Impugnabilita’ autotutela: il revirement della suprema corte di cassazione

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Attraverso la sentenza n. 14243 dell’ 8 luglio 2015, la Corte di Cassazione ha affrontato la nota problematica dell’ammissibilità di un ricorso proposto avverso il diniego di annullamento in autotutela di un atto impositivo emesso dall’Agenzia delle Entrate.

Un tema, quello dell’impugnabilità del diniego, espresso o tacito, di annullamento di un atto impositivo in autotutela da parte dell’Amministrazione Finanziaria, da sempre oggetto di un acceso dibattito in ordine al quale si è spesso pronunciata la Suprema Corte, con cadenza pressoché annuale, fino all’apparente definitivo orientamento espresso sull’argomento dalle Sezioni Unite nel 2009, con l’ordinanza n. 3698 del 16 febbraio 2009, con il quale sembrava potersi ritenere preclusa ogni possibilità da parte del contribuente di impugnare dinnanzi le Commissioni Tributarie il diniego di annullamento in autotutela.

Tale impostazione, in particolare, era nel senso di ritenere che “In tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale  l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un  atto  impositivo divenuto definitivo, non rientra  nella  previsione  di  cui  al  D.Lgs.  31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 e  non  è  quindi  impugnabile,  sia  per  la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo  caso, sia  perchè,  altrimenti,  si  darebbe   ingresso   ad   una   inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai  definitivo”  (si noti che nel  passato  la  Suprema  Corte  riteneva  addirittura  sussistere difetto di giurisdizione, per assoluta improponibilità  della  domanda,  nel caso in cui un soggetto chieda al giudice  amministrativo  di  annullare  il provvedimento di rigetto  implicito  nel  silenzio  opposto  dalla  pubblica amministrazione  all’istanza  di  rettificazione   in   autotutela   di   un provvedimento,  trattandosi   appunto   di   istanza   di   mero   sollecito all’esercizio, di ufficio,  da  parte  della  P.A.  del  proprio  potere  di autotutela   ed   avendo   siffatto   esercizio   carattere    eminentemente discrezionale: in termini Cass. Sez. U, Sentenza n. 4541 del 07/12/1976).” (Cfr. sul tema, si veda di recente, anche Cass. civ., ordinanza n. 13176 del 25 giugno 2015)

Tuttavia, tale orientamento appare oggi completamente stravolto dalla pronuncia, resa sempre dalla Suprema Corte, che ci si accinge a commentare.

Attraverso la citata Ordinanza, infatti, la Sezione Tributaria ha accolto il ricorso proposto da una società, annullando, per l’effetto, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto che aveva ritenuto inammissibile – in quanto non ricompreso nel novero degli atti impugnabili avanti alle Commissioni tributarie – il ricorso della contribuente avverso un atto di autotutela.

Ed invero, nel rinviare al giudice di merito per nuovo giudizio, i supremi giudici hanno sostenuto che l’esercizio del potere di autotutela in materia tributaria, attraverso l’annullamento parziale di un avviso impositivo, non preclude al contribuente, ancorché l’originario provvedimento fosse già definitivo, la possibilità di impugnare, nei termini di legge, il provvedimento emesso in autotutela, privandosi altrimenti il contribuente della possibilità di difesa relativamente a tale atto, ancorché riduttivo della originaria pretesa.

Più precisamente, ad avviso della Suprema Corte “deve riconoscersi la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore anche in caso di provvedimenti adottati in autotutela che, con l’esplicazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, essendo legittimato a invocare una tutela giurisdizionale – ormai, allo stato, esclusiva del giudice tributario – comunque di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico, tutela che altrimenti, non potrebbe mai più invocare in quanto non consegue alcun ulteriore atto impositivo a seguito del provvedimento di autotutela e, pena, quindi, la violazione del diritto di difesa, si deve riconoscere la ricorribilità di provvedimenti davanti al giudice tributario ogni qual volta vi sia un collegamento tra atti della Amministrazione e rapporto tributario, ove tali provvedimenti siano idonei ad incidere sul rapporto tributario”.

Sulla scorta di tale argomentazione, è stato così ritenuto che, “nonostante l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell’art. 19 già citato, il contribuente può impugnare anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco, purché espressione di una compiuta pretesa tributaria, quale il provvedimento di autotutela.

Sentenza collegata

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Avv. Cusumano Celine

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