Il delitto di peculato e la condotta di omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno da parte del gestore della struttura ricettiva

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A seguito dell’entrata in vigore del D.L. 34/2020, la giurisprudenza di merito si è espressa in senso positivo nel ravvisare l’abolitio criminis della fattispecie di omesso e ritardato versamento dell’imposta di soggiorno da parte del gestore dell’attività ricettiva, mentre la Suprema Corte, ha manifestato parere contrario. Il  presente contributo intende offrire un’ulteriore chiave di lettura della fattispecie, condividendo la conclusione delle sentenze di primo grado.

 

Indice:

  1. La previsione normativa in tema di imposta di soggiorno
  2. L’interpretazione fornita dalla giurisprudenza sulla responsabilità penale del gestore della struttura ricettiva
  3. La possibilità dell’ interpretazione analogica
  4. La tesi dell’abolitio criminis secondo l’interpretazione della giurisprudenza di merito

 

  1. La previsione normativa che istituisce l’imposta di soggiorno

L’imposta di soggiorno è stata istituita con il D. Lgs. del 14 marzo 2011, n. 23 in “materia di federalismo Fiscale Municipale” – pubblicato in G.U. n. 67 del 23.03.2011), il cui articolo 4 (rubricato appunto “Imposta di soggiorno”) prevede, nella sua formulazione originaria, che: “1. I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.

  1. Ferma restando la facoltà di disporre limitazioni alla circolazione nei centri abitati ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, l’imposta di soggiorno può sostituire, in tutto o in parte, gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta nell’ambito del territorio comunale.
  2. Con regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell’art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è dettata la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno. In conformità con quanto stabilito nel predetto regolamento, i comuni, con proprio regolamento da adottare ai sensi dell’art.52 del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive, hanno la facoltà di disporre ulteriori modalità applicative del tributo, nonché di prevedere esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Nel caso di mancata emanazione del regolamento previsto nel primo periodo del presente comma nel termine ivi indicato, i comuni possono comunque adottare gli atti previsti dal presente articolo.”

A tale ultimo comma, nel 2012 se ne aggiunge uno ulteriore, con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, il cui art. 4, comma 2-bis introduce il comma 3 bis, stabilendo che “I comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 52 del D. Lgs. 15.12.1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all’imposta di soggiorno di cui al comma 1 del presente articolo, un contributo di sbarco, da applicare fino ad un massimo di euro 2,50, ai passeggeri che sbarcano sul territorio dell’isola minore, utilizzando vettori che forniscono collegamenti di linea o vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola ..omissis.. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento del contributo si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni. (omissis).

La disposizione citata stabilisce che “1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorche’ non effettuati, e’ soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo e’ ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo e’ ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.”.

E’ di agevole intuizione intravedere, quindi, come per il contributo di sbarco, previsto in via alternativa all’imposta di soggiorno, sia espressamente stabilita una sanzione amministrativa in caso di “omesso, ritardato o parziale versamento del contributo”.

Su tali previsioni, in cui si inserisce l’ art. 46, comma 1-bis, del  D.L. 26.10.2019, n. 124,che ha previsto il comma  1-bis, è da ultimo intervenuta la novella di cui all’art. 180, comma III, del D.L. 19.05.2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. 17.07.2020, n. 77. Tale disposizione, colmando la lacuna sul destino dell’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno da parte del gestore di una struttura (o attività) ricettiva, prevede – con una formulazione del tutto analoga a quella contemplata all’art. 3 bis del Decreto Legislativo in commento – l’introduzione del comma 1-ter, stabilendo che “Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all’art. 14, comma 16, lett. e), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica la sanzione amministrativa di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.”

La norma in esame non prevede, quindi, alcun rinvio o richiamo al delitto di peculato, né alcun illecito penale; così come – parimenti – non è richiamata né prevista alcuna sanzione penale.

  1. L’interpretazione fornita dalla giurisprudenza sulla responsabilità penale del gestore della struttura ricettiva

Il connubio tra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. e l’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno da parte del gestore di un’ attività ricettiva è stato, invero, ravvisato dalla giurisprudenza sia di legittimità che di merito.

La sentenza n. 36317 del 17.12.2020 della Suprema Corte di Cassazione, nel ripercorrere l’excursus interpretativo consolidatosi a riguardo, conferma che il regolamento generale di cui al terzo comma – da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 1 ..omissis  –  non è stato mai emanato e ad oggi gli enti locali indicati al citato art. 4, comma 1, hanno disciplinato le modalità attuative dell’imposta, una volta istituita, con un proprio regolamento. Tuttavia, stante la riserva di legge posta dall’art. 13 Cost., in materia tributaria e l’espresso richiamo del D.Lgs. 15.12.1997, n. 446, art. 52, che disciplina la potestà regolamentare comunale in materia tributaria, gli Enti locali non possono procedere “alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi”.

Conseguentemente, ai sensi del citato articolo 4, il rapporto tributario intercorre(va) esclusivamente tra il Comune – come soggetto attivo – e colui che alloggia nella struttura ricettiva – il soggetto passivo – mentre nulla era previsto in ordine al gestore della struttura, con cui il Comune non si rapporta(va) come soggetto del rapporto tributario, bensì quale destinatario giuridico delle somme incassate dal gestore a titolo di imposta di soggiorno, nell’ambito di una relazione completamente avulsa dal rapporto tributario, sebbene ad esso funzionalmente orientata e correlata.

Il rapporto intercorrente tra il Comune ed il gestore va inquadrato pertanto nell’ambito dei generali principi in materia di maneggio di denaro pubblico.

A riguardo, viene in considerazione la normativa generale sancita dal R.D. 18.11.1923, n. 2440, art. 74, comma 1 e R.D. 23.05.1924, n. 827, art. 178, i cui principii sono peraltro ribaditi nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che, in particolare, all’art. 93, comma 2, che “il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali, nonchè coloro che si ingeriscano negli incarichi attribuiti a detti agenti devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti”.

Tale principio generale dell’ordinamento trova conferma anche nel D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, entrato in vigore dal 10 agosto 2011, che nel dettare “Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni degli Enti locali e dei loro organismi”, nell’allegato n. 4/2, al punto 4.2, dispone espressamente che: “Gli incaricati della riscossione assumono la figura di agente contabile e sono soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti, a cui devono rendere il conto giudiziale…. Agli stessi obblighi sono sottoposti tutti coloro che, anche senza legale autorizzazione, si ingeriscono di fatto, negli incarichi attribuiti agli agenti anzidetti (…)”.

Da tali premesse, la Suprema Corte riteneva che il gestore venisse a rivestire la qualità di incaricato di pubblico servizio, nel caso in cui, anche in assenza di un preventivo, specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, avesse proceduto effettivamente e materialmente alla riscossione della imposta di soggiorno, in considerazione della natura prettamente pubblicistica della sua attività, direttamente disciplinata dalle norme di diritto pubblico istitutive della relativa imposta.

Sulla scorta di tale interpretazione, si è affermato che la novella del 2020 “ha la funzione di rafforzamento della garanzia di raggiungimento dell’obiettivo di preservare l’integrità dei flussi tributari scaturenti dall’esercizio della struttura ricettiva e dell’introito del tributo, onerandone quei soggetti che, in virtù della relazione con il soggetto obbligato principale, sono posti nella condizione di garantirne l’effettivo integrale pagamento.”

Invero, le premesse di tale conclusione prestano il fianco a due censure, mostrandosi in violazione sia del divieto di analogia in malam partem, estendendo in senso negativo la platea dei soggetti destinatari di un reato proprio (ricomprendendo nel reato di peculato i “gestori dell’attività ricettiva”, in alcun modo contemplati dalla normativa sul tema); sia del principio di legalità e di tassatività, in quanto il Decreto Legislativo in questione non contiene alcun richiamo alla fattispecie penale, né – tantomeno – a sanzioni di natura penale (reclusione/arresto e/o multa/ammenda).

Il D. Lgs. 23/2011, come sopra accennato, non contempla(va) alcun “amministratore “ o “gestore della struttura”, dedicandosi esclusivamente agli Enti (“comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte”); parimenti, il citato art. 3, comma II, del TUEL (del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267) cui rinvia la giurisprudenza. Tale disposizione, infatti, non contiene alcun rinvio alle norme penali; così come il testo integrale dell’articolo in esame (dedicato alla responsabilità patrimoniale) e l’intero Testo Unico.

Nessuna norma sancisce, quindi expressis verbis, l’applicazione del diritto penale, nè le sanzioni penali (che sono state comminate dalla giurisprudenza).

Ciò rileva anche ai fini di un’eventuale errore ai sensi dell’art. 47 c.p., dal momento che, in virtù del principio di tassatività e di riserva di legge in materia penale, la norma penale deve essere di facile individuazione e di agevole comprensione, così da consentire al privato cittadino (o dell’uomo eiusdem professioni set condizionis) di conoscere ciò che è vietato e ciò che non lo è.

La fattispecie in esame appare, invece, essere frutto unicamente di esegesi ermeneutiche – e non di interventi legislativi che contemplano il soggetto agente, la condotta incriminata e la  relativa sanzione – neppure troppo pacifiche e certamente di non agevole accesso al comune cittadino.

  1. La possibilità di un’interpretazione analogica

Eppure, dall’esame dell’art. 4 del D. Lgs 23/2011 come modificato dalla L. 26.04.2012, n. 44, emerge la possibilità di ricorrere ad un’interpretazione analogica della fattispecie de qua.

Come descritto nel paragrafo sub. 1), il comma 3 bis ha previsto, in alternativa all’imposta di soggiorno, per “i comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori”, un contributo di sbarco; sancendo al contempo che.”.. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento del contributo si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del D. Lgs. 1997, n. 471, e successive modificazioni”.

Come specificato sopra, la normativa richiamata prevede la “sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato”, nulla disponendo in ambito penale.

Dunque, essendo previsto una disposizione – in via amministrativa –  in caso di omesso, ritardato o parziale versamento di tali istituti, all’operatore non restava che ricorrere all’estensione analogica del comma 3 bis in tema di contributo di sbarco alla fattispecie di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di registro.

Del resto, l’analogia tra “l’imposta di soggiorno” ed il “contributo di sbarco” si rinviene dalla previsione “in alternativa” resa palese dalla disposizione normativa de qua, che non lascia dubbi sulla simmetria degli istituti. Inoltre, il mancato rinvenimento di pronunce di condanna per il reato di cui all’art. 314 c.p. in ordine al contributo di sbarco dimostra l’irrilevanza penale della condotta di omesso, ritardato o parziale versamento di cui all’art. 4 D. Lgs. 23/2011.

La novella del 2020 sembra, dunque, colmare tale lacuna, operando una sorta di norma di interpretazione autentica, intervenendo “a monte, proprio sul presupposto giuridico del diritto vivente”[1].

La piena corrispondenza tra i due istituti è supportata anche dall’attuale normativa emergenziale che istituisce un Fondo ad hoc per gli Enti finalizzato al ristoro parziale dei comuni a fronte delle minori entrate derivanti dalla mancata riscossione dell’imposta di soggiorno o del contributi di sbarco in esame, in conseguenza dell’adozione di misure di contenimento del contagio da COVID-19 (introdotto proprio dall’art. 180 del D.L.34/2020). Ribadito di recente anche dal D.L. 22.03.2021, n. 41, art. 25, per il quale: “Imposta di soggiorno” 1. E’ istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, un Fondo, con una dotazione di 250 milioni di euro per l’anno 2021, per il ristoro parziale dei Comuni a fronte delle minori entrate derivanti dalla mancata riscossione dell’imposta di soggiorno o del contributo di sbarco di cui all’art. 4 del D. Lgs. 2011, n. 23, nonché del contributo di soggiorno di cui all’art. 14, comma 16, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, in conseguenza dell’adozione delle misure di contenimento del COVID-19.

La circostanza che entrambi gli istituti siano oggetto di ristoro per i Comuni, denota una perfetta omogeneità della loro natura e del fine cui sono volti.

Conseguentemente, la perfetta simmetria tra il contenuto della disposizione di cui all’attuale art. 4, comma 1 ter (come introdotto dal D.L. 34/2020, art. 180, comma III), e quella contenuta nel comma 3 bis in tema di contributo di sbarco di cui al D. Lgs. 23/2011, come evidenziato al paragrafo sub. 1), suggerisce che il legislatore abbia inteso colmare la lacuna relativa all’omesso/ritardo versamento dell’imposta di registro prevedendo le medesime sanzioni (amministrative) ponendosi (consapevolmente) in aperto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel tempo in via autonoma pur in assenza di una espressa previsione legislativa che comminasse sanzioni penali (di esclusiva competenza statale).

E’, quindi, innegabile che la novità in esame sia volta a regolamentare la qualifica del “gestore della struttura ricettiva”, andando a colmare la lacuna esistente.

 

La permanenza del fatto quale illecito penale per le condotte poste in essere prima dall’entrata in vigore del D.L. 34/2020, il 19 maggio 2020[2] non può che violare i principi costituzionali di cui agli artt. 25, II comma e art. 3 Cost. in tema di tassatività della legge penale e di parità di trattamento.

In ordine all’art. 25 Cost., in quanto la condotta in oggetto non era prevista da alcuna “legge entrata in vigore prima del fatto commesso”, e secondo l’attuale normativa non è (più) prevista come illecito penale; in ordine all’art. 3 Cost., sotto un duplice profilo, in quanto: i) uno stesso comportamento è punito ora con la sanzione penale della reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi, ora con la sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato; ii) pur in presenza di analoghi istituti e analoghe previsioni normative, una medesima condotta (l’omesso o ritardato versamento della tassa di cui all’art. 4 D. Lgs. 23/2011) non è mai stata sanzionata come illecito penale (il contributo di sbarco), mentre un’altra (l’imposta di soggiorno) continua ad avere rilevanza penale.

  1. La tesi dell’abolitio criminis secondo l’interpretazione della giurisprudenza di merito

A tali rilievi, si aggiungono gli approdi ermeneutici di alcune pronunce di merito che, se pur con argomentazioni diverse ma ugualmente affascinanti e pienamente condivisibili, escludono che la condotta dell’albergatore possa (ancora) integrare il delitto di peculato.[3]

 

Vengono innanzitutto in rilievo le decisioni del GIP di Roma (n. 1520/2020) e del Tribunale di Firenze (n. 2133/2020), le quali – ponendosi in consapevole contrasto con l’orientamento inaugurato da parte della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 30227/2020[4]  ritengono che la novella introdotta dal D.L. 34/2020 abbia operato una vera e propria abolitio criminis, alla luce della  natura integratrice della norma di nuovo conio, considerato che non può che apparire “paradossale ritenere che una norma che incide sulla qualifica dell’albergatore definito ora esplicitamente responsabile e quindi sostituto d’imposta”, abbia effetto solo per il futuro.

A ciò aggiungasi che la stessa “interferenza applicativa” riconosciuta dalla Suprema Corte con la sentenza n. 30227/2020 sembra suggerire il contrario di quanto statuito con siffatta pronuncia. Affermare, infatti, che “nella vicenda in esame si deve registrare un caso di successione di norme extrapenali” che non incidono sulla struttura integrativa del precetto, ma che – al tempo stesso – si collocano “in rapporto di interferenza applicativa sia con la norma che definisce la qualifica soggettiva dell’agente (art. 358 c.p.) sia con quella che stabilisce la struttura del reato (art. 314 c.p.)”consente di affermare che il legislatore ha effettivamente inteso privare di rilevanza penale il comportamento dell’albergatore di cui qui si discute. (Trib. Roma, n. 1520/2020).

Una norma che fornisce la definizione e la qualifica nel reato proprio non può essere considerata una norma posteriore che priva di rilevanza penale la fattispecie.

La scelta legislativa di privare di rilevanza penale la condotta del gestore della struttura ricettiva che omette di versare le somme dovute dai clienti per il soggiorno a titolo di imposta o di contributo, prevedendo solamente una sanzione amministrativa si evince, altresì, dalla totale assenza della c.d. clausola di riserva (espressa con la formula “salvo che…”; “salvo che il fatto costituisca più grave reato…”, come spesso accade qualora il legislatore voglia evitare equivoci nell’interpretazione). La mancanza di riserve di applicazione della legge penale denota la voluntas legis di non seguire la strada percorsa dalla giurisprudenza e di connotare, per la fattispecie in esame, solamente un illecito amministrativo.

All’orientamento favorevole alla tesi dell’abolitio criminis, si aggiungono, inoltre, il Tribunale di Salerno (sentenza del 19.10.2020, depositata il 21.12.2020) e di Perugia, con la decisione del 24.11.2020, le quali – tuttavia – muovono da premesse diverse. Secondo la soluzione fornita, l’art. 180, comma 3 del D.L. 34/2020 si presta ad una ulteriore interpretazione sotto la lente della disciplina dettata dall’art. 9 della L. n. 689/1981 per l’ipotesi di concorso eterogeneo di norme, l’una avente natura penale e l’altra quella di mero illecito amministrativo.

La disposizione in esame prevede che “Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale”. La novella de qua risponde al requisito di provenienza statale stabilito all’art. 1, essendo emessa dal legislatore mediante D.L., convertito nella L. n. 77/2020 e pubblicato in G.U. n. 180 del 18.07.2020, e dunque ben può procedersi al fenomeno di concorso apparente di norme.

Conseguentemente, fatte le necessarie premesse, la successiva analisi comporta l’individuazione della normativa speciale tra l’art. 314 c.p. e l’art. 4, comma 1 ter del D. Lgs. 23/2011 di nuovo conio.

Il referente normativo è rappresentato dall’art. 15 c.p., a mente del quale “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito“. L’interpretazione proposta, procede al raffronto tra le due fattispecie: orbene, il primo profilo di specialità in favore dell’illecito amministrativo attiene all’individuazione del soggetto agente. Infatti, mentre l’art. 314 c.p. si arresta ad un generico riferimento all’incaricato di p. servizio (cui la giurisprudenza ha ricondotto in via interpretativa anche la qualifica del gestore di attività ricettiva), il nuovo art. 4, comma 1 ter disciplina espressamente tale categoria e si rivolge expressis verbis ai gestori della struttura ricettiva.

Anche con riferimento al secondo requisito di specialità, che attiene alla “descrizione della condotta sanzionata”, non si potrà che pervenire alle medesime conclusioni, optando in senso favorevole per l’illecito amministrativo come introdotto di recente. Mentre il delitto di peculato descrive la condotta tipica facendo riferimento all’incaricato di un pubblico servizio che “avendo per ragione del suo … servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria“; la nuova fattispecie prende in considerazione solamente l’“omesso, ritardato o parziale versamento“. Tale scelta maggiormente limitativa, determina la prevalenza dell’art. 4, comma 1 ter sull’art. 314 c.p., in forza del criterio della specificazione.

Infine, anche il criterio di specialità dell’oggetto della condotta depone in senso favorevole per l’illecito introdotto dal D.L. 19 maggio 2020, n. 34. Nel dettaglio, a fronte dell’oggetto del peculato individuato nel “denaro o altra, cosa mobile altrui“, l’illecito amministrativo de quo fa esclusivo riferimenti alle somme ricevute a titolo di “imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno“, così restringendo il campo ad un unico centro di imputazione e delimitando la condotta sanzionata.

A fronte di tali rilievi, “ci si trova in definitiva al cospetto di un rapporto di specialità unilaterale per plurima specificazione a tutto vantaggio della fattispecie amministrativa di nuovo conio, con conseguente parziale abolitio criminis – ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 9 L. n. 689/1981 e art. 2, secondo comma, c.p. – delle condotte originariamente ricondotte dalla giurisprudenza nell’ambito dell’art. 314 c.p..

Conseguentemente, dalla disamina delle opzioni interpretative evidenziate, non risultano permanere ragioni di diritto per comminare, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 180, III comma, del D.L. 34/2020, sanzioni penali al gestore che non abbia versato la relativa tassa di soggiorno.

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Note

[1] Così, GIP Roma, sent. n. 1520/2020.

[2] Conclusione contenuta nella celebre sentenza n. 30277/2020 e avallata da successive pronunce di legittimità e condivisa dai giudici di merito.

[3] GIP Rimini, 24.07.2020; GIP Roma, n. 1520/2020; Trib. Firenze, n. 2133 del 08.10.2020, Trib. Perugia, 24.11.2020; Trib. Salerno, 19.10.2020.

[4]Così, Trib. Perugia, sentenza 24.11.2020, in riferimento alla decisione del GIP Roma n. 1520/2020.

Cristina Malavolta

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