Il regime dell’IVA nei servizi pubblici locali

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Sommario: 1) Premessa; 2) Presupposti imposta e gestione diretta del servizio; 3) Gestione indiretta servizio; 4) Casistica.

1) Premessa

Gli Enti locali, ed in particolare i Comuni, costituiscono, nel nostro ordinamento, gli enti originari, in quanto storicamente preesistenti rispetto allo stesso Stato1.

Tale caratteristica è stata da sempre posta in rilievo del legislatore, il quale ha, infatti, all’art. 5 Cost., incluso il riconoscimento e la tutela delle autonomie locali tra i principi ispiratori della Repubblica, riconoscendo in esse le cellule fondamentali dell’apparato amministrativo e organizzativo della res publica.

In attuazione al dettato costituzionale, negli ultimi anni sono stati ridefiniti i principi ispiratori dell’ordinamento delle autonomie locali: abrogato il precedente R.D. 383/1934 – norma ispirata ancora ad un concetto di Stato accentrato tipico di fine ‘800 – gli Enti locali hanno trovato loro nuova disciplina prima nella L. 142/90 e poi nel successivo D.Lgs. 267/00 (meglio conosciuto come T.U.E.L.).

Tali interventi normativi hanno attribuito una nuova fisionomia alla struttura ed all’organizzazione dei Comuni e delle Provincie, riconoscendo agli Enti locali l’autonomia statutaria e la rappresentanza della propria comunità, devolvendo al Comune – anche a seguito delle riforme Bassanini – parte dei compiti amministrativi e dei servizi in favore dei cittadini e quindi la cura dei loro interessi e la promozione e sviluppo del proprio territorio, e riconoscendo autonomia di spesa in entrata ed in uscita per il perseguimento di tali finalità.

L’attribuzione di tali compiti ai Comuni ha determinato la necessità, per questi ultimi, di creare e rafforzare un sistema di servizi pubblici locali che soddisfacessero i bisogni dei cittadini, in un’ottica di efficienza, tale da ridurre e contenere i costi complessivi per l’Amministrazione.

Tale obiettivo è stato perseguito dai Comuni sia mediante una gestione diretta del servizio, dotandosi così di proprie strutture e personale per realizzare il servizio, sia, soprattutto, in ossequio all’art. 113 T.U.E.L. ed all’art. 29 L. 448/01, in forma indiretta, mediante la costituzione di una società di capitali a totale partecipazione pubblica o mista ovvero l’affidamento del servizio in concessione a soggetto terzo all’Amministrazione, a seguito di gara.

Il Comune è dunque tenuto a svolgere, direttamente o indirettamente, una serie di attività che, dal punto di vista fiscale, sollevano numerose criticità, con particolare riferimento all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.

Per ragioni sistematiche, e per meglio comprendere le notevoli differenze tra le due tipologie di gestione del servizio e delle ricadute in ambito all’applicazione dell’IVA, si ritiene opportuno esaminare separatamente la gestione diretta del servizio pubblico rispetto alla gestione indiretta.

 

2) Presupposti dell’imposta e gestione diretta del servizio.

L’imposta sul valore aggiunto trova sua disciplina sia nella normativa nazionale (D.P.R. 633/72) sia in ambito comunitario (Direttiva CE, 28 novembre 2006, n. 112 e s.m.).

Tali fonti normative descrivono un preciso schema dell’imposta in esame, prevedendo un contribuente di diritto ed un contribuente di fatto.

Il primo è responsabile dell’applicazione dell’imposta (di solito, il titolare della partita IVA); il secondo è il soggetto inciso, sul quale grava il peso finale dell’imposta (di solito, il “privato consumatore”).

La duplicazione dei soggetti passivi è determinata dalla caratteristica propria dell’IVA: l’imposta, infatti, è neutrale, nel senso che il soggetto di imposta vanta, da un lato, il diritto di rivalsa sull’acquirente dell’IVA gravante sulla cessione o sulla prestazione e, dall’altro, il diritto di detrazione dell’imposta addebitatagli per l’acquisto di beni e servizi necessari allo svolgimento dell’attività, consista quest’ultima nella cessione di beni o nella prestazione di servizi.

Conseguentemente, resta inciso dall’imposta chi non esercita attività commerciali – privati consumatori, Enti pubblici o privati non esercenti attività di impresa: solo in alcune tassative ipotesi, previste dall’art. 19 D.P.R. 633/72, obbligato al pagamento dell’imposta risulta essere invece lo stesso soggetto di imposta.

La descritta caratteristica dell’imposta determina la necessità di analizzare quali siano i presupposti per l’imposizione e per l’individuazione del soggetto di imposta ovvero del soggetto inciso.

I requisiti sono di natura oggettiva e soggettiva2.

Il primo si realizza ogniqualvolta sia posta in essere una cessione a titolo oneroso di beni o una prestazione di servizi3, come definiti negli artt. 2 e 3 D.P.R. 633/72.

All’interno della nozione di “cessione di beni” devono ricomprendersi gli atti che determinano il trasferimento della proprietà e di qualsiasi diritto reale di godimento, anche aventi effetti traslativi condizionati o differiti, quali le vendite con riserva di proprietà e le locazioni con diritto di riscatto4.

Le prestazioni dei servizi riguardano invece, ex art. 3 D.P.R. 633/72, diverse prestazioni svolte verso corrispettivo dipendenti da diverse tipologie contrattuali (quali i contratti di opera, appalto, trasposto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, concessione di beni in locazione): autorevole dottrina5 ha osservato come tale categoria abbia carattere residuale, volta a ricomprendere ed assoggettare ad IVA una serie di attività eterogenee non riconducibili alla nozione di “cessione di beni”6.

La soggettività passiva dell’imposta si acquisisce mediante l’esercizio in forma abituale, anche se non esclusiva, di qualsiasi attività commerciale, agricola o professionale.

A tal proposito, si evidenzia come la normativa nazionale non richieda che tali attività siano poste in essere da soggetti organizzati in forma di impresa: non è necessario, dunque, ai fini fiscali, soddisfare i requisiti civilistici di organizzazione imprenditoriale per realizzare lo status di soggetto passivo.

Non sono invece assoggettate ad IVA le operazioni meramente occasionali: l’occasionalità deve essere accertata secondo criteri non solo quantitativi, ma anche qualitativi, comportando il riconoscimento della soggettività passiva anche ad un soggetto che abbia posto in essere un’unica operazione di notevole valore7, ovvero in ragione della ripetitività delle attività preparatorie volte alla concretizzazione del risultato economico.

Evidenziati brevemente le caratteristiche ed i presupposti richiesti dalla normativa nazionale, occorre esaminare se e in quali ipotesi anche il Comune possa essere considerato soggetto passivo di imposta a seguito dello svolgimento diretto “in economia” – mediante l’organizzazione e la gestione del servizio con il proprio apparato di uffici, mezzi e personale – di attività di servizio pubblico, e quali obblighi fiscali incombono sul medesimo Ente.

Tale problematica deriva dalla circostanza che, agli effetti IVA, non sussistono delle disposizioni di tenore analogo a quelle contenute nel T.U.I.R. (ed in particolare l’art. 74, c. I, D.P.R. 917/86), che escludono la soggettività passiva all’IRES di determinati organismi pubblici, tra cui il Comune.

Pertanto, relativamente all’applicazione del regime IVA alle attività compiute dai Comuni, si deve analizzare se sussistono i previsti presupposti impositivi.

A tal proposito, si rileva come la soggettività passiva del Comune – unitamente a quello dello Stato, Regioni, Enti locali ed enti di diritto pubblico – risulta disciplinata in maniera difforme dal diritto nazionale e dal diritto comunitario.

La normativa interna, infatti, circoscrive le ipotesi di soggettività passiva ai soli casi in cui l’Ente realizzi cessioni di beni o prestazioni di servizi nell’ambito dell’esercizio di attività commerciali o agricole.

Il Comune, pertanto, non sarebbe soggetto di imposta per definizione, in quanto persegue fini istituzionali meramente pubblicistici: la soggettività dovrebbe essere riconosciuta, infatti, solo qualora realizzi attività commerciali con il requisito dell’abitualità.

Ne consegue che l’Ente locale riveste lo status di soggetto passivo solo nel caso in cui ponga in essere attività commerciali e limitatamente a queste ultime, essendo escluse tutte le attività istituzionali.

La normativa comunitaria (Direttiva CE 112/06, art. 13), invece, statuisce che il Comune non possa essere considerato soggetto passivo di imposta per le attività che il medesimo esercita quale “pubblica autorità”, anche qualora, in relazione a tali attività od operazioni, percepisca diritti, canoni, contributi o retribuzioni.

Tale regime è tuttavia mitigato da due correttivi: ai fini dell’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA delle attività realizzate dal Comune quale pubblica autorità, è necessario che il mancato assoggettamento non determini una distorsione della concorrenza8 e che l’attività esercitata non rientri tra quelle espressamente indicate all’Allegato I della Direttiva: in tali ipotesi, infatti, la stessa attività sarebbe da considerare rilevante agli effetti dell’IVA.

La ratio di tale disposizione risiede nella circostanza che il Comune è tenuto, per realizzare le finalità di benessere pubblico, a compiere una serie di attività e che, in tali circostanze, agisce in veste di autorità pubblica.

L’attività realizzata non determinerà l’insorgere del tributo qualora questa sia svolta nell’esercizio del potere-dovere istituzionale ed in regime di monopolio, allorquando la medesima attività non possa essere svolta anche da soggetti di diritto privato: in tale ultima ipotesi, infatti, la mancata assoggettabilità del Comune all’IVA determinerebbe una disparità di trattamento fiscale tra i diversi operatori nel medesimo settore, con chiara violazione del principio di concorrenza.

Relativamente alla nozione di “pubblica autorità”, la giurisprudenza comunitaria9 ha precisato che, per definire se un ente pubblico agisce quale pubblica autorità, non assume alcun rilievo né l’oggetto e lo scopo dell’attività, né la circostanza che i beni utilizzati nello svolgimento dell’attività stessa appartengano al demanio o al patrimonio dell’ente pubblico.

Elementi determinanti, infatti, sarebbero solo le modalità di esercizio delle attività, dovendosi valutare, caso per caso, se queste sono esercitate in regime di diritto pubblico o di diritto privato, cioè alle stesse condizioni giuridiche degli operatori economici privati.

Secondo tale insegnamento, al fine di stabilire quando l’ente operi in veste di pubblica autorità ovvero alle medesime condizioni giuridiche degli operatori economici privati, sarebbe necessario eseguire un’analisi complessiva dello svolgimento delle operazioni svolte dall’ente pubblico in base al diritto nazionale, con verifica, da compiersi necessariamente caso per caso, se l’attività sia realizzata nell’esercizio di poteri di natura unilaterale ed autoritativa o in forma sostanziale e/o pattizia, attraverso una disciplina che individui, in via bilaterale, le reciproche posizioni soggettive10.

La normativa interna e quella comunitaria introducono, quindi, elementi diversi ai fini della qualificazione del Comune come soggetto passivo di imposta.

A tal proposito, la dottrina e la giurisprudenza hanno osservato come, stante la predominanza che deve essere riconosciuta al diritto comunitario rispetto al diritto interno, ai fini della configurabilità del Comune quale ente realizzante attività da cui deriva l’assoggettamento ad IVA debbano essere soddisfatti i criteri individuati in sede comunitaria – e dunque la mancata veste di pubblica autorità, gli effetti distorsivi di una certa rilevanza della concorrenza e la realizzazione di una delle attività espressamente richiamate nell’Allegato A della Direttiva – integrati dai criteri individuati dal legislatore nazionale, con particolare riferimento all’elemento dell’abitualità e dell’attività commerciale11.

Pertanto, al fine di definire il requisito soggettivo d’imposta per il Comune è necessario dapprima accertare se il medesimo agisce o meno nell’esercizio di un potere autoritativo-pubblicistico, e dunque nell’ambito del regime giuridico suo proprio12, ed inoltre constatare, eventualmente in caso di sussistenza di un’attività autoritativa, se il mancato assoggettamento possa provocare distorsioni della concorrenza di una certa rilevanza con un’attività analoga esercitata da altri soggetti privati13.

Nell’ipotesi di attività non autoritativa, invece, si deve necessariamente indagare se tale attività possa essere qualificata come “attività commerciale”, secondo quanto disposto dall’art. 4 D.P.R. 633/7214.

Al riguardo, se il Comune esegue attività direttamente riconducibile all’art. 2195 c.c., l’Ente locale svolgerà attività di natura imprenditoriale e quindi rientrante nell’ambito di applicazione dell’IVA, a prescindere dalla sussistenza o meno dell’organizzazione di impresa.

Nell’eventualità in cui l’attività svolta non sia riconducibile all’art. 2195 c.c., l’Agenzia delle Entrate15 ha chiarito come sia necessario esaminare se la medesima sia resa, nel caso specifico, attraverso un profilo organizzativo.

La riconducibilità di alcune tipologie di attività attuata dal Comune nell’ambito di quelle assoggettate ad IVA comporta l’applicazione della disciplina in materia dettata dal legislatore, applicabile anche al Comune.

Ne consegue che, in tali circostanze, anche il Comune sia tenuto ai medesimi adempimenti formali e soprattutto al medesimo regime previsto in tema di detrazione IVA.

In particolare, l’Ente locale è tenuto a richiedere l’apertura della partita IVA mediante compilazione della dichiarazione di inizio attività ex art. 35 D.P.R. 633/72, avendo cura di indicare i codici delle attività esercitate.

Contestualmente, deve dotarsi dei registri obbligatori ai fini IVA: fatture, corrispettivi, acquisti, per i quali non è più richiesta la preventiva bollatura, ma unicamente la numerazione prima della loro utilizzazione.

Il Comune deve poi provvedere alla certificazione delle operazioni ed alla liquidazione dell’imposta, facendo riferimento al momento impositivo ed all’esigibilità dell’imposta16.

Realizzata l’operazione imponibile, l’Ente, al pari degli altri soggetti passivi, è tenuto alla registrazione delle fatture e degli altri documenti emessi, secondo le tempistiche dettate dal legislatore agli artt. 23 e 24 D.P.R. 633/72, ed al versamento ed alla dichiarazione.

L’art. 19-ter D.P.R. 633/72 circoscrive la detraibilità dell’IVA da parte dei Comuni ai soli acquisti effettuati nell’esercizio di attività commerciali ovvero nell’esercizio di impresa, secondo le disposizioni e le limitazioni di cui agli artt. 19, 19-bis, c. I e II, D.P.R. 633/7217.

Ai fini dell’esercizio della detrazione da parte dei Comuni è necessario che l’ente gestisca l’attività commerciale con contabilità separata rispetto all’attività principale, adattando la contabilità pubblica.

A tal proposito, il Ministero delle Finanze18 aveva chiarito come l’adattamento andasse realizzato con la formulazione, fin dal bilancio preventivo, di appositi capitoli per ciascuna attività rilevante ai fini IVA: in tali capitoli i ricavi dovevano essere registrati tra le entrate ed i costi tra le uscite, e gli importi dovevano trovare precisa corrispondenza nei registri IVA.

Ai fini della detrazione è necessario inoltre che la fattura esponga distintamente l’IVA, e che la fattura si registrata nel registro degli acquisti, anteriormente alla liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale nella quale sia esercitato il diritto di detrazione della relativa imposta, e non oltre la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, alle condizioni e nei limiti del periodo di competenza.

 

3) Gestione indiretta servizio.

La gestione diretta del servizio pubblico, tuttavia, non sempre è particolarmente agevole per il Comune, poiché presuppone l’esistenza di strutture e l’utilizzo di personale qualificato alla realizzazione del servizio stesso, con notevoli oneri economici gravanti in capo all’Ente locale.

Per tale motivo, anche a seguito delle innovative disposizioni contenute negli artt. 113 T.U.E.L. e 29 L. 448/01, sempre più frequentemente il Comune decide di gestire in via indiretta il servizio pubblico.

Per conseguire tale fine, il Comune ha diverse possibilità: può, infatti, provvedere alla costituzione di un ente economico strumentale (cd. Azienda Speciale) conservando sullo stesso penetranti poteri di indirizzo e controllo19.

Più frequentemente, tuttavia, il Comune decide di costituire una società di capitali a totale partecipazione pubblica o mista20 ovvero, previo espletamento di gara, affidare il servizio in concessione a terzi, di solito società di capitali21.

Il rapporto tra Comune e società di gestione del servizio pubblico è regolato – ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 113, 113-bis e 114 T.U.EL. – dal “Contratto di servizio”, disciplinante i rapporti finanziari tra le parti, ed in particolare il trattamento fiscale, al fine di prevenire l’insorgenza di dubbi interpretativi, con conseguenti controversie, alterazioni contabili e rischi di passività fiscali a seguito di attività accertatrice da parte dell’Autorità competente.

Si è soliti distinguere due diverse tipologie di affidamento del servizio: l’ipotesi in cui i mezzi per l’erogazione del servizio derivino unicamente dal prezzo pagato dagli utenti finali e quella in cui sia il Comune, mediante la corresponsione di somme di denaro, ad integrare, totalmente o parzialmente, il corrispettivo in presenza di un rapporto sinallagmatico ovvero, in assenza di tale rapporto, a titolo di mero trasferimento di somme di denaro, anche sotto forma di contributi in conto esercizio22.

Tuttavia, anche l’attribuzione del servizio a soggetto terzo rispetto al Comune – qualificabile come Azienda speciale, organismo di diritto pubblico o società terza – potrebbe essere subordinato all’erogazione, da parte del soggetto conferito, di canoni di concessione o di servizio al Comune.

Tali diverse situazioni (erogazioni Comune – soggetto conferito e soggetto conferito – Comune), originano diverse problematiche ai fini fiscali, che si ritiene opportuno esaminare separatamente.

 

A) Erogazioni Comune – società concessionaria.

Come già evidenziato, le somme corrisposte dall’Ente locale a favore della società conferita possono avere natura integrativa del prezzo corrispettivo ovvero natura contributiva: il trattamento IVA è diversificato a seconda della tipologia di entrata, e trova sua regolamentazione nel “Contratto di servizio”.

Riguardo alle entrate cd. integrative, la dottrina ritiene in tale circostanza applicabile l’art. 13, c. I, D.P.R. 633/72: pertanto, costituiscono integrazioni al corrispettivo e concorrono a formare la base imponibile ai fini IVA, e conseguentemente sono trattate alla stregua della prestazione cui si riferiscono23.

Le entrate cd. contributive, invece, sono assoggettate ad una disciplina che presenta caratteristiche peculiari.

Deve, infatti, osservarsi come le somme erogate dal Comune a fronte di uno specifico servizio, infatti, presupponendo necessariamente un rapporto sinallagmatico – in tale caso, infatti, la prestazione è parametrata alla prestazione resa dalla società conferita all’utente – determina l’attrazione delle entrate nel campo di applicazione dell’IVA.

Infatti, come precisato dall’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’applicazione dell’imposta in esame è necessario sussista un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive tra l’ente erogatore ed il soggetto beneficiario, nell’ambito del quale il finanziamento assume carattere di corrispettivo per una cessione di beni o per una prestazione di servizi: qualora tale nesso contrattuale manchi, il contributo erogato rientrerà nell’ipotesi previste dall’art. 2 D.P.R. 633/72, e dunque costituirà operazione esclusa dall’IVA, in quanto assimilabile alle mere movimentazioni di denaro, quale fornitura del capitale per il finanziamento del servizio da realizzare24.

Tale principio risulta estendibile anche alle somme versate a copertura dei costi sociali, come previsti dal T.U.E.L.

A tal proposito, autorevole dottrina ha evidenziato come sia necessario che il “contratto di servizio” individui e disciplini tale tipologia di entrate, distinguendo l’ipotesi in cui la copertura dei costi sociali è intesa quale integrazione corrispettivo ovvero trasferimento.

Tale operazione è viepiù necessaria in quanto, nella prassi, tale contributo è previsto nel bilancio previsionale, ed è dunque qualificato come corrispettivo per il solo fatto di essere inserito preventivamente nel bilancio, con conseguente applicazione del relativo regime IVA.

Autorevole dottrina25 ha criticato tale modalità di qualificazione del contributo, ritenendo che la mera previsione nel bilancio della somma erogata dall’Ente locale non determina, di per sé solo, la sua qualificazione quale contributo, dovendosi aver riguardo, attraverso una valutazione da compiersi caso per caso, della funzione assolta, ossia esaminare se si tratta di somme erogate come corrispettivo per l’attività svolta ovvero per fornire le fonti di finanziamento per lo svolgimento del servizio.

Diversamente, le somme erogate dal Comune a copertura del disavanzo di bilancio non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini IVA.

L’imponibilità IVA delle somme erogate dall’Ente locale determina, conseguentemente, l’analisi del regime della detraibilità da parte della società partecipata/azienda speciale dell’IVA pagata sugli acquisti26.

A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate si è più volte soffermata su tale profilo, assumendo posizioni dapprima a favore della detraibilità piena27, successivamente negandola28, e poi in ultimo ammettendola nuovamente29.

La giurisprudenza30, dal canto suo, ha chiarito come, non essendo prevista nel diritto comunitario alcuna disposizione che limiti la detraibilità dell’IVA assolta sull’acquisto di beni o di servizi finanziati mediante sovvenzioni, non rientra tra i poteri dei singoli Stati membri discostarsi dalle direttive comunitarie, introducendo discipline contrastanti con i principi indicati nella VI Direttiva, ora confluita nella Direttiva UE 112/06.

Pertanto, qualora il contributo sia qualificabile come fonte finanziaria per lo svolgimento del servizio pubblico, lo stesso non precluderà la detraibilità dell’IVA sugli acquisti31.

 

B) Erogazioni società concessionaria – Comune.

Lo spoglio della gestione diretta dell’attività commerciale e l’affido della stessa a società speciali, partecipate o terze dietro corresponsione di apposito canone rientra tra le obbligazioni di permettere e dunque comporterebbe l’applicazione dell’art. 3 D.P.R. 633/72, il quale espressamente prevede che costituiscono prestazioni di servizio quelle effettuate verso corrispettivo dipendenti da obbligazioni di fare, non fare e permettere: parte della dottrina32 ha assimilato l’atto di affidamento/concessione al negozio giuridico di natura civilistica dell’affitto di azienda che, sotto il profilo fiscale, costituisce l’esercizio di un’attività a carattere oggettivamente commerciale.

Tale teoria è stata sostenuta anche dal Ministero delle Finanze33, il quale ha più volte ribadito come la concessione di gestione di un servizio pubblico rientri tra gli atti economici tipici posti in essere dai Comuni, e non tra gli atti aventi connotazione istituzionale autoritativa: conseguentemente, tale attività rientra nel campo di applicazione dell’IVA ex art. 3 D.P.R. 633/72, trattandosi di un rapporto sinallagmatico avente per oggetto una obbligazione di fare.

Sotto il profilo soggettivo, presupposto essenziale ai fini dell’applicazione della disciplina IVA concerne la qualificazione dell’Ente locale affidatario quale “pubblica autorità” ovvero quale “soggetto privato” 34.

Tale accertamento costituisce la condizione discriminante per il corretto trattamento fiscale delle somme riconosciute dal soggetto erogatore del servizio al Comune: qualora l’affidamento sia inquadrabile in un contesto “pubblicistico-istituzionale”, infatti, le somme sarebbero escluse dal campo di applicazione dell’IVA per mancanza del presupposto soggettivo, a condizione che il mancato assoggettamento non determini distorsioni della concorrenza di una certa importanza35.

Pertanto, qualora il Comune non intervenga quale “pubblica autorità” ed il servizio pubblico affidato si estrinsechi attraverso attività aventi una soggettività commerciale, il canone di servizio o di concessione riconosciuto al Comune deve essere fatturato da quest’ultimo ed assoggettato ad IVA.

Per effetto dell’imponibilità ai fini IVA dei corrispettivi riscossi dal Comune, anche nell’ipotesi in cui tali canoni siano rappresentativi della remunerazione e/o della concessione in uso, del godimento, della locazione dei beni strumentali per l’esercizio dell’attività affidata permane il diritto alla detrazione IVA in capo al comune per tali investimenti, fino a che sussiste l’imponibilità medesima.

Diversamente, qualora gli affidamenti in concessione non dovessero configurare operazioni rilevanti ai fini IVA, essendo attuati nell’ambito di un regime giuridico implicante l’uso di poteri di carattere autoritativo, la corresponsione di eventuali canoni non dovrà essere assoggettata ad IVA ed il Comune non dovrà emettere alcuna fattura, in quanto non sussiste il requisito soggettivo per l’imponibilità IVA.

In tale circostanza, il Comune non sarà titolare del diritto alla detrazione dell’IVA sulle spese rimaste a carico dell’Ente locale concedente36.

 

4) Casistica

Dopo aver evidenziato i presupposti affinché un’attività compiuta dal Comune sia considerata assoggettabile ad IVA, si ritiene utile soffermarsi brevemente su alcune ipotesi di servizio pubblico realizzato dal Comune, al fine di valutare se, nel compimento di tali operazioni, le medesime risultino gravate da IVA.

I) Gestione di un parcheggio comunale.

La gestione di un parcheggio da parte dell’Amministrazione comunale solleva diverse problematiche sotto il profilo fiscale.

Secondo l’Agenzia delle Entrate37, l’affidamento in concessione dei parcheggi coperti realizza una funzione di diritto pubblico, con l’esercizio di poteri d’imperio tipici di tale attività: ne consegue che tale concessione non rappresenta un’attività rilevante ai fini IVA per carenza del presupposto soggettivo.

Relativamente alle somme riscosse per l’attività di parcheggio, invece, norma di riferimento è l’art. 22 D.P.R. 633/72: tale disposizione elenca una serie di attività per le quali è concessa la possibilità di non emettere la fattura, salvo che sia proprio il cliente a richiederla38.

In tale elenco, però, non viene ricompresa l’attività in parola: pertanto, dovrebbe ritenersi, in ossequio ad un’interpretazione letterale della norma, che per tale operazione grava l’obbligo di emettere la fattura fiscale.

L’Agenzia delle Entrate39, tuttavia, ha evidenziato come, per quanto concerne i corrispettivi riscossi, i gestori delle autorimesse hanno l’obbligo della certificazione fiscale, come previsto dall’art. 12, I c., L. 413/91, e che tale obbligo può essere adempiuto, indipendentemente dall’esercizio di apposita opzione, mediante il rilascio di ricevuta fiscale ovvero di scontrino fiscale.

Infatti, ai sensi dell’art. 2, I c., lett. gg), D.P.R. 696/96, non sono soggette all’obbligo di certificazione le prestazioni di parcheggio di veicoli in aree coperte o scoperte quando la determinazione o il pagamento del corrispettivo venga effettuata mediante apparecchiature funzionanti a monete, gettoni, tessere, biglietti o schede magnetiche elettriche, indipendentemente dalla presenza di specifico personale addetto.

Tale disciplina risulta estendibile anche alle attività di parcheggio gestite mediante sistemi non automatizzati.

II) Concessione di un impianto pubblicitario

Particolari problematiche sono state sollevate a proposito della natura dell’attività di affidamento in gestione degli impianti pubblicitari da parte del Comune.

A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate40 ha osservato che, qualora il Comune prevedesse un contratto di concessione a prestazioni corrispettive, il rapporto intercorrente tra le parti troverebbe sua regolamentazione in conformità a una pattuizione bilaterale, secondo moduli propri degli operatori economici privati.

L’Ente locale, dunque, non agirebbe quale “pubblica autorità”, con conseguente riconduzione dell’attività nell’ambito di applicazione dell’IVA, ed il canone annuo di concessione percepito dal Comune dovrà essere assoggettato all’imposta41.

Inoltre, anche la prestazione di eventuali servizi – quali gli interventi di sostituzione di poster – rientrano nel campo di applicazione dell’IVA.

III) Prestazione rese attraverso card turistiche

Negli ultimi anni, la necessità di incrementare l’offerta turistica ha determinato molti Enti locali ha prevedere la creazione di pacchetti integrati di offerta turistica, permettendo così all’utente di avere una serie di vantaggi sia in termini economici che di tempo.

Tali pacchetti, cd. card turistiche, hanno tuttavia sollevato profili problematici in ambito fiscali.

Il Comune, infatti, stipula un contratto di servizio con la società concessionaria, provvedendo a versare un corrispettivo per le attività da questa svolte e per la copertura dei relativi costi, mentre compito della società sarebbe quello di fornire consulenze, stipulare – in qualità di mandatario con rappresentanza del Comune – convenzioni attuative con i musei e custodire temporaneamente le somme incassate per la vendita delle card.

Così operando, si realizzerebbe un contratto di mandato all’incasso con rappresentanza, attraverso cui la società mandataria agisce in nome e per conto del Comune mandante, nella cui sfera giuridica si produrranno tutti gli effetti giuridici del rapporto principale.

Di conseguenza, la vendita di tali card turistiche, prodotta dalla società concessionaria, dietro pagamento di un corrispettivo da parte del soggetto acquirente, costituisce prestazione di servizi unica e complessa in quanto garantisce all’utente una serie di agevolazioni.

Il corrispettivo pagato, pertanto, rientra nella previsione di cui all’art. 3 D.P.R. 633/72, con conseguente assoggettamento ai fini IVA.

IV) Locazione e vendita di beni immobili.

Anche la gestione del patrimonio immobiliare da parte dei Comuni configura alcuni aspetti di notevole interesse.

Le Autorità competenti, infatti, si sono pronunciate in relazione all’applicazione dell’IVA per le per le operazioni in oggetto numerose volte, evidenziando negli ultimi anni anche un mutamento dell’orientamento precedente.

Deve, infatti, osservarsi come, già alla fine degli anni ’70, il Ministero delle Finanze42 aveva ritenuto l’attività di locazione di immobili da parte del Comune come rilevante ai fini IVA.

Successivamente, il medesimo Ministero43 qualificava le attività di gestione del patrimonio immobiliare come non commerciale, e conseguentemente fuori dal campo di applicazione dell’IVA.

L’attività di locazione svolta dall’Ente locale, infatti, indipendentemente dalle modalità di acquisizione di detti beni immobili, non era idonea a far assumere agli Enti stessi la soggettività passiva agli effetti dell’imposta: l’utilizzazione di tali beni, ancorché finalizzata alla riscossione di un canone, costituiva unicamente una modalità di mero godimento del bene e non esercizio di impresa.

Tale orientamento è stato sostenuto dall’Amministrazione finanziaria per quasi due decenni, fino al 2009, quando l’Agenzia dell’Entrate44 ha modificato il quadro interpretativo.

In tali circostanze, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che per verificare se sussiste il carattere commerciale di un’attività attuata dal Comune occorre verificare, caso per caso, se vi è un’organizzazione in forma d’impresa, e che la commercialità dell’attività svolta risulti caratterizzata dai connotati tipici della professionalità, sistematicità ed abitualità.

Stabiliti tali principi, si sono analizzati i presupposti oggettivo e soggettivo dell’imposta.

A tal proposito, è stato osservato come la cessione e la locazione di beni immobili integra pienamente il presupposto oggettivo dell’IVA, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2, I c., e 3, II c., D.P.R. 633/72.

Sotto il profilo soggettivo, sono state richiamate alcune significative pronunce della Corte di Giustizia45, la quale ha più volte ribadito come la durata della locazione, l’entità della clientela e l’importo degli introiti sono elementi che devono essere valutati al fine di stabilire se lo sfruttamento del bene immobile avviene al fine di realizzare proventi di natura stabile tali da configurare l’esercizio di un’attività economica riconducibile all’ambito applicativo dell’IVA.

Ne consegue che, come precisato anche dalla giurisprudenza nazionale46, la locazione di immobili realizza il presupposto soggettivo IVA in capo all’Ente locale se attuata con organizzazione di mezzi e uffici finalizzati allo svolgimento di tale attività economica, qualificando la riscossione dei canoni non più come godimento indiretto del bene ma come esercizio d’impresa.

 

1 F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giappichelli, 2008, pag. 260.

2 Dottrina autorevole evidenzia come assuma grande rilievo anche il presupposto della territorialità ai fini dell’imposizione.

Tale criterio è particolarmente complesso, e determina la necessità di distinguere tra operazioni soggette ad IVA compiute in Italia ed operazioni intracomunitarie ed extracomunitarie.

Riguardo le operazioni nazionali, si considerano assoggettate ad IVA le cessioni di beni effettuate nello Stato e su beni nazionali o nazionalizzati – ossia definitivamente importati – compiute da soggetti domiciliati nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni di soggetti esteri.

Diversamente, per la prestazione di servizi deve farsi riferimento al luogo di domicilio del prestatore ovvero al luogo in cui la prestazione è eseguita, non rilevando le prestazioni di servizi eseguite all’estero da soggetti nazionali.

Ai fini della determinazione di soggetto domiciliato in Italia, si deve osservare che relativamente alle persone fisiche, la domiciliazione fiscale coincide con il luogo di residenza anagrafica, mentre per le persone giuridiche di solito si ha riguardo alla sede legale.

Più complessa appare, invece, la configurazione dei soggetti esteri operanti in Italia mediante stabili organizzazioni: questi ultimi, infatti, devono assoggettare ad IVA le operazioni realizzate nello Stato, purché abbiano un certo grado di sistematicità ed organizzazione.

Tali principi subiscono tuttavia importanti deroghe per alcune tipologie di prestazioni – quali, ad es., quelle di consulenza tecnica e legale e di noleggio di mezzi di trasporto – laddove rileva, ai fini impositivi, la localizzazione dell’utilizzazione della prestazione, in funzione dell’eventuale domiciliazione fiscale comunitaria dell’utilizzatore.

Eccezioni a tale regime sono previste anche in caso di scambio di merci e connessi servizi in ambito comunitario, laddove sono considerate alla stregua di operazioni interne quelle realizzate nei territori dei Paesi aderenti alla Comunità Europea.

Per approfondimenti, si rinvia a G. Giuliano, L’IVA negli Enti locali, in Atti convegno XXII assemblea annuale dell’A.N.C.I., 2005.

3 La distinzione tra le due categorie ha rilevanza sotto il profilo dell’individuazione del momento impositivo e dell’esigibilità, ossia il momento dal quale sorge per l’erario il diritto al credito dell’IVA gravante sull’operazione.

4 Tali trasferimenti devono essere realizzati a titolo oneroso: tuttavia, l’art. 2 D.P.R. 633/72 ha derogato il requisito fondamentale dell’onerosità, prevedendo l’assoggettamento ad IVA anche di ipotesi di trasferimento a titolo non oneroso che, se non tassate, potrebbero costituire fonte di elusione.

In particolare, sono sottoposti all’imposta sul valore aggiunto gli omaggi di beni oggetto dell’attività di impresa; gli omaggi di beni non rientranti nell’attività di impresa, se di costo unitario non superiore a € 25,82, salvo quelli per cui non è stata operata la detrazione dell’imposta all’acquisto; la destinazione di beni dalla sfera imprenditoriale a quella personale; le assegnazioni di beni a soci di società, consorzi ed associazioni (art. 2, c. II, D.P.R. 633/72).

5 G. Giuliano, L’IVA negli Enti locali, in Atti convegno XXII assemblea annuale dell’A.N.C.I., 2005.

6 Analogamente a quanto previsto in materia di cessione dei beni, anche per la prestazione di servizi è stabilita una deroga al requisito dell’onerosità, in relazione alle prestazioni gratuite dei servizi per le quali sia stata detratta la relativa imposta: tuttavia, mentre per le cessioni a titolo gratuito ci si riferisce al costo del bene omaggiato, per la prestazione dei servizi deve essere valutato il valore normale del servizio prestato gratuitamente.

7 Il fondamentale principio dell’abitualità che presiede al requisito della soggettività non riguarda, invece, le società di qualunque tipo e gli enti pubblici e privati aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole. Per tali enti, infatti, la soggettività è presupposta, prescindendo dal requisito dell’abitualità nell’effettuazione di attività commerciali o agricole: ne consegue che tutte le cessioni ovvero le prestazioni, anche quelle occasionali, poste in essere da tali soggetti giuridici, saranno sempre assoggettate ad IVA. Sul punto, G. Giuliano, L’IVA negli Enti locali, in Atti convegno XXII assemblea annuale dell’A.N.C.I., 2005.

8 La giurisprudenza comunitaria ha sottolineato come l’effetto distorsivo della concorrenza debba essere valutato non con riferimento al mercato locale, bensì avendo riguardo dell’attività svolta: pertanto, la concorrenza deve essere valutata come potenziale, purché effettiva, mentre non rileva quella meramente teorica. Inoltre, è stato osservato come l’effetto distorsivo debba essere valutato non solo nei confronti del soggetto privato, ma anche nei confronti dell’Ente, qualora il mancato assoggettamento ad IVA comporti un danno all’Ente stesso, a seguito della mancata detrazione d’imposta.

Tale conclusione sarebbe supportata sulla base di tre distinte argomentazioni: in primo luogo, le disposizioni contenute nell’art. 4, n. 5, c. II e III, VI Direttiva (oggi trasfusi nell’art. 13 Direttiva UE 112/06) si prefiggono di evitare che l’esercizio di attività istituzionali da parte di un soggetto pubblico possano determinare effetti distorsivi sulla concorrenza, indipendentemente da qualsiasi riferimento ad un mercato locale o comunque ristretto.

Inoltre, una puntuale applicazione del principio di neutralità fiscale impone il riferimento ad un unico mercato nazionale invece che ad un mercato locale. In ultimo, la valutazione della concorrenza in ambito locale comporterebbe la violazione del principio di certezza del diritto, in quanto si renderebbero necessarie complesse analisi preliminari a livello locale, tali da rendere incerta nel tempo e nello spazio l’applicazione del tributo.

Sul punto, Corte di Giustizia CE, 16 settembre 2008, C-288/07; Corte di Giustizia CE, 4 giugno 2009, C-102/08.

In dottrina si rimanda a P. Pieri, La gestione del patrimonio immobiliare da parte degli Enti locali, in Azienditalia – Fin. e Trib., 15-16, 2009, pag. 785.

La tesi sopraesposta, tuttavia, è stata sottoposta a considerazioni critiche da parte della dottrina.

Deve, infatti, osservarsi come, secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia, un’attività potrebbe essere ricondotta nel campo di applicazione dell’imposta sull’unico presupposto di una distorsione della concorrenza che potrebbe realizzarsi in un diverso contesto del mercato, determinando così una situazione paradossale, con obbligo, ad es., di assoggettare ad IVA l’attività condotta da un piccolo paesino di montagna perché potenzialmente lesiva della concorrenza dell’attività svolta dalla grande città a valle.

Anche la previsione secondo cui sarebbe esclusa dal campo dell’IVA l’attività di dimensioni tali da potersi considerare trascurabile per il mercato sarebbe priva di contenuto: infatti, l’operatore pubblico sarebbe costretto a compiere quelle complesse analisi preliminari, ai fini della qualificazione dell’attività come “trascurabile”, ritenute contrarie al principio di certezza del diritto richiamato proprio dalla Corte di Giustizia.

Sul punto, N. Paladini, La gestione di un parcheggio comunale e i connessi obblighi di certificazione, in Azienditalia – Fin. e Trib., 6, 2009, pag. 321.

9 Sul punto, Corte di Giustizia CE, 17 ottobre 1989, cause riunite nn. 231/87 e 129/88; Corte di Giustizia CE, 14 dicembre 2000, C-446/980.

10 L. Marzullo, Risoluzione n. 139/E del 29 dicembre 2010 – Il trattamento IVA applicabile alla concessione di impianti pubblicitari da parte dei Comuni, in Fisco, 5, 2011, pag. 685.

11 N. Paladini, La gestione di un parcheggio comunale e i connessi obblighi di certificazione, in Azienditalia Fin. e Trib., 6, 2009, pag. 320.

12 Sul punto, Agenzia delle Entrate, risoluzione, 8 luglio 2002, n. 220/E; Agenzia delle Entrate, risoluzione, 5 dicembre 2007, n. 352/E; Agenzia delle Entrate, risoluzione, 19 dicembre 2006, n. 153/E. In dottrina, si rinvia a P. Portuese, Applicazione dell’IVA alla compravendita di aree di proprietà comunale, in Azienditalia – Fin. E Trib., 22, 2010, pag. 885.

13 Sul punto, Agenzia delle Entrate, risoluzione, 7 agosto 2008, n. 348/E; Agenzia delle Entrate, risoluzione, 6 maggio 2009, n. 122/E.

14 L. Marzullo, Risoluzione n. 139/E del 29 dicembre 2010 – Il trattamento IVA applicabile alla concessione di impianti pubblicitari da parte dei Comuni, in Fisco, 5, 2011, pag. 685.

15 Agenzia delle Entrate, risoluzione 6 maggio 2009, n. 122/E.

16 Ai sensi dell’art. 6 D.P.R. 633/72, l’IVA esposta nelle fatture d’acquisto da parte dei Comuni diviene esigibile per l’erario, e dunque detraibile per il Comune, al momento in cui l’Ente locale esegue il pagamento.

17 Con riferimento ai costi promiscui – ossia acquisti di beni o servizi che non sono imputabili direttamente ad un singolo servizio, ma utilizzati sia per l’esercizio di attività commerciali e di attività istituzionali – è stato espressamente previsto (art. 19-ter, c. II, D.P.R. 633/72) che l’IVA relativa sia detraibile per la parte imputabile all’esercizio dell’attività commerciale. Tale ripartizione tra quota detraibile e quota non detraibile deve avvenire secondo criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e dei servizi acquistati. Sul punto, Ministero delle Finanze, circolare, 24 dicembre 1997, n. 328/E.

18 Circolare Ministero delle Finanze, 13 giugno 1980, n. 26. I principi ivi contenuti devono ritenersi tuttora validi, anche se devono essere adattati alla nuova disciplina introdotta dal D.P.R. 194/96, il quale ha previsto che, in materia di bilancio di previsione, l’unità elementare non è il capitolo, ma l’intervento. Inoltre la suddivisione analitica dei capitoli può essere ricompresa nel Piano esecutivo di gestione, documento, tuttavia, non obbligatorio per i Comuni al di sotto di 15.000 abitanti.

19 Parte della dottrina ritiene che il conferimento del servizio ad un’Azienda speciale costituisca ipotesi di gestione diretta del servizio, in quanto, in tale caso, l’ente economico utilizzerebbe le strutture proprie ed il personale messo a disposizione del Comune stesso.

Tuttavia, è stato osservato come anche il rapporto Comune – Azienda speciale sia regolato, al pari dei rapporti tra Comune e società partecipate o terze, mediante “contratto di servizio” (art. 114 T.U.E.L).: tale circostanza determinerebbe la necessità di applicare, ai fini fiscali, le regole proprie della gestione del servizio in via indiretta. Sul punto, AA.VV., Il trattamento fiscale dei rapporti finanziari intercorrenti tra i Comuni e gli Enti (società – aziende speciali) gestori di servizi pubblici locali, 2007.

20 In tale contesto particolare rilievo assume la nozione di organismo di diritto pubblico.

Tale tipologia di ente è stata elaborata dal diritto comunitario e rileva unicamente nel campo dei contratti pubblici.

L’istituto dell’organismo è stato, infatti, introdotto dalle direttive comunitarie relative agli appalti pubblici, quale soluzione per individuare le cd. amministrazioni aggiudicatrici, ovvero i soggetti tenuti al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte dalle norme comunitarie.

Tre sono i parametri di riferimento: la personalità giuridica, il controllo analogo operato dallo Stato o da altro Ente e l’istituzione in vista del soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale.

L’istituzione di tale tipologia di ente ha determinato molti Comuni a favorire la creazione di organismi di diritto pubblico cui attribuire, a seguito di gara, in gestione un servizio pubblico, mantenendo su tale ente comunque un controllo diretto.

Tali organismi, tuttavia, possono concorrere anche per la gestione dei servizi pubblici presso realtà comunali diverse rispetto a quelle che esercitano il controllo analogo.

Per un approfondimento della natura e dei presupposti dell’organismo di diritto pubblico si rinvia a F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giappichelli, 2008, pag. 440.

21 L’art. 113-bis T.U.E.L. ha previsto una deroga all’obbligo di gara per il conferimento del servizio in concessione: infatti, tale obbligo sussiste unicamente nel caso di servizio pubblico avente rilevanza economica, mentre si può procedere al conferimento diretto del servizio in concessione nell’ipotesi di servizio non avente rilevanza economica.

22 AA.VV., Il credito IVA nelle aziende speciali/società partecipate, 2010.

23 AA.VV., Il credito IVA nelle aziende speciali/società partecipate, 2010.

24 Agenzia delle Entrate, circolare, 11 marzo 2009, n. 61/E.

25 AA.VV., Il trattamento fiscale dei rapporti finanziari intercorrenti tra i Comuni e gli Enti (società – aziende speciali) gestori di servizi pubblici locali, 2007.

26 La dottrina si è interrogata relativamente al regime applicabile in caso di acquisti o importazioni di beni e servizi, afferenti operazioni esenti, effettuati dall’Ente gestore, con particolare riferimento alla possibilità per la società partecipata di detrarre l’IVA pagata su tali acquisti.

L’Agenzia delle Entrate ha evidenziato come la detraibilità in tale circostanza debba essere verificata in relazione alla tipologia di prestazione/attività svolta dall’Ente in qualità di cedente o prestatore, prescindendo dalla circostanza che questo sia destinatario di un contributo.

Pertanto, l’imposta è detraibile se gli acquisti di beni e servizi afferenti operazioni esenti – finanziati attraverso contributi da parte dell’Ente locale – sono utilizzati per effettuare ulteriori operazioni imponibili, le quali attribuiscono il diritto alla detrazione.

Agenzia delle Entrate, risoluzione, 11 marzo 2009, n. 61/E.

27 Ministero delle Finanze, risoluzione, 13 maggio 1999, n. 77/E; Ministero delle Finanze, risoluzione, 29 settembre 1999, n. 150/E.

28 Agenzia delle Entrate, risoluzione, 11 giugno 2002, n. 183/E; Agenzia delle Entrate, risoluzione, 16 marzo 2004, n. 42/E.

29 Agenzia delle Entrate, risoluzione, 12 marzo 2007, n. 46/E.

30 Si veda, in ultimo, Corte di Giustizia CE, Sez. III, 6 ottobre 2005, n. 291.

31 Tale disciplina trova suo limite relativamente ai servizi condotti per mezzo di Aziende speciali, di cui all’art. 4, c. IV, D.P.R. 633/72. In tale caso, infatti, come previsto dall’art. 19 D.P.R. 633/72, la detraibilità, se svolgono principalmente attività non commerciale, è subordinata alla previa redazione di una contabilità separata per l’attività commerciale sussidiaria ed accessoria. Tale regime di contabilità separata non è invece richiesto qualora l’Azienda speciale svolga attività principale commerciale. Cass. Civ., Sez. V, 25 maggio 2001, n. 7145.

32 AA.VV., Il trattamento fiscale dei rapporti finanziari intercorrenti tra i Comuni e gli Enti (società – aziende speciali) gestori di servizi pubblici locali, 2007.

33 Ministero delle Finanze, risoluzione, 31 dicembre 1986, n. 361285; Ministero delle Finanze, risoluzione, 21 luglio 1987, n. 460690.

34 Tale principio non trova, tuttavia, applicazione nell’ipotesi di trasferimento del servizio a “non rilevanza economica ”: in tale caso, infatti, l’operazione sarà comunque sempre esente da IVA, in quanto tale attività è di per sé priva di quei connotati di base che determinano l’applicazione dell’IVA alle somme riconosciute.

Infatti, il servizio non avente rilevanza economica rientra necessariamente tra le attività istituzionali dell’Ente locale, con conseguente mancanza dei presupposti soggettivi per l’applicazione della disciplina IVA.

35 La distinzione tra servizio a rilevanza comunitaria e servizio non a rilevanza comunitaria è stata oggetto di numerosi interventi dottrinari e giurisprudenziali.

In particolare, è stato osservato come tale distinzione risulta legata all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività: pertanto, servizio di rilevanza economica è unicamente quello che si innesta in un settore per il quale esiste, anche potenzialmente, una redditività, ossia una competizione sul mercato.

Diversamente, è privo di rilevanza economica quel servizio che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non determina alcuna concorrenza e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza. Sul punto, T.A.R. Sardegna, Sez. I, 2 agosto 2008, n. 1729.

È stato inoltre precisato come, nell’ipotesi in cui sia costituito un soggetto societario unitario, chiamato a svolgere sia servizi a rilevanza economica che servizi che potrebbero esserne privi, deve comunque farsi riferimento alla globalità dei servizi espletati dal soggetto societario stesso e, quindi, al carattere essenzialmente economico che li contraddistingue e che impedisce di porli sul medesimo piano.

Deve, dunque, in tale caso, farsi riferimento non all’astratta natura del servizio, ma la concreta natura del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo. Si veda, Consiglio di Stato, Sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072.

36 La dottrina si è a lungo interrogata relativamente all’estendibilità di tale disciplina anche alle ipotesi di concessione d’uso gratuito dei beni strumentali all’attività.

Tale profilo appare particolarmente rilevante a seguito dell’emanazione del cd. decreto ambientale, il quale, all’art. 153, stabilisce che le infrastrutture idriche di proprietà degli Enti locali sono affidate in concessione d’uso gratuita per tutta la durata della gestione al Gestore del servizio idrico integrato.

In presenza di tale gratuità legale, il Comune concedente può ottenere dalla società concessionaria il solo rimborso degli oneri finanziari delle rate dei mutui in ammortamento, assunti a suo tempo proprio dall’Ente locale per il finanziamento del servizio idrico integrato ovvero operare il trasferimento dei mutui in ammortamento al soggetto gestore.

In tale ipotesi, dunque, la società affidataria non sarebbe tenuta a corrispondere alcun canone per la concessione di dette infrastrutture: conseguentemente, il Comune non avrebbe diritto alla detrazione dell’IVA, dovendosi procedere unicamente all’autofatturazione ovvero alla rettifica delle detrazioni dell’IVA. Sul punto, AA.VV., Il trattamento fiscale dei rapporti finanziari intercorrenti tra i Comuni e gli Enti (società – aziende speciali) gestori di servizi pubblici locali, 2007.

37 Agenzia delle Entrate, risoluzione, 6 giugno 2002, n. 173/E.

38 La possibilità di non emettere la fattura determina, tuttavia, l’obbligo per il gestore di rilasciare scontrino ovvero ricevuta fiscale.

39 Agenzia delle Entrate, risoluzione, 6 giugno 2002, n. 174/E.

40 Agenzia delle Entrate, risoluzione, 29 dicembre 2010, n. 139/E.

41 L’Agenzia delle Entrate ha evidenziato come costituiscano somme assoggettabili ad IVA anche le mere indennità di occupazione che la società affidataria versa al Comune. Agenzia delle Entrate, risoluzione, 29 dicembre 2010, n. 139/E.

42 Ministero delle Finanze, circolare, 22 maggio 1976, n. 18.

43 Ministero delle Finanze, circolare, 21 luglio 1989, n. 36; Ministero delle Finanze, circolare, 21 giugno 1991, n. 32; Ministero delle Finanze, circolare, 14 giugno 1993, n. 8.

44 Agenzia delle Entrate, risoluzione, 1 luglio 2009, n. 169/E.

45 Si veda, in ultimo, Corte di Giustizia CE, 26 settembre 2006, n. 320.

46 Comm. Trib. Reg. Umbria, Sez. I, 20 giugno 2006, n. 30.

Vitiello Nicola

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