Il problema della tutela giuridica dell’architettura contemporanea

Redazione 19/05/04
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inserito in Diritto&Diritti nel maggio 2004
di Alessandro Ferretti
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Il dibattito giuridico-dottrinario sull’architettura contemporanea, in corso da diverso tempo ormai, ha reso evidente la necessità di una sua tutela giuridica efficace, tale da garantire forme adeguate di conservazione e di valorizzazione.
L’interesse e l’esigenza per la “creazione” di un adeguato sistema di tutela dell’architettura contemporanea si è manifestato in modo prepotente dalla fine degli anni Novanta, quando la spinta verso la modernizzazione delle strutture e degli strumenti giuridici ha prodotto risultati utili per l’istituzionalizzazione della tutela del contemporaneo. Esempio significativo è la costituzione della Direzione Generale dell’Architettura e delle Arti contemporanee, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, la cui attività è prevista per la prima volta nel 1998 dalla riforma attuata dall’allora Ministro Veltroni.
Si legge nella relazione motivante il D. Lgs. n. 368 del 20 ottobre 1998 che la previsione di un’area dell’architettura e dell’arte contemporanea è frutto dell’idea “…che alla fondamentale funzione di salvaguardia della nostra eredità culturale debba accompagnarsi quella del sostegno alla formazione e diffusione di nuove testimonianze della sensibilità creativa della nostra epoca…”
Affermato in questo modo il principio fondamentale del riconoscimento della tutela delle arti,ed in particolare dell’architettura, contemporanee, i compiti relativi alla sua attuazione sono stati affidati in prima battuta alla DARC, istituita con il DPR n. 441 del 29 dicembre 2001. Ai fini del presente studio, è sufficiente porre in evidenza che all’interno di questa struttura ministeriale è costituito un Servizio Architettura e Urbanistica che opera, tra l’altro, in due aree tematiche: la promozione della progettualità contemporanea e la tutela dell’architettura contemporanea.
Si tratta, a questo punto, di analizzare il tipo di tutela che l’ordinamento fornisce per l’architettura contemporanea e se possa essere considerato efficace o debba essere sottoposto a dei correttivi
Da questo punto di vista, il primo passo da compiere è necessariamente diretto a delimitare il campo dell’architettura contemporanea, esclusivamente dal punto di vista giuridico. In questo senso, l’unico riferimento normativo che offre indicazioni certe (anche se con qualche perplessità interpretativa) è l’ultimo comma dell’art. 2 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.- D. lgs. n. 490 del 1999 – che riproduce l’ultimo capoverso dell’art. 1 della legge 1089 del 1939.
“Non sono soggette alla disciplina di questo Titolo le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant’anni”
Le indicazioni prodotte dal legislatore sono, pertanto, dirette ad escludere dalla tutela propria dei beni vincolati quelle opere in cui sussistano le due condizioni appena indicate e che vengono ascritte generaliter alla categoria del “contemporaneo”.
In particolare, per quanto riguarda il limite temporale, si può ben dire che il legislatore ha voluto fare in modo che la produzione artistica più recente non fosse sottoposta ai vincoli normativi imposti dalla disciplina del T.U. che potrebbero limitare la commerciabilità delle opere e la libertà dell’artista, il quale verrebbe pregiudicato sul piano economico dalla impossibilità di far circolare liberamente le proprie opere.
Questa è sempre stata l’indicazione fornita dalla dottrina riguardo alla ratio legis del limite temporale imposto ai fini della tutela del bene culturale, in linea con la stessa Relazione che accompagnava il testo legislativo del 1939.
E’ necessario evidenziare anche che, fortunatamente, il dibattito dottrinale, soprattutto a partire dagli anni 80, ha evidenziato l’esistenza di questa incongruenza relativa alle opere di arte contemporanea, mettendo in rilievo una forte esigenza di superamento della disposizione in esame, non tanto diretta all’eliminazione del predetto termine, quanto e più specificamente orientata a prevedere una possibile, sia pure limitata, azione di concreta tutela di opere che abbiano età inferiore ai cinquanta anni, rispettando alcune condizioni particolari, quale, ad esempio, quella che si tratti di opere il cui autore sia deceduto.
Da un altro punto di vista, è importante segnalare che nel corso del tempo si è fatta sempre più strada l’idea che la tutela sotto forma di vincolo non debba essere vista necessariamente con disfavore ai fini della determinazione del valore economico dell’opera.
Il vincolo di per sé non causa alcun deprezzamento del bene, anche se ne limita la commerciabilità al territorio nazionale.
In realtà il vincolo produce sicuramente degli effetti positivi sul valore del bene. Si pensi, per tutti, al fatto che il vincolo costituisce indubbiamente una certificazione ufficiale dell’autenticità del bene e della sua rilevanza per il patrimonio culturale del Paese oppure agli indubbi vantaggi fiscali che il bene vincolato apporta.
Nonostante quest’ultimo aspetto favorevole, oltre a quanto è stato indicato in precedenza, la normativa di tutela dei beni culturali sembra inequivocabilmente escludere la possibilità di ricomprendervi l’architettura contemporanea.
Il passaggio dal vecchio sistema, rappresentato dal T.U. dei beni culturali, al nuovo, con l’entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004) il primo maggio 2004, non sembra mutare le cose in maniera sostanziale, anche se è possibile segnalare una diversa presa di coscienza del legislatore nei riguardi delle opere di architettura contemporanea.
Si fa riferimento, in particolare, alla possibilità prevista dall’art. 37 del D. Lgs. n. 42/2004 di concedere contributi per interventi conservativi su opere di architettura contemporanea, a condizione che venga riconosciuto il particolare valore artistico dell’opera, di cui si parlerà subito appresso nel testo. In questo caso, il legislatore dimostra di essere attento osservatore della realtà e, pur non ritenendo di superare il limite di applicabilità della tutela, prevede espressamente la possibilità di sostegno di intervento conservativi (quindi di tutela) anche a favore dell’opera di architettura contemporanea.
Si accennava in precedenza al riconoscimento del particolare valore artistico dell’opera. Si tratta di uno strumento messo a disposizione dal sistema per la tutela delle opere di architettura, che in qualche modo è utilizzato (efficacemente ?) anche nel settore dei beni culturali.
In particolare, il dato normativo è quello offerto dagli artt. 20 e 23 della legge sul diritto d’autore, la n. 633 del 1941, e l’art. 15 del regolamento di esecuzione, il R.D. n. 1369 del 1942. Sono queste le norme che prevedono la possibilità per l’autore dell’opera architettonica di richiedere alla competente autorità statale il riconoscimento dell’importante carattere artistico della sua opera, con la conseguente ammissione ai relativi contributi economici, e altresì, fatto ancora più importante, l’attribuzione della facoltà all’autore di studiare e attuare le modifiche dell’opera che dovessero rendersi necessarie nel corso del tempo.
Procedendo ad alcune osservazioni su questi pochi dati offerti dalla lettura delle norme di riferimento.si ritiene utile evidenziare quanto segue.
In primo luogo, l’opera architettonica che trova tutela all’interno della legge sul diritto d’autore è soltanto un’opera dell’ingegno, dotata cioè del carattere della creatività, che, per la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, si risolve nella novità ed originalità della stessa.
In altri termini, quell’opera è dell’ingegno perché è frutto dell’apporto individuale , personale dell’autore e perché “…stimola reazioni diverse da quelle che nel medesimo percipiente possono stimolare altre opere preesistenti…”, per dirla con la dottrina maggioritaria.
Che cosa comporta il fatto che l’opera sia dell’ingegno?
La sottoposizione alla tutela prevista dalla l. d.a. e, pertanto, il riconoscimento all’autore di un insieme di diritti di utilizzazione economica dell’opera ( indicati agli artt. 12 e ss l. d.a. ) e di diritti a difesa della personalità dell’autore, che costituiscono il c.d. diritto morale dell’autore ( indicati negli artt. 20 e ss l. 633 del 1941).
Si pensi al diritto di rivendicare la paternità dell’opera o al diritto di opporsi a modifiche dell’opera lesive dell’onore e della reputazione dell’autore. In tema di modificazioni, esiste una norma dedicata esclusivamente alle opere di architettura. Si tratta del secondo comma dell’art. 20 della legge richiamata, in base al quale le facoltà spettanti all’autore vanno contemperate con quelle inerenti al diritto di proprietà che spetta a persona terza rispetto all’autore. E’ questo l’aspetto che maggiormente riguarda ed interessa la presente analisi per un’efficace tutela dell’opera architettonica contemporanea.
Il problema della tutela di questo tipo di opera, infatti, è tutto qui, nel possibile conflitto che potrebbe instaurarsi con le ragioni della proprietà. La norma, in ambito generale, prevede che l’autore non possa opporsi alle modifiche che si rendano necessarie durante o dopo l’esecuzione della stessa, in funzione delle esigenze del proprietario o del committente: in tal modo è data la prevalenza alle facoltà inerenti al diritto di proprietà rispetto quelle inerenti al diritto morale d’autore.
Un temperamento, però, è previsto, proprio nel caso delle opere dell’architettura, a favore del diritto d’autore e a scapito del diritto di proprietà, quando all’opera sia riconosciuto importante carattere artistico, su richiesta dell’autore.
In tal caso, come si diceva in precedenza, spetta all’autore lo studio e l’attuazione delle modifiche dell’opera, che si rendessero necessarie. E’ quasi superfluo ricordare che l’indicazione di cui all’art. 15 del regolamento del 1942, riferita al Ministro per l’educazione nazionale debba intendersi oggi al Ministro per i beni e per le attività culturali, quale autorità statale competente al riconoscimento del carattere artistico dell’opera.
E’ possibile chiedersi, a questo punto, se questo temperamento delle ragioni della proprietà su quelle dell’autore dell’opera architettonica garantiscano o meno una certa forma di tutela dell’opera stessa. In effetti, anche in questo caso, dobbiamo purtroppo constatare che questo strumento presenta delle aspetti negativi che, in qualche modo, dovrebbero essere risolti, per poter ottenere una tutela efficace dell’opera.
Il primo problema da affrontare e risolvere è quello relativo alla natura privatistica del procedimento de quo. E’ indubbio, infatti, che il legislatore del 1941 ha previsto nell’art. 15 del Regolamento che l’iniziativa del riconoscimento sia esclusivamente del privato, a tutela di un suo interesse (diritto) privato, non costituisce, cioè, frutto di una doverosa iniziativa propria dell’autorità pubblica.
L’intervento di quest’ultima non ha natura pubblicistica, secondo il tenore della norma richiamata, in quanto non può essere esercitato d’ufficio, come dovrebbe avvenire invece ove vi sia un interesse pubblico da tutelare, non essendo ipotizzabile che la P.A. per la tutela di un interesse pubblico, debba attendere l’iniziativa privata.
In questo senso, si è anche recentemente espressa la giurisprudenza con un’interessante sentenza del TAR Toscana, sez. III, n. 454 del 15 marzo 2000.
Un’altra conseguenza, strettamente legata a questo aspetto, è quella data dal fatto che l’autore, e solo l’autore, sarà il soggetto legittimato a dare l’avvio al procedimento di riconoscimento del carattere artistico dell’opera. L’intervento della P.A., oltre a non poter essere esercitato d’ufficio, non potrà in alcun modo essere sollecitato da altro soggetto privato che non sia l’autore, neanche quindi se si trattasse di un erede dell’autore stesso.
La ratio legis appare chiara: è l’autore, l’unico soggetto che possa apportare modifiche all’opera, una volta che si vengano a rendere necessarie, in quanto a lui si deve la creazione della stessa . Si tratta evidentemente, una volta riconosciuto dalla P.A. il particolare valore artistico dell’opera, di un diritto personale e intrasmissibile legato alla creatività dell’artista.
A queste e altre problematiche connesse al riconoscimento del valore artistico ex l. d. autore cerca di offrire delle soluzioni il recente disegno di legge sulla qualità architettonica, approvato “in prima battuta” il 25 luglio 2003 dal Consiglio dei Ministri e successivamente riproposto nel febbraio del 2004 con alcune modifiche relative al settore degli appalti ed alla conseguente armonizzazione con le norme di cui alla legge Merloni.
In particolare, il ddl appena richiamato all’art. 6 (Opere di architettura contemporanea di particolare valore artistico) sembra confermare l’adozione da parte del legislatore di prescrizioni adeguate per la soluzione dei problemi segnalati, dirigendosi nel settore del diritto d’autore come strumento idoneo per la tutela delle opere di architettura contemporanea.
In particolare, il Ministero per i beni e le attività culturali, d’ufficio o su proposta della regione, della provincia o del comune, provvede, sulla base di criteri e standards predefiniti con decreto del Ministro, a dichiarare il particolare valore artistico di cui all’art. 20, comma 2, l.d.a.
Un’altra novità riguarda la dichiarazione di particolare valore artistico che dovrà essere comunicata all’autore, al proprietario, possessore o detentore dell’opera ed al comune nel cui territorio l’opera è ubicata.
Un ulteriore aspetto innovativo viene affrontato nel comma 3 dello stesso articolo, dove si legge che la dichiarazione rilasciata viene revocata nel caso in cui sia verificata la mancata persistenza del particolare valore artistico dell’opera, dopo che siano intervenute le modificazioni della stessa di cui al comma 1 dell’art. 20 l.d.a.
E’ utile osservare, inoltre, la possibilità prevista, nell’art. 7 del disegno di legge esaminato , del conferimento di riconoscimenti ad enti pubblici e soggetti privati che “…abbiano commissionato, ideato o realizzato opere di rilevante interesse architettonico o urbanistico, opere dichiarate di particolare valore artistico…”
Infine, il comma 4 dell’art. 9 prevede che sul prospetto principale (o comunque in modo pubblicamente visibile) degli edifici, dichiarati di particolare valore artistico ex art. 6, venga riportata “… l’indicazione del progettista, del committente e dell’esecutore delle opere nonché della dichiarazione di particolare valore artistico…”
In questa prospettiva, appare evidente il disegno perseguito dal legislatore nel riconoscere il diritto d’autore come strada privilegiata per la tutela del contemporaneo.
Tuttavia, un’ultima serie di considerazioni sembra necessaria per configurare una proposta “concreta” diretta a rinvenire nella stessa normativa sui beni culturali gli strumenti necessari per tutelare, almeno in parte, l’architettura contemporanea.
In realtà, la “tutela” offerta per i beni culturali appare sicuramente più adeguata per opere come quelle di architettura contemporanea, rispetto al mero riconoscimento di valore artistico offerto dal diritto d’autore, non fosse altro che per la effettiva possibilità di predisporre idonei strumenti conservativi e di valorizzazione che potrebbero essere apprestati sono nel caso della tutela del primo tipo.
E’ per questo motivo che si è ritenuto e si ritiene doveroso tentare di individuare all’interno della stessa normativa sui beni culturali eventuali possibilità di tutela per le opere di architettura contemporanea.
Una possibilità che è indubbiamente offerta dal disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. b del T.U. dei beni culturali, riprodotto con modifiche nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (d. lgs. n. 42/2004), all’art. 10, comma 3, lett. d.
Analizzando attentamente le due disposizioni, sia quella contenuta nel d. lgs. n. 490/1999 (ormai abrogato dal primo maggio 2004) che nel d. lgs. n. 42/2004, si ricava che nei loro confronti non opera il limite temporale dei 50 anni né quello derivante dalla condizione “che siano opera di autore vivente”.
Si tratta di quelle ipotesi in cui può essere riconosciuto alle cose mobili e immobili un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica , militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere e, novità di rilievo introdotta dal Codice, anche quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose.
Da questo punto di vista, ben potrebbero inquadrarsi in tale categoria anche quelle opere di architettura contemporanea che presentino un riferimento diretto ed inequivocabile alla storia dell’arte, della cultura o che si riferiscano ad un determinato contesto storico, sociale, politico e culturale, rappresentando una testimonianza della identità e della storia delle istituzioni collettive.
Per ora sia sufficiente aver proposto una possibile soluzione al problema, in seguito si procederà ad ulteriori studi per verificare la validità della proposta.
Alessandro Ferretti

Redazione

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