Il nuovo codice dei contratti pubblici, la scheda del D.Lgs. n. 50 del 18 aprile 2016. Dal vecchio Codice con Regolamento al nuovo Codice di 217 articoli con linee di indirizzo generale ANAC

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E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 91 del 19 aprile 2016 – Suppl. Ordinario n. 10 il Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, con il quale il Legislatore italiano ha dato attuazione alle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

Il tanto atteso “Nuovo Codice dei contratti pubblici”, che conferma l’impianto del testo preliminare del 3 marzo scorso e la formulazione in base alla legge delega del 28 gennaio 2016, n. 11, approvata dalle Camere il 14 gennaio 2016, contiene recepimenti dei pareri del Consiglio di Stato, delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Unificata.

Al fine di poter meglio apprezzare gli obiettivi che il Legislatore interno si è prefissato di raggiungere con l’adozione della nuova disciplina codicistica, oltre a quelli evidenti di dare attuazione alla normativa europea, è opportuno rammentare, brevemente, la regolamentazione dei contratti pubblici fino a ieri vigente in Italia.

 

i) Il quadro normativo nazionale alla vigilia del Nuovo Codice.

In Italia i contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture sono stati finora regolati dal d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) e dal d.P.R. n. 207/2010 (regolamento di esecuzione e attuazione del codice), oltre a una serie di altri atti normativi, primari o secondari, per specifici settori (appalti della difesa, nei settori della sicurezza, relativi a beni culturali; codice del processo amministrativo quanto alla tutela giurisdizionale).

A sua volta, il Codice del 2006 ha rappresentato al tempo stesso un’operazione di recepimento di due direttive comunitarie del 2004 (nn. 17 e 18), relative, rispettivamente, ai settori ordinari (comprendenti anche limitate regole per le concessioni di opere pubbliche e per le concessioni di servizi) e ai settori speciali, nonché di riordino delle previgenti disposizioni sparse in una serie numerosa di atti normativi primari e secondari.

Il Codice del 2006 si è sostituito, come è noto, alla c.d. legge Merloni del 1994, plurimodificata nel corso degli anni, nata in un contesto politico connotato dalla nota vicenda “tangentopoli”, che aveva fatto ritenere necessario intervenire sugli appalti pubblici con norme di assoluto rigore, volte a limitare ogni spazio di discrezionalità delle stazioni appaltanti.

A sua volta il Codice del 2006 non ha recepito tutti gli strumenti di regolamentazione flessibile consentiti dalle direttive del 2004, nella logica delle peculiarità del contesto italiano. E del resto, ancor prima che alcuni istituti flessibili da esso previsti entrassero in vigore, gli stessi furono congelati ad opera di un decreto legge e, a seguire, del primo e del secondo decreto legislativo correttivi (a cavallo degli anni 2006-2007).

Il Codice del 2006, nonostante la clausola di “riserva di codice” in esso contenuta, è stato nell’arco di 10 anni sino ad oggi plurimodificato, non di rado con norme eccentriche contenute in altri atti normativi.

La stratificazione e frammentazione normativa, in una con il difetto di un congruo periodo di riflessione e decantazione normativa, ha comportato il sovrapporsi di regimi transitori, il determinarsi di incertezza applicativa, l’aumento del contenzioso e dei costi amministrativi per le imprese, soprattutto piccole e medie.

La giurisprudenza amministrativa e l’Autorità di vigilanza sono state chiamate a dirimere incertezze e contrasti applicativi; ed ancora, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, preposta all’esercizio della funzione nomofilattica in caso di contrasti giurisprudenziali, ha reso 48 decisioni in materia di appalti, computando solo quelle rese a partire dal 2011, dopo l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo.

I suddetti dati risultano, peraltro, evidenziati nel parere del Consiglio di Stato reso sullo schema di decreto legislativo recante “Codice degli Appalti Pubblici e dei contratti di concessione” in data 21 marzo 2016.

Alla vigilia del recepimento delle nuove direttive, perciò, il quadro normativo italiano risultava estremamente complesso; esso contava, solo sommando codice e regolamento generale, 630 articoli e 37 allegati.

Il complesso normativo costituito dal codice del 2006 e dal regolamento n. 207/2010 non è tuttavia nemmeno esaustivo dell’intera  materia, dovendosi tener conto anche:

a) di normative statali settoriali che hanno danno luogo a “microsistemi”: p.es. appalti nel settore della difesa e sicurezza, d.lgs. n. 208 del 2011; appalti dei soggetti preposti ai servizi di informazione e sicurezza; regolamenti settoriali quali quelli per gli appalti della difesa e dei beni culturali;

b) di molteplici norme statali sparse;

c) delle legislazioni regionali in materia, avuto riguardo alla competenza esclusiva per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, e a quella concorrente delle altre Regioni (in limitati ambiti materiali del codice dei contratti).

Sono stati pertanto contemporaneamente vigenti 7 corpi legislativi organici, tanti quanti sono i Regolatori italiani aventi competenza legislativa esclusiva in materia (Stato, Regioni a statuto speciale, Province autonome).

A tanto dovevano sommarsi gli atti legislativi di 15 Regioni ordinarie che in vario modo toccavano la materia, anche non di rado sconfinando in ambiti riservati allo Stato, come comprova il nutrito contenzioso davanti alla Corte costituzionale.

 

ii) In breve, sulle tre nuove direttive comunitarie 23, 24 e 25 del 2014 recepite nel Nuovo Codice.

Dopo aver sintetizzato il contesto normativo del diritto interno, è opportuno esaminare gli obiettivi ambiziosi delle tre nuove direttive comunitarie (23, 24 e 25 del 2014) emanate nell’ambito della c.d. strategia Europea 2010.

E precisamente, gli obiettivi possono riassumersi come di seguito:

–          rendere più efficiente l’uso dei fondi pubblici, che, come noto, vengono ordinariamente allocati attraverso contratti pubblici; per tale obiettivo occorrono procedure improntate a canoni di semplificazione, flessibilità, correttezza;

–          garantire la dimensione europea del mercato dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture, assicurando la tutela della concorrenza, vietando pratiche discriminatorie, tutelando anche le piccole e medie imprese;

–          fare un uso strategico degli appalti pubblici, come strumento di politica economica e sociale, promuovendo l’innovazione tecnologica, la crescita sostenibile, la tutela ambientale, obiettivi sociali,quali la tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dei contratti pubblici e l’impiego nel lavoro dei soggetti svantaggiati;

–          promuovere la lotta alla corruzione attraverso procedure semplici e trasparenti, rimuovendo le incertezze normative.

Tali obiettivi vengono declinati dalle tre nuove direttive, oltre che attraverso gli strumenti e gli istituti già contenuti nelle direttive del 2004, attraverso alcune significative novità:

–          una disciplina sistematica delle concessioni di beni e servizi, affidata a una specifica e autonoma direttiva;

–          strumenti di aggiudicazione innovativi e flessibili, quali il partenariato per l’innovazione e un più ampio impiego del dialogo competitivo;

–          strumenti elettronici di negoziazione e aggiudicazione;

–          utilizzo generalizzato di forme di comunicazione elettronica;

–          centralizzazione della committenza;

–          preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

–          suddivisione in lotti;

–          appalti relativi ai servizi sociali;

–          criteri di sostenibilità ambientale nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti;

–          rafforzata tutela dei subappaltatori;

–          introduzione del documento unico europeo di gara;

–          disciplina dei conflitti di interesse;

–          risoluzione dell’appalto, anche a distanza notevole di tempo, per stigmatizzare gravi violazioni commesse in sede di aggiudicazione.

 

iii) La legge delega n. 11/2016 per il recepimento delle direttive e per il riordino della materia.

Come messo in evidenza nel parere reso dal Consiglio di Stato – Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo scorso, la legge delega n. 11 del 2016, persegue la codificazione delle disposizioni di recepimento delle direttive e di quelle di riordino complessivo della materia, e gli obiettivi di semplificazione e accelerazione delle procedure salvaguardando al contempo valori fondamentali quali la trasparenza, la prevenzione della corruzione e della infiltrazione della criminalità organizzata, la tutela ambientale e sociale.

La delega introduce, rispetto alle direttive, ulteriori strumenti e istituti inediti, che, se ben declinati, potranno portare effettiva trasparenza e efficienza in un mercato non immune da vischiosità burocratica e illegalità.

Si tratta di una delega “lunga” e puntuale, articolata in 59 distinte lettere, alcune sub-articolate in numeri, per un totale di 71 principi di delega. Ben diversa dalla sintetica delega che fu alla base del codice n. 163/2006, articolata in quattro principi (art. 25, l. n. 62/2005).

La delega, oltre a contenere criteri che ricalcano gli obiettivi delle direttive e i nuovi istituti sopra elencati, sul piano formale, essa ha richiesto l’adozione di ”un unico testo normativo”, da denominarsi “codice” (art. 1, comma 1), e impone che si tratti di un codice snello, dovendosi assicurare una “ricognizione e riordino del quadro normativo” e “una drastica riduzione e razionalizzazione del complesso delle disposizioni”, per un “più elevato livello di certezza del diritto e di semplificazione dei procedimenti” (art. 1, comma 1, lett. d), legge delega).

La legge delega, sul piano sostanziale, ha demandato al Governo di recepire le direttive nel rispetto del divieto del gold plating (vale a dire il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” (art. 1, comma 1, lett. a), legge delega), e di recepire gli strumenti di regolamentazione flessibile introdotti dalle direttive (art. 1, comma 1, lett. f) legge delega).

I principi direttivi della delega in tema di raccolta in un unico testo normativo e di divieto di oneri non essenziali, rispondono all’obiettivo della qualità della regolazione intesa in senso formale e sostanziale.

In tale prospettiva di semplificazione ed efficienza, la delega impone anche maggiore flessibilità per i contratti sotto la soglia comunitaria, chiedendo di coniugare “massima semplificazione e rapidità dei procedimenti”, con la salvaguardia dei “princìpi di trasparenza e imparzialità della gara” (art. 1, comma 1, lett. g)e lett.ii)della legge delega) e impone l’implementazione di istituti flessibili e innovativi, segnatamente il partenariato pubblico privato, non solo con una “razionalizzazione” delle sue declinazioni già note quali la finanza di progetto e la locazione finanziaria, ma anche mediante una “estensione” ad altre “forme” (art. 1, comma 1, lett. ss), legge delega).

Tuttavia, la legge delega opera essa stessa alcune deroghe al divieto di gold plating, introducendo alcuni principi direttivi improntati a maggior rigore.

La legge delega, in sintesi, coglie il recepimento delle tre direttive come occasione e sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia, in una nuova filosofia che coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali.

Si tratta di una sfida storica affidata a un delicato equilibrio in cui è assolutamente indispensabile tenere insieme “il combinato disposto” degli istituti e strumenti previsti, di cui ciascuno non può essere disgiunto da altri, pena il fallimento degli obiettivi perseguiti.

Così, in sintesi:

–          un codice “snello” che lasci ampio spazio a atti attuativi, necessita che gli atti attuativi siano chiari, conoscibili, tempestivi, coordinati tra loro;

–          la maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti postula che si operi con immediatezza la riduzione del loro numero, la centralizzazione della committenza, la loro qualificazione rigorosa, e che strumenti di controllo e monitoraggio siano effettivi e efficaci;

–          il combinato disposto della suddivisione in lotti con la maggior flessibilità delle regole per gli appalti sotto soglia, aumentando considerevolmente “la cifra economica” degli affidamenti sotto soglia, postula un assoluto rigore dei controlli e trasparenza delle procedure, e non consente arretramenti sul piano della tutela giurisdizionale.

Il termine assegnato dalla delega per il recepimento delle tre direttive coincide con il termine che le direttive assegnano ai legislatori nazionali per il loro recepimento: 18 aprile 2016.

Secondo la delega, il Governo avrebbe potuto effettuare in due tempi le operazioni di recepimento delle direttive e di riordino complessivo, rispettivamente entro il 18 aprile e entro il 31 luglio 2016; la delega ha lasciato tuttavia al Governo l’opzione di operare recepimento e riordino contestualmente, con il termine unico, in tal caso, del 18 aprile 2016 (art. 1, primo periodo, legge delega). Meritoriamente, in una prospettiva di maggior chiarezza e semplificazione, il Governo ha optato per la seconda soluzione.

 

iv) Il “Nuovo Codice dei contratti pubblici”

Il progetto di Codice costituisce, sulla base di quanto esposto soprarecepimento delle direttive ed al contempo riordino dell’intera materia.

Il Codice contiene recepimenti dei pareri del Consiglio di Stato, delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Unificata.

 Trattandosi di norma ordinamentale, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Prevede una disciplina transitoria, nel passaggio dal vecchio al nuovo Codice, per dare certezza di riferimento alle stazioni appaltanti e ai soggetti coinvolti.

Il Governo ha recepito quindi con il D.lgs. 50 del 18 aprile 2016, passando dagli oltre 2.000 articoli del vecchio codice agli attuali poco superiori ai 200, le direttive appalti pubblici e concessioni e riordinato la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e contratti di concessione, esercitando così la delega e recependo le direttive europee nei tempi previsti al passo con gli altri paesi europei.

Una sola legge, declinata da atti di indirizzo e linee guida ANAC e con Cabina di regìa

Il nuovo “Codice dei contratti pubblici” contiene criteri di semplificazione, snellimento, riduzione delle norme in materia, rispetto del divieto di gold plating.

È una disciplina autoapplicativa.

Non prevede infatti, come in passato, un regolamento di esecuzione e di attuazione, ma l’emanazione di atti di indirizzo e di linee guida di carattere generale, da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti su proposta dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

Le linee guida, quale strumento di soft law, contribuiranno ad assicurare la trasparenza, l’omogeneità e la speditezza delle procedure e fornire criteri unitari.

Avranno valore di atto di indirizzo generale e consentiranno un aggiornamento costante e coerente con i mutamenti del sistema. Dove sono stati previsti decreti amministrativi attuativi, comunque non di natura regolamentare, è stata individuata, nel regime transitorio, la valenza temporanea di alcune norme del regolamento, relative a contabilità, verifiche e collaudi, per consentire l’immediata applicabilità della nuova normativa.

Viene poi regolata la Governance, con il rafforzamento dell’ANAC nel sostegno alla legalità, il ruolo del Consiglio Superiore del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e l’istituzione della Cabina di regìa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale organo di coordinamento e monitoraggio.

Il Codice è articolato per processi, in sequenza dal momento in cui si decide una procedura di affidamento a quello finale dell’esecuzione.

Declina la pianificazione, programmazione e progettazione, fasi fondamentali per la stazione appaltante, le modalità di affidamento, individuando i principi comuni a tutti i tipi di affidamento: trasparenza, economicità, efficacia, correttezza, tempestività, libera concorrenza, non discriminazione, applicabilità dei contratti collettivi al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto dei contratti, applicabilità della legge 241/1990, il RUP, le fasi delle procedure, i controlli sugli atti di affidamento e i criteri di sostenibilità energetica e ambientale.

Sono, quindi, disciplinate le regole procedurali per ogni tipologia contrattuale: appalto, concessioni, altre tipologie quali quelle in house, contraente generale, strumenti di partenariato pubblico-privato, ricomprendendo in quest’ultimo il project financing, strumenti di sussidiarietà orizzontale, il baratto amministrativo. Vengono disciplinati i passaggi: verifica della soglia comunitaria e requisiti di qualificazione della stazione appaltante, modalità di affidamento e scelta del contraente, bandi, avvisi, selezione delle offerte, aggiudicazione, esecuzione, della verifica e collaudo.

Il Codice sviluppa il superamento della Legge Obiettivo attraverso strumenti di programmazione delle infrastrutture, insediamenti prioritari e l’espresso richiamo all’applicazione delle procedure ordinarie. E’ stata introdotta una forte limitazione forte all’appalto integrato, ammesso solo in casi eccezionali quali la finanza di progetto o il contraente generale.

Numerose le disposizioni a sostegno della legalità, partendo dal rafforzamento e potenziamento del ruolo dell’ANAC nel quadro delle sue funzioni di vigilanza, di promozione e sostegno delle migliori pratiche e di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti.

 L’ANAC è chiamato ad adottare atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, fornendo costante supporto nell’interpretazione e nell’applicazione del Codice.

Viene favorita l’indipendenza delle commissioni giudicatrici, con la scelta dei componenti delle commissioni da un albo detenuto dall’ANAC. È prevista una specifica disciplina per i contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza, per i quali viene potenziata l’attività di controllo della Corte dei conti.

Sul contenzioso, introduce un nuovo rito abbreviato in camera di consiglio sull’impugnativa dei motivi di esclusione, nonché disciplina i rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale.

Infine, si osserva come il Nuovo Codice dei contratti pubblici costituisce un codice settoriale nell’ambito del diritto amministrativo.

Si tratta del primo codice di tale natura varato nella presente legislatura.

Va guardata con assoluto favore la ripresa della “stagione dei codici” di diritto amministrativo, strumento essenziale per imprese e cittadini, per assicurare completezza e chiarezza delle regole.

Quanto più esso riuscirà a essere chiaro e completo, tanto più avrà raggiunto gli obiettivi di semplificazione del quadro regolatorio, di certezza delle regole, di prevenzione e riduzione del contenzioso.

Certo è che i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture sono una voce particolarmente significativa della spesa pubblica, con una duplice implicazione:

–          costituiscono una leva importante della politica economica e sociale di un Paese, e questo esige una regolamentazione flessibile che lasci spazi di discrezionalità alle stazioni appaltanti e che consenta il pronto recepimento di strumenti negoziali innovativi;

–          sono particolarmente sensibili a pratiche corruttive e fenomeni di inquinamento del mercato da parte della criminalità organizzata, e questo ha comportato in passato, e continua a comportare, l’esigenza di regole di prevenzione ex antee di strumenti di controllo ex post.

Nell’approccio eurounitario, i contratti pubblici sono regolati nell’ottica di una adeguata tutela della concorrenza e del mercato, al fine di abbattere le barriere nazionali, e nella prospettiva dell’uso dei contratti pubblici al fine di una corretta allocazione delle risorse comunitarie e di una crescita sostenibile, mediante semplificazione e flessibilità.

Nella prospettiva nazionale, avuto riguardo alle specificità del contesto italiano, tali obiettivi vengono coniugati con quelli della prevenzione delle pratiche corruttive e delle infiltrazioni della criminalità organizzata.

E tale prospettiva sembra essere stata rispettata nella prescrizione delle nuove norme del Codice varato, tuttavia solo il tempo potrà darcene conferma.

Interlandi Lucia

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