Interessi applicati sulle sanzioni e assenza dei criteri di calcolo: la cartella é nulla

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La recente giurisprudenza – di merito e di legittimità – ha ribadito l’importanza che il contribuente sia adeguatamente e sufficientemente informato in ordine al contenuto delle pretese ingiunte da parte del concessionario, conferendo così maggiore risonanza alla tutela delle garanzie cristallizzate all’interno dello Statuto dei diritti del Contribuente (Legge n.212/2000).

Le sanzioni irrogate al contribuente non producono interessi.

Sempre più frequentemente si assiste a vere e proprie storture della normativa tributaria, ancor di più se a farne le spese sono i contribuenti.

Non è raro, difatti, che il concessionario applichi illegittimamente ed ingiustificatamente gli interessi sulle sanzioni ingiunte al contribuente.

Com’è noto infatti, la vigente normativa in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie (art. 2 comma 3 del D.lgs. n. 472/1997) prevede che “La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi.

Nonostante il dato normativo sia di cristallina comprensione, non di rado l’Agente della Riscossione agisce illegittimamente, applicando oltre le sanzioni e gli interessi maturati da eventuali ritardi nel versamento del tributo (c.d. interessi da ritardo o moratori), anche gli ulteriori interessi sulle sanzioni, palesando cosi una ingiustificata violazione della legge.

Il divieto di computo degli interessi sulle somme irrogate a titolo di sanzioni, peraltro, discende manifesto anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 30 del D.P.R. n.602/1973, a mente del quale “decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla data di notifica della cartella di pagamento, sulle somme iscritte a ruolo, escluse le sanzioni pecuniarie e gli interessi, si applicano, a partire dalla data di notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora”.

Ebbene, in ragione di quanto sin qui esposto, non può che ritenersi come l’agire del concessionario, così orientato, appaia palesemente illegittimo oltreché irrimediabilmente lesivo dei diritti del contribuente, vedendosi quest’ultimo “costretto” a dover fare fronte ad una pretesa impositiva sproporzionata in eccesso nel suo quantum, e quindi, non dovuta.

È nulla la cartella che non giustifica il calcolo degli interessi.

Ulteriore profilo di criticità nelle pretese fatte valere dall’Agente della Riscossione a mezzo di cartella di pagamento, si ravvisa nella carente o assoluta mancanza di indicazioni circa il criterio di calcolo degli interessi applicati alle somme ingiunte.

Non di rado, infatti, ci si imbatte in cartelle esattoriali alquanto “oscure”, ovvero non facilmente intellegibili, all’interno delle quali non è sempre agevole giustificare le singole voci indicate ed il loro relativo ammontare; nel dettaglio, non è infrequente che il concessionario ingiunga al contribuente il pagamento di determinati importi senza però riportare il modus operandi seguito per addivenire alla quantificazione degli interessi applicati.

In via di prima approssimazione, è legittimo ritenere come la notifica di un atto esattoriale criptico e di difficile lettura da parte del contribuente – che è il destinatario dell’atto -, si ponga in aperto contrasto con il diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente riconosciuto all’art. 24, che in virtù della sua collocazione all’apice della gerarchia delle fonti del diritto, non ammette alcuna deroga o contrazione.

Ebbene, l’obbligo di motivare adeguatamente la cartella esattoriale – anche con riferimento al calcolo degli interessi applicati – discende dai principi di carattere generale di derivazione amministrativistica e, segnatamente, dall’art. 3 della Legge n.241 del 1990, a mente del quale “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.

Più propriamente e per quanto concerne la materia tributaria, un derivato di tale principio è stato recepito all’interno dello Statuto dei Diritti del Contribuente, il cui art. 7 prevede che “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n.241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Poste tali doverose considerazioni, occorre rilevare come, oggigiorno, tra i differenti vizi che possono inficiare la validità di una pretesa esattoriale, particolare attenzione va riservata alla trasparenza relativa al calcolo degli interessi riportati all’interno della cartella di pagamento.

Pur a fronte di un ingiustificato vuoto normativo, la giurisprudenza recente, di merito e di legittimità, ha voluto ribadire a più riprese l’importanza che al contribuente sia prospettato il calcolo degli interessi applicati ed ingiunti con l’atto esattoriale.

Il singolo contribuente, difatti, deve essere posto nella oggettiva e materiale condizione di potersi autonomamente rendere conto circa la correttezza o meno del relativo calcolo degli interessi operato dall’Agente della Riscossione.

Il rischio, ove così non fosse, sarebbe di ricevere una ingiunzione per il pagamento di somme nettamente maggiorate oltreché sproporzionate in eccesso.

Nella specie, appunto, oltre il quantum dovuto a titolo d’imposta e le relative sanzioni applicate, la cartella di pagamento notificata al contribuente deve riportare analiticamente anche l’indicazione di tutte le somme dovute a titolo di interessi maturati e i correlativi criteri adoperati dall’Ufficio per la loro quantificazione.

Occorre tenere bene a mente, però, come la mera indicazione approssimativa dell’ammontare totale dovuto a titolo di interessi non sia sufficiente a ritenere soddisfatto tale dovere di trasparenza da parte del concessionario, dovendosi di contro riportare specificatamente l’indicazione della data a far stato dalla quale è stato eseguito il conteggio nonché i relativi tassi di interessi applicati.

Alla luce di tali considerazioni, possiamo concludere che nella cartella esattoriale devono essere obbligatoriamente riportati:

  1. a) il quantum dovuto a titolo di interessi;
  2. b) la data, da intendersi quale dies a quo per il conteggio degli interessi;
  3. c) il modus operandi adoperato dal concessionario, ovvero le analitiche modalità impiegate per il calcolo degli interessi.

Pertanto, in difetto di una delle singole voci innanzi elencate, il contribuente ben potrà

agire in due modi:

  1. agire in autotutela, avanzando al concessionario apposita istanza di annullamento della pretesa in autotutela;
  2. ricorrere alla tutela giurisdizionale.

Il recente orientamento della giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, è oramai concorde nel ritenere che la cartella di pagamento, a mezzo della quale si porta a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva, deve essere adeguatamente motivata, oltreché essere completa in ogni suo elemento.

Tali garanzie, infatti, sono state contemplate per la tutela del contribuente, da sempre considerato la “parte debole” del rapporto con il Fisco, dimodoché egli possa trovarsi nella legittima aspettativa di verificare la correttezza dell’operato del concessionario e, segnatamente, la genuinità degli importi intimati a titolo di interessi.

Quanto innanzi, peraltro, trova puntuale riscontro nell’autorevole arresto del Supremo Consesso, secondo cui “Questa Corte ha già affermato (Cass. 8651/2009; cfr. in motivazione Cass. 4516/2012) che “in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario dev’essere motivata, non rilevando che il debito sia stato riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, dal momento che il contribuente dev’essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi, tanto più che alle cartelle di pagamento notificate dopo l’entrata in vigore della legge n.212 del 2002 dev’essere allegata la sentenza” (Cass. Civ. Ord. Sez. 6, n.15554/2017).

Epilogando, quindi, è indubbio come un comportamento così tenuto dal concessionario, appaia palesemente disorientato dal principio di leale e reciproca collaborazione tra Fisco e contribuente, cui invece dovrebbe tendere, con la doverosa conseguenza che la cartella di pagamento priva delle modalità di calcolo adoperate per la determinazione degli interessi risulta essere affetta da nullità insanabile.

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