Indisponibilità e inalienabilità

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Economia

In una società i soggetti costituenti la medesima hanno tra loro una serie di rapporti che, origine della società, sono contemporaneamente causati dalla stessa, tali rapporti possono essere tanto di natura personale che patrimoniale.

Quest’ultimo aspetto ha acquistato, dall’inizio della rivoluzione industriale e dal suo espandersi per i vari contenenti nel secolo scorso, una importanza crescente dovuta al vorticoso allargarsi degli scambi commerciali ed industriali. Da ciò un crescente sfavore verso qualsiasi clausola d’inalienabilità che rallentasse la circolazione dei beni, impedendo lo sviluppo economico, e determinando, quindi, una diminuzione del benessere generale.

Si è formata in tal modo la convinzione, largamente diffusa nel passato ma esistente tutt’ora, seppure in misura inferiore, che i patti di inalienabilità, limitando la circolazione dei beni, solo per questo vadano contro l’ordine pubblico.

Deve però osservarsi che proprio una libera economia di mercato, quale è la nostra, non può riconoscere alla libera circolazione dei beni importanza tale da costituire un postulato d’ordine pubblico.

L’affermazione si suffraga facilmente se si osserva che il bene vincolato, pur avendo una rilevanza di mercato potenziale, non contribuisce al raggiungimento di posizioni economiche ottimali d’equilibrio, in quanto non contribuisce a determinare l’offerta e quindi la formazione dei prezzi.

L’ analisi economica considera solo i beni scambiabili e non i beni intrasferibili, ritenendo le clausole di indisponibilità come semplici fattori di attrito, ritardanti l’adattamento dell’offerta alla domanda e quindi il raggiungimento di una posizione d’equilibrio del mercato.

Tali clausole vengono dalla scienza economica considerate alla stessa stregua d’ogni ostacolo fiscale, materiale o psicologico alla circolazione dei beni.

La libera circolazione appare, quindi, come una semplice esigenza economica d’interesse generale e non una norma d’ordine pubblico; d’altra parte, l’ onerosità d’ogni divieto di alienazione costituisce ostacolo ben più efficace d’ogni limite legislativo al proliferare delle clausole in questione.

Teorie giuridiche

Necessità storiche hanno indotto a ritenere contro l’ordine pubblico i divieti di alienazione, ma è pur vero che, venute meno tali esigenze, sia in dottrina che in giurisprudenza sovente coesistono l’invalidità, in linea di principio, delle clausole d’inalienabilità per ragioni di ordine pubblico e la validità delle stesse clausole allorché vi sia un interesse privato apprezzabile.

I motivi storici di tale teoria risiedono nell’esigenza, affermatasi durante e negli anni successivi alla Rivoluzione Francese, di eliminare la manomorta e i cosiddetti monti di famiglia, ostacoli rilevanti alla libera circolazione dei beni, quindi allo sviluppo economico della nazione e parallelamente della emergente classe borghese.

Tuttavia portare alle estreme conseguenze la teoria innanzi detta determina la violazione di un altro principio anch’esso certamente d’ordine pubblico, l’autonomia contrattuale, tanto più che una circolazione forzata è talvolta economicamente dannosa come una limitazione della stessa.

Parte della dottrina, portando alle estreme conseguenze la teoria della violazione dell’ordine pubblico, è arrivata ad intravvedere nelle clausole d’inalienabilità delle pattuizioni a danno dei terzi, in quanto si verrebbe a disporre del diritto di altri.

Certamente una efficacia reale delle clausole verrebbe a colpire gli acquisti fatti da terzi, compromettendo, data l’assenza di un sufficiente sistema di pubblicità, la sicurezza dei traffici.

Tuttavia occorre osservare, preliminarmente, l’impossibilità d’aggiungere per contratto un nuovo diritto reale a quelli previsti dal diritto positivo, in secondo luogo non tanto si verrebbe a disporre del diritto dei terzi, quanto si verrebbe a danneggiarli.

Sembra un non senso negare validità alle clausole di inalienabilità e contemporaneamente affermare che il proprietario eserciti validamente il proprio diritto non sfruttando il bene senza che questo comporti la prescrizione, essendo il secondo caso, da un punto di vista economico, più rilevante dell’intrasferibilità contrattuale.

Per eliminare tale assurdo si ricorre al principio generale per cui, mentre non è mai possibile rinunciare anticipatamente e a danno di terzi all’esercizio di un diritto ed al potere di disposizione che ne deriva, si può, in via eccezionale, a tutela di un interesse rilevante e non illecito, convenire validamente che il diritto non venga, entro certi limiti, esercitato a danno di una delle parti.

Materia contrattuale

L’applicazione di tale principio generale in materia contrattuale è data dall’art. 1379 C. C. che, ammettendo le clausole di inalienabilità, ne circoscrive tuttavia l’uso. Occorre aggiungere che il divieto di alienare riconosciuto nell’art. 1379 C. C. ha effetto puramente obbligatorio e non reale, questo per due motivi già accennati precedentemente.

Il primo dato dall’impossibilità per i privati di sostituirsi per contratto alla legge, che, sola, può aggiungere un diritto reale a quelli già esistenti nel diritto positivo; il secondo è di ordine più pratico, essendo costituito dalla difficoltà di organizzare un sistema di pubblicità riguardante ogni categoria di beni e di diritti.

La giurisprudenza, dal canto suo, ha messo in evidenza che, se si autorizzasse la trascrizione del patto di non alienare, si verrebbe a creare un istituto atipico fra la trascrizione e l’ipoteca, avente gli effetti di quest’ ultima ed i benefici, per quanto riguarda la trascrizione dell’atto, della prima.

Di rincalzo la dottrina ha osservato che vanno resi pubblici solo gli atti indicati dalla legge, in quanto le norme sulla trascrizione non possono applicarsi per analogia, suggellando con questo il discorso al riguardo.

Abbiamo considerato, finora, gli sviluppi storici dell’inalienabilità e il suo riflettersi sulle clausole contrattuali, essendo questo l’aspetto che ha tratto maggiormente la dottrina sia per i suoi risvolti pratici che per le connessioni con la scienza economica.

Ma è da tenersi presente, che le conclusioni a cui è pervenuta la dottrina, dopo un periodo di isterismo, del resto pienamente giustificato sul piano storico, nei confronti dell’inalienabilità in generale, permette di riconoscere, accanto alle clausole di inalienabilità, l’operare di un divieto legale come impedimento eccezionale all’alienazione.

Tali divieti legali sono posti in vista di circostanze eccezionali o per proteggere  interessi di singoli meritevoli di tutela, in altri termini occorre distinguere tra l’ipotesi in cui vi è “un’incapacità obbiettiva della cosa” e quella in cui vi è “un’incapacità soggettiva del proprietario”, come afferma SCUTO (1).

Cose fuori commercio

Altra categoria, che occorre richiamare, è quella delle cose fuori commercio, ossia di quelle cose che sono escluse dalla sfera dei rapporti patrimoniali con i  privati e non sottostanno a rapporti giuridici.

Rilevante nel diritto attuale è la categoria dei beni demaniali che sono destinati ad una funzione di interesse pubblico, seppure non avente carattere di perpetuità. Questo carattere viene talora attribuito ad alcuni soggetti, rientrano in tale ipotesi i beni patrimoniali e le cose comuni (mare, luce, aria, ecc.) aventi particolarità specifiche.

Riguardo ai divieti legali di alienazione è da considerare che non vi è sottrazione permanente al commercio, nel senso dell’inalienabilità della cosa, ma una esclusione temporanea che avrà termine con il raggiungimento dello scopo o delle esigenze corrispondenti ai detti divieti.

Infine, ultima considerazione, è da notarsi che, mentre per le cose inalienabili, data la permanenza del carattere, restano vietati anche i trasferimenti successivi a quello impedito, nel caso del divieto legale questo non sussiste.

Al fine di potere raggruppare numerose figure giuridiche diverse fra loro, l’inalienabilità è stata da SCUTO distinta in due tipi, una assoluta ed una relativa (2).

La differenza sostanziale tra le due forme di inalienabilità risiede nella possibilità o meno di effettuare una valido ed efficace spostamento di titolarità, se ricorrono i presupposti affinché l’ordinamento ne riconosca la possibilità. In quest’ultimo caso spetterà agli organi competenti lo specifico provvedimento autorizzativo, oppure, in alternativa, saranno le parti stesse a provvedervi mediante una opportuna pattuizione.

I presupposti, in base ai quali l’ordinamento decide la relatività o l’assolutezza dell’inalienabilità, sono dati dal fatto di essere o meno tale carattere inerente al bene stesso per il raggiungimento del risultato previsto, specialmente quando questo riguardi la soddisfazione dell’interesse collettivo.

Tuttavia l’ordinamento può benissimo, anziché valutare il bene, riferirsi invece al titolare dello stesso, considerando la funzione che questi è tenuto a svolgere rispetto al bene.

Conseguenze della violazione

Le conseguenze di una eventuale violazione di un divieto legale variano rispetto a quelle che si producono dalla violazione di una clausola contrattuale di indisponibilità.

Considerando le prime è immediatamente da osservarsi che l’eventuale alienazione dovrà ritenersi nulla in modo radicale e completo, in quanto l’ordinamento intende evitare che gli scopi prefissatisi con la norma proibitiva vengano frustrati, proteggendosi in tal modo gli interessi della collettività.

Per quanto riguarda le conseguenze derivanti dalla violazione di una clausola contrattuale d’indisponibilità, gli effetti sono assai più affievoliti non determinandosi una nullità dell’atto di alienazione, ma semplice obbligo di risarcimento dei danni, avendo le clausole d’indisponibilità valore puramente obbligatorio.

Allargando il discorso, è corretto ritenere nulla la compravendita per mancanza di oggetto idoneo, essendo solitamente questa la sanzione applicata ma, d’altronde, non si esclude la possibilità, per particolari ipotesi, della semplice annullabilità.

Altro particolare caso, che si discosta dall’indirizzo generale, si ha quando per un’alienazione sia prevista semplicemente la necessità di una autorizzazione amministrativa, in questo caso, anziché l’applicazione delle sanzioni predette, si avrà l’inefficacia dell’alienazione, inefficacia che verrà meno allorquando interverrà l’autorizzazione necessaria per legge.

Indisponibilità Giuridica

Per quanto possa, a prima vista, sembrare assimilabile all’alienabilità occorre distinguere nettamente da questa la categoria dell’indisponibilità giuridica, questa implica il divieto di disporre del diritto soggettivo, così che non può esservi uno spostamento patrimoniale, ossia un movimento d’entrata nel patrimonio dell’accettante, pur sussistendo quello di uscita dal patrimonio del disponente. A questo si aggiunga che, affinché vi sia la disponibilità del diritto, necessita la relativa capacità di disporre da parte del soggetto, la cui mancanza rende invalidi ed inefficaci gli atti.

Quanto detto si ripercuote nel campo delle prove, della prescrizione e di alcuni contratti speciali, oltre al fatto che l’alienazione si presenta in antitesi con la disposizione sia per genere che per specie.

Mentre l’alienabilità ha carattere reale, perché colpisce direttamente il diritto, ed assoluto, o almeno tendente alla assolutezza, perché è destinato ad una funzione permanente.

Al contrario la indisponibilità ha carattere soggettivo, in quanto la situazione del diritto ha senso solo se riportata alla posizione del soggetto di fronte a terzi; inoltre ha carattere relativo perché limita l’efficacia dell’esercizio del potere di disposizione del diritto.

Il fenomeno della indisponibilità, come sopra delineato, è stato considerato solo in tempi recenti per la sempre maggiore frequenza di dissociazione fra titolarità e disponibilità dei diritti.

Il concetto di indisponibilità riflette la singolare posizione del titolare di un diritto destinato ad assolvere una funzione di garanzia nei confronti dei terzi creditori e per questo, seppure il soggetto è di per sé idoneo al trasferimento, il diritto non potrà da questi essere trasferito, in altre parole si avrà una mancanza di legittimazione ad agire.

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Indisponibilità Obiettiva

La contrapposizione fra le due figure giuridiche dell’indisponibilità e dell’inalienabilità è attenuato dal fenomeno dell’indisponibilità obiettiva.

Il vincolo soggettivo dell’indisponibilità è sufficiente a fermare il diritto nella titolarità del debitore, ma non è sempre idoneo a realizzare un’adeguata tutela dei creditori. Questi potranno essere pienamente tutelati soltanto con una immobilizzazione obiettiva del diritto stesso, infatti il vincolo soggettivo paralizza gli atti di disposizione del debitore e quello obiettivo le pretese dispositive dei terzi.

I due vincoli di indisponibilità si associano sempre, ma la estensione del vincolo obiettivo varia a seconda della maggiore o minore necessità di tutela dei creditori.

Da quanto detto deriva che il vincolo principale risulterà essere il vincolo soggettivo riguardante la persona, ossia che limita il titolare, mentre il vincolo obiettivo, che si ripercuote sul bene, è contingente ed accessorio rispetto al primo (NEGRO – 3 ).

Contro l’esistenza dell’indisponibilità obiettiva si è schierato SALVI (4), affermando che essa determina il venir meno della distinzione fra inalienabilità ed indisponibilità, a tale affermazione ha replicato DUNI (5) riconoscendo nella indisponibilità obiettiva una sottocategoria dell’indisponibilità e non un terzo genere fra le due categorie fondamentali.

Il ritenere l’indisponibilità obiettiva come sottocategoria dell’indisponibilità in generale è utile per distinguerla nettamente dal diritto reale.

Nell’esecuzione forzata si ha un vincolo soggettivo ed uno oggettivo, di cui risulta preminente il primo, a differenza del diritto reale in cui è preminente il secondo. Inoltre, mentre nella garanzia reale il bene è bloccato in vista del futuro inadempimento dell’obbligazione, nell’esecuzione forzata il bene è bloccato in quanto l’inadempimento si è già verificato, infine, mentre nell’esecuzione forzata è ammesso il concorso dei creditori, nel diritto il concorso è escluso.

Classi di Indisponibilità

Normalmente la dottrina individua tre classi di indisponibilità a seconda che derivino da un semplice accordo tra le parti, da una disposizione di legge o dal giudice nell’ambito del processo: indisponibilità convenzionale, legale e processuale.

La distinzione non risulta del tutto pacifica avendo PIRAS (6) affermato la derivazione dell’indisponibilità convenzionale e processuale da quella legale, essendo la legge “matrice originaria di ogni movimento giuridico”, DUNI (7) a tale osservazione ha replicato che seppure la tripartizione contiene inesattezze, di cui del resto non è immune nessuna teoria, ha l’enorme pregio di evidenziare le differenze, sia per struttura che per effetti, esistenti tra i tre diversi concetti. Difatti l’indisponibilità convenzionale dà luogo ad una obbligazione negativa, la cui violazione si risolve nell’obbligo di risarcire il danno.

Questo contrariamente alle indisponibilità legali e processuali che danno vita ad un vincolo più incisivo, determinante una limitazione di efficacia dell’esercizio del potere di disposizione, assistita dall’impugnativa dell’inefficacia.

Rapporto tra Indisponibilità e Inalienabilità

Consideriamo adesso come l’indisponibilità giuridica venga ad inserirsi nel sistema dell’ordinamento giuridico, anche in rapporto con l’inalienabilità.

Per DE MATTIA (8) l’indisponibilità in senso lato tende a colpire il soggetto o l’oggetto, fino a determinare nei casi estremi una trasformazione del diritto stesso.

I due casi estremi per soggettivazione od oggettivazione sono, rispettivamente, i diritti della personalità ed il demanio, entro questi due estremi vi è l’indisponibilità giuridica, in cui il carattere soggettivo non esclude riflessi oggettivi (indisponibilità obiettiva).

Naturalmente vi sarà sempre una tendenza alla soggettivazione o all’oggettivazione senza che, per questo, si giunga agli estremi innanzi detti della trasformazione del diritto.

In questa teoria, accettata sostanzialmente da NEGRO (9) l’autore inserisce una propria osservazione, ritagliando nella zona intermedia dell’indisponibilità il vincolo dell’inalienabilità da tenersi ben distinto dalla prima; ma, considerando SCUTO, sembra necessario effettuare una ulteriore osservazione che modifichi in parte la struttura proposta da DE MATTIA.

I due estremi per soggettivazione od oggettivazione, tali da determinare una trasformazione del diritto, ossia i diritti della personalità ed il demanio, non sono posti in realtà appena fuori dell’uscio dell’indisponibilità, ma rientrano di pieno diritto nella figura giuridica dell’inalienabilità e per di più in forma assoluta; inalienabilità che verrà a contrapporsi nettamente all’indisponibilità.

La violazione del vincolo dell’indisponibilità legale, e processuale determina l’impugnativa dell’inefficacia, fatto incontestabile se si considera che si è in presenza della legittimazione ad agire, presupposto essenziale per l’azione giuridica del soggetto.

Questo distingue nettamente l’indisponibilità, dove l’impugnativa tipica è quella della nullità, in quanto viene ad essere investita l’esistenza o la validità dell’atto.

Il negozio giuridico inefficace a seguito d’indisponibilità ha le seguenti caratteristiche: A) non produce effetti giuridici nei confronti dei soggetti tutelati, mentre per i soggetti non tutelati è perfettamente valido ed efficace; B) produce effetti giuridici solo a seguito di dichiarazione del magistrato; C) non è suscettibile di sanatoria non essendo affetto da vizi, ma, venuto meno l’impedimento al realizzarsi dell’efficacia, acquista vigore e validità; D) l’impugnativa dell’inefficacia dà luogo ad una sentenza di mero accertamento, in quanto l’autorità giudiziaria deve semplicemente dare atto della preesistente situazione.

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Note

  • –     SCUTO, Inalienabilità (NUOVO DIGESTO), pag. 476
  • –     SCUTO, citato, pag. 477 – 478
  • –     NEGRO, Indisponibilità (NUOV. DIGESTO), pag. 605 e seg.
  • –     SALVI, Recensione a Negro (RIV. TRIM. E PROC. CIV., 1952) pag.190
  • –     DUNI, Rilievi sulla dottrina dell’indisponibilità giuridica (RIV. GIUR. CIRC. ETRASP., 1956), pag. 1604-1605, sub. D
  • –   PIRAS, Sull’esercizio della facoltà di disporre (NUOVA RIV. DIR. COMM.,  1947 – 1948), pag. 27 nota 23
  • –     DUNI, citato, pag. 1603 – 1604 sub. C
  • –     DE MATTIA, Contributo per una teoria generale dell’indisponibilità giurid.

(PADOVA, 1958) pag. 95 e seg.

  • –     NEGRO, citato, pag. 606 – 607

 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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