Il glossario della genitorialità nel metadiritto

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Si parla tanto di genitorialità ma essa contiene ontologicamente in sé tutte le risposte ai quesiti dell’agire quotidiano.

GESTAZIONE e GESTIONE. I genitori amministrano i beni dei figli (art. 320 comma 1 cod. civ.) ma non la loro vita. Gestazione (riferita non solo al periodo della gravidanza) significa letteralmente “portare continuamente e assiduamente” e gestione “portare su di sé o in sé”; il concetto di portare è lo stesso contenuto negli obblighi previsti dall’art. 147 cod. civ.: “mantenere”, portare per mano, “istruire”, portare su, “educare”, portare fuori. I genitori hanno l’obbligo di fornire tutti gli strumenti ai figli per portarli verso la loro vita.

EMPATIA genitoriale. Rappresenta la profondità del rapporto genitore – figlio; alcuni genitori hanno una smisurata dedizione nei confronti dei figli ma non la giusta attenzione, lo sguardo interiore. I genitori non devono identificarsi né specchiarsi nei figli ma immedesimarsi. “Se non capite vostro figlio, trasformatevi in vostro figlio: provate a sentire, vedere e percepire il mondo come lui. Vostro figlio è più piccolo di voi, simbolicamente voi state in alto e lui sta in basso. Ciò che dovete fare è mettervi alla sua altezza, mettervi nei suoi panni, e chiedervi: Se io fossi mio figlio, che tipo di padre o di madre vorrei? Lo vorrei come sono io?” (Eric de la Parra Paz, esperto di Programmazione Neuro Linguistica). Quando sono i genitori a chiedere empatia dai figli si hanno effetti distorsivi. Il celebre studio della psicologa polacca Alice Miller1 rivela il costo pesante che, a livello affettivo, paga il bambino “dotato”, cioè sensibile a cogliere il bisogno del genitore reprimendo il proprio; solitamente si tratta di una madre profondamente insicura sul piano emotivo, la quale per il proprio equilibrio affettivo dipende da un certo comportamento o modo di essere del bambino. S’inserisce una perversa dinamica relazionale, in cui i ruoli si sono scambiati: a questo bisogno della madre o di entrambi i genitori corrisponde una sorprendente capacità del bambino di percepirlo e di darvi risposta intuitivamente. In tal modo il bambino si assicura l’amore dei genitori; egli avverte che di lui si ha bisogno e questo legittima la sua vita ad esistere. Quest’affettività riemerge nell’età adulta al livello in cui era stata congelata, con la dinamica istintiva di aiuto ad altri, anche nella scelta della professione, ma in forma disturbata, tesa all’appagamento di vuoti affettivi rimasti irrisolti nel corso dell’infanzia. Spesso tale situazione è all’origine dell’attrazione verso professioni legate all’ascolto e all’aiuto come la psicoterapia. I genitori devono essere consapevoli che l’empatia genitoriale è determinante per lo sviluppo del sé del bambino e per educarlo all’empatia.

NO. I genitori devono dire e saper dire no. Il no comporta motivazione, spiegazione, quindi tempo e dialogo. In tal modo i genitori educano ai no, agli ostacoli della vita (la psicoterapeuta infantile inglese Asha Phillips2). A proposito di tempo dedicato ai figli, i genitori italiani sono risultati ultimi tra quelli europei in un’indagine svolta dal Centro Studi dell’Associazione Pepita Onlus nel 2011 e conseguentemente i bambini e ragazzi italiani sono risultati, da indagini condotte da varie associazioni, i più maleducati tra quelli europei soprattutto quando vanno all’estero o in albergo o in pubblico.

INSIEME. Il fanciullo ha diritto a mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori (art. 9 par. 3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Non è necessario parlare di bigenitorialità o cogenitorialità perché si è genitori in due sin dal concepimento. E questo è un diritto del bambino non dei genitori. Insieme non significa solo unità dei genitori in senso fisico, ma anche coerenza educativa. Insieme, etimologicamente significa “simile”, per cui i genitori non devono avere lo stile educativo “uguale” ma piuttosto educare nelle differenze e alle differenze. Occorre che il padre sia padre e la madre sia madre. Questo va tenuto presente da coloro che sostengono i diritti delle famiglie omogenitoriali o il diritto alla maternità o paternità ad ogni costo anche senza l’altro partner o in età avanzata. Essere genitori è anche crescere insieme ai figli perché la genitorialità non è uno status ma una carriera educativa (la pedagogista Laura Fornasier).

TEDOFORI. I genitori devono trasmettere la fiaccola della vita ma poi in gioco devono scendere i figli. “I figli sono come gli aquiloni; insegnerai a volare ma non voleranno il tuo volo […]. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto” (Madre Teresa di Calcutta). È importante la dimensione ludica perché – come è stato detto a proposito del libro “È un gioco da ragazzi. La Costituzione scende in campo con parole semplici” – “è un gioco da ragazzi sì, ma che vale a far crescere uomini giusti e responsabili, quale che sia il rispettivo ambito professionale ed esistenziale”. Nelle Olimpiadi di Londra dell’estate 2012 sono stati tedofori alcuni genitori degli atleti perché i genitori s’impegnano spesso e in maniera straordinaria ad appoggiare i figli nella carriera; senza il supporto dei genitori alcuni atleti non riuscirebbero a raggiungere le eccellenze. Così è o dovrebbe essere nella vita di tutti i giorni.

ONORE. I genitori devono essere onorati secondo il Decalogo e secondo il vecchio testo dell’art. 315 cod. civ. prima della riforma del diritto di famiglia del 1975. Oggi si richiede l’etica dell’onore (che ha la stessa origine di onestà), in altre parole avere onore, il senso della propria dignità e rispettabilità sul piano sociale, dare onore e educare all’onore. L’onore è un atto di riconoscimento, un atto reciproco. “Urge dunque un’attività educativa; è necessario mostrare, con i fatti, che ciascuno merita di essere onorato e rispettato” (il filosofo Adriano Fabris). Più che in passato ai genitori si richiede di essere esempio per dare esempio.

RE-, come il prefisso ri-, che significa “movimento all’indietro, ritorno ad una fase anteriore”, è presente in molte parole che danno contenuto alla genitorialità, dalla responsabilità al rispetto. Perché la genitorialità è innanzitutto relazione che si sostanzia giuridicamente nella potestà dei genitori nel nostro ordinamento, visione più limitata rispetto a quella di altri ordinamenti. È la relazione per eccellenza fonte, in senso positivo e negativo, delle altre relazioni e dell’educazione relazionale.

INFANZIA. Infante, come bambino e fanciullo, significa etimologicamente “colui che non ha ancora l’uso della parola”. Ai genitori tocca, quindi, insegnare a parlare, gesto divenuto non scontato. Proprio perché in famiglia oggi si parla poco con i bambini, piazzati invece davanti alla televisione, o perché esistono situazioni conflittuali, sono in aumento i disturbi del linguaggio, i casi di “parlatori tardivi” o di “mutismo elettivo”. O viceversa si assiste a bambini che parlano già da piccoli adulti o in maniera scurrile come gli adulti. Inoltre se il bambino è colui che è “balbettante, parla inarticolatamente” ai genitori tocca, in primis, dare voce alle sue esigenze e non egoisticamente alle proprie, come recitato nell’art. 3 della Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro del 1967: “[…] non essere subordinato alle esigenze di vita dei genitori”. Esigenze significa richiedere, tirare fuori, “portare la voce dei bambini” (come si legge nel documento “Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance” del 2007), quel “tener conto” di cui all’art. 147 cod. civ., “promuovere i talenti” che si legge nell’art. 29 par. 1 lettera a Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. “Un bambino può insegnare sempre tre cose ad un adulto: a essere contento senza motivo, a essere sempre occupato con qualche cosa, e a pretendere con ogni sua forza quello che desidera” (Paulo Coelho). “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto” (Giacomo Leopardi nello Zibaldone). I genitori devono sapere che “il bambino possiede in lui delle importanti risorse” (dalla “Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance” del 2007). Il dar voce a chi non sa ancora parlare, il consentire di esplorare ed esprimere le risorse interiori significa anche capacità di ascolto da parte dei genitori, quell’ascolto che è stato sancito come diritto del fanciullo, ma solo dal punto di vista tecnico, nell’art. 12 par. 2 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989. Un altro aspetto di cui i genitori devono tener conto è anche la differenza tra l’infanzia e l’adolescenza. Tutto ciò tenendo a mente che “[…] più difficile e faticoso è, una volta seduti a terra con loro, scoprire che i bambini volano alto e che, se vogliamo entrare nel loro mondo, dobbiamo scrollarci di dosso quella zavorra che gli anni e la vita hanno accumulato sulle nostre spalle” (Fulvio Scaparro). I genitori devono fare in modo che quella dei figli sia “un’infanzia felice” (espressione usata nel diritto internazionale ma non nella legislazione nazionale), che non è quella sterile dei bambini lasciati soli davanti alla televisione o al computer o sbattuti da una parte all’altra, quali ludoteche, palestre o altre attività, ma è quella “feconda” (dal significato etimologico di “felice”) per natura, quella cui si consente di esprimersi (art. 13 Convenzione Internazionale del 1989), di partecipare liberamente e pienamente alla vita culturale e artistica (art. 31 Convenzione Internazionale del 1989).

AU- è il prefisso di molte parole che caratterizzano la genitorialità come, per esempio, l’autonomia dei genitori dall’esterno e l’autonomia dei figli stessi quale obiettivo. Oggi si parla di genitori efficaci, competenti, positivi; è certo che i genitori non possono essere perfetti né che i bambini hanno bisogno di genitori perfetti. Quello che, però, si richiede di più ai genitori è che siano autentici. “Dei genitori autentici usano quindi l’autorità in maniera appropriata e in un contesto di amore, cura e accettazione” (lo psicologo infantile David Elkind3). I figli, soprattutto in età adolescenziale, esigono autenticità, valori: «Proprio perché il futuro è sinonimo di crescita della parte più autentica di se stessi e promette la prosecuzione verso l’alto del processo di conoscenza delle proprie verità, vederlo appannarsi e sparire nelle nebbie di un contesto sociale, economico e culturale che si schiera contro la sua realizzazione, colpisce al cuore il sistema motivazionale e crea un lutto doloroso: assieme al futuro muore la speranza, l’autenticità, il piacere di vivere per crescere e diventare se stessi» (lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet4).

LIBERTÀ. I genitori devono educare alla e nella libertà, perché educare, come scrive il filosofo francese Pierre Errande, “significa desiderare la piena libertà di un essere umano, cioè renderlo capace di amare la vita e di servirne le dinamiche, per sé e per gli altri”5. “L’atteggiamento dei genitori dovrebbe consistere essenzialmente nel dare al nuovo venuto il più completo orientamento spirituale, psicologico e fisico, senza mai dimenticare che quel piccolo essere è un’anima individuale venuta sulla terra per acquisire una sua esperienza personale” (il medico inglese Edward Bach6). Educare alla e nella libertà ponendo dei limiti ma senza limitare. Perché “educare è libertà, tutto il resto è addestrare, ammaestrare e indottrinare” (lo psichiatra Paolo Crepet). Nella libertà di pensiero, di coscienza e di religione dei fanciulli, i genitori hanno il diritto e dovere di guida nell’esercizio del diritto sopra menzionato in modo consono alle sue capacità evolutive (art. 14 Convenzione Internazionale del 1989).

IDONEITÀ. È accennata come “idoneità a curare l’interesse del figlio” nell’art. 316 comma 5 cod. civ. ed è definita “idoneità affettiva” a proposito della genitorialità adottiva nell’art. 6 comma 2 della legge sull’adozione (L. 4 maggio 1983 n. 184, modificata dalla L. 28 marzo 2001 n. 149). “Idoneo” significa etimologicamente “proprio”, pertanto i genitori devono trovare quella giusta misura di fare e dare ogni giorno quello che è loro proprio ed è proprio per ogni figlio.

TELEOLOGIA, ovvero progettualità genitoriale. I figli sono un progetto di vita, ma non si devono né si possono progettare. “I bambini sono la cosa più bella da programmare: per farli dormire di più, per non fargli avere incubi, per togliergli le paure o per mantenerli sani. Il requisito è che la programmazione deve essere positiva, incoraggiante e concreta. Un operaio fece diventare i suoi tre figli dei vincitori, e ora sono tutti dirigenti di alto livello. Quando venne intervistato alla televisione, disse: «Li ho sempre trattati come dei campioni, e tutte le notti gli dicevo che erano nati per vincere. È il minimo che un padre può fare per i suoi figli: trattarli giorno e notte come campioni»” (Eric de la Parra Paz, esperto di Programmazione Neuro Linguistica). Programmazione positiva, incoraggiante e concreta, oltre al significato tecnico della Programmazione Neuro Linguistica, significa che i genitori devono “programmare”, letteralmente “scrivere prima”, se stessi per i figli, in altre parole devono avere una predisposizione alla genitorialità, una proiezione verso il futuro. “È una scelta che ci spoglia, ci mette di fronte a ciò in cui crediamo veramente. Crediamo oppure no nella vita? Crediamo nel futuro? Abbiamo una visione di questo futuro da offrire ai nostri figli? Con grande consapevolezza si dovrebbe desiderare di avere un figlio. Ma senza paura. Del resto si è in due: e insieme la paura fa meno paura” (la scrittrice Mariapia Veladiano). Il suffisso -tore indica azioni ripetute o mestieri e quello dei genitori è il primo e più importante mestiere: “Nell’assolvimento del loro compito essi debbono venire innanzitutto guidati dall’interesse superiore del fanciullo” (art. 18 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

AMORE. «Un primo presupposto educativo è che i figli, più che di due genitori che “li” amano, hanno bisogno di due genitori che “si” amano. L’amore reciproco tra i genitori è il terreno fertile su cui far crescere i figli» (il giornalista Aurelio Molè). L’amore dei genitori verso i figli non deve essere né “incestuoso” né “castrante”. In particolare, la madre deve “misurare” il proprio amore perché l’amore di una madre per il proprio figlio maschio è un’arma a doppio taglio che – se mal gestita – può inibire la formazione della personalità (l’esperta francese Véronique Moraldi7). L’amore genitoriale non deve essere né amicizia né complicità; i genitori sono tali e non devono fare gli amici o rendersi complici delle avventure o ragazzate dei figli, devono educare all’amicizia (dall’art. 29 lettera d Convenzione Internazionale del 1989). Il figlio è frutto d’amore e ha diritto all’amore (dal Preambolo della Convenzione Internazionale del 1989) e questo i genitori lo devono tenere a mente in caso di separazione o divorzio, senza arrivare a casi estremi come la PAS. I genitori non devono causare dolore: “Chi provoca il pianto dei bambini non sarà perdonato. Ogni bimbo che nasce è una morte nuova sotto il cielo, è una strada possibile che il male può percorrere. […] Ma il pianto di un bambino è un assoluto” (la scrittrice Mariapia Veladiano8). I genitori devono, però, educare al dolore (o, meglio, alla sofferenza che è un modo di offrire se stessi e quindi una forma d’intima solidarietà) che è una componente dell’amore, di ogni amore, della vita. Anche perché “non esiste educazione che non provochi ferite” (il teologo tedesco Anselm Grun). In tal modo “si prepara appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale del 1989), “si prepara il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita” (dall’art. 29 lettera d Convenzione Internazionale del 1989).

 

I genitori, e in generale gli educatori che partecipano della genitorialità che non è generare figli ma generare vita, devono ricordare: “Dite: è faticoso frequentare i bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli” (il pediatra e poeta polacco Janus Korczack).

“I vostri figli non vi ricorderanno per le cose materiali che avete loro fornito, ma per la sensazione del vostro affetto” (lo statunitense Richard L. Evans).

 

1 A. Miller, “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”, Torino, Boringieri, 1999, pp. 16 e ss.

2 A. Phillips, “I no che aiutano a crescere”, Feltrinelli, 2003.

3 D. Elkind, “Legami che stressano”, Armando Editore, 1999, p. 198.

4 G. Pietropolli Charmet, “Cosa farò da grande? Il futuro come lo vedono i nostri figli”, Editori Laterza, 2012.

5 P. Durrande, “L’arte di educare”, Ed. Qiqajon, marzo 2012.

6 E. Bach, “Guarire se stessi” (nel capitolo V “L’educazione, una premessa verso la salute e la libertà”), 1931.

7 V. Moraldi, “Figlio di sua madre. Il legame speciale tra madre e figlio maschio e le sue distorsioni”, Urra Edizioni, ottobre 2012.

8 M. Veladiano, “Il tempo è un Dio breve”, Einaudi, 2012.

Dott.ssa Marzario Margherita

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