Ai fini della configurabilità del reato di intestazione fittizia di beni, in caso di assunzione della qualità di socio occulto o di titolare di fatto di un’attività economica preesistente, cosa occorre verificare? Per approfondimenti, si rimanda al volume “Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia”.
Indice
1. La questione: verifiche per intestazione fittizia
Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria rigettava un ricorso proposto da un socio unico ed anche quale amministratore di una compagine societaria, avverso un decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria che aveva disposto il sequestro preventivo del capitale sociale e del patrimonio aziendale della predetta società di diritto portoghese, ritenendo sussistente il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 512 bis cod. pen..
Ciò posto, avverso questo provvedimento il difensore del suddetto socio proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva violazione di legge ed omessa motivazione con riferimento alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 512 bis cod. pen., sostenendosi che il giudice della cautela reggino non avrebbe tenuto conto dell’insegnamento della Suprema Corte secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di trasferimento fraudolento di valori, non vanno sovrapposti i piani del trasferimento fittizio di beni da quello della loro gestione illecita, mentre nel caso in esame difetterebbe la prova, sia pure indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per l’acquisto delle quote sociali. Per approfondimenti, si rimanda al volume “Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia”.
Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia
Aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) e alla L. 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), il presente volume è un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali. Anche attraverso numerosi schemi e tabelle e puntuali rassegne giurisprudenziali poste in coda a ciascun capitolo, gli istituti e i relativi modi di operare trovano nel volume un’organica sistemazione al fine di assicurare al professionista un sussidio di immediata utilità per approntare la migliore strategia processuale possibile nel caso di specie. Numerosi sono stati gli interventi normativi degli ultimi anni orientati nel senso della differenziazione della pena detentiva: le successive modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, la depenalizzazione di alcuni reati; l’introduzione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto; la previsione della sospensione del processo con messa alla prova operata; le stratificate modifiche dell’ordinamento penitenziario. Con attenzione alla novità, normativa e giurisprudenziale, e semplicità espositiva, i principali argomenti trattati sono: la prescrizione; l’improcedibilità; la messa alla prova; la sospensione del procedimento per speciale tenuità del fatto; l’estinzione del reato per condotte riparatorie; il patteggiamento e il giudizio abbreviato; la commisurazione della pena (discrezionalità, circostanze del reato, circostanze attenuanti generiche, recidiva, reato continuato); le pene detentive brevi (sanzioni sostitutive e doppi benefici di legge); le misure alternative, i reati ostativi e le preclusioni; le misure di sicurezza e le misure di prevenzione. Cristina MarzagalliMagistrato attualmente in servizio presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea come Esperto Nazionale Distaccato. Ha maturato una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale rivestendo i ruoli di GIP, giudice del dibattimento, magistrato di sorveglianza, componente della Corte d’Assise e del Tribunale del Riesame reale. E’ stata formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il Supremo Consesso reputava il motivo suesposto fondato.
Per gli Ermellini, difatti, il ricorrente aveva correttamente richiamato la costante giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di intestazione fittizia di beni di cui all’art. 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356, ora art. 512 bis cod. pen., in caso di assunzione della qualità di socio occulto o di titolare di fatto di un’attività economica preesistente, non è sufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulti essere formalmente titolare, in quanto occorre verificare la provenienza dal predetto delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto e la finalità di eludere l’applicazione di misure di prevenzione (Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018), tenuto conto altresì del fatto che si è altresì ritenuto, da un lato, analogamente, che, al fine di dimostrare l’intestazione fittizia, non è sufficiente la prova che l’indagato rivesta la funzione di amministratore di fatto della società delle cui quote s’ipotizza la fittizia intestazione, essendo invece necessario l’accertamento della titolarità sostanziale delle predette quote, attraverso l’attribuzione della qualifica di socio di fatto; (Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015) e, più in generale, che occorre la prova, sia pur indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per l’acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione di misure di prevenzione, essendo insufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulta essere formalmente titolare (così Sez. 6, n. 5231 del 12/01/2018), dall’altro, che, ai fini dell’integrazione del delitto di intestazione fittizia di beni con riferimento alla costituzione di una nuova attività d’impresa esercitata in forma societaria, è necessaria la duplice dimostrazione della riconducibilità al soggetto interessato a non far apparire la sua titolarità delle risorse destinate ai conferimenti nel costituendo patrimonio sociale e del perseguimento dello scopo di eludere, in tal guisa, l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, ragion per cui non rilevano gli apporti diversi da quelli meramente finanziari (quali, ad esempio, il contributo d’opera o lo sfruttamento di relazioni personali), in quanto non suscettibili di divenire oggetto di misure ablative, salvo che assurgano ad indici di un contributo concorsuale alla realizzazione dell’altrui condotta di intestazione fraudolenta (Sez. 2, n. 19649 del 03/02/2021).
Ad avviso degli Ermellini, invece, l’ordinanza impugnata non si era uniformata a questi principi e, per questo motivo, essa veniva annullata con rinvio per un nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria.
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3. Conclusioni
Con la decisione in esame, la Suprema Corte afferma che, per il reato di intestazione fittizia di beni di cui all’art. 512 bis del codice penale, quando si assume il ruolo di socio occulto o titolare effettivo di un’attività economica già esistente, non basta accertare solamente la disponibilità del bene da parte di chi non ne è formalmente il proprietario, essendo per contro necessario investigare l’origine delle risorse finanziarie utilizzate per l’acquisto del bene e l’intento di evitare l’applicazione di misure di prevenzione.
Ove dunque manchi siffatta investigazione, è ben possibile, come avvenuto nel caso di specie, contestare la sussistenza di questo illecito penale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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