Il rifiuto della proposta conciliativa: l’art. 91 c.p.c.

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Orientamenti giurisprudenziali

L’articolo 91 cpc ed il coordinamento con l’art. 11 D.Lgs.vo 28/2010:

L’articolo 91 cpc così dispone “Il Giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta, al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’art.92 cpc”. Il secondo comma dell’art.92 cpc, secondo comma, prevede che “Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”. Le norme sopra riportate possono essere poste in collegamento con quanto dispone l’articolo 11 del D.Lsg.vo 28/10 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. L’articolo 11 del decreto 28 stabilisce che, nel caso in cui le parti non raggiungano l’accordo, “..il mediatore può formulare una proposta di conciliazione” se “..le parti ne fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art.13”[1].

Il successivo articolo 13 prevede che qualora il provvedimento che definisce il giudizio sia interamente corrispondente al contenuto della proposta, “..il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna la rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto”. La disposizione si applica anche alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore ed il contributo dovuto all’esperto di cui all’art.8 comma 4.[2]

Al secondo comma l’art.13 dispone che “Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art.8 comma 4. Il Giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente.

La novità introdotta dalle norme citate consiste nel fatto che la condanna alle spese venga posta sulla parte “vittoriosa” in difformità al più generale principio di soccombenza di cui all’art.92 cpc. Il fondamento della condanna risiede, nel particolare caso individuato dall’art.91[3] ,  non tanto in una responsabilità processuale (qual’ è quella prevista dall’art.96 cpc) quanto nel fatto che la parte che abbia impedito la definizione in via transattiva, determinandone la sua prosecuzione, possa venire sanzionata. Nella delega al Governo 18/6/2009 n.69 [4], l’articolo 60, aveva espressamente chiesto che la legge prevedesse, qualora il provvedimento che chiudeva il processo corrispondesse interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di conciliazione ,“..che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo, altresì e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente ..e che inoltre possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai senso dell’art.91 del T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al Decreto del Presidente Della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115”.

I presupposti della condanna di cui all’art.91 sono due:

  1. L’accoglimento della domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa;
  2. L’assenza di giustificati motivi di non accettazione della proposta

Il Giudice ha un ampio potere discrezionale nella valutazione dei giustificati motivi di cui parla la norma.

La Cassazione a Sezioni Unite [5]  ,riguardo la proposta stragiudiziale formulata per il tramite degli avvocati, si è espressa nel 2017 ritenendo non producibile in giudizio la corrispondenza riservata tra colleghi poiché violerebbe l’art.28 del Codice Deontologico.  La Suprema Corte sostiene che la divulgazione di tale corrispondenza non possa ritenersi necessaria al fine di dimostrare l’eventuale giustificazione del rifiuto della proposta conciliativa; tale giustificazione. .non può che riguardare la proposta ufficialmente agli atti – fino a quando non sia altrettanto ufficialmente ritirata – non eventuali diverse proposte o ipotesi avanzate nel corso delle trattative”.  La Suprema Corte ha affermato che le parti sono le uniche titolari di un potere di proposta negoziale in senso proprio. Il Giudice può formulare, al limite, ipotesi transattive che una parte può fare proprie sì da diventare una proposta suscettibile di dar luogo ad un accordo conciliativo in presenza dell’accettazione della controparte; “ed è appunto il meccanismo basato sulla proposta conciliativa di una delle parti, che l’art.91 c.p.c., comma 1, ha inteso promuovere mediante la previsione di una ricaduta all’ingiustificato rifiuto di controparte sull’addebito delle spese processuali”4

Trib. Verona Sez III Civ. sentenza 28.02.14

L’articolo 91, nella parte in cui prevede la soccombenza a carico della parte vincitrice, non ha avuto grande applicazione pratica.

Il  Tribunale di Verona, con sentenza del 28.02.14,  condannò la parte vincitrice che aveva rifiutato la proposta conciliativa. La pronuncia è interessante poiché è una delle prime che applica l’articolo 91 cpc in deroga al principio generale di soccombenza. La causa aveva ad oggetto un’azione proposta da un avvocato nei confronti di altro avvocato per ottenere il pagamento dei compensi in seguito a prestazione professionale resa nell’ambito di un procedimento disciplinare svoltosi presso l’Ordine degli Avvocati. La parte attrice chiedeva la condanna al pagamento della somma di euro 8.077,71 a titolo di compensi professionali come determinati dal DM 8.04.04 n.127 in quanto prestazioni svolte dal 2003 al 2004. La domanda veniva accolta solo in parte; il Giudice  ripartiva le spese di lite sia in considerazione del parziale accoglimento sia in relazione al rifiuto di una proposta conciliativa da parte dell’attore formulata in corso di causa dal convenuto con memoria 183 sesto comma n.2. La proposta che prevedeva il pagamento in favore dell’attore della somma di cui ad un primo progetto di parcella, veniva  rifiutata dall’attore con motivazioni esplicitate nella terza memoria ex art 183 sesto comma. Il Tribunale condannava l’attore alle spese di lite maturate successivamente alla formulazione della proposta (ossia quelle maturate dalla terza memoria ex art 183 sesto comma in poi) ritenendo il rifiuto ingiustificato “..poichè fondato su considerazioni che implicavano la vittoria pressochè integrale della causa e quindi senza dimostrare la benchè minima disponibilità a recedere dai propri assunti…”. Il Tribunale di Verona motivava la condanna ex art.91 cpc sulla scorta del fatto che “la prosecuzione del giudizio è quindi direttamente riconducibile al rifiuto della predetta proposta conciliativa opposto dall’attore”. Il Giudice compensava “..tra le parti le spese del giudizio maturate fino al momento del deposito della memoria ai sensi dell’art.183, comma sesto n.2 c.p.c. e condanna l’attore a rifondere al convenuto le spese da questi sostenute successivamente al predetto momento che liquida nella somma di euro 840,00 oltre accessori”. [6]

Trib.Catania Sez IV sentenza 1.3.19 n.898

Il Tribunale di Catania con la sentenza del 1° marzo 2019 ha così sancito: “La parte vittoriosa che rifiuta immotivatamente una proposta conciliativa di un importo pari (o maggiore) a quello poi accertato dalla sentenza, ai sensi dell’art.91 c.p.c., va condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte soccombente dal momento della formulazione della proposta in avanti. Nel caso di specie, tale regola – forse eccessivamente penalizzante per la parte vittoriosa – viene mitigata dal generale principio di soccombenza in modo tale che la condanna della parte soccombente alla refusione delle spese di lite dell’intero giudizio dia origine ad una sorta di compensazione, consentendo un equo contemperamento degli interessi delle parti”.

La causa traeva origine da un’opposizione a decreto ingiuntivo che condannava l’opponente al pagamento della somma di euro 11.330,53 oltre interessi e spese. In corso di causa, dopo numerosi rinvii, il Giudice, riservatosi per l’ammissione delle prove, disponeva la comparizione delle parti formulando una proposta conciliativa (l’ordinanza del G.I. è datata 09.11.15). La proposta prevedeva che parte opponente si sarebbe impegnata a pagare la merce consegnata, limitatamente a quella riportata dai DDT sottoscritti, oltre alle spese di lite per euro 1.000,00 oltre accessori mentre parte opposta avrebbe rinunciato alla restante parte della domanda. Parte opposta non aderiva e formulava proposta transattiva che prevedeva il pagamento a saldo e stralcio dell’importo di euro 8.000,00 oltre alle spese; quest’ultima non veniva accettata dall’opponente. La causa pertanto proseguiva e veniva successivamente trattenuta in decisione.

Il Giudice riteneva l’opposizione parzialmente fondata. In sede di opposizione, l’opponente aveva riconosciute come dovute parte delle somme ingiunte. Parte opposta aveva prodotto altri documenti di trasporto (elencati nel dettaglio in sentenza) che non erano mai stati formalmente disconosciuti dall’opponente. Il Giudice ha ritenuto però provata la circostanza che l’opponente non poteva aver sottoscritto i documenti di trasporto in quanto costretto in carcere dal 14.12.10 all’8.5.14 pertanto “il decreto ingiuntivo opposto va revocato. In ogni caso, poiché con l’opposizione a decreto ingiuntivo si è comunque instaurato il contraddittorio in ordine al merito della domanda diretta al riconoscimento del credito azionato in via monitoria, questo Tribunale ha il dovere di decidere sulla fondatezza della pretesa creditoria già azionata con il D.I. opposto, rideterminando – ove occorra – l’importo dovuto dall’opponente”.

Il Tribunale rideterminava quindi il credito in euro 8.761,35 oltre interessi fino all’integrale soddisfo. Il Giudice che pronunciò la sentenza [7], ritenne che i DDT, cui faceva riferimento il Giudice nella  proposta, non fossero  solo quelli di cui al fascicolo monitorio ma anche quelli prodotti con la comparsa di costituzione e risposta del convenuto opposto; “non può negarsi – quindi- che il giudizio ben poteva essere definito a quella data, senza ulteriore necessità di proseguire la causa e di appesantire il contenzioso del tribunale”.

In virtù di questo principio e richiamato l’art. 91 c.p.c. il Tribunale di Catania condannava il convenuto opposto al pagamento delle spese processuali maturate dopo la proposta conciliativa (nel caso di specie solo gli onorari della fase decisionale) “..quale conseguenza della mancata accettazione della proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. formulata dal Giudice Istruttore con ordinanza del 9.11.15”[8]

Tribunale di Foggia Ordinanza 21.7.18 e la ratio dell’articolo 91 cpc

E’ innegabile la portata innovativa dell’art.91 cpc nella parte in cui “stravolge” l’ordinario criterio di soccombenza, anche se è risultato poco applicato nella pratica.

Non sono noti precedenti che applicano l’art.91 cpc in caso di proposta proveniente dal mediatore. Il Tribunale di Foggia, con ordinanza 21 luglio 2018 in materia di fideiussione bancaria sanzionava l’istituto bancario che, assegnato il termine di 15 giorni per attivare la procedura di mediazione, non aveva partecipato all’incontro senza addurre motivazioni. Il Tribunale condannava la banca al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio ed assegnava alle parti i termini di cui all’articolo 183 sesto comma. La pronuncia pare interessante poiché, pur non facendo espresso riferimento alla condanna ex art 91 cpc, ritiene che “..la condotta della banca non appare in alcun modo giustificabile, perché in sede di mediaconciliazione, per ipotesi astratta, si sarebbe potuta avanzare anche una proposta del tutto favorevole alla banca, il cui rifiuto “a priori” appare del tutto irragionevole e contrario allo spirito normativo..”[9].

Pare che il legislatore abbia voluto sanzionare sia chi rifiuta la proposta e obbliga le parti alla prosecuzione del giudizio in un’ottica deflattiva ma anche chi assume un atteggiamento contrario ad un generale spirito conciliativo. Tuttavia, il rifiuto della proposta non può tradursi automaticamente in una sanzione processuale che pare oltremodo gravosa. I commenti dottrinali pare non abbiano accolto favorevolmente lo spirito della norma; bisognerà attendere per capire con che frequenza essa verrà applicata ed entro che limiti potrà operare.

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Note

[1] L’articolo è stato modificato dall’art.84 comma 1 lett.I) del D.L. 21 giugno 2013 n.69 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n.98

[2]  L’articolo è stato modificato dall’art.84 comma 1 lett.n) del D.L. 21 giugno 2013 n.69 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n.98

[3] e dall’art.11 del decreto Lgs.vo 28/10

[4] Legge delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali

[5] Cass.S.U.12/09/17 n.21109

[6] Trib. Verona Sez. III Civile 28 febbraio 2014

[7] Differente dal Giudice inizialmente assegnatario della causa che aveva invece formulato la proposta (in data 09.11.15

[8] Trib. Catania Sez IV Sent. 01.03.19

[9] Trib.Foggia Ordinanza 21.7.18

Avv. Scarsi Mara

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