Il disegno di legge sull’autonomia differenziata

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Dopo un ampio dibattito il governo ha predisposto la bozza definitiva della riforma sull’autonomia differenziata, che, benché sia espressamente prevista dagli articoli 116 e 117 della Costituzione, ha provocato forti tensioni, soprattutto da parte dei governatori e dei Sindaci di varie Regioni, in particolare per quanto riguarda la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che potrebbero determinare delle sperequazioni tra le regioni del nord e quelle del sud Italia e presentare profili di illegittimità costituzionali.

Indice

1. Il quadro costituzionale

Un’analisi del disegno di legge in questione non può prescindere dall’esame del nostro quadro costituzionale. In particolare l’art.117, come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001, dispone che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e poi indica le materie in cui lo Stato ha una legislazione esclusiva e quelle in cui ha una legislazione concorrente con le Regioni.[1]
Poichè anche le Regioni sono titolari della potestà legislativa (c.d. autonomia normativa) la disposizione si preoccupa di ripartire le competenze tra di esse e lo Stato in base alle materie che possono esserne oggetto.
La riforma del 2001, che tra l’altro è stata proposta da un governo di centro-sinistra, ha riguardato varie disposizioni del titolo V e le modifiche apportate sono state incisive. Un cambiamento sostanziale si è avuto nella stessa formulazione della disposizione.
In passato, infatti, il criterio di riparto delle competenze legislative era di tipo separatista, nel senso che era prevista un’elencazione di quelle regionali e la competenza residuale veniva attribuita allo Stato. Prima della riforma, infatti, non erano indicate quali fossero le materie in cui le Regioni potevano legiferare, comunque nel rispetto sia dei principi di cui alla legge nazionale sia dell’interesse statale e delle altre Regioni. Attualmente il criterio di riparto è stato ribaltato e sono indicate tassativamente le materie di competenza esclusiva statale e concorrente, mentre quelle che non vi rientrino spettano alla potestà regionale.[2]
Pertanto, con la riforma del 2001, il legislatore ha accomunato sotto i medesimi limiti tanto la potestà legislativa statale che quella regionale.[3] Si deve, quindi, ritenere che la disposizione in esame vada a modificare la stessa potestà legislativa in relazione al suo possibile contenuto.[4]
La circostanza che alcune materie siano di competenza esclusiva statale si deve al fatto che esse toccano valori che coinvolgono l’intera comunità. Esse, per la loro importanza, vengono consegnate dallo Stato centrale alla cura di soggetti indipendenti.
Invece, le materie di legislazione concorrente elencate dall’art. 117 Costituzione possono essere oggetto di apposita disciplina, come previsto dal disegno di legge di cui trattasi, ma anche essere desunte dalle leggi già esistenti, secondo quanto ha stabilito la legge 5 giugno 2003, n. 131. Con tale normativa lo stesso Parlamento ha delegato il Governo ad individuare i principi già vigenti, anche allo scopo di evitare un vuoto legislativo nell’attesa di una loro concreta definizione da parte del legislatore. Peraltro, l’elenco delle materie concorrenti non è stato esente da critiche perché include ambiti che secondo alcuni dovevano essere riservati allo Stato al fine di garantire una regolamentazione uniforme. La stessa Corte Costituzionale ha perseguito questo scopo sia consentendo allo Stato di richiamare a sé funzioni legislative in applicazione del principio di sussidiarietà, sia stabilendo che i principi di base potevano essere più ampi del normale.
Inoltre, la norma ripartisce la potestà regolamentare tra i vari livelli di governo. Infatti, ai sensi del comma 6, la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva. In particolare, le Regioni sono titolari nelle materie di loro competenza e possono divenirne tali in conseguenza di delega statale. Peraltro, si deve considerare la possibilità che anche nelle materie esclusive regionali la potestà in esame possa essere statale; ciò accade in caso di materie trasversali. In ordine all’organo locale competente ad esercitare la funzione la Costituzione ha rimesso la scelta alla determinazione dei singoli Statuti.[5] Pertanto, alle Regioni spetta la potestà regolamentare nelle materie di legislazione concorrente (comma3), nelle materie di legislazione residuale (comma 4) e nelle materie di competenza esclusiva statale, per le quali lo Stato abbia conferito la delega ad una o più Regioni.
Anche la materia dell’istruzione, oggetto di un acceso dibattito, in linea di principio è di competenza statale. Però, si deve ritenere anche che si tratta di materia c.d. trasversale perché idonea ad incidere su ambiti di competenza concorrente o residuale regionale. Infatti, lo scopo cui sottintende questo tipo di materia è consentire che su tutto il territorio dello Stato, a prescindere dalla divisione in Regioni, vengano garantiti standards minimi di alcuni servizi. La naturale conseguenza è anche quella di restringere i poteri di cui le Regioni sono dotate negli ambiti che vengono interessati, circostanza che ha spinto la Corte Costituzionale a sottolineare come lo Stato stesso debba agire con proporzionalità ed adeguatezza.
La norma precisa altresì che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Viene, anche, ripartita la potestà regolamentare tra i vari livelli di governo. In particolare, le Regioni ne sono titolari nelle materie di loro competenza e possono divenirne tali su delega statale. Peraltro, si deve considerare la possibilità che anche nelle materie esclusive regionali la potestà in esame possa essere statale e ciò accade in caso di materie trasversali. In ordine all’organo locale competente ad esercitare la funzione la Costituzione ha rimesso la scelta alla determinazione dei singoli Statuti.[6]
Infine, il legislatore della riforma ha inteso ribadire come nonostante l’autonomia di cui godono le Regioni nelle materie di propria competenza o concorrenti deve essere garantito il rispetto dei principi generali, la cui formulazione ricalca quelle degli articoli 3 e 51 della Costituzione.
In conclusione, la potestà legislativa regionale è soggetta alle seguenti limitazioni:

  • il limite costituzionale, in quanto le Regioni sono tenute al rispetto della Costituzione, sia quando i loro atti normativi siano espressione della potestà legislativa concorrente, sia di quella esclusiva;
  • i limiti derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea ed agli obblighi internazionali, che impongono alle Regioni di non introdurre norme che mettano lo Stato in una situazione di infrazione nei confronti degli obblighi di cui sopra;
  • il limite dei principi fondamentali, riferibile alla legislazione concorrente;
  • la riserva di legge, secondo la quale quando la Costituzione rinvia la disciplina di una determinata materia alla legge, ci si riferisce solo alla legge dello Stato (ad esempio, art. 25 Costituzione per la materia penale);
  • il limite delle materie, elencate nella disposizione di cui all’art. 117 Costituzione;
  • il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e dei principi generali dell’ordinamento.

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2. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata

In data 2 febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario (articolo 116, terzo comma, Costituzione). Vengono definiti anche i “principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” e le “relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione”.[7]
In particolare, il disegno di legge deve definire la cornice per le intese fra il governo e le singole Regioni con cui trasferire nuove funzioni alle stesse Regioni. In discussione c’è l’elenco delle 23 materie che la citata riforma costituzionale del 2001 ha assegnato alla competenza concorrente fra Stato e Regioni: si va dall’istruzione ai beni culturali, dalle professioni alle infrastrutture.[8]
Per quanto concerne il procedimento di approvazione delle “intese”, viene statuito che la richiesta deve essere deliberata dalla regione interessata e poi trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie.
Quest’ultimo, acquisita la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze entro i successivi 30 giorni, inizia il negoziato con la Regione interessata. Lo schema d’intesa preliminare tra Stato e regione, unitamente alla relazione tecnica, è approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso alla Conferenza unificata per un parere da rendere entro 30 giorni. Decorso tale termine, lo schema viene comunque trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono mediante atti di indirizzo entro 60 giorni. Il Presidente del Consiglio o il Ministro predispongono lo schema di intesa definitivo, ove necessario al termine di un ulteriore negoziato.
Lo schema viene, poi, trasmesso alla regione interessata per l’approvazione e, entro 30 giorni dalla comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema d’intesa definitivo, corredato dalla relazione tecnica, viene deliberato dal Consiglio dei ministri insieme a un disegno di legge di approvazione da presentare alle Camere. L’intesa viene immediatamente sottoscritta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente della Giunta regionale.
 Ai sensi dell’art. 116, c. 3, Costituzione, per l’approvazione definitiva del disegno di legge, a cui l’intesa è allegata, è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ogni Camera. Nelle intese verrà specificata anche la durata delle stesse, che comunque non potrà superare i 10 anni. L’intesa può essere modificata su iniziativa dello Stato o della regione e può prevedere le ipotesi e le modalità tramite cui lo Stato o la regione possono chiederne la cessazione, da deliberare tramite legge a maggioranza assoluta delle Camere. Alla scadenza del termine, l’intesa si intende rinnovata per identico periodo, salva differente volontà dello Stato o della regione, manifestata almeno un anno prima della scadenza.
Le materie su cui potranno essere raggiunte le intese tra lo Stato e le regioni a statuto ordinario per l’attribuzione, alle regioni stesse, di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono elencate all’art. 117 della Costituzione. Si tratta in prevalenza delle materie relative alla legislazione concorrente.[9]
Ma le maggiori perplessità riguardano i cc.dd. livelli essenziali delle prestazioni (LEP). A tal proposito si stabilisce che l’attribuzione di nuove funzioni relative ai “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” viene consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da parte della Cabina di regia istituita dalla legge di bilancio 2023. Il finanziamento dei LEP, sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard verrà attuato nel rispetto degli equilibri di bilancio e dell’art. 17 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/09).
Se dalla determinazione dei LEP deriveranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo dopo i provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica. Inoltre, se dopo la data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa, siano modificati i LEP col relativo finanziamento o ne siano determinati ulteriori, la Regione interessata sarà tenuta alla loro osservanza, subordinatamente alla revisione delle relative risorse. Il Governo o la regione potranno, pure congiuntamente, disporre verifiche sul raggiungimento dei LEP. Il trasferimento delle funzioni non riferibili ai LEP, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie potrà essere effettuato fin dalla data di entrata in vigore delle intese, nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente.
Il testo prevede, altresì, che l’attribuzione delle risorse corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento sarà determinata da una Commissione paritetica Stato-regione, la quale procederà annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti per ogni regione dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi all’autonomia, coerentemente con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e, in ogni caso, garantendo l’equilibrio di bilancio. Il finanziamento delle funzioni attribuite avverrà tramite compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali a livello regionale, con modalità definite dall’intesa. Le funzioni trasferite alla regione potranno essere da questa attribuite a comuni, province, città metropolitane, unitamente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie.
Le intese, comunque, non potranno pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre regioni. Sarà garantita l’invarianza finanziaria del fondo perequativo e delle altre iniziative previste dall’art. 119 della Costituzione per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.
Per rafforzare tali iniziative e garantire un utilizzo più efficace delle risorse ad esse destinate, il testo prevede l’unificazione delle diverse fonti aggiuntive o straordinarie di finanziamento statale di conto capitale e la semplificazione e l’uniformazione delle procedure di accesso, di destinazione territoriale, di spesa e di rendicontazione.
Ovviamente il provvedimento prevede che saranno garantiti gli specifici vincoli di destinazione e la programmazione già in corso alla data di entrata in vigore delle nuove norme.[10]
Tuttavia, anche se non viene previsto espressamente esplicitato che “si applica il criterio della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti”, come stabilito dalla bozza del disegno, in realtà tale principio viene sostanzialmente affermato. Infatti, l’attribuzione di risorse non è basata sull’individuazione dei bisogni standard, come prevedono le recenti disposizioni in materia di autonomia finanziaria degli enti locali, ma sulla spesa storica con la conseguente deresponsabilizzazione dei livelli di governo;
In discussione ci sono, quindi, le 23 materie “concorrenti”, che il ddl Calderoli allega come promemoria. E cioè: l’istruzione (fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’istruzione e formazione professionale); rapporti internazionali delle Regioni e con l’Ue; commercio estero; tutela e sicurezza del lavoro; professioni; ricerca scientifica e tecnologica  a all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzionale nazionale dell’energia; previdenza complementare integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

3. Conclusioni

Si ritiene che la riforma in questione sia formalmente rispettosa del dettato costituzionale. Si tratta, infatti, di un disegno di legge che attuerà l’articolo 116 della Costituzione dove al comma 3 è scritto che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia[…]possono essere attribuite a altre Regioni con legge dello Stato su iniziativa della Regione interessata”. In pratica, utilizzando il dettato della citata riforma costituzionale del 2001 – che prevede materie di competenza esclusiva dello Stato, ma anche 23 materie di legislazione concorrente” (articolo 117 Costituzione di cui sopra) – ciascuna Regione, se vuole, potrebbe disciplinare alcune o tutte le materie ivi previste. Sulla base di intese tra governo e Regione partirebbe quindi un federalismo differenziato.[11]
La principale contestazione, è quella per cui – secondo i governatori del Sud – si aggraverebbero le differenze nel Paese, su questioni fondamentali, dall’istruzione alla salute. È esteso, infatti, l’elenco delle materie di cui le Regioni potranno scegliere di occuparsi in via esclusiva, mutuandoli dai poteri dello Stato centrale, dalla scuola ai trasporti, fino al commercio con l’estero e ai giudici di pace.
Se poi il federalismo differenziato non raggiungesse gli scopi prefissati, le modifiche saranno possibili solo se entrambi i partner, governo e Regione, sono d’accordo nel riformarli. Ciascuna Regione potrebbe, quindi, chiedere quali materie gestire. Ad esempio, Veneto, Lombardia e Piemonte hanno già fatto sapere che vorrebbero tutte e 23 le materie. Il fronte di chi si oppone al provvedimento chiede, però, che alcune materie siano escluse dal tavolo del federalismo come appunto la scuola e la sanità, perché venti scuole o venti sanità regionali minerebbero l’unità del Paese.
Inoltre, il provvedimento normativo è sostanzialmente privo di adeguate specifiche risorse finanziarie.
In conclusione, si è dell’avviso che la riforma in esame potrebbe essere utile per il Paese, ma solo se fosse raggiunto l’accordo all’unanimità nella Conferenza Stato-Regioni, perché in tal modo si potrebbero superare i numerosi interrogativi che il provvedimento presenta ed essere garantito il rispetto delle norme di cui agli articoli 2 e 51 della nostra Carta costituzionale, eventualità questa molto remota. Per queste ragioni, non si può escludere che il disegno di legge incorra nella scure della Corte Costituzionale. 

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  1. [1]

    P. Gentilucci, La sofferta riforma delle autonomie regionali e federalismo fiscale, in Diritto.it del 29 novembre 2022.

  2. [2]

    G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 373-374.).

  3. [3]

    Articolo 117 Costituzione, in Brocardi.it del 29 aprile 2022.

  4. [4]

    Articoli 72 ss. Costituzione

  5. [5]

    Cfr. art. 121 Costituzione.

  6. [6]

    Cfr. art. 121 Cost.

  7. [7]

    L. Biarella, Autonomia Differenziata: ok al disegno di legge, in Altalex del 5 febbraio 2022.

  8. [8]

    Redazione, Autonomia differenziata, Calderoli: è nel programma. Fdi rilancia il presidenzialismo, in Il sole 24 ore del 18 novembre 2022.

  9. [9]

    L. Biarella, Autonomia Differenziata: ok al disegno di legge, cit.

  10. [10]

    [1] L. Biarella, Autonomia Differenziata: ok al disegno di legge, cit.

  11. [11]

    G. Casadio, Autonomia differenziata per le Regioni: che cos’è la riforma proposta da Calderoli, in La Repubblica del 18 novembre 2022.

Prof. Paolo Gentilucci

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