Il ricorso ex art. 2409 C.C. e i gruppi societari

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Premessa

Il procedimento ex art. 2409 c.c. regolamenta un controllo giudiziario di particolare intensità sulle S.p.a., consistente in una forma di intervento dell’autorità giudiziaria nella “vita” delle società, volto a ripristinare la legalità nella gestione delle stesse. Il tema è quanto mai di pubblico interesse, atteso il ruolo delle società di capitali all’interno dell’articolato universo dell’economia globale, sempre più contraddistinto dalla presenza e dalla conseguente influenza di tali soggetti imprenditoriali, senza prescindere dall’ulteriore considerazione che la realtà dei gruppi, intesa quale modalità di gestione accentrata di un’impresa economicamente unitaria, ma articolata in più soggetti giuridicamente autonomi, è una delle forme di organizzazione imprenditoriale più caratteristiche del nostro tempo.

Il legislatore, con la riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, intervenuta con il d.lgs. n.6/2003 in attuazione della legge delega n. 366/2001 ha innovato profondamente la disciplina di cui all’art. 2409 c.c. includendo, tra l’altro, il riferimento esplicito della rilevanza del danno, che la formulazione legislativa previgente non richiedeva riferito anche alle “società controllate” ed ha contestualmente introdotto la nozione di “esercizio di attività di direzione e di coordinamento di società” per concretizzare l’essenza del fenomeno di gruppo in una prospettiva di tutela e disciplina.

 

I presupposti

Per innestare il procedimento è necessario, così come prevedeva l’art. 2409 c.c. ante riforma, innanzitutto, la situazione di “fondato sospetto”. Non è richiesta la prova delle irregolarità, come dimostra anche il provvedimento d’ispezione di cui al secondo comma a tal fine preordinato, ma non è ammissibile una denuncia totalmente priva di riscontri obiettivi, basata su semplici “voci” o “dubbi”. Il “sospetto” (inteso quale situazione psicologica d’incertezza circa l’esistenza di una data circostanza, che, però, si ritiene reale), deve essere nondimeno “fondato”, cioè avvalorato da elementi di fatto tali da costituire, se non la prova delle irregolarità, quantomeno un indizio grave della sussistenza delle stesse1. Tuttavia, il “fondato sospetto” di gravi irregolarità riguarda, dopo la riforma, solo l’operato degli amministratori, non più anche quello dei sindaci. In dottrina prevale l’interpretazione secondo la quale la diversa formulazione utilizzata dal legislatore della riforma, può spiegarsi alla luce dell’intento di rafforzare il governo della società, rendendolo di competenza esclusiva degli amministratori2.

Riguardo ai relativi elementi oggettivi, il legislatore pone l’accento sulle gravi irregolarità “nella gestione” poste in essere dall’organo amministrativo in “violazione dei doveri” e sull’ulteriore presupposto, con scelta restrittiva rispetto al passato, che le stesse possano essere potenzialmente dannose “alla società o a uno o più società controllate”. Così, rispetto alla precedente disciplina, l’ambito di applicazione del controllo giudiziario è meno ampio, giacché richiede che le irregolarità nella gestione “possano arrecare danno” e nel contempo risulta più esteso per il fatto che il nuovo requisito del danno è rilevante anche se cagionato a una o più società controllate3.

Quest’ultimo principio andrebbe letto ed interpretato alla luce dell’art. 2497 c.c., il quale tutela i soci e i creditori delle società controllate per la violazione da parte della società che esercita attività di direzione e coordinamento, dei principi di corretta gestione imprenditoriale dai quali possa derivare un pregiudizio rispettivamente al valore della partecipazione sociale e all’integrità del patrimonio sociale4.

Così, la nuova disciplina riguarda non soltanto le società di cui all’art. 2359 c.c., ma anche quelle soggette a direzione e coordinamento e anche le società a ciò sottoposte mediante il contratto previsto dall’art. 2497- septies (… società o ente che … esercita attività di direzione e coordinamento di società sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti) e dall’art. 2545-septies per le società cooperative (c.d Gruppo cooperativo paritetico).

Tuttavia, solo circostanze gravi e soprattutto foriere di almeno un potenziale danno possono legittimare tale intervento. Permane, tuttavia, una sorta di insoddisfazione intorno ad una formula legislativa per lo più ritenuta inappagante, perché giudicata vaga e indeterminata5, dalla quale potrebbe discendere un forte grado di discrezionalità da parte dell’interprete, soprattutto quando si tratta di applicarla nell’ambito dei gruppi di società.

 

Le “gravi irregolarità” in una s.p.a appartenente ad un gruppo

In assenza di un’elencazione delle possibili gravi irregolarità, spetta al tribunale adito dare un significato alla disposizione. La giurisprudenza degli ultimi anni, consente peraltro di individuare alcune aree in cui si concentrano tipicamente le gravi irregolarità degli amministratori6.

Un gruppo d’irregolarità rilevanti ex art. 2409 c.c. è legato alla nozione di “conflitto di interessi”. Può accadere, che uno degli amministratori compia, in nome e per conto della società, delle operazioni nelle quali verta in una situazione di conflitto di interessi rispetto alla medesima società. L’organo di gestione, infatti, deve perseguire un interesse che è estraneo, anzi che si pone addirittura in contrasto, rispetto a quello sociale.

Molteplici sono i problemi interpretativi nell’ambito dei gruppi di società relativamente all’applicabilità dell’art. 2391 c.c..

Il disegno riformatore ha inteso riconoscere la legittimità della direzione unitaria, precisando però che deve trattarsi di “un’attività di direzione e coordinamento” che “contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime” e che non deve violare “i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale”. Ergo, partendo da una sommaria analisi dell’art. 2497 c.c., dal quale dovrebbe desumersi una disciplina organica dei gruppi di società7, si può ritenere che tra i “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” rientrino senz’altro i principi di cui all’art. 2391 c.c.. Ne deriva che le disposizioni relative agli “interessi degli amministratori” dovranno essere rispettate dalla società o ente che esercita l’attività di direzione unitaria e anche dalle società eterodirette chiamate ad eseguire le relative direttive.

Un indice dell’emersione di una sorta di interesse di gruppo8 dovrebbe essere l’art. 2497-ter c.c.. L’obbligo di motivazione delle decisioni, conseguenti a una valutazione dell’interesse del gruppo, assolve indubbiamente ad una funzione di trasparenza e di strumento di controllo sulla corrispondenza della decisione all’interesse di gruppo9. Tale obbligo, legittimerebbe decisioni gestionali, influenzate dalla società capogruppo, apparentemente distanti da quelle che potrebbero essere assunte dalla società monade, solo allorché siano analiticamente motivate e rechino puntualmente l’indicazione delle ragioni e degli interessi. In questo senso la motivazione espressa dell’operazione contrastante con l’interesse sociale renderebbe palese l’interesse che sottostà alla decisione, talvolta anche estraneo all’interesse particolare della società monade10. Ciò, partendo dalla considerazione che, in ipotesi assolutamente normali, in un gruppo gli amministratori della società controllata possono essere talvolta portatori di interessi “per conto di terzi” rispetto all’interesse della società o ente capogruppo di cui fanno parte, sicché le disposizioni legislative di cui all’art. 2391 dovrebbero essere interpretate per quanto attiene all’elemento del danno non isolatamente ma alla luce dei principi immessi nel sistema in materia di gruppi e in particolare alla luce dei vantaggi compensativi11 di cui all’art. 2497, primo comma, c.c..12 La nuova disciplina si collega quindi ad un principio generale di trasparenza che si concilia perfettamente alla materia dei gruppi e risulta finalizzato alla tutela degli interessi di tutti i soggetti che potrebbero essere danneggiati dall’appartenenza della società ad un gruppo13.

Alla luce di queste sommarie considerazioni, la violazione da parte degli amministratori della società eterodiretta e della capogruppo del conflitto di interessi ben potrebbe configurare una “grave irregolarità” ex art. 2409 c.c. tale da legittimare l’ispezione giudiziale dell’amministrazione, sempre che sussista l’ulteriore presupposto della potenzialità del danno alla società stessa14. Un’ipotesi potrebbe essere la violazione, quale norma complementare con quella dettata dall’art. 2391 c.c, del divieto di concorrenza ex art. 2390 c.c. Difatti, nel nostro ordinamento giuridico, il gruppo societario ha rilevanza solo economica non già giuridica, non è certo un centro di imputazione di situazioni giuridiche e di garanzie patrimoniali, ma consiste in un’unica impresa sotto il profilo economico al quale corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico, tante quante sono le società che ne fanno parte15. Nell’ambito della “concorrenza gestoria”, la società capogruppo non può sostituirsi agli amministratori della controllata nella governance specifica della società. La società capogruppo stabilisce le direttive strategiche che dovranno essere attuate dalle società assoggettate alla sua attività di direzione e coordinamento per la realizzazione dell’interesse di gruppo, ma ciascuna società eterodiretta mantiene la sua autonomia giuridica per il perseguimento di un autonomo interesse. Pertanto, “gli amministratori delle controllate non possono essere inquadrati quali meri esecutori di direttive da parte dell’organo amministrativo della controllante”16.

 

Legittimazione

Relativamente ai soggetti legittimati17 ad agire, legittimato attivo per la denuncia al tribunale con la riforma del 2003, resta il socio titolare di azioni pari al dieci per cento del capitale sociale, soglia minima legale ritenuta necessaria a garanzia della serietà dell’iniziativa e contro gli abusi della minoranza. Peraltro, è stata introdotta una soglia minima diversa, il cinque per cento del capitale sociale, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, probabilmente nell’ottica di un’accentuazione della tutela della minoranza18.

Nell’ambito della direzione unitaria, la norma attribuisce la legittimazione ai soci, senza specificare se per tali devono essere intesi quelli della società controllante o quelli della società controllata. Nel silenzio della legge, tenuto conto della genericità dell’espressione, si ritiene che legittimati a proporre la denuncia al tribunale siano sia i soci della controllante, sia quelli della controllata, cui si riferisce l’attività dannosa degli amministratori della società controllante. In tal modo può ritenersi attuata la l. n. 366/2001 di delega alla riforma del diritto societario, nella parte in cui prevedeva una maggiore tutela per le minoranze delle società controllate (art.10,primo comma, lett. a)).

Tuttavia, i provvedimenti del tribunale ex art. 2409 c.c. possono essere adottati solo nei confronti della società capogruppo, solo l’organo amministrativo di tale società è il soggetto passivo della procedura. Inoltre, il riferimento alle società controllate va inteso nel senso che il controllo giudiziario è ammissibile sebbene le società controllate siano società a responsabilità limitata, per cui in tal caso in queste società il controllo giudiziario può concorrere con quello consentito dall’art. 2476, terzo comma, c.c.. Ovviamente, è indispensabile che la società capogruppo sia una società di capitali, non essendo ammissibile il controllo giudiziario nelle società di persone. Se invece, la controllante è una s.r.l., l’azionista della controllata non può utilizzare la norma dell’art. 2409 c.c. per conseguire il controllo giudiziario della controllante, poiché tale ipotesi non è contemplata dal novellato art. 2409 c.c.. Al riguardo, molteplici furono le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali19 che culminarono dapprima nella pronuncia della Corte Cost. n. 481 del 2005. Per l’orientamento della Corte le norme delegate andavano interpretate nel significato compatibile con i principi enunciati nella legge delega. In quest’ottica “l’accesso consentito a ciascun socio ai documenti della società che, nella precedente disciplina della S.r.l., potevano essere esaminati soltanto da chi era incaricato dell’ispezione ex art. 2409 c. c., costituisce certamente una profonda innovazione, idonea a potenziare l’efficacia dell’azione sociale di responsabilità, alla quale viene legittimato ciascun socio che viene altresì, legittimato a chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori20”.

In seguito, la sentenza della Corte di Cassazione del 13 gennaio 2010, n. 403 è intervenuta sulla questione, cercando di porre fine al dibattito giurisprudenziale sull’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle S.r.l..

In particolare, la Suprema Corte, statuisce che “il generico richiamo alla disciplina della S.p.a., di cui all’art. 2477 c.c., non si estende all’art. 2409 c.c. in virtù proprio della nuova impostazione data alla S.r.l.. La nuova disciplina conferisce ai soci di S.r.l. poteri di controllo individuali, autonomi e ben delineati, diversi da quelli esistenti prima della riforma e li sottrae così al collegio sindacale, qualora fosse nominato. Tale potere, dunque, sarebbe precluso innanzitutto dalla formulazione letterale delle disposizioni, dall’intenzione del legislatore e dai diversi connotati attribuiti alle S.r.l. rispetto alle S.p.a.”.

Un’altra importante novità apportata dalla riforma, riguarda l’estensione della legittimazione attiva all’organo di controllo, con una parziale trasformazione dei sindaci da soggetti passivi del procedimento, com’era nella precedente formulazione dell’art. 2409 c.c., a soggetti attivi, in considerazione del significativo rafforzamento del sistema interno di amministrazione e controllo.

Da ultimo, il legislatore del 2003 ha escluso il Pubblico Ministero dal novero dei legittimati attivi della denuncia al tribunale nelle società c.d. “chiuse”.

La riforma ha lasciato sussistere la sua legittimazione solo per i procedimenti concernenti le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, c.d. società a capitale “diffuso”. Detta limitazione sarebbe giustificata dall’affermazione secondo cui, soltanto per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio “il notevole numero dei soci può giustificare un’iniziativa di tale organo pubblico” (Relazione al d.lgs n.6/2003). Dopo oltre sessant’anni di vigenza della predetta normativa, il legislatore del 2003 ha ritenuto opportuno eliminare il potere autonomo del P.m. di denuncia al tribunale in dette società. Probabilmente, la modifica di questa normativa è avvenuta sulla base dell’esperienza applicativa concreta dell’ult. comma dell’art. 2409 c.c., il quale aveva troppe volte ha visto soci con esigue minoranze di capitale sollecitare, per fini ricattatori nei confronti dei soci di maggioranza, il potere del P.m. a chiedere la denuncia, molto spesso infondata e vessatoria.

Pertanto, il legislatore, bilanciando l’interesse del singolo socio a far intervenire il P.m. sulla base di un qualsiasi sospetto di irregolarità e l’interesse al funzionamento dell’impresa societaria, ha ritenuto di eliminarlo per questo tipo di società21.

Ciò non vuol dire che gli interessi dei soci delle società “chiuse” siano meno tutelati degli altri. Invero, se nelle società “aperte” permane la legittimazione del P.m. è perché viene in rilievo un diverso ed ulteriore interesse pubblico, quello al risparmio, interesse che la Repubblica, ai sensi dell’art. 47 Cost., “deve incoraggiare e tutelare in tutte le sue forme”22. Per cui la legittimazione del pubblico ministero nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio sarebbe da ricondurre all’esigenza di accordare protezione a siffatti organismi collettivi, esigenza di valenza indubbiamente pubblicistica23.

Un’importante considerazione, nell’ambito della legittimazione passiva, riguarda l’introduzione del legislatore della riforma della notifica del ricorso “anche alla società”. Tale innovazione fa si che si pongano come contraddittori necessari del ricorrente sia gli amministratori le cui irregolarità si contestano, sia la società, confermando la sua necessaria partecipazione al procedimento in camera di consiglio24.

 

Gli interessi tutelati

Un’attenta lettura del riformulato art. 2409 c.c. conduce a sostenere che il controllo giudiziario, non sarebbe più uno strumento di tutela anche dell’interesse esclusivo del singolo socio, dei creditori sociali, o dei terzi, in quanto non è azionabile nelle ipotesi in cui l’interesse di tali soggetti non si “lega” con quello della società ovvero di una o più società controllate, potendo gli stessi soggetti, nelle altre ipotesi, ricorrere alle formule alternative di tutela apprestate dal nostro ordinamento giuridico.

Evidente è quindi, la tutela dell’interesse pubblico, cioè dell’“interesse generale” al rispetto della legalità nell’amministrazione delle società per azioni, che persegue l’art. 2409 c.c., piuttosto che l’interesse privato dei soci e della società.

Questo orientamento si coordina con la disciplina introdotta ex art. 2497 ss c.c., la quale esordisce affrontando quello che si era prospettato come il problema più delicato nell’ambito dei gruppi, ossia “il problema consistente nella tutela degli azionisti cosiddetti esterni e dei creditori delle singole società del gruppo contro i possibili abusi della capogruppo”25.

Se al requisito del potenziale danno per la società o le sue controllate si darà un’interpretazione estensiva e non limitata, estesa ad ogni possibile forma di danno, eventualmente anche indiretto; se all’introdotta legittimazione attiva dell’organo di controllo, quale organo vigilante sull’osservanza della legge e dello statuto, verrà riconnessa il carattere della sua obbligatorietà, il controllo giudiziario potrà continuare a costituire un mezzo efficace di tutela, diretto alla protezione di un interesse pubblico generale al corretto svolgimento della gestione sociale.

1 Cfr. Salafia, I presupposti del controllo giudiziario sulle società di capitali ex art. 2409 c.c., in Società, 2, 2002, 1278;chiarisce Trib. Mantova, 9 dicembre 2008, in www.ilcaso.it, 2009, che “la misura dell’ispezione dell’amministrazione è subordinata alla sussistenza di fondati sospetti in ordine alla commissione di gravi irregolarità che possono arrecare danno alla società e non già alla loro esistenza. Si richiede inoltre che tali irregolarità abbiano il carattere dell’attualità e che i sospetti trovino fondamento non nella mera prospettazione fornita dai ricorrenti ma in elementi desumibili dall’analisi della documentazione contabile”.

2 Cfr. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 8.

3 Cfr. Tedeschi, Il nuovo art. 2409 c.c., in Contratto e impresa, 3, 2005, 687, il quale individua una buona definizione delle “gravi irregolarità”, “oggetto della denunzia possono essere solo gravi irregolarità, cioè fatti, compiute dagli amministratori in violazione dei loro doveri, non censure di merito che riguardino l’opportunità o la convenienza delle operazioni degli amministratori; deve trattarsi di censure di legittimità concernenti il rispetto delle norme di legge e di statuto che regolano la gestione della società da parte degli amministratori”.

4 Infatti, all’art. 10 della legge n. 366/2001 si legge che “la riforma in materia di gruppi è ispirata ai seguenti princìpi e criteri direttivi: prevedere una disciplina del gruppo secondo princìpi di trasparenza e tale da assicurare che l’attività di direzione e di coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime; prevedere che le decisioni conseguenti ad una valutazione dell’interesse del gruppo siano motivate; prevedere forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo; individuare i casi nei quali riconoscere adeguate forme di tutela al socio al momento dell’ingresso e dell’uscita della società dal gruppo, ed eventualmente il diritto di recesso quando non sussistono le condizioni per l’obbligo di offerta pubblica di acquisto”.

5 Cfr. Domenichini, Il controllo giudiziario sulla gestione delle società per azioni, in Trattato di diritto privato, a cura di P. Rescigno, Utet, 2008.

6 Per una rassegna delle principali tipologie d’irregolarità nella gestione cfr. Ferrata, Commento all’art. 2409, in AA.VV., Commentario breve al codice civile, a cura di Cian, 9a ed., Padova, 2009, 2838.

7 Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Giuffrè, 2010, tale norma contiene non solo una disposizione “di tutela”, ma anche una regola in positivo per lo svolgimento dell’attività di
direzione e coordinamento. Il legislatore italiano è riuscito a dare una parziale soluzione ai possibili svantaggi e pericoli che la partecipazione ad un gruppo può comportare, prevedendo una disciplina ad hoc di tutela ed organizzazione, uno “statuto organizzativo” dei gruppi societari contenuto in più disposizioni normative, ma senza sopprimere la personalità giuridica delle singole società che fanno parte del gruppo.

8 Enriques-Pomelli, Interessi degli amministratori, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, 763 “c’è da chiedersi come, anche ammesso che un interesse di gruppo esista, esso possa coincidere ex ante, in quanto tale con quello della singola società in una data operazione. E’ chiaro che una coincidenza non può sussistere a priori, ma a seconda del contenuto dell’operazione, del suo merito e del contesto in cui si svolge. In sede di valutazione della sussistenza della fattispecie individuata dall’art. 2391, primo comma, però non è consentito tener conto del contesto e dei vantaggi compensativi prospettici e passati”.

9 Montalenti, Il conflitto di interessi nella riforma del diritto societario, in Riv. Dir. Civ., 253.

10 Civerra, Conflitto di interessi di amministratori di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento, in Società, 11, 2008, 1385.

11 Formulazione recepita dalla Corte di Cass. 05/12/1998, n. 12325.

12 Tombari, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese, in Giur. Comm., 2004, I, 76.

13 Eisenberg, The governance of corporate groups, in Balzarini, Carcaro, Mucciarelli (a cura di), I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi, Venezia, 16-17-18/11/1995, Milano, 1996,1209.

14 App. Milano 11/07/1991, in Società, 12, 1991, 1664; Trib. Napoli, 02/04/1994, in Foro. It, 1995, I, 1671 “costituisce grave irregolarità di gestione e giustifica l’ispezione dell’amministrazione della società l’atto compiuto da amministratori in conflitto di interessi”; Trib. Verona, 13/07/2007, in Società, 2008,11, 1385 “il conflitto di interessi che può verificarsi quando gli amministratori di una società siano anche membri dell’organo amministrativo della controllante assume rilievo solo qualora sia idoneo ad arrecare un danno alla società”; Trib. Roma, 18/01/2001, in Gius, 2002, 15, 1646 “costituisce grave irregolarità, che giustifica la nomina di un amministratore giudiziario ai sensi dell’art. 2409 c.c., il compimento di atti in conflitto di interessi ed al fine di accertare l’illegittimità dell’operato dell’amministratore è lecito valutare l’atto posto in essere, senza che ciò implichi un inammissibile sindacato del merito dell’attività discrezionale dello stesso”.

15 Cfr. Trib. Mantova, 26/11/1992, in Foro Pad., 1993, I, 101 “l’obbligo di non concorrenza imposto dall’art. 2390 c.c. è violato dagli amministratori di una società holding che ricopra analoga carica in altra società concorrente con società operativa controllata dalla holding”; Franzoni, Dell’amministrazione e del controllo, in Galgano (a cura di), Comm. Scialoja, Branca, Bologna, 2008, 384 “il fatto di concorrenza può costituire violazione dei doveri imposti agli amministratori, che in tal modo possono aver compiuto gravi irregolarità nella gestione tali da arrecare danno alla società o a una o più società controllate”;

16 Cfr. Scarpa, Controllo societario nel fenomeno dei gruppi tra contrattualismo e interesse sociale, in Galgano (diretto da) Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, in Contratto e impresa, 3, 2011, 664.

17Altre iniziative, diverse da quelle contemplate dall’art. 2409 c.c., sono previste dalle leggi speciali: l’iniziativa della Consob (art. 152 Tuf); della Banca d’Italia o dell’UIC (art.132-bis d.lgs. 1 /09/ 1995, n. 385, Tub); delle federazioni sportive nazionali di fronte alle società sportive professionistiche (art. 13, l. 91/1981); del commissario giudiziale o del commissario straordinario o del curatore dell’impresa dichiarata insolvente (art. 89 d.lgs 270/1999); del commissario di società fiduciaria o di una società fiduciaria e di revisione in liquidazione coatta amministrativa (legge n. 430/1986); il garante per l’editoria, il pubblico ministero e qualsiasi cittadino possono chiedere la revoca degli amministratori di società editrice non in regola con le norme sull’editoria e la nomina di un amministratore giudiziario (art. 48 l. 416/1981).

18 Cfr. Nazzicone, Il controllo giudiziario sulle irregolarità di gestione, Milano, 2005, 128.

19Favorevoli all’estensione, in via interpretativa, dell’ambito di applicazione della denuncia al tribunale per gravi irregolarità alle S.r.l. quando la nomina del collegio sindacale è obbligatoria, ai sensi del 2° e del 3° comma dell’attuale art. 2477 c.c., Dalmotto, Denunzia al tribunale, in Il nuovo processo societario, commentario al d. lgs. 5/2003 e agli artt. 2378, 2409 e 2471 c.c., diretto da S. Chiarloni, vol. I, Zanichelli, Bologna, 2004,1223 ss; Nazzicone, Il controllo giudiziario sulle irregolarità di gestione, fattispecie e rito dopo la riforma societaria, Giuffré, Milano, 2005, 36 ss.; Id., La denuncia al tribunale per gravi irregolarità ex art. 2409 c.c.: le novità della riforma societaria, in Società, 2003, 1079; Id., sub art. 2409 c.c., in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, vol. V, Giuffré, Milano, 2003, 306; Marciano, Sub art. 2477, in M. Sandulli e V. Santoro (a cura di), La riforma delle società, vol. III, 140 ss.; Rivolta, Profilo della nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, I, 692 ; Mainetti, Il controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Società, 2003, 943; cfr. Trib Udine 1 luglio 2004; Trib Roma 6 luglio 2004; Trib Roma 1 dicembre 2004; Tribunale Milano 26 marzo 2010, in Corriere del merito, 8, 2010, 818. Contra, Appello Roma, 7 aprile 2005, in Giur. Comm., 2006, 1, 81; cfr. anche Appello Trieste, 5 novembre 2004, in Società 2005, 3, 355, con nota di Patelli e Marcinckiewicz, con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale; Appello Roma, 13 aprile 2005, in Foro it. 2005, 12, 3369 e in Giur. it. 2006, 1, 75; Tribunale di Macerata, 27 febbraio 2002, in Società 2007, 1, 58 con nota di Cappelletti.

20 Sicché, la norma non viola l’art. 76 Cost., né l’art. 3 Cost., non essendovi alcuna disparità di trattamento tra i soci di una S.r.l. e quelli una S.p.a., in quanto diverse sono le situazioni soggettive, perché diverse sono le società alle quali partecipano gli uni e gli altri soci.

21 Cfr. Piazza, Controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. sulle società non quotate: ricorso autonomo del p.m. e reclamabilità tra nuova e vecchia disciplina, in Il corriere giuridico, 3, 2004, 393.

22 Per le diverse teorie dottrinali circa gli interessi tutelati, cfr. Bussoletti, Il procedimento ex. art. 2409 c.c., in Riv. Soc., 2003, 1214, Nazzicone, cit., 210, Paolucci, Art. 2409, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A.Maffei Alberti, II, Padova, 2005,1008.

23 Cfr. Abete, Le gravi irregolarità nel novellato testo dell’art. 2409 c.c.: brevi riflessioni, in Società, 12, 2004, 1475.

24Crf. Trib. Firenze, 11/07/2007, in Società, 2008, 5, 615.

25Cfr. Sub art. 2497 c.c., pluris/cedam, 2011.

Avv. Adamo Giovanni

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