L’ampliamento degli interventi edilizi di manutenzione straordinaria secondo il decreto-legge “Sblocca Italia”

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Sommario: 1. La definizione degli interventi edilizi di manutenzione straordinaria prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 133/2014. –  2. Segnali di crisi del concetto consolidato di manutenzione straordinaria. – 3. Il decreto-legge n. 133/2014 e la nuova definizione degli interventi edilizi di manutenzione straordinaria. – 4. La restrizione degli interventi di ristrutturazione edilizia assoggettati al permesso di costruire. – 5. La manutenzione straordinaria e il mantenimento della destinazione d’uso originaria. – 6. La parziale onerosità del contributo di costruzione per gli interventi di manutenzione straordinaria. – 7. La manutenzione straordinaria e l’indifferenza per un ordinato sviluppo del carico urbanistico. –  8. La comunicazione di inizio dei lavori di manutenzione straordinaria.

 

1. La definizione degli interventi edilizi di manutenzione straordinaria prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 133/2014. – La definizione era stata introdotta nella legislazione statale dalla legge 5 agosto 1978, n. 457 “Norme per l’edilizia residenziale” che, all’art. 31, comma 1, lettera b),  così caratterizzava gli interventi di manutenzione straordinaria: “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso”.

Dal 1978 la definizione era giunta pressoché intatta fino al 13 settembre 2014, data di entrata in vigore del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (“Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive” detto anche decreto “Sblocca Italia” e ancora da convertire in legge).

Il testo unico dell’edilizia, di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e le numerose successive modificazioni, avevano conservato un art. 3 che, al comma 1, lettera b), definiva gli interventi di manutenzione straordinaria ripetendo le identiche parole della legge n. 457/1978.

Una definizione sostanzialmente perdurata per 36 anni è un risultato notevole di fronte ad una legislazione irrequieta e turbolenta come la nostra. Si poteva parlare, a ragione, di una vera e propria concettualizzazione degli interventi di manutenzione straordinaria.

Più in generale – va anche ricordato – il citato art. 31 definiva gli interventi di recupero edilizio, impiegando la molto utile e apprezzata distinzione in: a) manutenzione ordinaria, b) manutenzione straordinaria, c) restauro e risanamento conservativo, d) ristrutturazione edilizia, e) ristrutturazione urbanistica.

La distinzione aveva avuto successo ed era stata ampiamente recepita non soltanto nella legislazione successiva, sia statale che regionale, ma era stata approfondita ed utilizzata dagli strumenti urbanistici comunali e sovracomunali e dai regolamenti edilizi, anche perché il comma 2 del suddetto art. 31 aveva disposto: “Le definizioni del presente articolo prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”. L’identica prevalenza era stata confermata dall’art. 3, comma 2, del testo unico dell’edilizia.

Va segnalato inoltre, altro sintomo del successo della distinzione, che essa era stata estesa dagli interventi edilizi di recupero residenziale a qualsiasi tipo di intervento edilizio.

Tornando alla manutenzione straordinaria, anche la giurisprudenza aveva apprezzato la definizione e il suo consolidamento nel tempo. E’ sufficiente citare, tra le sentenze più recenti, che arrivano quasi alle soglie del decreto-legge n. 133/2014: T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 15 settembre 2014, n. 4925, che sottolinea, richiamando e citando la costante giurisprudenza, come i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 18 ottobre 2002 n. 5775; Consiglio di Stato, Sez. V, 23 maggio 2000 n. 2988), siano incompatibili con il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio e con un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile. Questi ultimi interventi, compresi quelli che comportino un aumento delle unità immobiliari o modifiche delle superfici ricadono nelle previsioni dell’art. 10, comma 1, del testo unico dell’edilizia e vanno qualificati come interventi di ristrutturazione edilizia subordinati al rilascio del permesso di costruire.

Parimenti per Consiglio di Stato, Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4523: si è formato un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo per discostarsi, secondo cui gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi non si configurano come manutenzione straordinaria (né come restauro o risanamento conservativo), ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 10, comma 1, del testo unico dell’edilizia (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1551), ravvisabile nella modificazione della distribuzione della superficie interna e dei volumi e dell’ordine in cui sono disposte le diverse porzioni dell’edificio anche per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente: anche in questi casi si configura il rinnovo di elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e risanamento conservativo, che invece presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1326; Consiglio di Stato, Sez. V, 18 ottobre 2002, n. 5775; Consiglio di Stato, Sez. V, 23 maggio 2000, n. 2988).

Come è agevole notare, le sentenze esaminate, facendo eco al concetto legale, affermano che non possono essere qualificati interventi edilizi di manutenzione straordinaria quelli che alterano, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportano l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi. In questi casi si tratta di interventi che non rientrano nel concetto di manutenzione straordinaria, delineato dal testo unico dell’edilizia, ma ricadono nella disciplina di quelle ristrutturazioni edilizie che richiedono necessariamente il rilascio del permesso di costruire.

 

2. Segnali di crisi del concetto consolidato di manutenzione straordinaria. – Tuttavia, occorre aggiungere – e si tratta di un parziale preavviso del futuro mutamento di indirizzo legislativo che sarà realizzato dal decreto-legge n. 133/2014 – la seconda sentenza citata (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4523/2014), accenna pure alla circostanza che è stato considerato come manutenzione straordinaria (e non quale ristrutturazione edilizia) l’intervento volto ad ampliare un’attività commerciale, già in precedente esercitata, mediante il semplice spostamento interno di tramezzi, idoneo a realizzare una differente ripartizione interna dei locali (con rilascio gratuito del relativo titolo autorizzatorio, Consiglio di Stato, Sez. V, 19 luglio 2005, n. 3827).

In sostanza, un’alterazione delle superfici delle unità immobiliari, pur fuoriuscendo dai confini della manutenzione straordinaria, è stata ugualmente fatta rientrare in quel concetto. Ad avviso della sentenza n. 3827/2005 del Consiglio di Stato: le opere realizzate, nella fattispecie sottoposta al suo esame, hanno comportato semplicemente – senza intaccare alcuna struttura portante dell’edificio – una parziale differente distribuzione degli spazi interni relativi ai singoli locali in vista di una loro parziale rinnovazione anche di tipo tecnologico, sicché le stesse appaiono pienamente riconducibili alla tipologia di opere proprie della manutenzione straordinaria.

Nel paragrafo precedente abbiamo rilevato che la definizione di manutenzione straordinaria, formulata nel 1978, era giunta pressoché intatta fino al 2014, fino al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133. Infatti, bisogna fare cenno ad un sicuro precedente legislativo del futuro mutamento del concetto di manutenzione straordinaria, verificatosi nel 2010, che ha consentito espressamente l’esecuzione degli interventi di manutenzione straordinaria, compresi l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, purché non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici. In sostanza, a quasi cinque anni di distanza, la legislazione recepisce e fa proprio l’orientamento espresso nella citata sentenza n. 3827/2005.

In tal senso è formulato l’art. 5, comma 2, lettera a, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, che include nella manutenzione straordinaria l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, quindi una alterazione delle superfici delle unità immobiliari, a condizione che non venga aumentato il numero delle unità immobiliari. Inoltre, la disposizione non richiede alcun titolo abilitativo per la esecuzione di siffatti lavori, ma reputa sufficiente una previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale.

La disposizione sarà ulteriormente ampliata nei suoi confini dal decreto-legge “Sblocca Italia”.

Infine forti segnali di crisi del concetto consolidato di manutenzione straordinaria erano apparsi nella normativa di alcune Regioni.

Ad esempio, una delibera della Giunta regionale della Lombardia 25 settembre 1998, n. 6/38573: Criteri ed indirizzi generali per la predisposizione dei regolamenti edilizi comunali, presentava (nell’allegato A) un art. 1.2, in base al quale “sono comprese nella manutenzione straordina­ria le opere di modifica dell’assetto distributivo di singole attività immobiliari e anche le opere che comportino l’aggregazione o la suddivisione di unità immobiliari purché non alterino l’impianto distributivo complessivo dell’edificio e non interessino parti comuni”.

Successivamente, la legge regionale Lombardia 11 marzo 2005, n. 12: “Legge per il governo del territorio”, all’art. 27, comma 1, lettera b), ha definito gli interventi di manutenzione straordinaria nei seguenti termini: “le opere e le modifiche riguardanti il consolidamento, il rinnovamento e la sostituzione di parti anche strutturali degli edifici, la realizzazione ed integrazione dei servizi igienico-sanitari e tecnologici, nonché le modificazioni dell’assetto distributivo di singole unità immobiliari. Sono di manutenzione straordinaria anche gli interventi che comportino la trasformazione di una singola unità immobiliare in due o più unità immobiliari, o l’aggregazione di due o più unità immobiliari in una unità immobiliare”.

In maniera analoga, la legge regionale Veneto 10 agosto 2012, n. 34, con l’art. 1, ha disposto modifiche all’art. 76 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 “Norme per l’assetto e l’uso del territorio”, con l’inserimento nella nozione di manutenzione straordinaria degli interventi che “comportino la trasformazione di una singola unità immobiliare in due o più unità immobiliari o l’aggregazione di due o più unità immobiliari in una unità immobiliare, purché l’unità immobiliare sulla quale si interviene abbia e mantenga la destinazione d’uso residenziale e le opere non interessino parti comuni dell’edificio”.

Per qualche aspetto ha contribuito a porre in evidenza la crisi del concetto consolidato di manutenzione straordinaria anche la legge regionale dell’Emilia-Romagna 30 luglio 2013, n. 15 “Semplificazione della disciplina edilizia”. L’art. 32 di questa legge ha sollevato un problema in tema di frazionamento delle unità immobiliari, successivamente risolto con delibera della Giunta regionale n. 75 del 27 gennaio 2014, secondo cui il frazionamento si colloca in uno spazio intermedio tra la manutenzione straordinaria e la ristrutturazione edilizia, non potendo identificarsi con alcuno dei due tipi di interventi edilizi (è appena il caso di segnalare che tale soluzione non sarebbe stata condivisa dalla prevalente giurisprudenza citata nel paragrafo 1, che avrebbe inquadrato il frazionamento nell’ambito della ristrutturazione edilizia. Invece, il decreto-legge n. 133/2014 dilaterà il concetto di manutenzione straordinaria per accogliervi sia i frazionamenti sia gli accorpamenti delle unità immobiliari).

I diversi segnali di crisi che abbiamo ricordato mostravano chiaramente l’insorgenza di orientamenti che mal sopportavano il consolidato concetto di manutenzione straordinaria, laddove comportava il divieto di alterazione delle superfici delle singole unità immobiliari.

 

3. Il decreto-legge n. 133/2014 e la nuova definizione degli interventi edilizi di manutenzione straordinaria. – L’art. 17, comma 1, lettera a), del decreto-legge “Sblocca Italia” modifica in maniera incisiva la definizione degli interventi di manutenzione straordinaria, innovando l’art. 3, comma 1, lettera b), del testo unico dell’edilizia (di cui al D.P.R. 380/2001). La definizione, attualmente, risulta così rielaborata: sono “interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso”.

Mentre la disposizione legislativa precedente imponeva di non alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari, attualmente viene fissato il divieto di non alterare la volumetria complessiva degli edifici. Inoltre, vengono inclusi nella definizione degli interventi di manutenzione straordinaria i frazionamenti e gli accorpamenti delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se essi comportano la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, purché non venga modificata la volumetria complessiva degli edifici e resti ferma l’originaria destinazione d’uso.

In sostanza i limiti che non possono essere valicati dalla innovata manutenzione straordinaria sono due: la volumetria complessiva degli edifici e la destinazione d’uso originaria (v. paragrafo 5). Invece, diventa possibile alterare le superfici delle singole unità immobiliari anche a mezzo di frazionamenti e accorpamenti e diventa ammissibile la variazione del carico urbanistico (v. paragrafo 7).

Alla nuova definizione degli interventi è opportuno aggiungere quelli previsti dall’art. 6, comma 2, lettera a), del testo unico dell’edilizia (innovato dall’art. 17, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 133/2014), che include nella manutenzione straordinaria l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, purché non riguardino le parti strutturali dell’edificio.

A prima vista si potrebbe ritenere che la nuova definizione – quando si riferisce al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico – debba necessariamente comprendere nuove porte interne e spostamento di pareti ma, approfondendo un po’ di più la questione, risulta essenziale la precisazione che porte e pareti non devono coinvolgere le parti strutturali dell’edificio.

Invece, è da ritenere assimilata alla manutenzione straordinaria, ma pur sempre distinta da essa, la previsione dell’art. 6, comma 2, lettera e-bis), del testo unico dell’edilizia, (pure essa innovata dall’art. 17, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 133/2014), vale a dire “le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio d’impresa”.

L’assimilazione è determinata da due considerazioni: da un lato, sono previste, analogamente alla manutenzione straordinaria, modifiche interne alle superfici coperte dei fabbricati adibiti ad attività imprenditoriali, distinguendosi però per quanto riguarda il mutamento della destinazione d’uso, che non è consentito nella manutenzione straordinaria; dall’altro lato gli interventi di cui all’art. 6, comma 2, tanto alla lettera a), quanto alla lettera e-bis), sono assoggettati allo stesso regime di comunicazione asseverata di inizio dei lavori da presentare all’amministrazione comunale.

 

4. La restrizione degli interventi di ristrutturazione edilizia assoggettati al permesso di costruire. – L’ampliamento degli interventi di manutenzione straordinaria, che ora comprendono anche lavori in passato considerati di ristrutturazione edilizia, ha comportato necessariamente la modificazione, in senso restrittivo, degli interventi di ristrutturazione edilizia subordinati al rilascio del permesso di costruire disciplinati dall’art. 10 del testo unico dell’edilizia.

In precedenza alcuni interventi legislativi avevano già modificato il suddetto art. 10, adesso l’art. 17, comma 1, lettera d), del decreto-legge “Sblocca Italia” elimina ogni riferimento (nell’ambito della ristrutturazione edilizia) all’aumento delle unità immobiliari, alle modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici dei singoli edifici, proprio perché detti interventi sono trasmigrati nella manutenzione straordinaria.

 

5. La manutenzione straordinaria e il mantenimento della destinazione d’uso originaria.  – La definizione di manutenzione straordinaria non ha mai tollerato il mutamento della destinazione d’uso dei fabbricati oggetto di intervento. L’esclusione del cambio di destinazione era già presente nell’art. 31 della legge 457/1978, nell’art. 3 del testo unico dell’edilizia e successive modificazioni e persiste ancora oggi con il decreto-legge “Sblocca Italia”.

Tuttavia, quest’ultimo inserisce – con il suo art. 17, comma 1, lettera n – nel testo unico dell’edilizia un art. 23-ter, avente ad oggetto il mutamento d’uso urbanisticamente rilevante.

In base al nuovo art. 23-ter, fatte salve  le diverse disposizioni che possono essere contenute nelle leggi regionali, il mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante consiste in qualsiasi forma di utilizzazione di un immobile o di una singola unità immobiliare diversa da quella originaria  e tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra le seguenti: a) residenziale e turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.

Vengono qualificati urbanisticamente rilevanti siffatti mutamenti di destinazione d’uso anche quando non sono accompagnati dall’esecuzione di opere edilizie. Sul punto la norma risulta sbrigativamente formulata e – se non sopravvengono modifiche in sede di conversione in legge – la rilevanza del mutamento di destinazione d’uso senza opere farà sorgere parecchi interrogativi.

Ad esempio, in caso di morte dell’imprenditore agricolo, gli eredi abitanti nella stessa unità immobiliare del defunto, dovranno svolgere attività agricola oppure si dovrà ritenere che vi è il passaggio urbanisticamente rilevante dalla destinazione rurale a quella residenziale?

La destinazione residenziale appaiata alla destinazione turistico-ricettiva sotto l’identica lettera a) potrebbe far ritenere che l’albergatore che fraziona un hotel in più appartamenti residenziali non effettua un mutamento urbanisticamente rilevante.

Fino all’attuale decreto-legge, la legislazione faceva riferimento alla destinazione d’uso agricola, mentre ora appare il più arcaico termine, anche sotto il profilo delle attività svolte, di “rurale”. Il cambiamento di terminologia ha degli effetti sostanziali? 

Rispetto alla scelta effettuata, consistente nel considerare urbanisticamente rilevanti i suddetti mutamenti di destinazione d’uso anche se non accompagnati dall’esecuzione di opere edilizie, appare di gran lunga migliore la soluzione condivisa dalla giurisprudenza prevalente,  orientata nel senso dell’onerosità per il mutamento di destinazione d’uso senza opere ogniqualvolta esso determini un aumento del carico urbanistico e quindi degli standard urbanistici.

Di notevole importanza anche il comma 3 del nuovo art. 23-ter, ai sensi del quale “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”.

Pertanto, bisogna ritenere che anche la manutenzione straordinaria può comportare mutamenti di destinazione d’uso purché siano mantenuti nell’ambito della stessa categoria funzionale, senza assurgere al rango di mutamenti urbanisticamente rilevante. Ciò ovviamente salva diversa e più restrittiva disposizione contenuta nelle leggi regionali o negli strumenti urbanistici comunali.

 

6. La parziale onerosità del contributo di costruzione per gli interventi di manutenzione straordinaria. – Normalmente il contributo di costruzione è articolato in due parti: la prima commisurata all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e la seconda al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nell’art. 16 del testo unico dell’edilizia e successive modificazioni, comprese quelle introdotte dal decreto-legge “Sblocca Italia”.

Invece, per gli interventi di manutenzione straordinaria, l’art. 17, comma 4, del testo unico dell’edilizia, modificato dall’art. 17, comma 1, lettera h), del decreto-legge in esame, stabilisce che il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, quindi non va calcolata la parte di contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione.

Questo è l’unico dato chiaro della nuova disposizione che, per il resto, risulta formulata in modo molto sbrigativo e sicuramente – salvo modificazioni in sede di conversione in legge – sarà all’origine di parecchi interrogativi. Infatti, ls disposizione in esame rende parzialmente onerosi  “gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 6, comma 2, lettera a)” del testo unico dell’edilizia. Quest’ultima a sua volta contempla “gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne”.

Tale essendo la situazione, l’interpretazione letterale della norma condurrebbe al risultato che qualsiasi intervento di manutenzione straordinaria dovrebbe essere assoggettato al contributo di costruzione, mentre prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 133/2014 la grandissima maggioranza delle opere di manutenzione straordinaria non comportava l’onere contributivo.

L’interpretazione letterale culminerebbe in un esito del tutto contrario a quello voluto dal legislatore consistente nella semplificazione e nella incentivazione delle opere di manutenzione straordinaria.

Più realisticamente, la nuova disposizione ha inteso assoggettare a contributo di costruzione non tutte le manutenzioni straordinarie, ma soltanto i frazionamenti e gli accorpamenti. Però, se non intervengono modifiche in sede di conversione in legge, sarà difficilissimo sostenere una tesi contraria alla formulazione letterale della norma.

 

7. La manutenzione straordinaria e l’indifferenza per un ordinato sviluppo del carico urbanistico. –  Nel paragrafo 3 si è visto che la manutenzione straordinaria può comportare variazioni del carico urbanistico. In questo modo esordisce per la prima volta nella legislazione statale la nozione di “carico urbanistico”, dopo essere stata utilizzata ampiamente dalla legislazione regionale.

Il debutto di questa nozione nella legislazione statale non è fra i migliori possibili: i frazionamenti e gli accorpamenti possono tranquillamente comportare una variazione del carico urbanistico senza alcun limite.

Per comprendere meglio che cosa si intende con “carico urbanistico”, possiamo avvalerci della giurisprudenza che, finora, aveva avuto cura della sua tutela.

Cassazione penale, Sez. III, 27 novembre 2012, n. 11544 afferma quanto segue: la nozione di “carico urbanistico” deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti del diritto urbanistico, tra i quali: a) gli standard urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che richiedono l’inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) la sottoposizione a concessione [oggi a permesso di costruire] e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) il parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione.

Pure i giudici amministrativi pongono in evidenza che il carico urbanistico comporta un adeguamento degli standard urbanistici (in tal senso, tra le tante sentenze: T.A.R. Liguria, Sez. I, 7 febbraio 2011, n. 243; Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3381), vale a dire degli spazi riservati alle attività collettive, al verde pubblico e ai parcheggi.

La citata sentenza del Consiglio di Stato n. 3381/2012 sottolinea la necessità di preservare la potestà programmatoria nonché l’effettivo controllo del territorio di competenza delle amministrazioni comunali, al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibile con le esigenze di finanza pubblica.

Tanto premesso, non si può fare a meno di osservare che, la nuova definizione della manutenzione straordinaria (v. paragrafo 3) comprende frazionamenti o accorpamenti delle unità immobiliari anche se comportanti la variazione del carico urbanistico. Pertanto, un elevato numero di frazionamenti in una determinata zona dei territori comunali condurrà ad evidenti forzature del carico urbanistico senza che i Comuni possano impedirlo. E’ vero che la manutenzione straordinaria (v. paragrafo 6) è onerosa e comporta il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza delle opere di urbanizzazione, però è anche vero che il contributo è calcolato, molto spesso, in importi del tutto insufficienti rispetto ai costi effettivi delle urbanizzazioni e, soprattutto, che i Comuni sono in gravissima crisi economica e finanziaria e non sono vincolati a spendere per maggiori opere di urbanizzazione le somme introitate a titolo di contributi di costruzione per la realizzazione delle urbanizzazioni Inoltre, non sempre è possibile in determinate aree, quelle più urbanizzate, realizzare ulteriori spazi da destinare al verde pubblico, alle attività collettive e ai parcheggi.

 

8. La comunicazione di inizio dei lavori di manutenzione straordinaria. – L’art. 6 del testo unico dell’edilizia, già modificato da leggi precedenti, subisce ora parecchie modifiche ad opera dell’art. 17 del decreto-legge “Sblocca Italia”.

In particolare, per quanto interessa in questa sede, gli interventi di manutenzione straordinaria, compresi i frazionamenti e gli accorpamenti delle unità immobiliari, possono essere eseguiti senza necessità di titoli abilitativi edilizi (non sono necessari il permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio attività) ma è sufficiente che il soggetto interessato trasmetta all’amministrazione comunale una comunicazione anche telematica dell’inizio dei lavori.

La comunicazione deve essere asseverata da un tecnico abilitato che, sotto la propria responsabilità, attesti la conformità dei lavori rispetto agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, e che i lavori stessi non interessano le parti strutturali dell’edificio. La comunicazione deve, inoltre, contenere i dati identificativi dell’impresa che realizzerà gli interventi.

La nuova disposizione, a differenza della previgente, non richiede più la presentazione degli elaborati progettuali e tale omissione, se attuata nella pratica, renderà quasi impossibile il controllo degli uffici comunali sulle opere da realizzare.

La comunicazione di inizio dei lavori è valida anche ai fini dell’aggiornamento catastale ed è tempestivamente inoltrata da parte dell’amministrazione comunale ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate.

La mancata comunicazione dell’inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 258 euro, ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione.

 

Fabrizio Lorenzotti , Professore di Diritto amministrativo, Università di Camerino – Giurisprudenza

 

Lorenzotti Fabrizio

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