguito la decisione numero 8554 del 6 dicembre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

N. 08554/2010 REG.SEN.

N. 04641/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 4641 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:***

contro***

nei confronti di***

per la riforma

del dispositivo di sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE I n. 00020/2010, resa tra le parti, concernente RISOLUZIONE CONVENZIONE PER LA PROGETTTAZIONE, COSTRUZIONE E GESTIONE DI UN PARCHEGGIO PUBBLICO SOTTERRANEO, nonché della successiva sentenza n. 2110 del 2010.

Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2010, il Cons. ************ e uditi per le parti gli avvocati *****, **********, ******** e ******;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il presente appello è proposto dalla società indicata in epigrafe e si dirige contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con la quale è stato rigettato un ricorso proposto presso quel giudice e relativo al richiesto annullamento del provvedimento di decadenza dall’aggiudicazione di una concessione (relativa a “project financing) e conseguente risoluzione della convezione per grave inadempimento.

L’appello si dirige, dapprima, contro il dispositivo di sentenza e, successivamente, con motivi aggiunti, aggredisce la sentenza definitiva emanata dal giudice di primo grado.

Rileva l’appellante che, a seguito di aggiudicazione, dopo una procedura di progetto di finanza, veniva sottoscritta una convenzione con il Comune di Milano per la costruzione e la gestione di un parcheggio pubblico a rotazione da realizzarsi in un’area milanese (viale Gorizia e viale D’********), convenzione che ovviamente era collegata con un piano economico finanziario che prevedeva l’assolvimento di alcune prestazioni da entrambe le parti in tempi ben definiti, con particolare riguardo alla consegna degli scavi archeologici da parte del Comune e alla redazione del progetto esecutivo da parte dell’appellante.

Successivamente, peraltro, si sono determinate notevoli disfunzioni: ritardo nella consegna dell’area per gli scavi archeologici, riversamento di acqua dal fiume Olona nell’area dell’intervento, nonché modificazione del progetto originario per adeguarlo alle richieste della Soprintendenza archeologica.

Sulla base di tali elementi, l’appellante ha presentato al Comune un piano di riassetto finanziario che prevedeva altresì un progetto definitivo con il parcheggio diviso in due lotti, ma, in luogo di provvedere in merito al richiesto adeguamento, dapprima si proponeva una modifica della convenzione, poi il Comune procedeva per la decadenza dell’aggiudicazione.

Impugnato il provvedimento innanzi il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, e rigettato lo stesso con dispositivo di sentenza, viene proposto il ricorso in appello, con riserva di motivi aggiunti.

I motivi che assistono questo primo appello avverso il dispositivo di decisione sono quelli di primo grado e precisamente:

1) Violazione degli artt. 1, 2, 6, 10, 10 bis e 11 della legge n. 241 del 1990, anche in relazione agli artt. 3.3 e 10 della convenzione; violazione dell’art. 19, comma 2 bis della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 143, comma 8, del d. lgs. n. 163 del 2006, nonché travisamento dei fatti e carenza dei presupposti, sviamento e violazione della delibera del commissario straordinario n. 611 del 2006; in quanto l’Amministrazione non ha concluso il procedimento iniziato ad istanza di parte dal concessionario per il riequilibrio finanziario dell’attività e ha invece operato con un proprio procedimento in autotutela dichiarando la decadenza, privando tra l’altro in questo modo il concessionario della facoltà di recesso dalla convenzione, nel caso di rigetto dell’istanza di riequilibrio;

2) Violazione dell’art. 19, comma 2 bis della legge n. 109 del 1994, dell’art. 143, comma 8 del d. lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 1453 e segg. del cod. civ., degli artt. 3.3 e 10 della convenzione, nonché contraddittorietà, travisamento dei fatti e sviamento; poiché l’atto impugnato ha preteso di trasformare quella che era una richiesta del concessionario (il riequilibrio economico-finanziario) in un preteso inadempimento contrattuale, mentre nella realtà vi è stata solo una modifica nella strategia comunale sui parcheggi, per cui l’inadempimento è inesistente e serve solo a mascherare il cambio di strategia comunale;

3) Violazione dell’art. 17 della convenzione, degli artt. 1454 e 1456 cod. civ., dell’art. 37 septies della legge n. 109 del 1994, dell’art. 158 del d. lgs. n. 163 del 2006, dell’art. 119 del d.P.R. n. 554 del 1999, dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, nonché perplessità e contraddittorietà; violazione dell’art. 37 octies della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 159 del d. lgs. n. 163 del 2006, oltre carenza di potere ed incompetenza; in quanto, trattandosi comunque di atto negoziale ricadente nell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, l’Amministrazione poteva recedere dal contratto unilateralmente per il sopravvenire di ragioni di pubblico interesse, ma non mai dichiarare una decadenza della concessione.

L’appellante ripropone, poi, in via cautelativa, gli altri motivi di primo grado:

4) Insussistenza degli addebiti, travisamento dei fatti, violazione dell’art.. 19, comma 2 bis, della legge n. 109 del 1994, contraddittorietà, disparità di trattamento, violazione della proporzionalità e della convezione, della leale collaborazione, diligenza e buona fede e motivazione illogica e inconferente;

5) Violazione di legge ed eccesso di potere (relativamente alla nota del 2 dicembre 2009);

6) Invalidità derivata;

7) Violazione del principio di trasparenza e perplessità, violazione del contraddittorio, dell’art. 6 della legge n. 249 del 1968, violazione del principio di corrispondenza tra gli addebiti e la decadenza;

8) Incompetenza, violazione dell’art. 107 del d. lgs. n. 267 del 2000, sviamento per violazione della regola della separatezza dei compiti tra amministratori e dirigenti;

9) Violazione del procedimento e difetto di motivazione;

10) Travisamento dei fatti, contraddittorietà e illogicità manifesta, violazione delle norme della legge n. 241 del 1990 e della convenzione, carenza dei presupposti e difetto di motivazione;

11) Carenza dei presupposti, violazione del principio di corrispondenza tra diffida e decadenza, nonché travisamento dei fatti.

Intervenuta successivamente la sentenza integrale, che individua tra l’altro un grave inadempimento nel ritardo degli scavi archeologici, l’appellante formula i seguenti motivi aggiunti:

Violazione dell’art. 16 della legge n. 109 del 1994, sostituzione della motivazione, travisamento dei fatti, motivazione omessa e contraddittoria, violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ.; in quanto il ritardo negli scavi archeologici, dal che sarebbe poi dovuto essere elaborato il progetto esecutivo, non era imputabile all’appellante, la quale aveva chiesto, con l’istanza di riequilibrio del piano economico-finanziario, la modifica del progetto definitivo, che l’amministrazione non aveva mai deliberato; mentre la stessa non ha mai contestato alla concessionaria il mancato compimento degli scavi archeologici, per cui la motivazione della sentenza di primo grado ha integrato la motivazione del provvedimento impugnato;

Violazione dell’art. 4.1 della convenzione, del principio “inadimplendi non est adimplendum”, omissione di pronuncia; violazione del principio di proporzionalità e ingiustizia manifesta; Travisamento dei fatti, violazione dell’art. 7, comma 2, della convenzione; illogicità e contraddittorietà; mancando un progetto definitivo, mentre la sentenza non ha affatto motivato in ordine all’eccezione di inadempimento del Comune e ha individuato una grave situazione debitoria dell’appellante , inesistente nella pratica;

Violazione dell’art. 17 della convenzione, del principio della domanda, dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, degli artt. 37 octies della legge n. 109 del 1994 e 159 del d. lgs. 163 del 2006; nonché carenza di parere, illogicità, perplessità, e contraddittorietà della motivazione, violazione del principio di corrispondenza; avendo la sentenza frammischiato l’istituto pubblicistico della decadenza con quello privatistico della risoluzione, mentre mancava ogni potere in capo alla stessa amministrazione di pronunciare la decadenza medesima e non vi è stata alcuna diffida ad adempiere circa l’esecuzione della parte terminale degli scavi archelogici;

Omessa motivazione, violazione dell’art. 147, comma 1, del d, lgs. n. 163 del 2006, violazione del principio di corrispondenza, dell’art. 19, comma 2, della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 143, comma 8, del d. lgs. n. 163 del 2006, nonché degli artt. 33 e 10 della convenzione, oltre che illogicità, contraddittorietà, carenza dei presupposti e travisamento dei fatti; in quanto la costruzione del parcheggio per residenti (opera complementare) poteva essere affidata direttamente al concessionario, mentre la stessa sua mancata esecuzione non può certo essere considerato inadempimento del concessionario;

Sviamento, violazione degli artt. 10 bis e 11 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 19, comma 2 bis, della legge n. 109 del 1994, omessa pronuncia e contraddittorietà; per avere l’amministrazione concluso il procedimento di riequilibrio con una provvedimento di decadenza, senza neanche preavvertire la concessionaria;

Travisamento, violazione dell’art. 19, comma 2 bis della legge n. 109 del 1994, dell’art. 143 del d. lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 1453 e 1455 cod. civ. e degli artt. 3.3. e 10 della convenzione, nonché contraddittorietà, travisamento dei fatti e sviamento; in quanto la richiesta di riequilibrio finanziario da parte del concessionario non poteva trasformarsi in un inadempimento (peraltro grave);

Travisamento dei fatti, violazione dell’art. 19, comma 2 bis della legge n. 109 del 1994, contraddittorietà, disparità di trattamento, violazione del principio di proporzionalità e della convenzione, del principio di leale collaborazione, diligenza e buona fede e motivazione illogica e inconferente, oltre che omessa pronuncia; per non essere stata esaminata la domanda di riequilibrio finanziario, considerata inaccoglibile nella sostanza e trasformata in inadempimento, mentre sulla pronuncia vi è omissione di esame da parte del primo giudice;

Interpretazione errata, travisamento della diffida e violazione del principio di corrispondenza, violazione dell’art. 17, comma 2, della convenzione; in quanto la diffida del Comune di Milano non si riferisce affatto agli scavi archeologi;

Sviamento; poiché con la decadenza il Comune ha inteso liberarsi di una convenzione non più gradita.

Il Comune di Milano si costituisce in giudizio e si oppone all’appello, chiedendone la reiezione.

Rileva sul punto che il concessionario del “project financing” ha richiesto il riequilibrio del piano finanziario, senza dare la dimostrazione dei maggiori costi, modificando integralmente le condizioni dell’originaria concessione in più punti rilevanti e individuando un lotto due in aggiunta a quello originario con 372 posti di parcheggio per residenti, e abbandonando il cantiere, che diveniva una discarica a cielo aperto.

Il medesimo Comune, in una prima memoria, tesa a contrastare la richiesta della misura cautelare, eccepisce la mancata notificazione del ricorso di primo grado alla Sovrintendenza archeologica, nonché le gravi inadempienze del concessionario nel non terminare gli scavi archeologici, nel richiedere un adeguamento del piano economico-finanziario totalmente immotivato e nello stravolgere il progetto originario, con la individuazione di un secondo lotto destinato a parcheggio per residenti.

Successivamente, il Comune di Milano presenta una più articolata memoria illustrativa, nella quale ribadisce le inadempienze del concessionario, la inevitabilità del provvedimento assunto e la correttezza della sentenza appellata.

Anche il concessionario presenta una memoria illustrativa, nella quale contesta le affermazioni comunali ed evidenzia la situazione del cantiere, anche dopo la sentenza di primo grado, insistendo per l’accoglimento dell’appello.

La causa, previa discussione orale delle parti, passa in decisione alla pubblica udienza del 26 ottobre 2010.

 

DIRITTO

Preliminarmente, va rigettata l’eccezione dell’Amministrazione comunale in ordine alla mancata notificazione del ricorso di primo grado alla Sovrintendenza archeologica, in quanto, nella specie, la risoluzione della convenzione, conseguente alla decadenza dalla concessione, non poteva certo investire gli interessi della Sovrintendenza archeologica, né il mancato compimento degli scavi archeologici, strumentale all’esecuzione dell’opera pubblica (parcheggio a rotazione), può far sopravvenire un controinteresse della medesima Sovrintendenza, in quanto, come si è prima indicato, gli scavi archeologici erano solo un presupposto strumentale per l’esecuzione dell’opera pubblica.

L’appello, nel merito, è fondato con riferimento alle considerazioni di cui alla presente motivazione, come appresso specificamente indicate.

Prima di scendere nel particolare, va rilevato, come risulta peraltro abbondantemente dalla precedente narrativa, che nella specie si era in presenza di una concessione di costruzione e di gestione, conseguente ad una procedura di “project financing”, esperita dal Comune di Milano e conclusasi favorevolmente a favore del soggetto appellante.

Ora, come è evidente, il meccanismo che caratterizza l’istituto del progetto di finanza, come specificamente indicato negli artt. 37 bis e seguenti dell’allora vigente legge n. 109 del 1994 e successive modificazioni, prevede due distinte fasi: una fase pubblicistica per la scelta del promotore, che si conclude con l’affidamento della concessione al soggetto vincitore dell’apposita sequenza di evidenza pubblica, e una successiva fase di natura prettamente privatistica, per la quale viene sottoscritta una convenzione con la quale si stabiliscono, per l’esecuzione delle attività di cui alla concessione, una serie di contrapposte obbligazioni e dove si individuano le ragioni (e il relativo procedimento) per contestare inadempimenti, per diffidare all’esecuzione di prestazioni e anche per dare corso alla eventuale risoluzione della convenzione, qualora gli inadempimenti siano così gravi da non poter essere considerati superabili con l’applicazione delle altre misure.

Sulla base di questa premessa di fatto, che poi costituisce la base su cui è costruita la fattispecie che successivamente è sfociata nel contenzioso giudiziario, al momento da decidere da parte del Collegio, si individuano le conseguenze necessitate della stessa.

E cioè: le due serie vanno tenute rigorosamente distinte, per cui, qualora si dovessero individuare vizi nel procedimento che ha condotto all’aggiudicazione della concessione, per mezzo di “project financing”, al concessionario, indubbiamente soccorrono tutti i mezzi tipici per poter procedere in autotutela da parte dell’Amministrazione al fine di caducare l’aggiudicazione, con la conseguenza del venir meno anche della successiva ed adesiva convenzione, che non ha una sua autonomia propria, ma trae la sua esistenza dall’esistenza della concessione, mentre, qualora si verifichino inadempimenti della convenzione, senza che essi tocchino in qualche modo la precedente concessione e il relativo procedimento, questi inadempimenti possono colpire esclusivamente la convenzione, nella misura che si riterrà, a seconda delle circostanze, potendo quindi anche arrivare alla risoluzione della stessa convenzione, sulla base evidentemente delle norme inserite nella convenzione stessa, che prevedono la reazione delle parti allorquando l’inadempimento risulti verificato, contestato e non sanabile in qualche modo, sempre secondo le specifiche indicazioni della convenzione stessa.

E’ fuori discussione, naturalmente, che qualora si proceda alla risoluzione della convenzione per intervenuto inadempimento, che la concessione risulta priva dello sbocco suo tipico, per cui la stessa, pur corretta, da un punto di vista pubblicistico, non ha più possibilità di essere eseguita e, da qui, la conseguenza della sua inefficacia in con creto.

Il Comune di Milano ha invece proceduto invertendo la serie di atti ed operando in senso esattamente contrario: verificato l’inadempimento, sulla cui gravità non si ritiene in questa sede di doversi intrattenere, esulando il medesimo dalle ragioni della decisione, in luogo di procedere alla risoluzione del contratto nei modi previsti dalla convenzione e secondo le regole inserite nella stessa, ha tratto la conclusione della decadenza dall’aggiudicazione della concessione, che invece era stata legittimamente disposta, utilizzando poteri di autotutela che dovevano e non potevano che riferirsi alla fase pubblicistica, e, poi, da ciò ha tratto la conclusione della risoluzione del contratto.

Ora, non è chi non veda, come il provvedimento comunale sia stato illegittimamente disposto; l’autotutela non poteva essere esercitata in ragione del fatto che la stessa può colpire solo provvedimenti amministrativi, allorquando questi siano viziati, mentre nella specie non si era in presenza di un illegittimo affidamento a seguito di “project financing”, ma si era invece in presenza di un ritenuto grave inadempimento che non poteva essere sanzionato con un provvedimento in autotutela, ma doveva essere esaminato alla luce della normativa convenzionale, procedendo, se del caso, anche alla risoluzione della convenzione, con le conseguenze che prima si sono indicate.

L’appello va, conseguentemente, accolto con riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale impugnata, salvi, naturalmente, gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione riterrà di adottare.

Le spese di giudizio del doppio grado, in ragione della evidente complessità della fattispecie, possono, peraltro, essere integralmente compensate fra le parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. V), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

accoglie l ‘appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

*******************, Presidente

***********************, Consigliere

Aldo Scola, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Eugenio Mele, ***********, Estensore

 

L’ESTENSORE                IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/12/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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