Illegittima la maggiorazione per le sanzioni amministrative: ecco perchè

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L’art. 27 della Legge 689/1981 prevede che il pagamento tardivo delle sanzioni amministrative sconti la maggiorazione del 10% a semestre, corrispondente al 20% annuo.

 

La conseguenza, nota ai più, è il sostanziale raddoppiamento delle sanzioni: non di rado infatti gli enti iscrivono a ruolo le sanzioni in limine prescritionis sicchè la cartella giunge al trasgressore a ridosso del termine quinquennale portando in dote la maggiorazione pari a quasi il 100% della sanzione originaria, oltre al canonico compenso per la riscossione dovuto al concessionario.

L’art. 27 commi 6 e 7 della Legge 689/1981 stabilisce testualmente che “Salvo quanto previsto nell’art. 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta e` maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione e` divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo e` trasmesso all’esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti”.

La Cassazione è stata ripetutamente investita della questione, ed ormai è incontrovertibile che l’art.27 sia applicabile anche alle sanzioni irrogate per la violazione del Codice della Strada (vedasi da ultima la Cass. 17901/2018).

Una nuova prospettiva: i lavori preparatori

Tuttavia non risulta che sia mai stato sottoposto ai Giudici di Legittimità l’esame dei lavori preparatori della Legge n. 689/1981: gli strumenti telematici consentono oggi una non troppo difficoltosa consultazione dei documenti dai quali emerge la ratio sottesa alla norma in esame.

Trattasi di doveroso ed interessante passaggio ermeneutico dal momento che dal verbale della seduta del 12/11/1980 (pag. 315 e 318) emerge chiaramente che il quantum del 20% annuo, pari al 10%  semestrale, venne inserito al fine di parametrare la maggiorazione in parola all’inflazione e agli interesse bancari dell’epoca. Il testo licenziato infatti reca una riduzione del tasso della maggiorazione che originariamente nel Disegno di Legge n. 363 del 17/7/1979 era pari ad un quarto a semestre, ossia al 50% annuo.

… non possiamo infatti trasformare la pubblica amministrazione in un ente che, sia pure al fine di soddisfare esigenze di rivalutazione, pratica un interesse usurario; e non possiamo neppure pervenire ad un aggravamento della sanzione, già irrogata in relazione alla violazione, per il sol fatto che viene ritardato il pagamento della somma dovuta… (on. Ricci – lavori preparatori, VIII legislatura – quarta commissione – seduta del 12/11/1980, Camera dei Deputati).

La questione relativa alla legittimità costituzionale di una siffatta percentuale, oggi percepita al pari di una pretesa usuraria, è  stata riaffrontata dalla Consulta in tempi recenti.

Il Giudice di Pace di Grosseto, con ordinanza del 5 novembre 2015 ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, sesto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689  in riferimento agli artt. 2, 3, 53 e 97 della Costituzione.

Interesse usurario e illegittimità costituzionale

In particolare, il giudice rimettente ha osservato che la maggiorazione prevista dalla norma in parola comporta  l’assoggettamento del trasgressore alla gravosità di un tasso che nell’ambito del sistema bancario/finanziario esporrebbe i beneficiari dello stesso ad una contestazione di usura; inoltre ha sottolineato che la progressiva diminuzione nel tempo del tasso di inflazione annuo e del tasso degli interessi legali avrebbe reso incongrua e lesiva dell’art. 3 Cost. la maggiorazione in esame, la quale comporterebbe «a carico del debitore inadempiente una punizione sicuramente di eccessiva onerosità, a cui corrisponde un arricchimento per l’ente impositore», ingiustificato e in contrasto con l’art. 97 Cost., soprattutto qualora il creditore, «senza valide e documentate ragioni», differisca nel tempo l’iscrizione a ruolo del credito; infine il giudice di pace a quo ha evidenziato che la norma censurata comporterebbe altresì un irragionevole vantaggio per la pubblica amministrazione che «non trova riscontro, ad esempio, in ambito tributario», nel quale il tasso dell’interesse di mora è stabilito nella misura del cinque per cento annuo (art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, recante «Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito»).

La Consulta, con ordinanza n. 25/2017 del 26/1/2017, ha rimesso gli atti al Giudice di Pace di Grosseto soltanto perchè la Legge n. 225/2016 di conversione del Decreto Legge n. 193/2016 art. 6 aveva consentito nelle more del giudizio di legittimità la cosiddetta ‘rottamazione’ delle cartelle, comprendendo anche le somme previste dall’art. 27 L.689/81, sicchè le censure necessitavano di essere rivalutate in relazione al caso concreto ed eventualmente riformulate.

Come evidenzia anche la Corte, l’art. 6, comma 11, ha stabilito: “Per le sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, le disposizioni del presente articolo si applicano limitatamente agli interessi, compresi quelli di cui all’articolo 27, sesto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689″.

A questo punto non vi è chi non veda come il Legislatore del 2016, disciplinando l’ambito di applicabilità della rottamazione, abbia emanato una “norma di interpretazione autentica indiretta” in base alla quale la maggiorazione sancita dall’art. 27 identificherebbe di fatto una somma richiesta dalla pubblica amministrazione a titolo di interessi.

Codesta interpretazione è pregnante ed in aperto contrasto con la precedente pronuncia della Consulta (ordinana n. 308/1999) che rigettava la questione di legittimità costituzionale  poichè, secondo la Corte, l’art. 27 non farebbe riferimento ad interessi, ma integrerebbe una sanzione accessoria ulteriore: ” la maggiorazione per ritardo prevista dall’art. 27, sesto comma, della legge n. 689 del 1981 a carico dell’autore dell’illecito amministrativo, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, ha funzione, non già risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione aggiuntiva, nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale”.

Detta lettura fu un po’ miope ed in aperto contrasto con i lavori preparatori della legge sopra richiamati che evidentemente non erano stati portati all’attenzione della Consulta.

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In ultima analisi: se qualifichiamo sostanzialmente la maggiorazione prevista dall’art. 27 comma 6 L. 689/81 come interessi (e non potrebbe essere altrimenti alla luce delle considerazioni che precedono) la norma appare anacronistica e perciò in contrasto con il canone di ragionevolezza  tenuto conto dell’attuale tasso di inflazione e degli interessi bancari e di mora correnti; a tale  illegittimità per irraggionevolezza sopravvenuta si accompagna la violazione dell’art.3 della Costituzione, ove si compari il tasso di cui alla maggiorazione con l’attuale ammontare degli interessi previsti in materia tributaria.

 

 

 

 

 

 

 

Susanna Cavallina

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