Il trust diventa soggetto passivo Ires

Toma Donato 07/06/07
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1 – Premessa
Il trust è un istituto giuridico di recente introduzione nel nostro diritto civile che ha creato non pochi problemi di qualificazione sotto l’aspetto fiscale: si trattava di dare una dimensione soggettiva (tipologia del soggetto passivo d’imposta) ed oggettiva (tipologia dei redditi prodotti) ad una figura giuridica non prevista dal D.P.R.  22.12.1986, n. 917 (TUIR).
Si è rivelato quanto mai opportuno, quindi, l’intervento del legislatore che, con l’introduzione dei commi 74 e 75 della L. 27.12.2006, n. 296 (Finanziaria 2007), ha modificato gli artt. 73, co. 1 e 2, e 44, co. 1, del D.P.R. 917/1986, inquadrando la nuova figura del trust tra i soggetti passivi IRES e definendone, di conseguenza, le categorie reddituali.
2 – Definizione di trust
L’istituto del trust di diritto italiano[1] è, nella sostanza, regolato dall’art. 2645 ter del codice civile introdotto, a far data dal 01.03.2006, dall’art. 39 novies della L. 23.02.2006 n. 51, che ha convertito il D.L. 30.12.2005, n. 273 (cosiddetto decreto milleproroghe)[2].
La disposizione in parola, in sostanza, prevede espressamente la possibilità di trascrivere gli atti in forma pubblica con cui un soggetto (“conferente” detto anche “settlor”) costituisce, su beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, un vincolo di destinazione finalizzato, per un periodo di tempo determinato – non superiore a novanta anni -, o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, co. 2 del cod. civ.[3], riferibili ai soggetti individuati dalla stessa disposizione (i cc.dd. "beneficiari").
La gestione di tali beni può essere conferita ad un altro soggetto (trustee) affinché quest’ultimo agisca secondo le disposizioni impartite dal disponente e nell’interesse del beneficiario.
In estrema sintesi, con gli atti di cui trattasi, è possibile costituire un vincolo di destinazione su di una massa patrimoniale che, pur restando nella titolarità giuridica del disponente, assume, per la durata stabilita, la connotazione di massa patrimoniale separata rispetto alla restante parte del suo patrimonio, proprio in virtù del vincolo di destinazione impresso e reso opponibile nei confronti dei terzi non creditori del trust con l’esecuzione della formalità di trascrizione.
A nostro parere, l’atto, che necessariamente dovrà rivestire forma pubblica, potrà essere qualificato:
– negoziale unilaterale, nel caso in cui il trustee ed il beneficiario accettino la volontà del conferente in un momento successivo alla redazione dell’atto notarile;
– ovvero bilaterale, quando il negozio contrattuale si configuri piuttosto come accordo contestuale (simultaneità della destinazione del patrimonio e dell’accettazione da parte del trustee e del beneficiario).
La previsione dell’istituto nell’art. 2645 ter, seppur per certi versi “incidentale”[4] e riferita alla pubblicità ed opponibilità del trust, permette di qualificare il rapporto come negozio giuridico tipico.
3 – Disciplina tributaria
Da un punto di vista fiscale, proprio a seguito delle citate modifiche introdotte dalla Finanziaria 2007, il trust può essere inquadrato, alla stregua di un ente pubblico o privato diverso dalle società, nell’art. 73, co. 1, TUIR:
         alla lettera b), se residente nel territorio dello Stato ed avente per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;
         alla lettera c), se residente nel territorio dello Stato e non avente per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;
         alla lettera d), nel caso in cui non abbia residenza nel territorio dello Stato (trust di diritto estero).
Con riferimento al reddito prodotto, il comma 74 della finanziaria 2007, modificando il co. 2 dell’art. 73 del TUIR, ha previsto che, se i beneficiari del trust sono individuati, il reddito è loro imputato per trasparenza, e, quindi, indipendentemente dall’effettiva percezione, in proporzione alla quota loro attribuita ovvero, se non è stabilita alcuna quota, in parti uguali.
Tale reddito avrà natura di “reddito di capitale” nel caso in cui i beneficiari siano persone fisiche.
L’assoggettamento ad IRES e l’eventuale esercizio di un’attività commerciale impone al trust la istituzione delle scritture contabili per effetto delle modifiche apportate all’art. 13[5] del D.P.R. 29.09.1973 dal comma 76 dell’articolo unico della finanziaria 2007.
4 – La residenza effettiva e quella presunta
L’individuazione della residenza del trust assume rilevanza fondamentale per ovvii fini antielusivi. In via generale, la residenza viene determinata con le stesse regole dettate per le società dall’art. 73, comma 3, D.P.R. 22.12.1986, n. 917 e precisamente: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello stato.”
Immaginiamo un trust che riguardi la finalizzazione di un patrimonio sul territorio italiano con un trastee (amministratore) pure residente in Italia, in tal caso, indipendentemente dalla residenza dei beneficiari, la tassazione avverrà certamente nel nostro paese. Ma altri casi variegati e complessi possono ipotizzarsi, per cui il legislatore modificando il citato art. 73/917, comma 3, ha introdotto alcune presunzioni juris tantum (presunzioni relative) circa la  nazionalità fiscale del trust. Pertanto, possono considerarsi, in aggiunta alla previsione generale, residenti nel territorio dello Stato, con possibilità di prova contraria, i trust e gli istituti con analogo contenuto costituiti in paesi diversi da quelli in white list[6] in cui almeno uno dei disponesti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti in Italia. Ancora, il trust è da considerarsi residente sul territorio dello Stato allorquando, pur se istituito in paesi diversi da quelli in white list, successivamente alla sua costituzione, un soggetto avente residenza fiscale sul territorio italiano disponga, a favore del trust stesso, il trasferimento della proprietà di beni immobili ovvero la costituzione di diritti reali sui medesimi immobili o, comunque, qualsiasi atto che ne determini la destinazione.  
5 – Differenza con altri istituti simili
Istituti in qualche modo riconducibili al trust sono il fondo patrimoniale[7] ed il patrimonio destinato ad uno specifico affare[8]. Le differenze fondamentali possono essere riassunte nella tabella che segue:
 
TIPOLOGIA ISTITUTO
DISPONENTE
BENEFICIARIO
DURATA
REGIME FISCALE
Trust
Art. 2645 ter c.c.
 
ente, società, persona fisica
Ente, società, persona fisica
Novanta anni ovvero vita della persona fisica beneficiaria
I frutti sono assoggettati ad IRES per trasparenza in capo ai beneficiari
Fondo Patrimoniale
 
Art. 165 c.c.
coniugi o terzo
famiglia
Fino ad annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti del matrimonio civile
I frutti sono assoggettati ad IRPEF in capo ai coniugi
Patrimonio destinato ad uno specifico affare
 
Art. 2447 bis c.c.
società per azioni
società per azioni
Fino al realizzo dell’affare o alla sopravvenuta impossibilità di realizzarlo
I frutti sono assoggettati ad IRES con le stesse modalità stabilite per le società di capitali
 
E’ interessante osservare la stretta similitudine tra il trust ed il fondo patrimoniale, tant’è che il trust potrebbe essere utilmente costituito come surrogato del fondo patrimoniale. Si pensi alla destinazione di un patrimonio alla soddisfazione dei bisogni di conviventi “more uxorio” ovvero alla realizzazione degli interessi dei figli naturali. Il fondo patrimoniale, a differenza del trust, non è soggetto autonomo e presuppone la esistenza di un vincolo matrimoniale; ciò rende l’istituto del trust di grande adattabilità essendo indifferente alle vicende del vincolo matrimoniale e, più in generale, dei vincoli di parentela.
Campobasso, 04 aprile 2007
                                                                                Donato Toma


[1] Il trust nasce come strumento di diritto straniero, mutuato dai paesi che adottano sistemi di common low, riconosciuto e poi adottato anche dal nostro diritto in forza dell’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del 01.07.1985, ratificata dalla L. 16.10.1989, n. 364.
[2] La norma di ratifica qualifica i Trust come “rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora i beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”.
[3] L’art. 1322, co. 2, c.c. prevede la possibilità delle parti di concludere contratti atipici, non appartenenti, quindi, a quelli regolati direttamente dal codice stesso, purchè tesi a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
[4] L’art. 2645 ter è intitolato: “trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”.
[5] L’art. 13 è intitolato “soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili”.
[6] Trattasi dei Paesi individuati dal D.M. 4.9.1996 con i quali è possibile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni.
[7] L’art. 167 cod. civ. definisce il fondo patrimoniale come quell’atto mediante il quale i coniugi, o un terzo, destinano determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.
[8] L’art. 2447 bis cod. civ. prevede che le società per azioni possano costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad un singolo affare.

Toma Donato

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