Il tempo nella tutela dei diritti: lo strano caso dell’impugnazione del lodo arbitrale per violazione di legge

Redazione 20/04/20
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di Elena Zucconi Galli Fonseca

Sommario

1. La questione

2. Non è questione di prospective overruling…

3. …bensì di interpretazione della norma processuale

4. Il rapporto fra avvocato e cliente

5. Segue: scelte difensive e costi-benefici

6. Non errore, dunque, ma una scelta condivisa fra parte e difensore

7. Il futuro nell’algoritmo

1. La questione

Intendo svolgere alcune brevi riflessioni sul caso risolto dalle Sezioni unite nella sentenza n. 4135 del 2019[1].

Tutto nasce dalla questione di diritto transitorio posta dalla novella sull’arbitrato del 2006 (d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), che ha operato una non conveniente scissione fra tempo della convenzione arbitrale e tempo del procedimento arbitrale, senza tener conto del fatto che contratto e processo si influenzano vicendevolmente.

Così, il nodo si è subito manifestato con riguardo alla possibilità di impugnare il lodo per violazione di legge: nel regime ante novella, infatti, il silenzio delle parti nel patto compromissorio equivaleva ad impugnabilità; nel regime post novella, invece, vale il contrario, dato che l’art. 829, comma 3° c. p. c. stabilisce che l’impugnazione è possibile solo se “disposta dalle parti o dalla legge”.

E poiché ai sensi dell’art. 27 della citata novella, “l’art. 829 c.p.c. nuovo testo si applica a tutti i procedimenti iniziati dopo la novella, anche se le convenzioni arbitrali erano state stipulate prima”, l’idea che la volontà delle parti espressa in una convenzione ante 2006 dovesse essere capovolta ex post per volontà di legge, nel caso in cui il processo arbitrale fosse stato cominciato dopo il 2006, trovava un supporto nel tenore formale della norma – benché ribaltasse le carte sulla tavola degli ignari contraenti.

Nel 2012 la Cassazione si esprime sulla questione cercando tra le pieghe della norma una via rispettosa della volontà negoziale[2], ma alcune successive pronunce la smentiscono. Si giunge così, nel 2016, davanti alle Sezioni unite[3] che, con ingegnosa costruzione giuridica, dichiarano applicabile l’art. 829 comma 3° nuovo testo, ma, ad un tempo, ritengono che la “legge” di cui parla il comma citato debba essere riferita a quella vigente all’epoca della convenzione arbitrale.

La sentenza ha destato un vivo dibattito, tanto da portare ad una pronuncia – confermativa – della Corte costituzionale[4].

Non vado però oltre, perché quanto detto costituisce solo la premessa alla domanda oggetto di queste riflessioni: il difensore che abbia optato per una soluzione processuale in un panorama interpretativo assai lacunoso, e poi veda affermata dalle sezioni unite la soluzione opposta, più favorevole alla propria parte, può chiedere la rimessione in termini?

La singolarità della questione sta nel fatto che la scelta operata dalla parte (e per lei dall’avvocato, trattandosi di questione tecnica) ha comportato una volontaria compressione di un potere processuale, che l’arret del supremo consesso, viceversa, gli avrebbe consentito.

Nella specie, poi, la singolarità è “al quadrato”: il contrasto giurisprudenziale, infatti, nasceva da una norma transitoria di tenore apparentemente chiaro, benché foriero di conseguenze distorsive; il difensore, poi, aveva proposto l’impugnazione prima ancora che la Cassazione del 2012 si pronunciasse sulla questione dando luogo al contrasto giurisprudenziale poi risolto nel 2016.

La risposta delle Sezioni unite è negativa, evidenziando così le ombre che l’inevitabile fluttuazione dell’esegesi delle norme processuali getta sulla tutela dei diritti.

[1] Cass., 12 febbraio 2019, n. 4135.

[2] Cass., 19 aprile 2012, n. 6148.

[3] Cass., sez. un., 9 maggio 2016, nn. 9341, 9284, 9285, in Giur. it., 2016, 1451, con nota di C. Consolo-V. Bertoldi, La piena sindacabilità del lodo per errori di diritto basati su convenzioni ante 2006: si applica la nuova norma che tuttavia in tal caso ingloba l’antica.

[4] Corte cost., 30 gennaio 2018, n. 13, in Riv. arb., 2018 fasc. 3, pp. 517 con nota di De Nova.

2. Non è questione di prospective overruling …

Giustamente la Cassazione[5] esclude che nella specie si tratti di un problema di prospective overruling[6], cioè lo strumento elaborato dalla giurisprudenza per proteggere le parti dall’inevitabile evoluzione del “diritto vivente” processuale.

Detto strumento cura gli effetti collaterali di un farmaco indispensabile: è giusto che la Corte adatti l’interpretazione della norma all’evoluzione del mondo in cui viviamo (senza peraltro stravolgerne il significante testuale), mutando una esegesi da lei stessa affermata in precedenza; ma quando l’overruling non era “prevedibile”,[7] occorre tutelare la parte che aveva fatto affidamento sull’esegesi originaria.

Dato che non è possibile invocare la tutela che la legge offre con riguardo ai mutamenti legislativi – poiché la sentenza della Corte, da un lato, non è vincolante e, dall’altro, avendo sostanza forzatamente interpretativa[8], è ontologicamente retroattiva -, si fa ricorso a strumenti correttivi di volta in volta da individuare, per tutelare l’affidamento[9], dato che non si possono “cambiare le regole del gioco a partita già iniziata”[10].

Emerge evidente che, nella fattispecie che stiamo considerando, non si ricade nell’ambito dell’istituto citato. Non si tratta infatti di valutare né il mutamento di un orientamento giurisprudenziale consolidato né il mutamento della norma, bensì di verificare se l’avvocato, dopo aver fatto una scelta processuale fondata su un tenore letterale apparentemente chiaro della norma, avallato da commenti dottrinali e alcune pronunce di merito[11] , possa ripensarci per effetto di una sopravvenuta decisione della Cassazione che va in senso contrario.

Aggiungo che l’istituto del prospective overruling viene in rilievo quando il revirement è peggiorativo, quando cioè l’affidamento verteva sulla situazione più favorevole[12], mentre il caso che esaminiamo è opposto: la parte, posta di fronte ad un panorama interpretativo assai incerto, sceglie di non esercitare un potere, soggetto a decadenza,[13] di cui una successiva sentenza della Cassazione ha stabilito la piena legittimità[14].

Ebbene, secondo i giudici delle sezioni unite – con argomento orientato alle conseguenze -, ampliare la rimessione in termini a questo diverso caso comporterebbe un effetto distorsivo, in quanto “avrebbe l’effetto di rendere qualsiasi mutamento di giurisprudenza efficace solo per il futuro e costituirebbe pertanto un serio ostacolo all’innovazione giurisprudenziale privando di interesse le parti a patrocinare modifiche delle quali ben raramente si gioverebbero perché la controparte, svantaggiata dal nuovo orientamento, potrebbe invocare l’applicazione in proprio favore di quello precedente, a tutela dell’affidamento nello stesso riposto”[15].

Ragionare nei solchi della teoria dell’overruling, anche solo per escluderne l’applicazione, è, a mio avviso, fuorviante: se la ratio dell’istituto è tutelare la buona fede della parte, allora quest’ultima viene in rilievo anche quando la parte sia incorsa in una decadenza provocata, come nella specie, dall’affidamento sul tenore letterale di una norma, in presenza di un pressoché insussistente aiuto della giurisprudenza, al momento della scelta[16]. A me sembra che la questione possa essere affrontata da una prospettiva differente.

[5] In tal senso anche Godio, Stella, Recupero dei motivi di nullità del lodo per errori di diritto non svolti tempestivamente ?, in Giur. it., 2018, p. 2453 .

[6] Su cui Cass., sez. un. 11 luglio 2011, n. 15144 commentata da Cavalla, Consolo, De Cristofaro, Le S.U. aprono (ma non troppo) all’errore scusabile: funzione dichiarativa della giurisprudenza, tutela dell’affidamento, tipi di overruling, in Corr. giur., 2011, 1397 ss. e Caponi, Retroattività del mutamento di giurisprudenza: limiti, in Foro It., 2011, c. 3344; v. anche Cass., 2 luglio 2010, n. 15811, in Corr. giur., 2010, p. 1473 ss., con nota di D’Alessandro; in dottrina, fra gli altri, Proto Pisani, Un nuovo principio generale del processo, in Foro it., 2011, I, 117 ss.; Ruffini, Mutamenti di giurisprudenza nell’interpretazione delle norme processuali e ‘‘giusto processo”, in Riv. dir. proc., 2011, 1390 ss.; Turatto, Overruling in materia processuale e principi del giusto processo, in Nn. ll. civ. comm., 2015, p. 1149 ss.; Punzi, Il ruolo della giurisprudenza e i mutamenti d’interpretazione di norme processuali, in Riv. dir. proc., 2011, p. 1137; Caponi, Il mutamento di giurisprudenza costante della Corte di cassazione in materia di interpretazione di norme processuali come ius supervenienes irretroattivo, in Foro it., 2010, c. 311 ss., Id., Overruling in materia processuale e garanzie costituzionali (in margine a Cass. n. 19246 del 2010), in Rass. Forense, 2010, p. 535; Costantino, Il principio di affidamento tra fluidità delle regole e certezza del diritto, in Riv. dir. proc., 2011, p. 1073 ss.

[7] La giurisprudenza distingue fra overruling imprevedibile e prevedibile per via di un “larvato dibattito dottrinale o “qualche significativo intervento giurisprudenziale sul tema oggetto dell’indagine” (Cass., Sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17402) Se sulla carta la prevedibilità amplia la discrezionalità del difensore (e dunque la sua responsabilità nella scelta) è da condividere quanto affermato da Consolo, Le Sezioni unite tornano sull’overruling, di nuovo propiziando la figura dell’avvocato «internet-addicted» e pure «veggente», in Giur. Cost., 2012, p. 3166 ss., osserva che l’avvocato «deve capire quando il vento grecale cessa e comincia tirare il maestrale. E qui inizia la parte pericolosa: queste sentenze risentono infatti della stessa, sia pure molto più moderata, percezione dell’avvocato-negromante, che deve capire quando il vento si modificherà».

[8] E ciò a tre condizioni: quando riguardi le regole del gioco, quando il mutamento sia imprevedibile e senza segnali, quando sia l’unica causa della decadenza.

[9] Nota giustamente Consolo, Le Sezioni unite. cit., 3166 che la pronuncia del giudice è sempre dichiarativa stando in questo la salvaguardia della separazione dei poteri.

[10] Cass., 17 giugno 2010, n. 14627, in una sorta di perpetuatio iurisdictionis sul mutamento dell’interpretazione: fa fede, per la parte, l’orientamento tenuto al momento del compimento dell’atto.

[11] La giurisprudenza è orientata peraltro nel senso che le decisioni di merito non possono valere come esegesi valida per l’overruling: cfr. Corte cost. 5 aprile 2012, n. 78. È critica invece l’ordinanza di rimessione, che non esclude che la giurisprudenza di merito possa creare affidamento, ma la Cassazione in esame lo esclude.

[12] Stella-Godio, Recupero dei motivi di nullità del lodo per errori di diritto non svolti tempestivamente?, in Giur. it., 2018, p. 2455. Sul punto Cavalla, Consolo, De Cristofaro, Le S.U. aprono (ma non troppo) all’errore scusabile: funzione dichiarativa della giurisprudenza, tutela dell’orientamento, tipi di overruling, in Corr. giur., 2011, 1408.

[13] La decadenza deriva non direttamente dalla norma incriminata, cioè l’art. 829, bensì dall’art. 828 sui termini per impugnare, notano giustamente Stella, Godio, op. cit., p. 2454.

[14] Costantino, op. cit., p. 1084. Cass, 11 aprile 2011, n. 8127.

[15] “Occorre allora discostarsi da tale principio, valorizzando invece un profilo opportunamente messo in luce nel precedente tante volte richiamato, e così distinguere il caso in cui il revirement giurisprudenziale abbia reso impossibile una decisione sul merito delle questioni sottoposte al giudice scelto dalla parte, dal caso inverso, nel quale – come nella specie – la pretesa azionata sia stata compiutamente conosciuta dal giudice dotato di giurisdizione secondo le norme vigenti al momento dell’introduzione della controversia, come allora generalmente interpretate, ed il ricorrente, senza poter lamentare quindi alcuna lesione del suo diritto di difesa, già pienamente esercitato, tenda, con la richiesta di tutela dell’affidamento, a porre nel nulla il processo celebratosi per poter invocare un nuovo pronunciamento sul merito della questione”.

[16] Secondo la Corte, mentre va escluso che la parte abbia diritto ad una tutela, quando la nuova sentenza non le provochi decadenze, ma le permetta poteri ch’ella aveva escluso, sarebbe diverso se l’avvocato dovesse combattere un orientamento che lo priva di un potere ch’egli ritiene fondato sul tenore della norma. La Cassazione per la verità non è chiarissima sul punto perché non spiega se la sua soluzione poggi sul fatto che anche la prospective overruling non valga in bonam partem.

3. … bensì di interpretazione della norma processuale

Una volta chiarito che non v’è qui questione di affidamento sul diritto vivente, ma ci si trova di fronte ad un problema interpretativo, cioè ad una esegesi effettuata dalla parte, poi rivelatasi erronea alla luce di un autorevole arresto giurisprudenziale, si tratta di valutare se possa adattarsi alla fattispecie l’art. 153 c.p.c.[17], con conseguente rimessione in termini per non imputabilità della decadenza[18].

In una siffatta impostazione, il parametro astratto sul quale misurare detta non imputabilità è rappresentato dall’art. 12 delle preleggi, che indica alla parte quali criteri adottare per svolgere una corretta (e, dunque, non “colpevole”) esegesi della norma. Il vero problema è, però, calare detti principi nei casi concreti.

Non è possibile, in questa sede, affrontare il nodo teorico pregiudiziale, incentrato sul concetto di “norma”[19]; e non è neppure possibile riflettere, come pure si dovrebbe fare, sull’evoluzione dei rapporti fra norma e interpretazione, messa in luce anche di recente da un’autorevole dottrina[20], propensa a vedere nell’interpretazione giudiziale – in filo diretto con i precetti costituzionali -, non più la mera esegesi della legge, bensì un’assai più pregnante inventio, finalizzata allo sviluppo dell’ordine giuridico.

Mi limito dunque ad effettuare alcune osservazioni pratiche, dal punto di vista dell’avvocato. Ed in quest’ottica, credo che la prospettiva più fruttuosa sia quella del rapporto avvocato-cliente.

[17] Giustamente la Corte si sbarazza della questione sulla natura sostanziale o processuale della norma. Concordo sul fatto che siamo di fronte a norme di natura mista. Lo conferma anche la Corte cost. n. 13 del 2018 sopra citata.

[18] Probabilmente, una lettura restrittiva dell’art. 153 c.p.c. avrebbe consentito alla Corte di arrivare alla medesima soluzione in modo più distaccato e tecnico, ritenendo ch’essa riguardi i casi in cui una causa non imputabile alla parte abbia causato la decadenza da un determinato atto e non quello in cui la causa non imputabile abbia provocato l’insorgenza ab origine di un potere per il quale la parte è già decaduta. Tuttavia, avrebbe lasciato un vuoto di tutela, perché non mi pare che questo secondo caso sia meno meritevole del primo.

[19] La stessa Cassazione riprende la distinzione tra disposizione e norma, su cui v. le stimolanti riflessioni di Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 7 1980, p. 63 ss.

[20] Grossi, Pluralità delle fonti del diritto e attuazione della Costituzione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2018, p. 771: “il mutamento in atto nella dinamica del diritto, lo spostarsi dell’asse dell’ordine giuridico generale dal legislatore (inteso quasi Zeus sull’Olimpo) alla interpretazione, soprattutto dei giudici perché è proprio il giudice ad essere collocato sulla trincea dell’esperienza davanti alle parti, che esigono da lui giustizia”.

4. Il rapporto fra avvocato e cliente

Vengono dunque in rilievo gli obblighi, e conseguenti responsabilità, dell’avvocato nei riguardi del suo assistito: tema fortemente influenzato dalle regole deontologiche, che la Cassazione considera come fonte integrativa della legge[21].

Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità dell’avvocato (pur non sempre armonici, sia nella ratio, sia nella soluzione dei casi concreti[22]) sembrano convergere in tre direzioni.

In primo luogo, il dovere di informazione è imprescindibile: “l’avvocato deve informare chiaramente la parte assistita, all’atto dell’assunzione dell’incarico, delle caratteristiche e dell’importanza di quest’ultimo e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione” (art. 27 cod. deontologico) [23].

In secondo luogo, è richiesto all’avvocato un dovere di “diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2°”[24]. Pertanto l’avvocato è responsabile allorché “mostri di non conoscere o violi precise norme di legge ovvero sbagli nel risolvere questioni giuridiche la cui soluzione non presenti alcun margine di opinabilità”, e sia dimostrato “il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo”.

In terzo luogo, non può essere censurato l’avvocato che compie una scelta, poi rivelatasi fallace, in presenza di questioni “rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità, in astratto ovvero in riferimento alla situazione concreta, tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive del patrocinatore”, tenendo conto che la bontà della scelta non può essere valutata ex post[25].

Talvolta, il criterio utilizzato è quello, più immediato, del grado di “difficoltà”: la responsabilità va cioè riconosciuta ove la scelta processuale non richieda “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”[26].

[21] Cass., 20 dicembre 2007, n. 26810.

[22] Si v. ad es. Cass., 24 luglio 2017, n. 18239, in Giur. it., 2017, p. 2380, con nota diff. di Conte.

[23] Sul punto, Cass., 22 novembre 2018 n. 30169 e Cass., 14 novembre 2002, n. 16023 (con le specificità del parere stragiudiziale). Più rigorose Trib. Milano, 08 febbraio 2019, n. 1307 e Trib. Siena, 08 novembre 2018, n. 1282, in DeJure.

[24] Cass., 27 marzo 2006, n. 6967; richiede invece la diligenza del buon padre di famiglia, Cass., 23 aprile 2002, n. 5928.

[25] Cass., 10 giugno 2016, n. 11906.

[26] Cass., 27 marzo 2006, n. 6967 cit.

5. Segue: scelte difensive e costi-benefici

Dall’analisi della casistica[27], emerge che in alcuni casi può bastare il principio di precauzione, che consiglia al difensore di adottare, nel dubbio, la scelta che tutela maggiormente il proprio cliente[28], visto che il dovere dell’avvocato è prima di tutto “adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell’interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa” (art. 10 codice deontologico).

Così, è stata riconosciuta la responsabilità del difensore che non ha optato per l’interpretazione maggiormente tutelante, circa la sussistenza di un termine prescrizionale, in presenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto[29].

Tuttavia, in molti altri casi (compreso quello che stiamo esaminando) sia la natura dell’attività processuale a cui il difensore è chiamato, sia la “liquidità” delle fonti normative ed interpretative lo costringono a scelte più ponderate. Il principio di precauzione va infatti contemperato con altri fattori, secondo un giudizio sul rapporto costi-benefici.

In primo luogo, occorre tenere presente che la parte è responsabile civilmente del danno causato dalla proposizione di domande destituite di fondamento, per mala fede o colpa grave, exart. 96 c.p.c.[30]: occorre dunque valutare se l’esercizio di un potere processuale, favorevole alla parte, presenti un rischio talmente alto di inammissibilità da integrare gli estremi della colpa grave; secondo un orientamento della Cassazione[31], lo stesso difensore sarebbe responsabile di una siffatta valutazione, anche contro le intenzioni della parte.

In secondo luogo, sempre nella prospettiva del miglior interesse del cliente, vi è il fattore dei costi del processo alla luce degli artt. 92 ss. c.p.c.

Quando si deve decidere sulla proponibilità di un motivo di impugnazione, come nella specie, occorre anche tener conto delle conseguenze di una eventuale declaratoria di inammissibilità sui costi del processo. La valutazione sarà ancor più delicata quando vi siano altri motivi di impugnazione con maggiore probabilità di accoglimento, per cui l’inammissibilità dell’uno potrebbe implicare la compensazione delle spese, nonostante la vittoria sugli altri.

Dunque, negli esempi appena fatti, dovrà farsi un’attenta ponderazione di tutti gli indici esegetici disponibili (testo normativo, dottrina, giurisprudenza di merito e di legittimità) a favore o contro la soluzione più favorevole alla parte[32] ed ogni caso va valutato a sé.

Se, ad esempio, la giurisprudenza di legittimità si sia già pronunciata, proponendo, magari con più decisioni conformi, una interpretazione “eversiva” rispetto all’apparenza letterale di una norma, il difensore, nel valutare come agire, potrà tenere in debito conto la crescente tendenza alla stabilizzazione del diritto vivente, specie in materia processuale[33] (una stabilizzazione che si sta affermando vieppiù, attraverso il potenziamento della funzione nomofilattica della giurisprudenza di legittimità e i nuovi sistemi di software predittivi); e dovrà bilanciarla con “l’interesse del cliente a coltivare la lite nonostante la sussistenza di precedenti sfavorevoli e/o di strumenti conciliatori”[34], attesa l’insussistenza nel nostro paese del principio di stare decisis.

Il caso qui in esame è ancora diverso, perché, di fronte ad un tenore letterale apparentemente chiaro, benché suscettibile di dar luogo a conseguenze distorsive, i dati interpretativi erano particolarmente lacunosi[35]. L’unica via agevolmente visibile era quella tracciata del dato letterale della norma transitoria, mentre le altre strade erano solo abbozzate (e di difficile individuazione, dato il forte grado di discrezionalità che di regola caratterizza le scelte del legislatore sulla successione fra leggi).

Oltre all’interesse del cliente, la scelta può mettere in gioco lo stesso interesse dell’avvocato: significativa è l’introduzione dell’art. 130 bis nel d.p.r. n. 115 del 2002, ad opera del d.l. n. 113 del 2018, a termini del quale “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, al difensore non è liquidato alcun compenso”.

Non va poi trascurata la valutazione predittiva delle probabilità di accoglimento nel merito del motivo di impugnazione della cui ammissibilità si dubita – valutazione che i giudici di Cassazione non fanno, ma che avrebbe potuto influire sulla questione della rimessione in termini, tenendo a mente il criterio di effettività[36].

Il principio di precauzione, dunque, non risolve tutti i problemi.

[27] Su cui Conte, op. cit., in Giur. It., 2017, p. 2383 ss. e Id., In tema di responsabilità civile e deontologica dell’avvocato: novità giurisprudenziali e normative, in Corr. giur., 2012, p. 352 ss.

[28] Secondo Costantino, Il principio di affidamento, cit., 1089-1090, la parte che rimane inerte non sarebbe meritevole di protezione, avendo per contro un “dovere di precauzione”.

[29] Cass., 28 settembre 2018, n. 23449; Cass., 5 agosto 2013, n. 18612, in Giur. It., 2014, 841 con nota di Favale, Contrasto giurisprudenziale ed obbligo dell’avvocato di ‘‘seguire la via più sicura” e in Danno e Resp., 2013, 1089 con nota di Conte, Contrasti giurisprudenziali sul termine di prescrizione e responsabilità dell’avvocato, sull’incertezza in materia di termini prescrizionali: significative sono le parole della Corte: “l’opinabilità stessa della soluzione giuridica impone al professionista una diligenza ed una perizia adeguate alla contingenza, nel senso che la scelta professionale deve cadere sulla soluzione che consenta di tutelare maggiormente il cliente […] dunque, la misura della diligenza richiesta al legale è connotata proprio dall’esistenza del contrasto giurisprudenziale […] non potendo la compresenza di approdi giurisprudenziali non collimanti tra loro essere per ciò stesso evocata ad esimente della colpa grave […]”. La sentenza fa poi riferimento all’overruling, che come ho detto non è oggetto di questa relazione. Si v. anche Cass., 14 febbraio 2017, n. 3765; Cass. 28 febbraio 2014, n. 4790.

[30] Questa intesa come imprudenza o trascuratezza elevata, per il mancato impiego di un minimo di diligenza, sufficiente a far avvertire l’ingiustizia della pretesa avanzata in causa (Cass., 13 aprile 1989, n. 1788).

[31] V. Cass., 20 maggio 2015, n. 10289, che ha sanzionato l’avvocato nonostante la scelta iniziale fosse stata condivisa dal cliente. Si trattava infatti della decisione chiamare “in causa il terzo, nonostante fosse prevedibile che questi avrebbe, come poi effettivamente accaduto, proposto l’eccezione di prescrizione”. I giudici ritengono che la responsabilità sussista egualmente perché l’avvocato deve “assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, non solo al dovere di informazione del cliente ma anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione dello stesso ed essendo tenuto, tra l’altro, a sconsigliare il cliente dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole”. Più edulcorata Cass., 2 luglio 2010, n. 15717: “E’ indubbio che – anche e soprattutto con riferimento alle c.d. “cause perse” (ammesso e non concesso che tale fosse quella di cui trattasi) – l’attività del difensore, se bene svolta, può essere preziosa, al fine di limitare o di escludere il pregiudizio insito nella posizione del cliente (se non altro sollevando le eccezioni relative ad eventuali errori di carattere sostanziale o processuale della controparte).Il difensore può non accettare una causa che prevede di perdere, ma non può accettarla e poi disinteressarsene del tutto, con il pretesto che si tratta di causa persa.

[32] Ove la giurisprudenza di legittimità si esprima, successivamente, a sfavore della esegesi prescelta, alla parte non resterà che esporre i motivi per i quali ritenga più ragionevole l’opposta esegesi e spetterà poi al giudice investito della controversia decidere sul punto, tenendo presente che la sopravvenuta pronuncia è pur sempre non vincolante, seppur autorevole e “persuasiva”: l’art. 153 c.p.c. non viene dunque in questione.

[33] Nelle regole processuali, poi, “i valori prevalenti consistono nella certezza e nella uniformità dell’interpretazione”: Costantino, Il principio di affidamento, cit., p. 1075.

[34] Testuali parole di Cass., 22 novembre 2018 n. 30169.

[35] Stella-Godio, op. cit., p. 2458, osservano che, se al momento della valutazione l’avvocato avesse potuto disporre di una serie di pronunce tutte nella direzione della negazione del potere, la sua scelta di non esercitare il motivo di impugnazione sarebbe stata pienamente comprensibile.

[36] Cioè l’opportunità di una rimessione in termini rispetto ad un motivo che non sarebbe stato comunque fondato. Si v. Cass., 26 giugno 2018, n. 16803, seppur nel diverso caso di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività vantaggiosa per il cliente.

6. Non errore, dunque, ma una scelta condivisa fra parte e difensore

Credo allora che la strada maestra sia quella di effettuare una scelta ponderata condivisa, fra parte e difensore.

L’avvocato ha le competenze tecniche per sceverare la questione, valutare tutti gli indici interpretativi e dare il proprio parere professionale, spiegando il tutto in parole comprensibili al cliente: la scelta finale dovrà però essere condivisa, all’esito di una corretta valutazione rischi-benefici.

Valutazione – ed è qui il punto – che non può che essere compiuta sulla base degli elementi interpretativi a disposizione nel momento in cui si deve scegliere.

Il successivo pronunciamento dell’organo nomofilattico rappresenta una importante novità, in quanto “fonte produttiva di norme interpretative”, e di particolare forza, rispetto ad altre fonti esegetiche[37].

Essa, probabilmente, avrebbe condotto la parte a fare scelte differenti, ma non v’è luogo per una rimessione in termini semplicemente perché la scelta è stata fatta sulla base dei dati interpretativi a disposizione in quel momento; a me sembra che non sia dunque un problema di errore scusabile, bensì di un problema di scelta consapevole, e responsabile, fatta necessariamente sulla base degli elementi a disposizione.

Non condivido, dunque, il ragionamento finale della Corte, secondo cui, in sostanza, lo stesso avvocato avrebbe ammesso la non scusabilità dell’errore, volendosi avvalere di una esegesi ch’egli definisce come inimmaginabile, ai tempi della scelta[38].

Il diritto vivente non è immutabile, ma si evolve ed è dunque fisiologico che un comportamento sia valutato e scelto sulla base dello stato dell’arte vigente al momento; è altrettanto fisiologico che, al mutare del diritto vivente, mutino anche le valutazioni circa l’opportunità di una scelta analoga.

Ragionando in questi termini, si valorizza meglio il doppio ruolo del difensore: egli deve adottare tutte le strategie difensive che siano nell’interesse del proprio assistito, ma ad un tempo, contribuisce al bisogno di giustizia ed al progresso dell’ordinamento attraverso l’uso delle proprie competenze professionali al fine di districare le maglie di un diritto vivente sempre più complesso; dette competenze, proprio perché tali, non possono non tener conto di tutte le fonti a disposizione al momento del responso[39], dalle quali l’avvocato[40] non può prescindere, anche a costo di rimanere sulla via ferrata già tracciata e rinunciare ad aprirne una nuova, – come invece avrebbe voluto la Cassazione annotata, con una osservazione tranchante che, per i motivi appena detti, mi lascia perplessa[41].

[37] Cfr. Caponi, Il mutamento di giurisprudenza costante della Corte di cassazione, cit., p. 311. In favore dell’emersione di “un vero e proprio ruolo normativo o para-normativo delle decisioni giudiziarie, o almeno di alcune di esse”, v. M. Mengozzi, Normatività delle decisioni giudiziarie: nomofilachia e Costituzione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, osservatorio costituzionale, 2015, 1. Sul tema Pizzorusso, Delle fonti del diritto, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977, 532 ss., spec. 533

[38] La Cassazione parrebbe dire: se la parte si vuole avvalere di un dato orientamento, non può affermare ch’esso era imprevedibile, perché così dicendo dà per presupposta la sua erroneità, rispetto al tenore della norma e dunque la violazione dell’art. 12 preleggi. Bisogna dunque dare per scontato che esso sia compatibile con la norma, (e così è stato riconosciuto, dalla Corte costituzionale) e ne segue, pertanto, che la parte avrebbe dovuto elaborarlo autonomamente, essendo allora l’errore non scusabile per sua stessa ammissione.

[39] Fonti che possono avere intensità persuasiva variabile, ma tutte meritevoli di valutazione: non v’è dubbio che la giurisprudenza di merito abbia un “peso” diverso, non proveniendo dall’organo nomofilattico, ma ciò non significa che non se ne debba tenere conto.

[40] Che è tecnico del diritto e come tale non ha la stessa discrezionalità della parte.

[41] L’avvocato “non è un mero consulente legale con il compito di pronosticare l’esito della lite e di informarne il cliente, né è un giudice cui spetta la decisione; egli ha l’obbligo di proporre soluzioni favorevoli agli interessi del cliente, anche nelle situazioni che richiedono la soluzione di problemi interpretativi complessi, di attivarsi concretamente nel giudizio con gli strumenti offerti dal diritto processuale, indicando strade interpretative nuove, portando argomenti che facciano dubitare delle soluzioni giurisprudenziali correnti e anche della giustizia della legge, sollevando eccezioni di incostituzionalità e di contrarietà con il diritto sovranazionale, ecc.” (sembra condividere Pisapia, Arbitrato, impugnativa del lodo e overruling: le sezioni unite sulla tutela dell’affidamento e l’interpretazione della legge, si può leggere in www.dirittobancario.it). Le mie perplessità non riguardano le affermazioni circa il ruolo dell’avvocato come contributo al progresso dell’ordinamento (affermazioni che condivido pienamente); bensì sull’idea, che sembra trasparire, che l’avvocato debba sempre iniziare vie ferrate nuove, anche se quelle già tracciate, pur più faticose, appaiano più convenienti in un bilancio costi-benefici.

7. Il futuro nell’algoritmo

Ha ragione la Cassazione ad osservare che “il riferito «affidamento» riposto nel significato «letterale» della disposizione, cui conseguirebbe un’unica risposta decisionale considerata «esatta», quindi prevedibile in senso proprio, si scontra con la constatata complessità dei processi interpretativi, il cui esito è il prodotto della funzione nomopoietica distribuita tra tutti i soggetti dell’ordinamento, continuamente alimentata dal dibattito processuale del giudice con e tra le parti.” Tuttavia, sempre secondo la Corte, è possibile individuare un confine, oltre il quale l’interpretazione non può andare, rappresentato dal “limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale[42]“.

Facile a dirsi, ma difficile a farsi, come evidenzia la vicenda in esame.

Nella specie, il mancato superamento di detto limite da parte delle Sezioni Unite del 2016 ha ricevuto l’autorevole avallo, seppur implicito, della Corte costituzionale chiamata a valutare l’arresto. Eppure, il limite era vicino, se è vero che l’intrinseca “ingiustizia” della norma transitoria è stata risolta con una esegesi fortemente adeguatrice, in grado di scongiurare i dubbi di incostituzionalità paventati dagli stessi giudici di Cassazione nell’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite.

La Cassazione chiama dunque l’avvocato ad un ben difficile compito, onerandolo di prefigurare una inventio[43] ancor prima che venga dischiusa e di attualizzare, così, un “diritto che vivrà”[44]. Ancor più difficile, quando, come è successo in questo caso, il panorama interpretativo disponibile al momento della scelta è particolarmente acerbo.

Ecco allora che, a soccorrere il nostro difensore, giungerà l’algoritmo predittivo, al quale potrà essere delegata la scelta difensiva, con l’accordo del cliente.

La macchina, certamente affidabile nell’analisi dei dati, sarà però sempre basata sul diritto vivente sussistente in quel momento, a meno che non sia possibile elaborare forme di intelligenza artificiale in grado di superare l’inventiva dell’essere umano.

[42] Cass., 23 dicembre 2014, n. 27341 sulla falsariga di Cass., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144.

[43] Intesa secondo il significato dato da Grossi, op. loc. ultt. citt.

[44] Significativa è l’espressione di “avvocato veggente” di Consolo, Le Sezioni unite tornano sull’overruling, di nuovo propiziando la figura dell’avvocato ‘‘internet-addicted” e pure ‘‘veggente”, cit.

Redazione

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