L’autonomia dell’azione di richiesta danni rispetto all’annullamento dell’atto presunto illegittimo (TAR Sent. N.01097/2012)

Lazzini Sonia 14/10/12
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Dagli atti di causa non emerge la sicura illegittimità del provvedimento di sospensione.

Tanto assume rilievo dirimente ai fini del presente giudizio in quanto conduce all’accertamento negativo del primo, indefettibile elemento costitutivo della fattispecie di illecito dedotta dal ricorrente (quello appunto della condotta illegittima), con conseguente reiezione della pretesa risarcitoria azionata in giudizio

la questione della pregiudizialità della domanda di annullamento dell’atto illegittimo rispetto all’azione di risarcimento del danno, già ritenuta superata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. ordd. 13659, 13660 e 13911 del 13.6.2006), è ora disciplinata dal codice del processo amministrativo,

che, all’art. 30, espressamente prevede la proponibilità in via autonoma dell’azione di condanna al risarcimento del danno entro il termine di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.

Pur non essendo detta disposizione applicabile direttamente ad una fattispecie risalente ad epoca anteriore alla sua entrata in vigore (16 settembre 2010), seguendo l’indirizzo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato espresso nella decisione 23.3.2011, n. 3, occorre fare applicazione dei medesimi principi – ad eccezione del termine di decadenza, evidentemente inapplicabile ratione temporis – anche alla presente controversia, in quanto i suddetti principi, per le considerazioni sopra espresse, non possono essere ritenuti estranei al quadro normativo precedente all’entrata in vigore del codice.

Com’è noto, è pacifico in giurisprudenza che la domanda di risarcimento dei danni è, anche nel processo amministrativo, regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 Cod. civ., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve indicare e provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. (ex multis Cons. Stato, V, 28 febbraio 2011, n. 1271; VI, 8 luglio 2010, n. 4438). Grava, quindi, sul danneggiato l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (condotta illegittima, danno, nesso causale e colpa).

Ai suddetti fini viene, anzitutto, in rilievo il profilo della (asserita) antigiuridicità della complessiva azione tenuta dall’Amministrazione intimata, la cui rilevanza ai fini risarcitori andrebbe colta, secondo il ricorrente, negli snodi di seguito indicati:

a) illegittimità del provvedimento di sospensione dal servizio adottato in modo acritico a distanza di due anni dall’avvio del procedimento penale;

b) reiezione immotivata delle domande di reintegra con applicazione della misura cautelare sino allo spirare del termine massimo;

c) trasferimento per incompatibilità ambientale a distanza di soli due mesi dalla sua riammissione in servizio;

d) apertura del procedimento disciplinare nonostante l’intervenuto proscioglimento per gli stessi fatti già acclarati “non costituenti reato” dal giudice penale.

dagli atti di causa non emerge la sicura illegittimità del provvedimento di sospensione.

(…)

Esaurita la disamina dei singoli episodi allegati dal ricorrente a sostegno della spiegata pretesa risarcitoria, e di cui è rimasta indimostrata la denunciata illegittimità, occorre ora recuperare una visione di insieme, onde appurare se tali condotte, sebbene singolarmente legittime, assumano – ove unitariamente considerate – connotazione illecita siccome espressione di un comportamento ispirato da finalità persecutorie.

Sul punto, è sufficiente notare che nessun elemento consente di inferire dalle acquisite risultanze processuali, attentamente scrutinate dal Collegio, l’esistenza di un più ampio disegno ordito dall’Amministrazione intimata per coltivare illecite finalità vessatorie.

Sentenza collegata

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