Le Commissioni tributarie non devono fare cassa ma risolvere con competenza, equilibrio e serenità, senza pregiudizi, le controversie fiscali che insorgono tra il fisco ed i contribuenti, non solo nel rispetto delle norme ma anche nella corretta interpretazione giuridica delle stesse.
Il concetto di cui sopra è logico e naturale, in quanto un organo giurisdizionale (e tali sono le Commissioni tributarie) non solo deve essere, ma anche “apparire”, terzo ed imparziale nella definizione delle controversie tributarie e non ci deve essere alcun sospetto che le sentenze debbano tendere a fare cassa, nell’unico interesse del fisco, che è una delle parti in causa.
Eppure, questi elementari e chiari concetti, oggi, sono totalmente messi in discussione con la recente manovra economica che, tra le varie disposizioni, vuole riordinare (peraltro parzialmente) la giustizia tributaria con l’art. 39 del decreto legge appena firmato dal Presidente della Repubblica e che nei prossimi giorni dovrà essere approvato dal Parlamento.
La suddetta riforma mette seriamente in pericolo i principi di autonomia ed indipendenza della Magistratura tributaria e ne travolge l’attuale assetto in modo irrazionale ed incostituzionale.
In definitiva, la suddetta disposizione vuole rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari nonché incrementare notevolmente la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in servizio o a riposo.
Di conseguenza, il legislatore, al fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altresì imparzialità (!) e terzietà (!) del corpo giudicante, con il succitato art. 39, ha disposto che rientrano tra le cause assolute di incompatibilità ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992:
1) le iscrizioni in albi professionali, elenchi e ruoli indicati nell’art. 12 del D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, nonché il personale dipendente di cui al succitato art. 12; ciò indipendentemente dalla preventiva indagine sull’attività esercitata in materia fiscale (con possibili future eccezioni di incostituzionalità per irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 della Costituzione);
2) l’esercizio in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, della consulenza tributaria, della tenuta delle scritture contabili e della redazione dei bilanci, nonché l’attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori;
3) i rapporti di coniugio, di convivenza (con quali prove?), di parentela fino al terzo grado o di affinità in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali (vedi n. 1) ovvero esercitano le attività individuate al n. 2 nella regione e nelle province e regioni confinanti con la predetta regione dove hanno sede le Commissioni tributarie provinciali (per i giudici di primo grado) e le Commissioni tributarie regionali (per i giudici di appello).
I giudici tributari che alla data di entrata in vigore del citato decreto legge versano nelle condizioni di incompatibilità devono comunicare la cessazione delle cause di incompatibilità entro il 31 dicembre 2011 al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, nonché alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.
In caso di mancata rimozione nel termine predetto delle cause di incompatibilità, i giudici tributari decadono automaticamente, con paralisi assoluta delle Commissioni tributarie.
Infine, per completare il riordino (parziale) della giustizia tributaria, il legislatore, sempre con il succitato art. 39, ha previsto:
a) un concorso per 960 posti presso le Commissioni tributarie, riservato, però, ai soli magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ed agli avvocati e procuratori dello Stato in servizio ed a riposo; tutti i suddetti soggetti,però, non devono prestare già servizio presso le predette Commissioni tributarie;
b) i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie entro il periodo d’imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 11 del T.U. II.DD. (DPR n. 917 del 22 dicembre 1986), e non saranno più tassati separatamente.
A questo punto, l’opera di smantellamento e paralisi delle Commissioni tributarie è completato, così come di seguito esposto.
A) Tutti i professionisti iscritti agli Albi vengono categoricamente esclusi, con grave perdita delle professionalità giuridiche ed economiche necessarie per decidere, con equilibrio e competenza, delicate e complesse questioni fiscali (con possibili vizi di incostituzionalità già segnalati).
B) Rischiano tutti gli altri componenti che hanno parenti nella regione, iscritti in albi non necessariamente collegati con le problematiche fiscali.
La norma sulle incompatibilità per i magistrati tributari non ha riscontro in nessun’altra magistratura. Un giudice ordinario, infatti, può essere Presidente del Tribunale in cui magari il figlio, per materie diverse da quelle di cui si occupa lui, svolge le funzioni di avvocato. Invece, un giudice tributario, per esempio, non può essere tale alla CTR di Roma, se suo figlio fa l’avvocato a Firenze; una diversità di trattamento che verosimilmente finirà alla Corte Costituzionale, quanto meno per irragionevolezza della normativa, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione.
C) I compensi, già miseri (€ 25 a sentenza depositata), si riducono ulteriormente, perché non più assoggettati a tassazione separata.
D) Entrano a far parte delle Commissioni tributarie gli avvocati dello Stato, anche in servizio, oltre ai magistrati contabili; in questo caso, invece, il legislatore ignora i conflitti di interesse, in quanto agli avvocati dello Stato, in particolare, è affidata la difesa dell’Agenzia delle Entrate.
E) Continuano a far parte delle Commissioni tributarie i magistrati militari che, di certo, non hanno una competenza professionale in campo fiscale superiore a quella degli avvocati e dei dottori commercialisti che, invece, il legislatore ha voluto espellere senza alcuna motivata giustificazione.
F) Possono far parte delle Commissioni tributarie gli ispettori tributari di cui alla Legge n. 146 del 24 aprile 1980 (ciò a seguito dell’abrogazione della lettera f) dell’art. 8 D.Lgs. n. 546 cit.); per assurdo, quindi, i super-ispettori del fisco possono diventare giudici tributari, ignorando il legislatore totalmente i criteri di terzietà ed imparzialità.
Infatti, gli ispettori tributari sono alle dirette dipendenze del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 9 L. n. 146 cit.) e possono persino eseguire, in via straordinaria, verifiche fiscali (art. 9, c. 1, lettere b) e c), cit.); in questo caso, anche l’apparenza della terzietà ed imparzialità va a farsi benedire.
In sostanza, la riserva di posti a favore di soggetti incardinati nell’Amministrazione, come gli avvocati dello Stato e gli ispettori del Fisco, appanna l’immagine del giudice tributario anche solo sotto il profilo dell’apparenza, in quanto rischia di sembrare agli occhi dei contribuenti condizionato nelle sue decisioni.
G) In definitiva, con le attuali modifiche, potremmo avere collegi giudicanti composti da (elencazione non esaustiva):
– magistrati militari;
– magistrati contabili;
– avvocati dello Stato in servizio;
– ispettori tributari;
– casalinghe con la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio conseguita da almeno due anni;
– ufficiali della Guardia di Finanza cessati dalla posizione di servizio permanente effettivo prestato per almeno dieci anni;
– pensionati;
– imprenditori;
– agenti di assicurazioni;
– commercianti;
– artigiani;
– docenti scolastici;
– magistrati onorari;
– giudici di pace.
Bisogna tener conto che, attualmente, la composizione delle C.T. è del 23,9% di magistrati togati e del 76,1% di giudici non togati.
H) Infine, nelle Commissioni tributarie regionali i posti da conferire saranno attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali Commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero gli avvocati dello Stato, in servizio o a riposo.
I) Di conseguenza, su un totale di 3.731 giudici tributari al 31/12/2010, circa 3.000 giudici sono a rischio di decadenza, con la possibilità (se non certezza) di una totale paralisi della giustizia tributaria per molti anni (anche perché i 960 posti a concorso sono insufficienti a compensare le perdite). Oltretutto, in base a quanto previsto dal Decreto Ministeriale dell’11 aprile 2008, l’organico dei giudici tributari dovrebbe essere pari a 4.668.
J) La paralisi delle Commissioni tributarie coincide , peraltro, con l’entrata in vigore, dall’01/10/2011, delle norme sugli accertamenti esecutivi, dove la posizione del fisco è di fatto prevalente rispetto alla posizione del contribuente, stante le inevitabili difficoltà che esso incontrerà a causa della impossibilità di vedere trattata l’istanza di sospensione nel termine dei 180 giorni previsto dalla norma, a seguito della conversione in legge del Decreto Sviluppo n. 70 del 13/05/2011.
La giustizia civile è affidata in gran parte a professionisti per i quali vige la sola incompatibilità di tipo territoriale.
Non si vede perché per il giudice tributario debbano valere regole diverse e più severe di quelle di qualsiasi altra magistratura.
Con il rischio che in futuro la giustizia tributaria sia amministrata da chi di “professione” fa la casalinga, in quanto laureata in giurisprudenza o in economia ha tutti i titoli per fare il giudice tributario (art. 4, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 545 cit.).
Oggi, invece, serve una giurisdizione tributaria terza ed imparziale, che sappia risolvere e rasserenare le situazioni fiscali più complesse e spigolose, con competenza ed equilibrio.
Appunto per questo è da criticare e contestare in toto l’attuale intervento legislativo, peraltro adottato con la forma del decreto legge senza che ci siano le condizioni di necessità ed urgenza (art. 77, comma 2, della Costituzione).
È auspicabile, invece, che il legislatore, nell’ambito della generale riforma fiscale, con legge delega riformi totalmente la giustizia tributaria (non un semplice parziale ed ingiustificato riordino) prevedendo i seguenti, necessari principi:
1) dipendenza dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più dal Ministero dell’economia, che è una delle parti in causa;
2) parità assoluta tra le parti in causa, senza limitazioni nella fase istruttoria, con la possibilità di citare i testimoni e fare i giuramenti;
3) possibilità di chiedere le sospensive e le conciliazioni anche in grado di appello e di Cassazione;
4) di conseguenza, tenuto conto che il processo tributario diventa un “vero” processo (come quello civile, penale ed amministrativo), necessità di reclutare giudici tributari a tempo pieno, con competenza qualificata, pagati dignitosamente anche per le sospensive (dato che è previsto il pagamento di un contributo unificato), e senza alcun collegamento funzionale con il Ministero dell’economia e delle finanze.
È auspicabile, pertanto, che il Parlamento non converta l’art. 39 più volte citato ma colga l’occasione per una riforma totale, seria ed organica, del processo tributario che non mortifichi il diritto di difesa dei contribuenti (art. 24 della Costituzione), come purtroppo sta avvenendo oggi.
In definitiva, le suddette disposizioni di riordino mettono seriamente a rischio i principi di autonomia ed indipendenza della Giustizia tributaria, che sono principi assoluti, non subordinati alla materia su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi.
Oltretutto, i tempi sono maturi per il definitivo riconoscimento costituzionale della Magistratura tributaria, che opera esclusivamente nell’interesse dello Stato e del cittadino contribuente.
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