Informative antimafia

sentenza 17/02/11
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Il sindacato del Giudice Amministrativo non può impingere nel merito delle informative prefettizie antimafia, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni, anche perché tali informative costituiscono esplicazione di lata discrezionalità, non suscettibile di sindacato di merito in assenza di elementi atti a evidenziare profili di deficienza motivazionale, di illogicità e di travisamento.

Il Prefetto, nel rendere le informazioni antimafia, non deve basarsi necessariamente su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.

Ne deriva che il sindacato del Giudice Amministrativo non può impingere nel merito, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni, anche perché le informative prefettizie in questione costituiscono esplicazione di lata discrezionalità, non suscettibile di sindacato di merito in assenza di elementi atti a evidenziare profili di deficienza motivazionale, di illogicità e di travisamento.

N. 00882/2011REG.PROV.COLL.

N. 07599/2007 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7599 del 2007, proposto da***

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE I n. 06602/2007, resa tra le parti, concernente REVOCA AFFIDAMENTO LAVORI DI RISANAMENTO IDROGEOLOGICO PER INFORMATIVA ANTIMAFIA;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2010, il Cons. **************;

Uditi, per le parti, l’avv. *******, per delega dell’avvocato *****, e l’avv. dello Stato *********;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

1) – Con la sentenza qui appellata (n. 6602 del 9 luglio 2007), il TAR della Campania, sede di Napoli, ha respinto il ricorso n. 5476 del 2006, proposto dagli odierni appellanti per l’annullamento:

a) della nota del Comune di Roccarainola, n. 6941 del 13 luglio 2006, con la quale il responsabile dell’U. T. C., Servizio LL. PP. ed Urbanistica e R. U. P., arch. *******************, comunicava all’impresa ricorrente l’avvio del procedimento di risoluzione del contratto d’appalto dei lavori di risanamento idrogeologico in località Perticati del Comune di Roccarainola (contratto Rep. n. 05 del 5 giugno 2006), in conseguenza della nota prefettizia acquisita al protocollo dell’ente al n. 6925, affermante la sussistenza – nei confronti del geom. ******, titolare dell’omonima impresa – delle cause interdittive di cui all’art. 4 del d. lgs. 8 agosto 1994, n. 490, e contestualmente ordinava la sospensione dei lavori appaltati, con decorrenza immediata;

b) della nota del Prefetto della Provincia di Caserta, n. 636/12b.16/ANT/AREA 1 del 22 giugno 2006, acquisita a seguito di richiesta d’accesso agli atti del 19 luglio 2006;

c) della nota del Comune di Roccarainola, n. 7280 del 26 luglio 2006, con la quale il responsabile dell’U. T. C. trasmetteva copia della predetta nota prefettizia, confermando l’ordine di sospensione dei lavori;

nonché (giusta primo atto di motivi aggiunti):

d) della nota del Comune di Roccarainola, n. 3522 del 4 aprile 2006, inviata alla Prefettura di Napoli, con la quale veniva comunicato, a questa, l’esito provvisorio della gara d’appalto espletata, unitamente ai dati dell’impresa ricorrente, risultata aggiudicataria;

e) della nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, n. 0235124/2- 3 di prot. “P” del 14 giugno 2006,

f) della segnalazione del C.E.D. del Dipartimento di P. S. del Ministero dell’Interno in data 22 giugno 2006;

e (giusta secondo atto di motivi aggiunti):

g) della nota n. 636/12B.16/ANT/Area 1 del 5 febbraio 2007 dell’****** di Caserta;

h) della comunicazione del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, n. 0235124/2 – 5 di prot. “P” del 25 gennaio 2007.

Il TAR ha respinto, anzitutto, la censura di violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 diretta nei confronti della citata nota del Comune di Roccarainola, n. 6941 del 13 luglio 2006, considerandola adeguatamente motivata, per relationem, con il riferimento alla comunicazione, pervenuta dalla Prefettura – ******** di Caserta, di cause interdittive ex art. 4 d. lgs. 490/1994, nei confronti dell’impresa ricorrente.

Quanto alla seconda censura dell’atto introduttivo del giudizio (rivolta contro la nota della Prefettura di Caserta, prot. n. 636/12b.16/ANT/AREA 1 del 22 giugno 2006), hanno ritenuto i primi giudici che gli elementi, relativi a tentativi d’infiltrazione mafiosa, dei quali la Prefettura aveva ritenuto, nella specie, la sussistenza, erano in grado di sorreggere adeguatamente le impugnate determinazioni e che, in particolare, la valutazione del Prefetto di Caserta circa l’emergenza di un quadro di possibili condizionamenti dell’attività imprenditoriale svolta dal ricorrente, da parte della criminalità organizzata, non appariva manifestamente illogica; né del resto poteva ritenersi che i fatti, da cui tale pericolo di condizionamento era stato desunto, emergenti dalla citata informativa dei Carabinieri di Caserta del 14 giugno 2006, fossero stati oggetto di travisamento da parte dall’organo, titolare del potere discrezionale in questione.

Le risultanze degli accertamenti svolti dalle forze dell’ordine, compendiati nella citata nota dei Carabinieri di Caserta del 14 giugno 2006, in definitiva, consegnavano, a parere del Tribunale, un quadro complessivamente non alieno dal rischio di condizionamenti della criminalità organizzata nella vita dell’impresa, facente capo al geom. ******; e tale conclusione non era in grado d’essere revocata in dubbio in considerazione dello stato d’incensuratezza del medesimo; donde il rigetto, oltre che del ricorso, anche dei motivi aggiunti depositati il 2 novembre 2006.

Quanto al secondo atto di motivi aggiunti, diretto contro la nota n. 636/12B.16/ANT/Area 1 del 5 febbraio 2007 dell’****** di Caserta e alla comunicazione del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, n. 0235124/2 – 5 di prot. “P” del 25 gennaio 2007, ha osservato il TAR che tale nota e tale comunicazione, in quanto successive al provvedimento antimafia gravato con il ricorso introduttivo, non potevano valere ad integrarne ovvero a modificarne la motivazione, introducendo elementi nuovi o diversi rispetto a quelli originariamente considerati, ai fini delle determinazioni adottate dall’autorità competente, sicché la relativa impugnazione, dirigendosi verso atti non lesivi, si palesava come inammissibile.

2) – Per le parti appellanti la sentenza sarebbe erronea e dovrebbe essere riformata, anzitutto, in quanto il Tribunale non si sarebbe avveduto (primo motivo d’appello) dell’assoluta inidoneità degli elementi posti dalle Amministrazioni appellate a supporto delle proprie determinazioni a formare quel contesto univocamente interpretabile come legato alla criminalità o da essa condizionabile, non essendo riconoscibili, nella specie, le ragioni che avrebbero potuto indurre ad affermare la sussistenza di cause interdittive ex art. 4 del d.lgs. n. 490/1994.

Con il secondo motivo dell’appello, viene dedotta l’erroneità della sentenza per non aver rilevato, i primi giudici:

– che la nota prefettizia del 22 giugno 2006 avrebbe indicato, in modo surrettizio, come pregiudizievole la segnalazione del CED del Dipartimento di PS del Ministero dell’interno in pari data quando, invece, da questa nulla risulterebbe a carico del geom. ******, fino a risolversi in termini per il medesimo favorevoli;

– che in nessuna considerazione si sarebbe potuto tenere il rapporto di amicizia, risalente all’infanzia e, quindi, di costante frequentazione, del ricorrente con S.N. (nato a Napoli nel 1978) non avendo mai avuto a che fare, quest’ultimo, con la criminalità organizzata e avendo solo riportato una condanna per lesioni per ragioni di gelosia;

– che pure del tutto irrilevante sarebbe stata la circostanza relativa a taluni casuali e sporadici incontri con soggetti, a stento conosciuti dall’imprenditore;

– che neppure sarebbe dato comprendere quali sarebbero stati gli approfondimenti e gli attenti accertamenti istruttori espletati dall’organo investigativo.

Resiste il Ministero dell’interno, che insiste per il rigetto dell’appello.

3) – L’appello non merita accoglimento.

Il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo poggia sui seguenti elementi, desumibili dall’informativa redatta dal Comando Provinciale di Caserta dei Carabinieri:

– l’interessato, in data 20 novembre 2001, 19 novembre 2002, 13 luglio 2004, 7 dicembre 2004, 16 dicembre 2004, 23 febbraio 2005, 1 aprile 2005 e 26 aprile 2005, nell’ambito della Provincia di Caserta, era stato controllato in compagnia di S. N., nato a Napoli il 12 giugno 1978, gravato da precedenti di polizia per porto e detenzione illegale di armi ed omicidio;

– il 18 febbraio 2002, alle ore 12,37 ed alle ore 13,18, era stato controllato, in Casal di Principe, dapprima dal personale della Squadra Mobile della Questura di Caserta e, poi, dal personale della Polizia di Stato di Casapesenna, in compagnia di S.N., omonimo del precedente, ma nato a Loreto (AN) l’11 aprile 1979 (figlio di S. F., alias Sandokan.), gravato da precedenti di polizia per estorsione, sequestro di persona e violenza privata;

– il 27 ottobre 2003 il geom. ****** era stato controllato, in San Cipriano d’Aversa, dai C. C. del Nucleo R. M. della Compagnia di Casal di Principe, in compagnia di *****, nato a Caserta il 31 agosto 1975, gravato da un precedente di polizia per il reato di associazione di tipo mafioso, favoreggiamento personale, con l’aggravante di aver favorito il clan camorristico cd. “dei Casalesi”;

– il 16 giugno 2003, in Casal di Principe, il medesimo imprenditore era stato controllato da personale della Polizia di Stato di Napoli in compagnia, oltre che di S. N., nato a Napoli il 12 giugno 1978, sopra indicato, di T. M., nato a San Marcellino l’11 aprile 1970, pregiudicato, sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno, gravato da precedenti di polizia per reati contro la persona, truffa, falsità in scrittura privata ed estorsione;

– il 28 aprile 2001, il 25 ottobre 2001 e il 9 novembre 2003, il medesimo era stato controllato, rispettivamente, in Sant’******, ***** di Principe e Villa Literno, da personale della Polizia di Stato di Aversa e di Casapesenna e dai C. C. di ***** di ********, in compagnia di I. C., nato a San Cipriano d’Aversa l’1 luglio 1965, gravato da precedenti di polizia per rapina, falsi in genere, emissione d’assegni a vuoto, ricettazione, falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, associazione per delinquere e falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sull’identità ed associazione per delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili.

Ciò premesso, può osservarsi come le circostanze, in sé non contestate, poste a supporto degli atti impugnati, denotino, al contrario di quanto ritenuto dalle parti ricorrenti (che, del resto, solo in termini generici contestano le articolate motivazioni in virtù delle quali i primi giudici sono pervenuti al rigetto del ricorso e relativi motivi aggiunti), proprio il rischio di infiltrazione mafiosa correlato alle reiterate frequentazioni dell’imprenditore interessato; rischio di infiltrazione che, in una situazione imprenditoriale riconducibile direttamente alla persona dell’imprenditore (Impresa edile stradale Geom. ****************), si estende direttamente all’impresa stessa, questa, in quanto impresa individuale, non essendo, di fatto, distinguibile dalla persona del suo titolare, sicché i pregiudizi eventuali di quest’ultimo ridondano direttamente su di essa.

Né può condividersi l’assunto secondo cui del tutto irrilevante sarebbe la riportata circostanza relativa a taluni incontri, che sarebbero stati del tutto casuali e sporadici, con soggetti (‘a stento conosciuti’, secondo l’assunto del ricorrente) con i quali non vi sarebbero mai stati rapporti costanti o di frequentazione, né relazioni legate all’attività imprenditoriale dell’interessato, trattandosi di soggetti incontrati non più d’una volta, sicché difetterebbe l’individuazione di idonei e specifici elementi, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con associazioni malavitose, specie con riguardo all’attività imprenditoriale.

Al contrario, osserva il Collegio, si è trattato di reiterati rapporti intrattenuti dall’interessato con soggetti notoriamente legati, secondo quanto emerge dalle contestate informative, alla locale criminalità organizzata, saldamente e tuttora radicata nello specifico contesto territoriale di cui si tratta; né può parlarsi di fatti del tutto episodici ed in grado di far escludere ogni concreta “frequentazione”, trattandosi, si noti, di reiterati incontri avvenuti in un ambito locale ben definito e ristretto e in un contesto temporale alquanto prolungato, con soggetti gravati da precedenti di polizia per reati legati alla criminalità organizzata.

Quanto al fatto che i controlli in compagnia di S.N., nato a Napoli il 12 giugno 1978, avrebbero riguardato un pregiudicato non gravato da precedenti relativi al crimine organizzato, ciò non toglie che si trattava, comunque, di un soggetto interessato da precedenti di polizia per porto e detenzione illegale di armi ed omicidio (anche se, in tal caso, per motivi passionali); ciò che vale a colorare, comunque, negativamente la situazione in cui versa il geom. ******, concorrendo a delineare il quadro di rischio di contaminazione malavitosa, il porto e la detenzione illegale di armi collocandosi, normalmente, in quella zona grigia che si pone spesso ai margini del crimine organizzato.

In considerazione di quanto precede, neppure può assumere rilevanza dirimente, poi, il fatto – addotto dalle parti appellanti – che il Prefetto di Caserta non avrebbe mai ritenuto l’impresa di cui si tratta oggetto di accertamenti antimafia; né può convenirsi nel ritenere che neanche sarebbe dato comprendere quali sarebbero stati gli approfondimenti e gli attenti accertamenti istruttori espletati dall’organo investigativo e quali specifici fatti, accadimenti, condotte, anche non penalmente rilevanti, ma significativi, nel loro insieme, dell’esposizione oggettiva dell’impresa a tentativi di condizionamento mafioso sarebbero stati concretamente riscontrati nel caso in esame e, conseguentemente, quale sarebbe stata l’appagante motivazione sui presupposti della scelta amministrativa dell’UTG.

La misura interdittiva prevista dall’art. 4, d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490, non deve, infatti, necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell’attività d’impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari, per così dire prognostici, da cui emergano gli elementi di pericolo di dette evenienze, atteso che il giudizio dell’autorità si collega ad una sua ampia sfera di discrezionalità riferibile ai compiti di polizia e di mantenimento dell’ordine pubblico quanto alla ricerca ed alla valutazione degli elementi rilevatori delle condizioni di pericolo ipotizzate dal ripetuto art. 4 del d.lgs. n. 490/1994; con l’effetto che il sindacato in sede giurisdizionale si attesta nei limiti dell’assenza di eventuali vizi della funzione che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere quanto alla completezza dei dati acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti ed alla logicità delle conclusioni (cfr. Sez. V, 1° ottobre 2010, n. 726).

Il prefetto, nel rendere le informazioni antimafia, non deve basarsi necessariamente su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, per cui il sindacato del g.a. non può impingere nel merito, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni, anche perché le informative prefettizie in questione costituiscono esplicazione di lata discrezionalità, non suscettibile di sindacato di merito in assenza di elementi atti a evidenziare profili di deficienza motivazionale, di illogicità e di travisamento (cfr. Sez. VI, 14 aprile 2009, n. 2276).

E, nel caso in esame, gli accertamenti operati dai militi dell’Arma, come sopra riportati e non smentiti in linea di fatto, non manifestano i dedotti vizi logico-motivazionali o istruttori, essendo state addotte circostanze in grado di far emergere non discontinui contatti del titolare dell’impresa con pericolosi ambienti malavitosi stabilmente installati sul territorio, così da rendere tutt’altro che inconsistente l’ipotesi di condizionamento dell’attività d’impresa da parte di appartenenti al crimine organizzato; mentre non rileva il fatto che, in precedenza, il Prefetto di Caserta non abbia rilevato la sussistenza di pregiudizi siffatti, dal momento che le attività di indagine costituiscono, normalmente, una sorta di work in progress, per cui l’accumularsi nel tempo di una serie sempre più corposa di elementi indiziari nei confronti del titolare dell’impresa ben può indurre l’autorità competente a rivedere precedenti valutazioni non negative.

4) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare infondato e va respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 7599 del 2007, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, che liquida in complessivi € 3000,00 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

**************, Presidente

**************, ***********, Estensore

*****************, Consigliere

Bruno **************, Consigliere

******************, Consigliere

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/02/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

sentenza

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