L’arresto in esame ha a che fare con una delle piaghe più dolorose della nostra società: le “morti bianche”. La tragica vicenda ha, infatti, per protagonista un lavoratore rimasto folgorato a causa del contatto con la linea elettrica aerea, avvenuto durante le operazioni di potatura a bordo di un autocestello.
La Cassazione si è occupata di stabilire se, a fianco all’indubbia responsabilità del soggetto che il datore di lavoro aveva delegato per gli aspetti tecnico-operativi del cantiere (compresi quelli afferenti alla sicurezza sul lavoro), potesse configurarsi anche quella del delegante.
Titolare del rapporto di lavoro con la vittima era in questo caso una S.r.l., per cui il ruolo datoriale coincideva con quello del legale rappresentante dell’ente. Nei confronti della donna che ricopriva tale incarico era stata formulata l’accusa di omicidio colposo commesso con violazione delle norme antinfortunistiche. In particolare, le era stato contestato il fatto di non aver vigilato sulla corretta adozione, da parte del predetto delegato, delle opportune misure tecniche e organizzative, consistenti primieramente nel richiedere l’interruzione dell’erogazione di energia elettrica durante il tempo necessario a eseguire la lavorazione rivelatasi fatale. Assolta inizialmente dal giudice di prime cure, l’imputata era stata poi condannata penalmente e civilmente dalla Corte territoriale.
Il Supremo Collegio ha, innanzitutto, rilevato che la possibilità per il datore di lavoro di conferire ad altro soggetto una delega funzionale è oggi espressamente prevista dall’art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (il c.d. “Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”), che, assieme all’articolo seguente, ne circoscrive anche l’àmbito. Una norma che, sebbene entrata in vigore (il 20 agosto 2009) successivamente all’accadimento in questione, rappresenta, comunque, un valido ìndice di riferimento per l’analisi della situazione esaminanda, in quanto ha recepito degli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali, che erano già ampiamente consolidati all’epoca dei fatti.
Il Giudice nomofilattico ha evidenziato che la disposizione in commento, oltre a ribadire expressis verbis la persistenza in capo al datore di lavoro di un obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite, contiene un indiretto riferimento alla responsabilità “amministrativa” degli enti, contemplata dal d.lgs. n. 231/01. Tale richiamo, giusta l’Autorevole Consesso, non fa che confortare quanto già prima della vigenza del citato art. 16 sostenevano la gran parte di teorici e pratici del diritto, ovvero che la vigilanza di cui è investito il datore è “alta”, nel senso che non implica un controllo minuzioso sulle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni, altrimenti la delega non avrebbe motivo di esistere in quanto risulterebbe priva di contenuti.
Ciò significa che nel caso sub iudice il datore di lavoro, ovvero il legale rappresentante della S.r.l., non era tenuto ad un controllo particolareggiato, analogo a quello competente al delegato per la sicurezza; doveva sorvegliare sulla complessiva gestione del rischio lavorativo da parte di quest’ultimo, senza la necessità di eseguire un peculiare e assiduo monitoraggio dell’attività, attraverso la quale lo stesso, di volta in volta, concretizzava le mansioni preventive deputategli.
Sulla scorta di queste argomentazioni, la Corte regolatrice ha affermato che il legale rappresentante dell’azienda non era titolare di quella “posizione di garanzia”, indispensabile per l’imputazione della condotta omissiva ex art. 40, comma 2, c.p., per cui, assumendo che l’imputato non ha commesso il fatto, ha annullato la sentenza senza rinvio.
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