Il decreto del ministero delle politiche agricole del 20.11.2007 sui mercati agricoli di vendita diretta (i c.d. farmer’s markets)

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Il Ministero delle Politiche Agricole (MIPAAF) ha, col Decreto del 20 Novembre 2007 che attua il comma 1065 dell’art. 1° (ed unico) della Legge n° 296 del 2006 (Legge Finanziaria per il 2007), dettato le linee guida per la realizzazione dei mercati riservati alla vendita diretta dei prodotti da parte degli imprenditori agricoli identificati dall’art. 2135 del Codice Civile e dalle loro cooperative definite dal comma 2 dell’art. 1° del Decreto Legislativo n° 228 del 2001[1].
Il Decreto MIPAAF del 20.11.2007 non ha natura regolamentare, dal momento che la competenza legislativa esclusiva nelle materie del commercio e dell’agricoltura è riservata alle Regioni dall’art. 117 della Costituzione, riformato nel 2001 e quindi sono solo le Regioni che possono dettare norme legislative e regolamentari cogenti, cioè giuridicamente vincolanti, in materia. Esso si pone pertanto come un atto di indirizzo, non cogente, che mira a diffondere una corretta ed efficiente modalità organizzativa dei c.d. “farmer’s markets” e che testimonia l’attenzione del Governo nazionale per essi e per i vantaggi che possono dare sia ai consumatori in termini di minor prezzo dei prodotti (dato che si salta l’intera catena distributiva evitando così i ricarichi di prezzo degli intermediari commerciali che la compongono), sia ai produttori in termini di maggior ricavo (dato che il prezzo ricavato dalla vendita diretta al consumatore è superiore a quello incassato dal grossista o dal dettagliante che poi rivendono i prodotti agricoli). Certo può accadere che l’imprenditore agricolo che vende direttamente allinei i suoi prezzi a quelli dei dettaglianti, ma in tal caso compie un vero e proprio “suicidio commerciale”, dato che non si comprende perché il consumatore dovrebbe preferirlo a questi ultimi. L’altro vantaggio di questi mercati per la vendita diretta è per l’ambiente, in quanto essi sono destinati, nell’ottica del Decreto, alla commercializzazione dei prodotti locali o di quelli dei territori vicini, per cui il loro trasporto è breve (c.d. “a chilometri 0”) ed inquina poco. I “farmer’s markets” sono molto diffusi negli USA e nel Nord Europa e stanno cominciando a comparire, per opera dei Comuni e delle Associazioni dei produttori agricoli, anche in Italia.
 
Il comma 2 dell’art. 1° del Decreto del 20.11.2007 stabilisce che sono i Comuni, anche associati o consorziati, ad istituire i mercati per la vendita diretta dei prodotti agricoli, di propria iniziativa o su richiesta degli imprenditori agricoli, singoli od associati, o delle associazioni di produttori agricoli. Questi mercati devono rispettare gli standard fissati dal Decreto, che, però e come abbiamo visto, non sono giuridicamente obbligatori. La richiesta di autorizzazione all’apertura del mercato, trascorsi inutilmente 60 giorni dalla presentazione, si intendono accolte (silenzio – assenso).
Sul contenuto di questa richiesta di autorizzazione il Decreto, però, non dice nulla, salvo che deve contenere il “Disciplinare del mercato”, vale a dire un atto di autoregolamentazione che regola le modalità di vendita, che deve essere finalizzato alla valorizzazione della tipicità e della provenienza territoriale dei prodotti in esso venduti e che deve essere comunicato, da parte del Comune, all’Assessorato all’Agricoltura della Regione competente per territorio (art. 4, comma 2). E’ errata, secondo noi, l’interpretazione di coloro secondo i quali il Disciplinare può essere redatto solo dal Comune (che lo può elaborare per i mercati promossi di propria iniziativa), in quanto ciò renderebbe impossibile l’autogestione del mercato da parte dei produttori a cui il Decreto è chiaramente finalizzato[2].
Questi mercati possono essere costituiti su area pubblica, in locali aperti al pubblico o su aree di proprietà privata (comma 3): si tenga presente che in questo ultimo caso, l’art. 4, comma 2°, del Dlgs 228/2001, modificato dall’art. 2 – quinquies della Legge n. 81 del 2006[3], prevede che non sia necessario l’invio della comunicazione di inizio attività al Comune da parte dell’imprenditore agricolo.
 
L’art. 2 del Decreto del 20.11.2007 prevede che possono esercitare questo tipo di vendita diretta solo gli imprenditori agricoli iscritti nel Registro delle Imprese la cui azienda sia ubicata nell’ambito territoriale della Regione o negli ambiti individuati dalle singole amministrazioni competenti (secondo noi, Regione o Comune, questi ultimi anche in forma associata), che siano in possesso dei requisiti di onorabilità previsti dal comma 6 dell’art. 4 del Dlgs 228/2001 e che vendano prodotti agricoli provenienti dalla propria azienda o da quelle dei soci imprenditori agricoli (per le cooperative agricole), anche ottenuti a seguito di attività di trasformazione o di manipolazione, od anche prodotti agricoli ottenuti nell’ambito territoriale del mercato prima citato, nel rispetto del limite della prevalenza dei prodotti propri di cui all’art. 2135 c.c. (comma 1). Quest’ultima prescrizione di indirizzo non può però prevalere sulla norma di legge di cui al comma 8 dell’art. 4 del Dlgs 228/2001, per la quale le imprese agricole che esercitano la vendita diretta dei loro prodotti possono vendere anche prodotti di terzi fino ad un ammontare annuo di 160.000 Euro se imprese individuali e fino a 4.000.000 di Euro se società (importi aggiornati dal comma 1064 dell’art. 1° della Legge 296/2006 – Legge Finanziaria 2007). Infine, per i soggetti che non sono imprenditori agricoli (di cui non si comprende molto l’esclusione da questi mercati) e che esercitano l’attività di vendita di questi prodotti in forza della Legge n° 59 del 1963 gli spazi per quest’ultima continueranno ad essere i mercati tradizionali.
L’attività di vendita all’interno di questi mercati di vendita diretta è esercitata dai titolari dell’impresa (imprenditore individuale o soci, se società), dai familiari coadiuvanti (per le imprese familiari) e dal personale dipendente dell’impresa, quindi solo quello con contratto di lavoro subordinato (a tempo determinato od indeterminato, a tempo parziale od a tempo pieno) e non con contratto di lavoro atipico (comma 2).
Inoltre, questi mercati devono osservare le norme igienico – sanitarie di cui al Regolamento CE n. 852 del 2004 ed in essi sono posti in vendita solo prodotti agricoli conformi alla normativa in materia di igiene degli alimenti, della loro etichettatura e con l’indicazione del luogo di origine e dell’impresa produttrice (comma 3).
All’interno dei mercati agricoli di vendita diretta è ammesso l’esercizio dell’attività di trasformazione dei prodotti agricoli da parte degli imprenditori agricoli nel rispetto delle norme igienico – sanitarie di cui al periodo precedente e possono essere realizzate attività culturali, didattiche e dimostrative legate ai prodotti alimentari, artigianali e tradizionali del territorio, anche attraverso scambi con altri mercati autorizzati di questo tipo (art. 4, commi 1 e 2).
 
Per quanto riguarda la disciplina amministrativa dei mercati agricoli di vendita diretta, fatte salve le disposizioni regionali (come abbiamo visto, non poteva essere diversamente), si continua ad applicare l’art. 4 del Dlgs 228/2001 e non la disciplina del commercio di cui al Decreto Legislativo n. 114 del 1998 (commi 1 e 2). Essi sono sottoposti all’attività di controllo del Comune nel cui territorio sono ubicati. Questo Ente, se accerta una pluralità di violazioni dei Regolamenti Comunali, del Decreto MIPAAF del 20.11.2007 e del disciplinare del mercato può disporre la revoca dell’autorizzazione all’apertura del mercato, eccetto, riteniamo, il caso di mercato su area privata per il quale, come abbiamo visto, non è prevista nessuna autorizzazione (comma 3). Non può nemmeno essere revocata, perché non vi è un’autorizzazione ma solo una comunicazione di inizio attività, la possibilità di esercitare la vendita diretta da parte dei singoli imprenditori agricoli.
I Comuni possono stabilire, al fine di migliorare la fruibilità dei mercati agricoli di vendita diretta, che altri operatori commerciali possano fornire servizi (e non beni) ai clienti di essi. Non si capisce chiaramente di quali servizi si tratti (il parcheggio?).
Il MIPAAF, infine, attraverso forme di collaborazione con l’ANCI (l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) si impegna ad effettuare attività di supporto ed assistenza tecnica ai Comuni per le funzioni loro assegnate in questa materia (c’è da dire che i pochi Comuni interessati, finora, se la sono cavata benissimo da soli) ed un’attività di monitoraggio annuale dei mercati agricoli di vendita diretta autorizzati e delle attività in essi svolte (art. 4, commi 4 e 5).
 
 
 
Gianfranco Visconti
 
Consulente di direzione aziendale


[1] Il comma 2 dell’art. 1° del Decreto Legislativo n. 228 del 2001 stabilisce che si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività di cui all’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e le attività connesse di cui al comma 3 di questo articolo) prevalentemente, vale a dire in una misura superiore al 50%, prodotti dei soci o quando forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura od allo sviluppo del ciclo biologico delle piante coltivate o degli animali allevati.
Ovviamente, fra gli imprenditori agricoli sono compresi i coltivatori diretti del fondo (o piccoli imprenditori agricoli) definiti dall’art. 2083 c.c. come coloro che esercitano le attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. prevalentemente col lavoro proprio e con quello dei loro familiari. Il lavoro del coltivatore diretto e dei suoi familiari deve essere quindi prevalente sul capitale investito e sugli altri fattori produttivi, compreso il lavoro prestato da terzi.
[2] E sempre tenendo presente che il Decreto non ha natura regolamentare.
[3] Legge di conversione del Decreto Legge n. 2 del 2006.

Visconti Gianfranco

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