Il recesso di un Comune siciliano dal Consorzio Area di Sviluppo Industriale in attesa dell’annunciata riforma

Greco Massimo 14/10/10
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Le ultime finanziarie statali, tutte finalizzate alla contrazione progressiva della spesa pubblica in generale e all’abbattimento dei costi della politica in particolare, hanno imposto agli enti locali di razionalizzare la rispettiva partecipazione in società di capitali ed in consorzi. Relativamente a questi ultimi, l’art. 10, comma 1, della L.r. n. 22/2008 obbliga ogni amministrazione comunale a mantenere “l’adesione ad una unica forma associativa per ciascuna di quelle previste rispettivamente dall’articolo 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e successive modifiche ed integrazioni, come introdotto dall’articolo 1 della legge regionale 11 dicembre 1991, n. 48 e successive modifiche ed integrazioni, dall’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e dall’articolo 15 della legge regionale 6 marzo 1986, n. 9”. L’art. 2, comma 186, della L. 191/2009 prescrive, addirittura, la soppressione dei consorzi di funzioni  tra  gli  enti  locali.

Senza entrare nel merito della applicabilità immediata dell’ultima disposizione statale nell’ordinamento regionale, una questione che merita di essere prioritariamente approfondita riguarda la possibilità che ha il singolo Comune siciliano di potere recedere unilateralmente dai consorzi che gestiscono le aree di sviluppo industriale (ASI). In tale contesto, l’Ufficio Legislativo e Legale della Regione siciliana1, recentemente interpellato dall’Assessorato Reg.le alla Attività Produttive, ritenendo obbligatoria l’adesione dei Comuni al consorzio ASI ha concluso per l’impossibilità di recesso unilaterale da parte degli enti consorziati “mal conciliandosi con la natura di ente pubblico sottoposto a vigilanza e tutela della Regione, alla quale è attribuito un potere di controllo che può giungere fino all’intervento sostitutivo (artt. 15 e 17 della L.r. n. 1/1984)”. In tale contesto, l’Assessorato Reg.le alla Attività Produttive ha chiesto all’Assessorato Reg.le alle Autonomie locali l’invio di tanti commissari ad acta quanti sono in Sicilia gli enti locali che hanno ritenuto di non partecipare più ai Consorzi ASI.

Le conclusioni a cui è pervenuto l’autorevole Ufficio di consulenza giuridica dell’Amministrazione Regionale non possono essere condivise.

La natura giuridica dell’Area di Sviluppo Industriale

Sul piano delle conseguenze giuridiche assume notevole rilevanza la qualificazione di un ente come pubblico, giacchè alle amministrazioni pubbliche si applica in via generale una disciplina peculiare che non trova applicazione agli enti di diritto privato. In primis, soltanto gli enti pubblici possono svolgere attività autoritativa-funzionale, sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, e soltanto ad essi è riconosciuto il potere di autotutela decisoria.

Il Consorzio Area di Sviluppo Industriale è un ente di diritto pubblico non economico sottoposto alla vigilanza e tutela dell’Assessore Regionale per l’Industria, che la esercita ai sensi della L.r. 1/84. La qualificazione dei consorzi ASI contenuta nella legge statale n. 317/1991 secondo cui “i consorzi di sviluppo industriale costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale, sono enti pubblici economici”, non trova applicazione nell’ordinamento regionale, vigendo il principio della “prevenzione”, secondo cui la “legge statale che disciplina una materia già regolata dalla legge regionale esplica la sua efficacia nell’ambito regionale solo se e in quanto la fattispecie regolata non abbia trovato disciplina nella legge regionale2. La natura giuridica di ente pubblico non economico dei consorzi ASI trova altresì conferma nella giurisprudenza amministrativa secondo cui “…i consorzi per le aree di sviluppo industriale, previsti dall’art. 50 DPR 6 marzo 1978 n. 218 (che ha sostituito l’art. 144 t.u. 30 giugno 1967 n. 1523) e, nella Regione siciliana, soggetti altresì alla disciplina di cui alla legge regionale 4 gennaio 1984, n. 1, hanno la qualità di enti pubblici non economici, svolgendo un’attività priva di contenuti imprenditoriali ed indirizzata al perseguimento, con strumenti pubblicistici, di finalità di ordine generale…3.

La partecipazione dei Comuni al Consorzio ASI

Al Consorzio ASI partecipano oltre alla Regione Siciliana, la Provincia Regionale, tutti i Comuni della provincia, enti pubblici, enti economici o finanziari sia pubblici che privati, nonchè le associazioni di rappresentanza degli industriali e delle forze sociali. La presenza di tutti gli enti locali del territorio, tuttavia, non presuppone l’inquadramento del Consorzio ASI nel sistema degli enti locali di cui alla legge 267/2000 né, tanto meno, l’assimilazione dello stesso alla tipologia di consorzio tra enti locali di cui all’art. 15, comma 2, della L.r. n. 30/2000. E’ infatti la presenza dominante della Regione a determinare la natura giuridica del Consorzio ASI e, di conseguenza, ad escluderlo dal novero dei consorzi tra enti locali. Dello stesso avviso la giurisprudenza amministrativa regionale secondo la quale “non possono essere considerati enti locali (almeno non nel senso di cui all’art. 130 cost., non trattandosi di enti esponenziali di collettività), ma sono enti pararegionali, se non addirittura persone giuridiche organo della Regione (che svolge attraverso di essi la propria attività di intervento nelle aree destinate ad insediamenti industriali)4.

Più recentemente è stato affermato che “In proposito, deve, perciò rimarcarsi il ruolo centrale riservato alla Regione, che, come si è già in precedenza rilevato, non integra un ente locale. Essa provvede al loro funzionamento con contributi integrativi nonché con contributi annui per le spese di funzionamento e di organizzazione e con contributi per spese di gestione, diretta ed indiretta, di infrastrutture e di servizi comuni, addirittura nella misura massima del 50 per cento della spesa sostenuta. Inoltre, si prevede che la Regione versi fondi per la realizzazione delle opere previste dalla legge regionale de qua ed altresì per l’espletamento di particolari compiti d’interesse regionale, rispetto ai quali, pertanto, i consorzi come quello in evidenza appaiono essere enti ausiliari, a cui essa demanda lo svolgimento di attività complementari ed integrative, facenti capo alla medesima”.5

La presenza degli enti locali non rileva neanche ai fini dell’esercizio del potere di controllo e vigilanza che rimane ben saldo nella competenza della Regione in forza dell’art. 29 della citata L.r. n. 1/84.. A compendio, va evidenziato anche un recente profilo della giurisprudenza secondo il quale “…proprio in materia di consorzi obbligatori tra enti locali è stato più recentemente osservato che la partecipazione all’assemblea ed al consiglio d’amministrazione del consorzio da parte dei rappresentanti degli enti consorziati è in via generale fisiologica e non esprime un potere di vigilanza, integrando piuttosto un apporto normativamente disciplinato in un quadro di coincidenza di obiettivi, con la conseguenza che detto apporto non può essere apprezzato in termini di ingerenza e vigilanza di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 63, comma primo, n. 1, D.Lgs n. 267/2000 (analogo all’art. 10, comma primo, n. 1, L.r. n. 31/86), ravvisandosi invece un rapporto di vigilanza di fatto, solo nel caso in cui le norme convenzionali o statutarie attribuiscano al rappresentante di uno degli enti consorziati una posizione di assoluto predominio rispetto agli altri enti nell’ambito degli organi del consorzio, tale da consentirgli – cioè di determinare – indipendentemente da questi ultimi, la volontà e lo svolgimento dell’attività dell’ente consortile”.6

Quindi, la partecipazione degli enti locali al Consorzio ASI, così concepito, non appare obbligatoria bensì facoltativa. Infatti l’art. 2, comma 2°, della L.r. n. 1/84 così recita: “Ai consorzi possono partecipare oltre alla Regione siciliana, enti locali, enti pubblici, enti economici o finanziari sia pubblici che privati, nonché associazioni di rappresentanza degli industriali”. Peraltro, la partecipazione obbligatoria di un ente locale ad una forma associativa, incidendo su garanzie di natura costituzionale7, non potrebbe risultare da una volontà sottesa del legislatore. E comunque, dal tenore testuale della norma citata, interpretata secondo i principi dell’art. 12 delle preleggi del Codice Civile8, la volontà del legislatore sembra proprio quella di consentire una partecipazione al consorzio su base volontaria.

Con riferimento ai soggetti partecipanti, ad escludere ulteriormente la possibilità di far rientrare i Consorzi ASI nell’ambito dei consorzi istituiti o resi obbligatori da leggi statali e regionali interviene la previsione, sopra citata, secondo cui persino enti privati, peraltro anche economici o finanziari, ed associazioni di rappresentanza degli industriali, partecipano alla loro compagine. Peraltro, sarebbe in via generale esclusa in toto la partecipazione obbligatoria di soggetti privati che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale per manifesta incostituzionalità di una siffatta eventuale previsione. In disparte ogni ulteriore considerazione sulla compresenza di soggetti privati nel contesto di un ente definito dal legislatore “ente pubblico non economico”.

Altri indicatori sintomatici che soccorrono in favore di tale tesi derivano dall’esistenza di alcune norme presenti in tutti gli statuti dei Consorzi ASI (e nello statuto tipo approvato con Decreto Assessoriale n. 838 del 08/08/1984) secondo le quali il Consiglio Generale non solo può dichiarare morosi gli enti che non hanno versato la quota annuale deliberandone la loro esclusione, ma può anche deliberare l’eventuale scioglimento anticipato del Consorzio. Se la partecipazione al Consorzio fosse un adempimento obbligatorio, l’ente consorziato non potrebbe essere escluso neanche in presenza di morosità, né l’organo assembleare potrebbe autonomamente determinarne lo scioglimento anticipato. Infatti, tra gli elementi caratterizzanti il regime degli enti pubblici si colloca l’indisponibilità, da parte dell’ente, della propria esistenza, cioè l’incapacità di disporre di se stesso, dunque di decidere autonomamente la propria privatizzazione, ovvero il proprio scioglimento, nonché l’impossibilità di sottrarre i beni alla loro destinazione. “Si tratta di limitazioni che trovano la loro ragion d’essere nella doverosità del perseguimento dell’interesse pubblico, perché l’ente pubblico è istituito per svolgere un’attività di interesse generale9.

Invero, per i consorzi obbligatori la giurisprudenza amministrativa, chiamata a sindacare il comportamento di alcuni Comuni ostili ad aderire agli ambiti territoriali ottimali per la gestione integrata dei servizi ed ambientali, si è espressa in questi termini: “il principio di leale collaborazione tra gli enti è stato enucleato dalla Corte costituzionale con riferimento allo svolgimento dei diversi rapporti di rango costituzionale tra Stato e regioni, pur tuttavia la relativa applicazione non può condurre a situazioni di stallo decisionale che possano compromettere gli interessi pubblici oggetto delle decisioni da assumere, ed il rispetto di detto principio non può legittimare comportamenti che tendono a paralizzare la costituzione degli A.t.o.10. Ancora, “dal momento della costituzione dell’Ente di ambito tutte le funzioni in materia di servizi idrici dei comuni e delle province consorziati sono esercitati dall’ente di ambito medesimo, restando sottratta agli enti territoriali partecipanti al consorzio obbligatorio l’esercizio di un potere diretto sugli impianti e la possibilità di incidere, con propria autonoma delibera, sulla gestione del servizio11.

Il quadro normativo fin qui argomentato porta quindi a ritenere certamente “atipica” la collocazione giuridica dei citati Consorzi ASI, costretti dal legislatore regionale ad indossare formalmente una veste di natura pubblica regionale ed a praticare, attraverso la partecipazione di enti locali e soprattutto di corpi intermedi (rectius formazioni sociali), formule di autonomia funzionale alla stregua delle più blasonate Camere di Commercio. Ed è proprio l’affermazione fatta dall’Ufficio Legislativo secondo cui “risulterebbe inconciliabile l’esercizio del recesso con la natura di ente pubblico sottoposto a vigilanza e tutela della Regione, alla quale è attribuito un potere di controllo che può giungere fino all’intervento sostitutivo”, che porta ad escludere la partecipazione obbligatoria al consorzio ASI degli enti locali e dei corpi intermedi. Infatti, qualora fosse un’organizzazione sindacale, ovvero un’associazione di categoria, a promuovere il recesso dal Consorzio, in cosa consisterebbe il potere sostitutivo della Regione? Nell’obbligare, magari attraverso la nomina di un commissario ad acta, un ente privato ad aderire ovvero a non recedere dal Consorzio ASI? La tesi così prospettata non appare però convincente.

Invero, la partecipazione (o meno) degli enti locali e dei soggetti privati al Consorzio ASI, anche in considerazione dell’assenza di poteri di controllo e vigilanza sul medesimo Consorzio, non può rilevare ai fini dell’esistenza di un ente pubblico strumentale della Regione già istituito in Sicilia ai sensi del DPR 6/03/1978, n. 218, e della L.r. 27/02/1965 n. 4 e regolamentato dalla citata L.r. n. 1/84. Né può ritenersi vincolante quanto previsto dal legislatore regionale – art. 14, comma 5°, L.r. n. 1/84 – che subordina il riconoscimento della personalità giuridica pubblica del Consorzio all’approvazione dello statuto. Infatti, secondo un orientamento ormai pacifico, sia in dottrina12 che in giurisprudenza13, un ente pubblico è quello che, al di là della definizione normativa, possa comunque essere ritenuto tale, nel senso che le definizioni non vincolano l’interprete, il quale dovrà determinare la natura dell’ente indipendentemente dalla sua denominazione, per cui la stessa qualificazione esplicita è irrilevante se in contrasto con l’effettiva natura.

E’ quindi ragionevole affermare che l’ente pubblico economico ASI, indipendentemente dalla costituzione o meno del Consorzio, esiste perché istituito ope legis14, e comunque perché può essere ritenuto tale in quanto in possesso dei requisiti sintomatici di natura pubblicistica. Pertanto, la costituzione del Consorzio assume solamente una funzione ausiliaria ed integrativa delle finalità pubbliche dell’ASI che, riposando sui principi derivanti dagli accordi di cui all’art. 11 e 15 della legge n. 241/90, consente, nell’ottica della condivisione degli obiettivi, la partecipazione diretta di coloro (enti locali ed associazioni di categoria) che a vario titolo hanno interesse a perseguire lo sviluppo locale del rispettivo territorio attraverso una politica incentivata di localizzazione delle attività produttive. Il Consorzio non è quindi un nuovo soggetto pubblico, ma una semplice “organizzazione comune” fra più soggetti che operano nella piena distinzione dei rispettivi ruoli, figure e forme giuridiche15.

Al contrario di quanto di possa pensare, la partecipazione facoltativa di enti locali e, soprattutto, di enti privati al Consorzio ASI, aiuta a preservare lo status giuridico di ente pubblico strumentale della Regione, che rimane così ben saldo ed immune da formule “atipiche” o “miste” capaci di disorientarne la collocazione nel contesto ordinamentale. La presenza obbligatoria di enti privati, ancorchè formazioni sociali senza scopo di lucro, all’interno della struttura fondativa del Consorzio ASI minerebbe indubbiamente la qualifica di ente pubblico regionale non economico e la relativa inclusione tra le pubbliche amministrazioni di cui al D.lgs n. 165/200116.

Orbene, la tesi fin qui sostenuta, apparentemente suggestiva, trova altresì conforto nel recente disegno di legge di riforma delle ASI approvato dalla Giunta regionale in data 29/07/2010. Detto disegno di legge si limita a confermare la natura di ente pubblico non economico dell’ASI, che diventa l’Istituto Regionale per lo Sviluppo Industriale a struttura piramidale (artt. 2 e 21) ed a sopprimere i Consorzi per le ASI esistenti (art. 33, comma 1). E’ prevista la partecipazione obbligatoria dei Comuni non ai fini costitutivi dell’Istituto ma solo per corrispondere una quota annuale a titolo di cofinanziamento del servizio (art. 8, commi 1 e 2). Ciò, a dimostrazione che l’impianto ordinamentale nel quale risultano collocati gli attuali enti pubblici che gestiscono le Aree di Sviluppi Industriale in Sicilia rimane integro, indipendentemente dalla parallela costituzione dei Consorzi ASI.

 

Il recesso di un Comune dall’ASI

Se l’ASI non è un Consorzio che prevede la partecipazione obbligatoria dei comuni e degli enti associati, nulla osta ad un ripensamento del singolo ente in ordine al mantenimento della propria partecipazione in seno al medesimo Consorzio. Infatti, “costituisce principio generale dell’ordinamento che non si possa escludere, in mancanza di espressa previsione contraria, la facoltà, per chi ha dato adesione ad un organismo collettivo, di esercitare in un momento successivo il diritto di recedervi17. È stato altresì affermato dalla giurisprudenza che, nel caso di recesso di un comune da un Consorzio di enti locali costituito ai sensi dell’art. 31 del T.U.E.L., il comune recedente abbia il diritto alla restituzione della sua quota di partecipazione18.

 

Il profilo amministrativo

Nel caso di partecipazioni al consorzio operate dai comuni, “l’istituto del recesso da un consorzio facoltativo di enti locali non può ritenersi inibito per la circostanza di trarre origine da un negozio di diritto pubblico plurilaterale a tempo determinato, per la considerazione che l’assetto degli interessi delegati al consorzio è di natura pubblica e rispondente agli scopi istituzionali dell’ente locale delegante, il quale, così come ha ritenuto rispondente ad esso la gestione in forma consortile, così pure, avvalendosi dei suoi poteri di recesso che, tuttavia, ricompreso nel più ampio potere di revoca degli atti amministrativi, non può esercitarsi se non intervengono ragioni di pubblico interesse esattamente di segno contrario a quelle che ne avevano costituito il presupposto, pur nel rispetto del principio di tutela dell’affidamento19.

In mancanza di disposizioni rinvenibili nella L.r. n. 1/84 ovvero nello statuto dei Consorzi o negli atti costitutivi dei medesimi, l’esercizio del potere di recesso da parte di un ente pubblico consorziato incontra l’unico limite costituito dall’essere ispirato da ragioni di opportunità amministrativa che lo giustifichino in relazione ai compiti consortili20. Né è ipotizzabile che il recesso venga accettato, trattandosi di atto unilaterale e non di proposta di un contratto modificativo, che richiede invece l’accettazione. L’assenso degli enti consorziati, richiesto espressamente dagli statuti per l’ingresso nel consorzio, non si richiede invece nella ipotesi in cui uno di consorziati eserciti unilateralmente la facoltà di recesso, rimesso esclusivamente al potere dell’ente interessato e non vincolante all’arbitrio degli altri enti partecipanti.

Sotto l’aspetto amministrativo il recesso si configura come un atto di 2° grado, cioè una revoca della precedente volontà di partecipazione deliberata sulla base di una rivalutazione che tiene conto del nuovo contesto normativo e dei vincoli che questo comporta in tema di adesione multipla a forme associative. Peraltro, esiste e sarebbe debitamente esternato l’interesse pubblico, concreto ed attuale, alla eliminazione con effetto ex nunc dell’atto originario di adesione al rapporto consortile, ormai inopportuno.

 

Il profilo civilistico

Anche in ambito civilistico si ritiene legittimo il diritto di recesso dal Consorzio (artt. 2602 e ss.). Pur prevedendo l’art. 2603 che le cause di recesso siano indicate nel contratto, ciò non di meno sono ammissibili ulteriori ipotesi di recesso non previste contrattualmente, quali potrebbero essere il venire meno dei requisiti essenziali e la esistenza di una giusta causa. Una giusta causa che gli enti locali ed i comuni in particolare possono invocare per giustificare il recesso dai Consorzi ASI è rappresentata dall’art. 10, comma 1, della L.r. n. 22/2008 che consente ai comuni l’adesione ad una sola forma associative tra quelle previste dal Testo Unico degli enti locali. Se è vero che i Consorzi ASI non possono farsi rientrare nella tipologia dei Consorzi degli enti locali ex art. 31 del D.lgs n. 267/200021, è anche vero che il legislatore regionale, al 4° comma del citato articolo 10, non li ha compresi nel novero dei Consorzi non obbligatori per i quali è prevista la deroga così come ha fatto per i Consorzi universitari.

Nel caso di situazioni come questa che, rispondendo a principi di contenimento della spesa pubblica dettati da normative finanziarie statali e regionali, incidono sulla partecipazione dei singoli consorziati, presentandosi la esigenza che questa venga a cessare, sulla cui opportunità non si pongono dubbi, la discussione nell’ambito civilistico, si limita alla sua giustificazione razionale e sistematica. Alla giusta causa si riconducono quindi la situazione economica generale ed in particolare i significativi mutamenti normativi imposti dalle leggi finanziarie. Il recesso rientra nelle cause di scioglimento del rapporto (artt. 1372 e 1373), e nei contratti associativi è una causa di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un singolo soggetto.

 

Conclusioni

Il ragionamento fin qui fatto porta a fare le seguenti conclusioni:

  1. L’A.S.I. è un ente pubblico non economico e strumentale della Regione indipendentemente dalla costituzione del Consorzio.

  1. La partecipazione degli enti locali e dei soggetti privati alla costituzione del Consorzio ASI non è obbligatoria.

  1. Gli enti consorziati hanno la facoltà di recesso dal Consorzio per giusta causa.

  1. Il potere sostitutivo della Regione può essere attivato solo nei confronti degli enti locali che non hanno legittimamente attivato le procedure di recesso unilaterale dal Consorzio.

 

 

Massimo Greco

 

1 Uff. Leg.vo e Legale parere prot. n. 2018 del 08/07/2010.

2 Uff. Leg.vo e Legale parere n. 252.06.11.2006.

3 Tar Catania, sent. N. 845/2004 a conferma di un orientamento del CGA con sent. n. 413/1998.

4 C.G.A., sent. n. 23 del 23/06/1994.

5 Tar Lazio, Roma, sez. I quater, sent. 6/08/2009 n. 7933.

6 Cass. Sez. I°, 1/08/2007 n. 16990.

7 Le pronunce della Corte Costituzionale, in vigenza del nuovo Titolo V° della Costituzione, censurano infatti interventi del legislatore statale restrittivi della libertà e dell’autonomia delle regioni e, a caduta, degli enti locali (Corte Cost., sentenze nn. 376/03; 36/04; 4/04 e 417/05).

8 L’art. 12 delle disposizioni preliminari del Codice Civile così recita: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore“.

9 Cons. Stato, sez. VI, 19/07/2007 sent. n. 4059.

10 Tar Catania, sez. I°, sent. n. 1974/2003.

11 Tar Campania, Napoli, sez. I, 28/10/2008 n. 18797.

12 Dauno Trebastoni, “Identificazione degli enti pubblici e relativa disciplina”, Giustizia-Amministrativa.it, 07/05/2007.

13 Corte Cost. 7/04/1988 n. 396.

14 Secondo quando previsto dall’art. 4 della legge 70/1975, “nessun ente pubblico può essere riconosciuto o istituito se non per legge”.

15 Cons. Stato, sez. V°, 16/04/1987, sent. n. 246.

16 L’art. 1, 2° comma, del D.lgs. n. 165/2001 include nel novero delle pubbliche amministrazioni gli enti pubblici non economici nazionali e regionali.

17 Tar Campania, sez. I 21/11/2001 sent. n. 172.

18 Cons. Stato, sez. V°, sent. 8/10/2008 n. 4952.

19 Tar Puglia, sez. Lecce, 12/12/1991, n. 832.

20 Tar Lombardia, sez. III, Milano, 01/10/1992, sent. n. 538.

21 Tar Lazio, Roma, sez. I quater, sent. 6/08/2009 n. 7933.

Greco Massimo

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