Le indagini di un investigatore privato sono legittime e l’azienda che ha fondati sospetti in relazione alle condotte extralavorative di un proprio dipendente, formalmente in malattia, può sempre predisporle anche al di fuori degli uffici e luoghi di lavoro.
In merito, si è pronunciata la Corte di Cassazione la quale, con l’ordinanza in commento (n. 21766 del 2 agosto 2024), richiamando un orientamento giurisprudenziale consolidato, ha confermato “la legittimità dei controlli affidati ad agenzie investigative, anche al di fuori di locali aziendali, ove non aventi ad oggetto l’espletamento dell’attività lavorativa, e che le disposizioni dell’art. 5 st. lav., che vietano al datore di lavoro di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e lo autorizzano a effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l’assenza“. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Indice
1. La vicenda: investigazioni private su lavoratore in malattia e licanziamento
Procedendo con ordine, la presente pronuncia vede sullo sfondo il licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente a seguito di una contestazione disciplinare che addebitava al medesimo dipendente lo svolgimento, durante giorni di assenza per malattia, “di attività extralavorative incompatibili con la malattia certificata ovvero di trovarsi in uno stato di salute compatibile con la prestazione lavorativa“.
I giudizi di merito hanno confermato la legittimità del licenziamento.
Precisamente, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva a sua volta confermato l’ordinanza ex art 1 comma 49, l. n. 92/2012 (rito Fornero), di rigetto della domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa.
Il dipendente ha dunque deciso di proporre ricorso per cassazione affidato a due motivi:
- con il primo motivo di ricorso, il dipendente ha “censurato” la sentenza impugnata per avere ritenuto legittimi gli accertamenti investigativi disposti dal datore di lavoro, sostenendo che tali accertamenti fossero “sostanzialmente intesi alla verifica della idoneità al lavoro del dipendente e del suo stato di malattia, e pertanto espletati in violazione dei limiti posti dal legislatore in materia ed in particolare in violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 5 l. 300/1970 che riserva solo agli Istituti Specializzati di diritto pubblico il controllo sulla idoneità fisica del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa“;
- con il secondo motivo di ricorso, il dipendente ha affermato, in buona sostanza, che non avrebbe dovuto esser applicata la sanzione espulsiva e, sussistendo comunque la “giustificatezza dell’assenza per malattia”, avrebbe dovuto conseguire “la mancanza di rilievo disciplinare della condotta del lavoratore“.
A parer della Corte di Cassazione, il ricorso è infondato. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
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2. L’ordinanza della Corte di Cassazione
Sul primo motivo, a parer dei Giudici, “non sussiste la denunziata violazione dei limiti entro i quali è consentito al datore di lavoro lo svolgimento di accertamenti investigativi“.
In proposito, “come correttamente evidenziato dalla Corte di merito“,gli accertamenti disposti dalla società erano pienamente legittimi in quanto non aventi finalità investigative di tipo sanitario ma finalizzati a verificare se le plurime specifiche condotte extralavorative, poi specificamente contestate nel procedimento disciplinare, fossero o meno compatibili con la malattia addotta dal lavoratore per giustificare l’assenza dal lavoro e dunque a verificare se la predetta malattia fosse idonea a determinare uno stato di incapacità lavorativa.
Sul secondo motivo di ricorso, i Giudici di Cassazione hanno specificato che la sentenza impugnata, “nel verificare la riconducibilità della concreta fattispecie alle condotte di rilievo disciplinare considerate dal contratto collettivo, ha escluso innanzitutto la sussumibilità del fatto oggetto di addebito nell’ambito della ipotesi dell’”assenza ingiustificata” essendo pacifico che la assenza per malattia era stata giustificata tramite certificati medici“.
Una volta esaurito tale accertamento, la Corte di merito ha valorizzato il dato per cui la condotta del dipendente si ponesse in contrasto con i generali doveri di correttezza e buona fede nonché con gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nell’esecuzione del contratto di lavoro “che avrebbero imposto al lavoratore, assente per malattia, di comunicare al datore di lavoro l’intervenuto anticipato recupero delle proprie abilità e di non svolgere attività extralavorative che potessero ritardare o pregiudicare la ripresa del servizio“.
Ne è derivata la valutazione sulla sussistenza della giusta causa di licenziamento per condotte rimproverabili “quanto meno a titolo di colpa e denotanti imprudenza, abitudinaria noncuranza verso gli obblighi contrattuali, scarsissima inclinazione a collaborare con la controparte per consentire il regolare funzionamento del rapporto negoziale“.
A parer dei Giudici di Cassazione, tale valutazione in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento “non è validamente inficiata dalle censure sul punto articolate da parte ricorrente” la quale, peraltro, “non individua alcuno specifico contrasto con i criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale e dalla coscienza sociale in relazione ai parametri astratti ai quali ha fatto riferimento il giudice di merito nel ritenere la configurabilità della giusta causa di licenziamento, come, viceversa, richiesto per la denunzia di violazione ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.“.
Ed infatti, alla luce della lettura che ha fornito la Corte di merito, il lavoratore ha tenuto – in violazione delle regole che presidiano la disciplina e la diligenza del lavoro – un comportamento contrario allo stato di malattia ovvero dall’aver taciuto di trovarsi in uno stato compatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa.
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Davide Maria Testa, Avvocato DLA Piper
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