Indagini Bancarie: “Presunzione iuris tantum e inversione dell’onere della prova”

Pilato Marco 05/07/12
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La presunzione di imponibilità delle operazioni risultanti dai conti, qualora il contribuente non offra adeguata prova contraria – di cui all’art. 32, comma I , n. 2 del DPR n. 600/73 e 51 II comma n. 2, DPR n. 633/1972, ha assunto sempre più efficacia imperativa, in seguito alle numerose recenti pronunce della Suprema Corte sul tema in oggetto.

Tale presunzione, è una presunzione legale relativa – suscettibile di prova contraria, che inverte la normale ripartizione dell’onere della prova.

In realtà, nell’ordinaria attività di accertamento portata avanti dall’Amministrazione Finanziaria, l’onere di dimostrare l’esistenza e l’entità dell’evasione grava sulla stessa, con la significativa conseguenza che, ove tale prova non venga raggiunta manca il presupposto stesso dell’attività di accertamento.

Differente invece, è la metodologia utilizzata in materia di Indagini Bancarie.

In questo caso infatti, il legislatore, ha previsto che sia il contribuente a dover fornire dimostrazione che le movimentazioni bancarie siano riconducibili a entrate e spese regolarmente dichiarate al Fisco o del tutto estranee alla sua attività professionale.

La presunzione “iuris tantum” a favore dell’Amministrazione finanziaria, fa si che quest’ultima non sia onerata dal dover dimostrare l’effettiva inerenza al presupposto impositivo delle movimentazioni bancarie, essendo sufficiente che provi di non avere ricevuto dal contribuente chiarimenti esaurienti in ordine alle stesse.

In tal senso, emblematica è la recente pronuncia della Suprema Corte del 25/03/2011 n. 6906, la quale precisa che “nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti”.

Nello stesso senso la Suprema Corte, con la successiva pronuncia del 29/07/2011 n. 16650 ha ribadito che: “in virtù della presunzione stabilita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici – sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno imputati a ricavi conseguiti dal medesimo nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito”.

Tale indirizzo normativo ha trovato accoglimento sia dinanzi agli organi della Suprema Corte, quanto dinanzi agli organi del Contenzioso Tributario, i quali hanno ammesso l’esistenza di tale presunzione e consequenziale inversione dell’ onere della prova.

Esplicativa, è la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Enna del 18/07/2011 n. 411, la quale ha disposto che: “Qualora il ricorrente non fornisca prove documentali idonee a giustificare le somme riprese a tassazione dall’Ufficio, per versamenti in c/c bancario, appare legittimo il maggior reddito accertato dall’Agenzia delle Entrate, in quanto è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie, non siano riferibili ad operazioni imponibili”.

In tal senso si è pronunciata anche la Commissione Tributaria Provinciale di Trapani, la quale con la sentenza dell’ 08/10/2010 n. 219, ha evidenziato che : “ (…) e’ preciso onere del contribuente dimostrare l’erroneità di quanto accertato, non potendosi limitare a mere negazioni o valutazioni contrarie, dovendo invece, fornire la prova concreta degli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano”.

E’ opportuno precisare che, acquisiti i dati, l’Amministrazione Finanziaria, deve analizzare ed elaborare le risultanze contabili secondo criteri di legge.

I singoli elementi risultanti dai conti giustificano rettifiche ed accertamenti, salvo dimostrazione da parte del contribuente, di averne tenuto conto in sede di determinazione del reddito o che gli stessi non abbiano rilevanza in tal senso.

Nello stesso senso, ai fini delle imposte sui redditi, i prelevamenti annotati nei conti e non risultanti dalle scritture contabili si considerano ricavi qualora il contribuente non ne abbia indicato il soggetto beneficiario.

Nello svolgimento dell’attività di controllo, l’Amministrazione Finanziaria individua preliminarmente le eventuali operazioni non riscontrabili nelle scritture contabili, e in ordine alle quali è previsto che sia il contribuente stesso a fornire gli elementi di congiunzione tra “movimenti finanziari incriminati” ed eventuali operazioni commerciali e professionali “giustificanti”.

Il legislatore in ogni caso ha previsto che debba essere consentita una valida ed efficace replica al contribuente, e a tal fine devono essere offerti allo stesso tutti gli elementi desunti dai conti e non solamente dati complessivi e poco significativi.

Solo nel momento in cui il contribuente non risulti in grado di fornire le richieste dimostrazioni, o le giustificazioni fornite risultino insufficienti a chiarire i dati risultanti dai conti, scattano le presunzioni suindicate.

Solo in tal caso, l’Amministrazione Finanziaria potrà procedere alla ricostruzione dei ricavi e alla successiva rettifica del reddito dichiarato e all’ accertamento del reddito.

In tal senso, si è espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Enna che con la recente pronuncia del 27/01/2012 n. 70, ha precisato che “ In presenza di controlli bancari il contribuente deve dare per ogni operazione contestata la giustificazione”.

In particolar modo, nella chiarissima pronuncia in oggetto si precisa che pur sussistendo “una presunzione legale a favore dell’Amministrazione, secondo la quale, i prelevamenti e i versamenti operati dal contribuente sul proprio conto sono considerati ricavi”, e che quindi “tale presunzione dispensa, di per se, l’amministrazione finanziaria dal fornire qualsiasi prova in merito alla sua pretesa, e al contrario, pone l’onere probatorio a carico del contribuente”, dall’altro lato si pone una primaria esigenza di tutela del contribuente corretto, il quale, non subisce alcun pregiudizio.

Continua la Commissione Tributaria di Enna, sottolineando che: “(…) trattandosi di presunzione legale relativa, per la quale è ammessa prova contraria (…), il contribuente che vuole sostenere le sue ragioni , deve provare, in maniera rigorosa e per ogni singola operazione di conto corrente, che le giustificazioni da lui addotte siano riconducibili, sicuramente e univocamente, alla singola movimentazione di conto corrente contestata nell’avviso di accertamento. Nel caso contrario, tali giustificazioni non potranno mai costituire una prova sufficiente a superare la presunzione stabilità dalla legge”.

In tal modo si è voluto raggiungere una condizione di ricercato e approfondito equilibrio tra le parti in contraddittorio.

Da un lato, con la presunzione legale e la correlata inversione dell’onere della prova, in favore dell’Amministrazione Finanziaria, il legislatore, come precisato nella suindicata pronuncia: “ha voluto predeterminare il legame tra l’evento noto ( prelievi e/o versamenti sul conto corrente del contribuente), e l’evento ignoto riguardante la produzione di ricavi per l’impresa”.

Dall’altro lato, lo stesso legislatore, ha voluto assicurare al contribuente una costante e precisa conoscenza della pretesa impositiva, assicurandogli l’esercizio del diritto di difesa – tanto costituzionalmente garantito nel nostro ordinamento giuridico- , con la possibilità di giustificare le movimentazioni finanziarie contestate, sia nella fase amministrativa che in quella processuale.

Pilato Marco

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