Fatto
Nel caso esaminato nella sentenza commentata, un paziente aveva agito in giudizio dinanzi al tribunale di Palermo nei confronti del Ministero della salute per ottenere il risarcimento dei danni subiti per il contagio da epatite C contratta dopo una trasfusione di sangue infetto che aveva effettuato nel 1988 presso l’ospedale locale. Il ministero della salute aveva eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni nonché la sua infondatezza per mancanza dell’elemento soggettivo dell’illecito (cioè la colpa) e del nesso di causalità tra la condotta e il contagio; in subordine, aveva richiesto che dall’importo oggetto di risarcimento venisse eventualmente sottratto quanto l’attore aveva già ricevuto a titolo di indennizzo ai sensi dell’apposita legge del 1992. All’esito del giudizio di primo grado, il tribunale di Palermo aveva condannato il ministero della salute a risarcire i danni subiti dall’attore, quantificati in una cifra pari a circa 280.000 €.
Conseguentemente, il Ministero della salute adiva la corte di appello di Palermo, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, in quanto non sussisterebbe alcuna responsabilità del ministero per il contagio da epatite C subito dal paziente. In particolare, secondo il ministero, il giudice palermitano di primo grado avrebbe erroneamente aderito all’indirizzo della corte di cassazione secondo cui dal momento in cui si è avuto conoscenza dell’esistenza dell’epatite B, il ministero della salute deve ritenersi responsabile per il contagio da virus di epatite C (e anche per il contagio dal virus dell’HIV), qualora non abbia effettuato i necessari controlli sul sangue infetto. L’erroneità di tale interpretazione deriverebbe, sempre secondo il ministero, dal fatto che le tre malattie di cui sopra sono diverse le une dalle altre e derivano da differenti ceppi di virus e per le stesse sono impiegati dei differenti sistemi di accertamento nonché delle diverse terapie. In considerazione del fatto che si tratta di tre differenti virus, infatti, la possibilità di individuare le cause da cui derivano le tre suddette patologie sono diverse fra di loro e soprattutto è diverso il modo di valutare la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta e l’evento dannoso consistente nella trasmissione della malattia. Inoltre, sempre secondo il ministero, in considerazione del fatto che prima degli anni 90 la comunità scientifica ancora non conosceva le modalità di trasmissione del virus dell’epatite C attraverso il sangue infetto, prima di tale momento non era possibile effettuare alcun test diagnostico veramente efficace per individuare detto virus e soprattutto non era possibile introdurre degli strumenti di controllo che fossero effettivamente idonei ad evitare il contagio.
La decisione della Corte di Appello
La Corte di appello di Palermo ha ritenuto di non accogliere le argomentazioni difensive spese del ministero della salute e di confermare invece l’interpretazione data dalla corte di cassazione, richiamata dallo stesso ministero appellante, conseguentemente confermando la decisione del giudice di prime cure.
In particolare, la corte territoriale siciliana ha richiamato l’orientamento delle sezioni unite della corte di cassazione secondo cui allorquando si parla di patologie legate ad infezioni contratte con il virus dell’epatite, siano esse derivanti dal virus dell’epatite B, dell’epatite C o l’AIDS, in conseguenza della trasfusione di sangue infetto, non è possibile considerare tali infezioni come tre eventi lesivi, ma deve essere considerato un unico evento lesivo consistente nella lesione dell’integrità fisica, in particolare la lesione del fegato del paziente dovuta all’assunzione di sangue infetto. In considerazione di ciò, secondo le sezioni unite, dal momento in cui si era avuta conoscenza dell’esistenza dell’epatite B si può ritenere sussistente una responsabilità del ministero della salute anche in caso di contagio degli altri due virus (cioè epatite C e AIDS) qualora tale contagio sia avvenuto attraverso la trasfusione di sangue infetto.
Infatti, in considerazione del fatto che sin dagli anni 70 la comunità scientifica conosceva l’esistenza del virus dell’epatite B, nel caso in cui, successivamente a tale periodo, attraverso delle trasfusioni di sangue infetto sia stato trasmesso il virus dell’epatite C, deve essere ritenuta colposa la condotta del Ministero della salute che abbia omesso di effettuare il controllo e la vigilanza circa la raccolta e la distribuzione di sangue umano per uso terapeutico. Ciò in considerazione del fatto che, anche in tale periodo, proprio per la conoscenza dell’esistenza del virus dell’epatite C, deve ritenersi che fosse prevedibile da parte del Ministero la contrazione di un virus legato all’epatite attraverso la trasfusione di sangue infetto.
Considerato, quindi, che fosse sussistente la colpa del Ministero della salute per le ragioni di cui sopra, la corte di appello di Palermo ha ritenuto lo stesso responsabile per il contagio subito dall’attore in considerazione del fatto che, nel caso di specie, è sussistente anche il nesso di causalità fra le emotrasfusioni e la contrazione del virus.
Infatti, secondo la c.t.u. espletata in primo grado, si può ritenere con elevata probabilità che il virus sia stato trasmesso attraverso le emotrasfusioni, ciò sia in considerazione delle modalità con cui si è evoluta la malattia, sia in considerazione del fatto che non sussistono altri comportamenti del paziente dai quali possa ricavarsi il rischio che lo stesso abbia contratto l’infezione. Sulla scorta di tale valutazione della c.t.u., il giudice ha quindi ritenuto configurato il nesso di causalità in assenza di fattori alternativi: il mancato controllo da parte del Ministero sul sangue oggetto di emotrasfusioni sul paziente può quindi ritenersi causa dell’insorgenza della malattia, in quanto la stessa sarebbe stata impedita se il Ministero avesse effettuato il doveroso controllo circa la assenza di virus all’interno del sangue trasfuso.
Per quanto riguarda, infine, il motivo di gravame connesso alla richiesta di non duplicare il risarcimento del danno ottenuto dall’attore, in considerazione del fatto che lo stesso aveva già ottenuto l’indennizzo ai sensi della legge del 1992 sempre da parte del Ministero, il collegio ha rigettato detto motivo ritenendo che, seppure è astrattamente corretto non duplicare il risarcimento per lo stesso evento dannoso (cioè la contrazione del virus), tuttavia nel caso di specie il Ministero non ha provato di aver già corrisposto all’attore l’indennizzo ai sensi della legge del 1992.
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