Il reato di sostituzione di persona

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Il reato di sostituzione di persona è disciplinato dall’articolo 494 del codice penale, rubricato “sostituzione di persona” che stabilisce:

 

“Chiunque, al fine di procurare a sé o agli altri un vantaggio o di recare agli altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o agli altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.”

 

Il reato ha natura plurioffensiva, essendo preordinato non esclusivamente alla tutela di interessi pubblici ma anche di quelli del soggetto privato nella quale sfera giuridica l’atto sia diretto a incidere.

 

E’ una ipotesi illecita contro quei comportamenti legati all’identità personale e caratterizzati dall’inganno ai danni di un numero indeterminato di individui che, nell’ambito dei rapporti sociali, devono dare fiducia a determinate attestazioni.

Per la configurazione della fattispecie criminosa è richiesto il dolo specifico (elemento soggettivo), la volontà del reo di indurre qualcuno in errore e il comportamento deve essere tale da procurare a sé o ad altri un vantaggio ( patrimoniale e non ) o arrecare danno al soggetto al quale è stata sottratta l’identità.

 

L’articolo 494 del codice penale rappresenta una norma a più fattispecie.

Per integrare il reato è sufficiente che il reo realizzi una delle diverse condotte previste, e non sussiste concorso tra le diverse condotte.

Il fatto costitutivo del delitto consiste nell’indurre qualcuno in errore attraverso una delle quattro condotte indicate tassativamente dall’articolo 494 del codice penale:

Sostituzione illegittima della propria all’altrui persona

Attribuzione a sé o altri di un falso nome

Attribuzione a sé o altri un falso stato, la posizione civile o politica del soggetto, cittadinanza, capacità di agire

Attribuzione a sé o altri di una qualità alla quale la legge attribuisce effetti giuridici

 

Per la sussistenza del reato è richiesto il dolo, consistente nella coscienza e volontà di indurre in errore altri sulla vera identità della propria persona.

In particolare è necessario il dolo specifico, la volontà di procurare a sé o altri un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale o anche di recare ad altri un danno.

È irrilevante il raggiungimento del vantaggio perseguito.

 

Il delitto di sostituzione di persona è configurabile nella forma tentata.

Quando l’agente, nonostante l’utilizzo dei mezzi fraudolenti indicati nell’articolo 494 del codice penale non riesca a indurre qualcuno in errore, si configura il tentativo.

 

Il delitto di sostituzione di persona è sussidiario rispetto a ogni altro reato contro la fede pubblica.

In forza dell’inciso “se il fatto non costituisce altro delitto contro la fede pubblica” contenuto nella norma incriminatrice, il reato de quo è applicabile solo quando il fatto non costituisca un altro delitto contro la fede pubblica.

La norma trova la sua applicazione nell’ambito delle attuali tecnologie, anche se non rientra nelle previsioni dei crimini informatici introdotte con la Legge 547 del 1993.

Costituisce una risposta della giurisprudenza la sentenza n.46674 del 2007 della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna di un soggetto creatore un account di posta elettronica intestato a un’altra persona, utilizzato per instaurare rapporti con altri utenti della Rete inducendoli in errore.

A parere della Corte, il fatto integrava gli elementi della fattispecie criminosa in questione (reato di sostituzione di persona) in considerazione del fatto che il comportamento posto in essere pregiudicava il bene tutelato dalla norma, vale a dire la“fede pubblica”.

Oggetto della tutela penale, in relazione al delitto preveduto nell’art. 494 c.p. è l’interesse relativo alla pubblica fede, che può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario, così come il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome

La questione assume rilievo sia dal lato civilistico sua da quello penale.

L’immagine di un soggetto deve essere considerata si sicuro una “informazione personale”, così come previsto dall’arti colo4 della Legge 196/2003 sulla tutela della privacy e, ai sensi dell’articolo 13 dello stesso codice, il titolare del trattamento delle informazioni personali ha l’obbligo di rendere noto preventivamente l’interessato che il suo elemento (immagine fotografica) potrà formare oggetto di trattamento, dando la possibilità all’interessato di esercitare in qualsiasi momento i diritti previsti dall’articolo 7 della L.196/2003 per ottenere:

Laggiornamento

La rettificazione

L’integrazione

La cancellazione dell’informazione trattata

In questo si inserisce anche la Legge sulla protezione del diritto d’autore L.633/41, indicando nel consenso (ex art.96) la scriminante che esclude la responsabilità di colui che pubblica l’immagine fuori dai casi consentiti dalla legge e detta:

Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente .”

 

Non si deve prestare il consenso se la persona è nota e neanche se è fotografata in virtù di qualche ufficio pubblico che ricopre, o per ragioni di giustizia o di polizia, oppure per scopi scientifici, didattici, culturali, oppure perché la riproduzione è legata a fatti, avvenimenti, cerimonie di pubblico interesse o che comunque si sono svolte in pubblico (ex art.97).

Anche nei casi di esclusione, sopra esposti è necessario, il consenso dell’interessato laddove l’esposizione o la messa in commercio possa arrecare danno alla reputazione ed al decoro della persona ritratta (ex art. 97 c. 2).

Il diritto all’immagine è tutelato anche dal codice civile, integrato dalle disposizioni speciali della L.633/41, che all’articolo 10 così stabilisce:

“ Se l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta,o pubblicata fuori dai casi nei quali l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, oppure con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni.

Il legislatore ha previsto per le violazioni più gravi sul trattamento delle informazioni personali, sanzioni penali puntualmente dettate dall’articolo167 del codice in materia di protezione delle informazioni personali, che così stabilisce:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18.19.23.124.126 e 130, oppure in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.

Procedendo a un attento studio del dettato, sembra chiaro che gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa che devono concorrere sono due:

 

“al fine di trarne per sé e per altri profitto oppure arrecare un danno ad altri” (elemento soggettivo).
Il termine “profitto” viene utilizzato dal legislatore al fine di abbracciare una vasta gamma di vantaggi e benefici che rivestono necessariamente carattere di natura economica-patrimoniale.

“se dal fatto deriva nocumento” , intendendo con detto termine una reale e tangibile lesione del bene sottoposto a tutela.

La Corte di Cassazione nel 2004 con la sentenza 26680, conferma la condanna di un uomo che aveva diffuso su Internet fotogrammi (scene di uno spogliarello) della sua ex fidanzata senza il suo consenso.

In relazione al giudizio di colpevolezza, la Corte sottolinea che l’imputato non avendo accettato di buon grado la decisione della fidanzata di interrompere la loro relazione, aveva inviato numerosi messaggi telefonici e lettere, da costringere la giovane donna a cambiare in due occasioni il suo recapito telefonico.

 

La stessa, secondo le valutazioni della Corte, aveva ricevuto un reale danno (nocumento) dal comportamento del suo ex fidanzato che aveva, con il suo comportamento, leso la sua tranquillità nonché la sua immagine sociale.

Dott.ssa Concas Alessandra

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