Il trasferimento per incompatibilità ambientale e|o funzionale del magistrato

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Sommario: 1. Notazione introduttiva. – 2. La ricostruzione giuridica dell’art.2 del Regio Decreto nr.511 del 1946 così come modificato dall’art.26 del decreto legislativo nr.109 del 2006. – 3. La giurisprudenza amministrativa e l’art.2 del regio Decreto nr.511/1946. – 4. La ricezione della giurisprudenza amministrativa nelle pronunce Consiliari. L’evoluzione della giurisprudenza Consiliare sull’art.2 Regio Decreto nr.511 del 1946. – 5. La realtà situazionale oggettiva nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato. – 6. Considerazioni di chiusura.

Notazione introduttiva.

Talune recenti vicende di cronaca hanno portato agli onori (meglio sarebbe dire agli orrori) della ribalta mediatica vicende inerenti alcuni magistrati, rivestenti anche incarichi apicali o di vertice negli uffici giudiziari della Repubblica, ritenuti, dalla pubblica opinione prima ma, poi, soprattutto dall’organo di autogoverno della magistratura immeritevoli di esercitare quelle funzioni nell’ambito territoriale nel quale le svolgevano([1]).

Impregiudicato restando quelle che sono state e saranno le determinazioni consiliari in materia, il presente scritto – elaborato e redatto in chiave eminentemente tecnico giuridica – vuole offrire un panorama attualizzato circa un particolare aspetto della deontologia magistratuale e in particolare, dello strumentario predisposto dalla legislazione per ripristinarne la correttezza comportamentale e la postura ontologica in chiave di ossequioso rispetto all’idea di magistrato, così come prefigurata dal Costituente. Infatti, in uno allo statuto disciplinare del magistrato, quello scolpito nel decreto legislativo nr.109 del 2006([2]), il sistema normativo vigente contempla un altro rimedio finalizzato all’ipostatizzazione dell’immagine del magistrato nell’ambito delle sue funzioni e nel contesto ambientale nel quale opera in termini di imparzialità e indipendenza.

Ci s’intende riferire all’art.2 del R.D. nr.511 del 1946 novellato nel 2006 dal succitato decreto legislativo contemplante l’ipotesi del cosiddetto trasferimento d’ufficio.

Di tale istituto va, dunque, preliminarmente operata un’appropriata ricostruzione giuridica.

La ricostruzione giuridica dell’art.2 del Regio Decreto nr.511 del 1946 così come modificato dall’art.26 del decreto legislativo nr.109 del 2006.

L’istituto del trasferimento d’ufficio – di natura amministrativa – previsto dall’art.2 del Regio Decreto nr.511/46 ha subito significative modifiche in virtù del disposto di cui all’art.26 del decreto legislativo 23 febbraio 2006 nr.109([3]).

Esso necessita, in via preliminare, di un corretto inquadramento sistematico sia in relazione alla definizione concettuale dei suoi presupposti applicativi sia, soprattutto, ai rapporti col procedimento disciplinare che il citato decreto legislativo nr.109 del 2006 ha, per espressa volontà del legislatore, voluto modellare secondo il principio della tipicità della condotta illecita.

Nel testo vigente all’attualità dell’art.2 in rassegna, per l’applicabilità della fattispecie di “trasferimento d’ufficio” è richiesta una condizione precisa: il magistrato, per qualsiasi causa indipendente da sua colpa non può, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con indipendenza e imparzialità.

Nell’orientamento del CSM, confortato da alcune pronunce del giudice amministrativo – TAR e Consiglio di Stato –, si è consolidata l’idea che la norma in questione vada intesa come orientata a limitare l’accertamento, solo ed esclusivamente, al profilo dell’esistenza o meno delle condizioni necessarie per svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità; ciò a prescindere dalla valutazione sulla sussistenza di condotte colpevoli del magistrato, giacché tale ultimo accertamento è rimesso dal sistema ordinamentale, in via eventuale ma esclusiva al giudice disciplinare o a quello penale([4]).  

Quello che la legge vigente richiede, per i comportamenti propri del magistrato è l’esistenza di una condotta volontaria alla quale ascrivere, anche solo come concausa la situazione fattuale che compromette l’indipendenza e l’imparzialità della funzione giudiziaria.

La giurisprudenza amministrativa e l’art.2 del regio Decreto nr.511/1946.

Quanto rappresentato nelle righe che precedono si attaglia pienamente all’affermazione secondo cui le circostanze che impediscono un corretto svolgimento della funzione possono essere riconducibili ad un comportamento del magistrato in quanto “occorre pur sempre che la situazione di incompatibilità sia causalmente ricollegabile a comportamenti del magistrato medesimo”([5]).

Dunque, presupposto fattuale e normativo per l’operatività dell’art.2 legge guarentigie è che la situazione di incompatibilità deve essere ricollegata in via causale a comportamenti – ovunque e comunque adottati – del magistrato in parola.

La giurisprudenza amministrativa ha sviluppato ulteriori precisazioni che il Consiglio Superiore ha opportunamente fatto proprio.

In particolare, con riferimento ai rapporti tra l’art.2 del 1946 e la novella del 2006, ha chiarito che a tali conclusioni può giungersi anche dopo la modifica normativa apportata dall’art.26 del decreto legislativo nr.109 del 2006 in virtù di un ragionamento ermeneutico che qui di seguito sintetizziamo nelle forme più intellegibili.

L’eliminazione ad opera della novella della locuzione “anche”, contenuta nell’originale versione dell’art.2 del ’46, non determina l’esclusione della rilevanza sul requisito della volontarietà, ma impone soltanto di non estendere la valutazione – in sede amministrativa – alla sussistenza della colpevolezza nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi.

La recente sentenza del TAR Lazio([6]) ha chiarito che l’incolpevolezza deve essere intesa nel senso che la situazione che determina il trasferimento d’ufficio del magistrato può anche essere causalmente riconducibile a una sua condotta volontaria purché essa sia valutata nella sua oggettività e al di fuori di ogni giudizio di riprovevolezza.

La ricezione della giurisprudenza amministrativa nelle pronunce del C.S.M. L’evoluzione della giurisprudenza Consiliare sull’art.2 Regio Decreto nr.511 del 1946.

Rapportato tale panorama della giurisprudenza amministrativa in materia di trasferimento d’ufficio del magistrato va detto che il CSM ha elaborato principi applicativi in linea con quanto statuito dai giudici competenti di ultima istanza.

Così, ad esempio, ha fatto proprio il principio in virtù del quale ai fini del trasferimento di ufficio ex art.2 del regio Decreto nr.511 del 1946 non è più sufficiente il fatto che il magistrato abbia leso, per circostanze indipendenti dalla sua volontà ovvero per la sua condotta, il prestigio dell’ordine giudiziario, ma è piuttosto necessario che siano venute meno le condizioni che gli consentono di svolgere le proprie funzioni nella sede occupata con piena indipendenza e imparzialità([7]).

Quanto rappresentato in svolgimento delle funzioni nella sede occupata dev’essere il fine dell’accertamento operato in sede amministrativa dall’organo di autogoverno, atteso che è di tutta evidenza che lo scrutinando istituto mira proprio a rendere effettiva l’indipendenza sulla quale il legislatore costituzionale ha polarizzato la propria attenzione. Tale focus esigenziale, il garantire un esercizio libero nella funzione giurisdizionale, emerge ogni qualvolta la percezione da parte dell’ambiente lavorativo in primis  e/o dell’intera cittadinanza stanziata nella comunità territoriale di riferimento sia tale da costituire oggettivamente un pericolo per il bene giuridico di rilevanza costituzionale che l’istituto intende assicurare, con l’unico limite costituito dall’esistenza di un disegno preordinato a creare le condizioni per allontanare il magistrato da determinati uffici o determinati territori([8]).

Ordunque nella giurisprudenza del CSM, recettiva degli ammaestramenti dei giudici amministrativi, ai fini del trasferimento per incompatibilità ambientale e/o funzionale, necessita accertare che si sia venuta a determinare, per il magistrato interessato, una condizione di effettiva impossibilità di svolgere adeguatamente le proprie funzioni giudiziarie con imparzialità e indipendenza.

La valutazione della deficienza del requisito dell’indipendenza e dell’imparzialità va colta in via prognostica e secondo un comune apprezzamento esterno in relazione al quale il magistrato non fornisca più garanzie in termini di una resa di giustizia che possa essere ed apparire indipendente e/o imparziale.

Quando evidenziato si basa sulla criticità che tali valutazioni possano essere riferite a condizioni di sede o di funzione([9]).

 

 

  1. La realtà situazionale oggettiva nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

 

Assai recentemente il Consiglio di Stato([10]) ha affermato che la fattispecie normativa di cui all’art.2 in narrativa prevede la trasferibilità del magistrato sulla sufficiente base di una realtà situazionale oggettiva, generata da fatti solo eventualmente riconducibili a condotte del magistrato interessato e comunque indipendentemente da un giudizio di riprovevolezza.

In buona sostanza e in altre parole ai fini del procedimento amministrativo ciò che rileva è, per i soli riflessi di ordine generale, la situazione oggettiva ingenerata nell’ufficio e nell’ambiente a prescindere dalla condotta dell’individuo. Quella situazione, infatti, può essere causata da una condotta volontaria del magistrato ancorché non riprovevole.

Per l’effetto, in termini generali, la condotta del magistrato va riguardata in sé come mero fatto materiale e indipendentemente da qualsiasi giudizio che se ne dia – illiceità/illiceità, apprezzamento o riprovazione – e può integrare il presupposto fattuale per dar luogo al procedimento amministrativo di trasferimento per incompatibilità ambientale per la sussistenza di un obiettivo pericolo per l’immagine di funzionalità e affidabilità dell’ufficio. Può trattarsi in definitiva, di condotta anche volontaria che, però, nell’ipotesi data non viene presa inconsiderazione nei termini di condotta volontaria e colpevole([11]).

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Considerazioni di chiusura.

Gli esposti principi, normativi e soprattutto giurisprudenziali, traccianti il reticolo argomentativo fungente da base per l’applicazione dell’art.2 in discorso consentono di operare talune notazioni conclusive circa l’attualità in ordine all’applicazione della fattispecie in commento.

Il CSM, una volta accertato il fatto nella sua materiale oggettività e accertato altresì il rapporto di causalità con l’evento, vede senz’altro rientrare nei suoi poteri doveri quello di disporre il trasferimento d’ufficio del magistrato attraverso l’adozione di un provvedimento orientato a ripristinare un corretto esercizio del prerequisito di una funzione giudiziaria esercita in condizioni di indipendenza e imparzialità.

Tale ricostruzione giuridica dell’istituto di cui all’art.2 del Regio Decreto nr.511/46, fatta propria da chi scrive, si rivela quale sintonica con la giurisprudenza amministrativa in materia e allo stesso tempo quale pacifica nella più recente prassi giurisprudenziale del CSM([12]).

Alle delibere indicate nella nota che precede vanno altresì aggiunte – in una prospettiva de jure condendo – due proposte di delibera, approvate dalla I commissione Consiliare, messe all’ordine del giorno dal plenum e non discusse([13]).

Confortano le prospettazioni di elaborazione Consiliare, qui riepilogate e fatte proprie, le proposte deliberative inerenti ai numerosi procedimenti aperti negli ultimi anni di attività consiliare ex art.2 Regio Decreto nr.511/1946 conclusesi a cagione della scelta del magistrato interessato di trasferirsi – in prevenzione – ad altra sede e/o funzione.

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Note

([1]) Ci si riferisce ovviamente alla vicenda che, per brevità, denomineremo come “hotel champagne”, dalla quale sono derivate a cascata una congerie seriale di implicazioni che hanno visto, vedono e vedranno implicati magistrati della Repubblica colti in situazioni, a tacer d’altro definibili come disdicevoli.

([2]) Sul quale vedi amplius Sergio Ricchitelli, La responsabilità disciplinare dei magistrati nel quadro della procedimentalizzazione del controllo della funzione giudiziaria italiana, www.asaps.it, 2018.

([3]) Il decreto legislativo citato nel testo, il nr.109 del 2006, è oggetto di ampia disamina – sostanziale e procedurale in Sergio Ricchitelli, citato nella nota che precede.

([4]) Il principio di tipicità delle condotte illecite è ampiamente scrutinato da S. Ricchitelli, op. cit. e in particolare con riguardo ai parametri di cui all’art.1 del decreto legislativo nr.109 cit. nell’ambito dello statuto disciplinare del magistrato.

([5]) In termini è consolidata la giurisprudenza del Consiglio di Stato a far data della pronuncia della IV sezione con la sentenza nr.100 del 12 febbraio 1997.

([6]) Ci si riferisce alla pronuncia nr.281 del 2019 del TAR della capitale.

([7]) A ben vedere si tratta di un’applicazione, costituzionalmente orientata, dei medesimi principi rinvenibili nell’euristica degli artt.323 e 328 c.p. con riguardo al bene giuridico oggetto di tutela delle fattispecie incriminatrici di abuso ed omissione di atti d’ufficio. Lì con riferimento al buon andamento rispetto al mero prestigio della P.A.; qui con riferimento all’indipendenza e imparzialità rispetto al mero prestigio. Si tratta della valorizzazione degli attributi valoriali che la Costituzione assegna alle articolazioni del sistema statuale rilegando, una volta per tutte, l’idea del prestigio nell’archivio delle anticaglie giuridiche.

([8]) Quest’ultima circostanza legittima piuttosto nell’ambito del CSM senz’altro l’apertura delle cc.dd. pratiche a tutela.

([9]) Con la locuzione sede s’intende l’ufficio giudiziario o circondario in chiave valutativa, caso per caso, in virtù delle situazioni che hanno determinato la crisi.

([10]) Sentenza 2020 nr.1657.

([11]) D’altro canto, il Consiglio di Stato si era già espresso in questi termini il 22 dicembre 2014 con la sentenza nr.6209 presa dalla IV sezione.

([12]) Si pensi per tutte, soffermandosi solo sull’ultimo quadriennio, alle delibere consiliari fondate sulla ricostruzione operata nel testo: la nr.8456 del 2017, adottata nella seduta del 10 maggio 2017 e confermata dal TAR e dal Consiglio di Stato con la sentenza nr.5783 del 2019; alla delibera nr.4788 del 2018 adottata nella seduta plenaria del 15 marzo 2018, confermata dal TAR del Lazio con la sentenza del 2019 nr.281; alla delibera, sempre del 2018, nr.12576, adottata nella seduta del 18 luglio 2018 non risultante quale impugnata; alla delibera del 21 marzo 2019, la nr.4849, la cui impugnativa è tuttora sub iudice.

([13]) Per sopraggiunto pensionamento anticipato del magistrato interessato o per trasferimento dello stesso ad altra sede e funzione; trattasi delle pratiche nr.29/SR/2016 e nr.463/RE/2016.

 

Prof. Sergio Ricchitelli

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