Il danno da perdita di “chance” va tenuto distinto da quello derivante da mancata promozione

Lazzini Sonia 27/01/11
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Il danno da perdita di “chance” va invero tenuto distinto da quello derivante da mancata promozione;

Anche in presenza di sopravvenuta carenza di interesse attuale all’annullamento, può invero ancora sorreggere l’impugnativa l’interesse residuale finalizzato al risarcimento del danno (Consiglio Stato, sez. VI, 27 ottobre 2009, n. 6577).

In caso di impugnazione della esclusione da un concorso, è ipotizzabile l’azione di risarcimento del danno a prescindere dalla impugnazione degli atti ad essa successivi ed in particolare della aggiudicazione ad altro concorrente (Consiglio Stato, Sezione V, 3 ottobre 2002, n. 5196), non potendo derivare la improcedibilità del ricorso dalla mancata impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento atteso che il concorrente illegittimamente escluso conserva comunque un interesse processualmente rilevante a conseguire l’annullamento dell’esclusione, posto che da esso può ricavare, quantomeno, il significativo vantaggio, sufficiente a sostenere la procedibilità del gravame, di poter pretendere il risarcimento del pregiudizio patrimoniale sofferto in conseguenza della determinazione giudicata illegittima.

Se è vero che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno impedisce che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto in oppugnato (Consiglio Stato, sez. VI, 21 aprile 2009, n. 2436), va tuttavia considerato che, diversamente da quanto sostenuto dal T.A.R., nei casi in cui ad un soggetto è preclusa in radice la partecipazione ad un concorso, e non sia possibile dimostrare ex post né la certezza della vittoria, né la certezza della non vittoria, la situazione soggettiva tutelabile è infatti la chance, cioè l’astratta possibilità di un esito favorevole, di cui può essere richiesto il ristoro o mediante la ripetizione dell’occasione perduta o, come nel caso che occupa, per equivalente monetario (Consiglio Stato, Sezione VI, 5 dicembre 2005, n. 6990).

Il danno da perdita di “chance” va invero tenuto distinto da quello derivante da mancata promozione; in quest’ultimo caso, il dipendente che agisca per il risarcimento deve provare sia l’illegittimità della procedura concorsuale sia il fatto che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell’elenco dei promossi, mentre nel danno da perdita di “chance”, sul presupposto della irrimediabilità di tale perdita, in ragione dell’irripetibilità della procedura con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quella ritenuta illegittima, fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile.

Ne consegue che, mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente in pieno con la perdita dei vantaggi connessi alla superiore qualifica (non solo di natura economica, ma anche normativa), il danno da perdita di “chance” può solo commisurarsi, ma non identificarsi, nella perdita di quei vantaggi, in ragione del grado di probabilità – esistente al momento della esclusione – di conseguire la promozione (Cassazione civile, sez. lav., 18 gennaio 2006, n. 852).

Ovviamente se la esclusione non sia illegittima tale probabilità è del tutto insussistente, atteso che il pregiudizio connesso alla perdita di “chance” non può che derivare dalla perdita dell’occasione di vincere un concorso per effetto dell’illegittima selezione di un altro concorrente, o della propria indebita esclusione dal procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 15 febbraio 2005, n. 478).

3.- Tanto premesso va considerato che nel caso che occupa l’appello non è suscettibile di positiva valutazione stante la insussistenza del sopra indicato fondamentale presupposto per il risarcimento della perdita di “chance” costituito dalla illegittimità della esclusione della ricorrente, che esclude in radice la sussistenza, pure se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo della probabilità, di alcuna possibilità che avrebbe avuto la ricorrente di conseguire la qualifica dirigenziale cui aspirava.

Riportiamo qui di seguito la decisione numero 8418 del 3 dicembre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

N. 08418/2010 REG.SEN.

N. 04418/2007 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

 

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 4418 del 2007, proposto da:***

contro***

per la riforma

della sentenza n. 822/2006 del 13 marzo 2006, resa “inter partes” dal T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione II;

nonché per il riconoscimento della ingiusta perdita di “chance” subita dall’appellante e del risarcimento del danno

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;

Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

 

Relatore, nella udienza pubblica del 9.4.2010, il Consigliere **************** e uditi per le parti gli avvocati *******, per delega dell’Avv. *****************, e ********, per delega dell’Avv. *****, come specificato nel verbale;

 

FATTO

La sig.ra *************** ha impugnato presso il T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, la delibera n. 3424 del 17.12.97 con la quale la G.M. del Comune di Bari ha disposto la non ammissione della stessa al concorso pubblico per il conferimento di un posto di dirigente tecnico, qualifica dirigenziale, indetto con avviso del 4.3.1997 (perché non in possesso del richiesto inquadramento), deducendo violazione di legge per motivazione insufficiente, generica e incongrua; violazione della normativa prevista nel bando del relativo concorso; eccesso di potere per carenza di istruttoria; in seguito, con motivi aggiunti la suddetta ha chiesto il risarcimento del danno da perdita di chance causato dall’esclusione dal concorso, insistendo per l’annullamento dell’impugnato provvedimento.

Con ordinanza del Tribunale n. 326 del 28 aprile 1998 è stata accolta la domanda di sospensiva proposta dalla ricorrente nei soli limiti della ammissione con riserva al concorso di che trattasi, che tuttavia si era già concluso con l’assunzione del vincitore, con deliberazione della G.M. di Bari n. 737 del 17.4.1998.

Detta ordinanza è stata riformata dal Consiglio di Stato, Sezione V, con ordinanza n. 1593 del 1998, con la quale è stata respinta detta domanda cautelare.

Il T.A.R. sopra citato, con sentenza 13 marzo 2006, n. 822 (premesso che con delibera G. M. n. 737 del 17.04.98 sono stati approvati gli atti della Commissione e disposta l’assunzione in servizio del vincitore del concorso di cui trattasi nella persona del dott. *****************, e che la ricorrente, a fronte di tale circostanza ha notificato motivi aggiunti proponendo azione risarcitoria del danno da perdita di “chance”, senza impugnare detto provvedimento conclusivo della procedura concorsuale) ha ritenuto che fosse venuto meno l’interesse al ricorso, sia ai fini dell’esame della domanda di annullamento (peraltro giudicata anche infondata nel merito per non essere stato provato che l’esperienza di servizio di cinque anni era relativa a posizioni di lavoro corrispondenti, per contenuto, alle funzioni della qualifica immediatamente inferiore alla qualifica dirigenziale), sia ai fini dell’esame della domanda risarcitoria, secondo il criterio di accertamento della soccombenza virtuale.

Quanto alla richiesta di risarcimento del danno il Tribunale ha ritenuto che difettassero nella fattispecie in esame tutti i presupposti richiesti per il suo accoglimento, ivi compresi la condotta illecita (esclusione dal concorso asseritamente illegittima), essendo stata giudicata infondata anche nel merito l’azione impugnatoria proposta nei confronti dell’atto di esclusione dal concorso, e il nesso causale con il danno da perdita di “chance” (calcolato invece sulla mancata assunzione in servizio). Il ricorso è stato quindi dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse relativamente all’azione impugnatoria e respinto relativamente alla domanda risarcitoria.

Con il ricorso in appello in epigrafe indicato la sig.ra Ricorrente ha chiesto l’annullamento e la riforma della citata sentenza del T.A.R. deducendo i seguenti motivi:

 

1.- “Error in giudicando” per essere il “petitum” sostanziale del ricorso di primo grado individuabile nell’azione di risarcimento danni proposta con i motivi aggiunti.

2.- Erroneità della tesi che la ricorrente non fosse in possesso della qualifica immediatamente inferiore alla qualifica dirigenziale.

3.- Sussistenza del danno ingiusto.

4.- Sussistenza della condotta colposa dell’Amministrazione.

Con atto depositato l’8.6.2007 si è costituito in giudizio il Comune di Bari, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o che sia respinto perché infondato.

Con memoria depositata il 9.3.2010 l’Amministrazione resistente ha dedotto la infondatezza del ricorso, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o per la reiezione.

Alla pubblica udienza del 9.4.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

 

DIRITTO

1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, la sig.ra *************** ha chiesto l’annullamento e la riforma della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, n. 822 del 2006, relativa al ricorso proposto contro la delibera n. 3424 del 1997 della G.M. del Comune di Bari (di non ammissione della suddetta ad un concorso pubblico per il conferimento di un posto di dirigente tecnico, qualifica dirigenziale) e, a seguito di motivi aggiunti, per il risarcimento del danno da perdita di chance causato dall’esclusione dal concorso.

Con detta sentenza il gravame è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse relativamente all’azione impugnatoria, per omessa impugnazione del provvedimento conclusivo della procedura concorsuale, nonché è stato respinto relativamente alla domanda risarcitoria, per carenza dei necessari presupposti (risultando l’azione risarcitoria proposta con riferimento alla asserita perdita di “chances” non certo legate alla mera partecipazione, bensì alla mancata possibilità di vincere il concorso, muovendosi dunque in un ambito del tutto ultroneo rispetto a quello investito dall’azione impugnatoria), ivi compresi la condotta illecita e il nesso causale con il danno da perdita di “chance”.

In particolare il T.A.R. ha ritenuto che l’acquisizione in capo alla ricorrente della situazione di vantaggio o bene della vita – che si assumeva illegittimamente negato – risultava precluso, sia in via diretta che in via indiretta (risarcimento per equivalente), non già da un comportamento della P.A., bensì dalla manifestazione di acquiescenza prestata dalla stessa ricorrente nei confronti del provvedimento di nomina del vincitore adottato nei confronti di altro soggetto. Ha tuttavia soggiunto il Tribunale che, a prescindere da ogni considerazione di carattere generale in merito alla risarcibilità del danno e alla pregiudizialità dell’annullamento, difettavano nella fattispecie la condotta illecita (illegittimità della esclusione dal concorso) ed il nesso causale con il danno di perdita di “chance” (calcolato sulla mancata assunzione in servizio), atteso che l’azione impugnatoria proposta nei confronti dell’atto di esclusione dal concorso, oltre che improcedibile, risultava anche infondata nel merito.

2.- Con il primo motivo di appello la sig.ra Ricorrente lamenta che la sentenza di primo grado sarebbe affetta da “error in giudicando” perché il “petitum” sostanziale del ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere individuato nell’azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. proposta con i motivi aggiunti, rispetto alla quale la richiesta di annullamento del provvedimento di esclusione dal concorso presentava carattere di passaggio obbligato e strumentale per dimostrare la non liceità della condotta del Comune. Acquisita conoscenza dell’intervenuta assunzione del vincitore, la ricorrente si sarebbe indirizzata, con la proposizione dei motivi aggiunti, sulla tutela per equivalente; il che escludeva la necessità di impugnare il provvedimento conclusivo della procedura concorsuale, essendo tale vicenda estranea al sostanziale interesse azionato ed irrilevante rispetto alla domanda di risarcimento del danno per perdita di chance.

2.1.- La Sezione osserva in proposito che la appellante, nel corso del giudizio di primo grado, dopo che è emersa la circostanza che la procedura concorsuale di cui trattasi si era conclusa con la nomina del vincitore, ha presentato motivi aggiunti evidenziando il persistere dell’interesse processuale e sostanziale a veder caducati gli atti impugnati, al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla circostanza che avrebbe potuto partecipare alla procedura concorsuale se non fosse stata erroneamente esclusa dalla stessa con il provvedimento impugnato, che la ha privata di una possibile chance di vittoria con una altissima possibilità di successo. Essa “chance” sarebbe meritevole di risarcimento, in quanto “già nel patrimonio del concorrente sin dalla richiesta di partecipazione al concorso”, e da valutare sulla base di criteri prognostici basati sulle concrete e ragionevoli possibilità di un positivo risultato, evincibili dai precedenti eccellenti risultati della ricorrente. L’ammontare di detto danno dovrebbe peraltro essere commisurato non alla perdita di risultato, ma alla possibilità di conseguirlo.

Al riguardo il Giudice di primo grado ha osservato che solo la rituale contestazione e impugnazione del provvedimento di nomina del vincitore avrebbe potuto consentire la conservazione dell’interesse al ricorso, sia ai fini dell’esame della domanda di annullamento, e quindi di tipo restitutorio o ripristinatorio, sia ai fini dell’esame della domanda risarcitoria (subordinata o principale), secondo il criterio di accertamento della soccombenza virtuale.

Ha aggiunto detto Giudice che “l’azione risarcitoria risulta invece proposta con riferimento alla asserita perdita di chances non certo legate alla mera partecipazione, bensì alla mancata possibilità di vincere il concorso, muovendosi dunque in un ambito del tutto ultroneo rispetto a quello investito dall’azione impugnatoria” e che “L’omessa impugnazione di tale atto deliberativo (G.M. n. 737 del 17.04.98) da parte della ricorrente, da un lato, preclude al Collegio la valutazione (anche secondo il criterio di soccombenza virtuale) della legittimità di tale segmento e, dall’altro, integra manifestazione di acquiescenza e di perdita di interesse al bene della vita, che costituisce il fulcro della pretesa risarcitoria.

Secondo il T.A.R. l’acquisizione in capo alla ricorrente della situazione di vantaggio o bene della vita che sarebbe stato illegittimamente negato “risulterebbe preclusa, sia in via diretta che in via indiretta (risarcimento per equivalente), non già da un comportamento della P.A., bensì dalla manifestazione di acquiescenza prestata dalla stessa ricorrente nei confronti del provvedimento di nomina del vincitore adottato nei confronti di altro soggetto”.

In conclusione il primo Giudice ha osservato che “non può non evidenziarsi – a prescindere da ogni altra considerazione di carattere generale relativamente alla risarcibilità del danno e alla pregiudizialità dell’annullamento – che difettano nella fattispecie in esame tutti i richiesti presupposti, ivi compresi la condotta illecita (esclusione dal concorso asseritamene illegittima) e il nesso causale con il danno da perdita di chances (calcolato invece sulla mancata assunzione in servizio).”

2.2.- Il Collegio non può condividere tutti gli assunti sopra riportati perché, in caso di impugnazione della esclusione da un concorso, è ipotizzabile l’azione di risarcimento del danno a prescindere dalla impugnazione degli atti ad essa successivi ed in particolare della aggiudicazione ad altro concorrente (Consiglio Stato, Sezione V, 3 ottobre 2002, n. 5196), non potendo derivare la improcedibilità del ricorso dalla mancata impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento atteso che il concorrente illegittimamente escluso conserva comunque un interesse processualmente rilevante a conseguire l’annullamento dell’esclusione, posto che da esso può ricavare, quantomeno, il significativo vantaggio, sufficiente a sostenere la procedibilità del gravame, di poter pretendere il risarcimento del pregiudizio patrimoniale sofferto in conseguenza della determinazione giudicata illegittima.

Anche in presenza di sopravvenuta carenza di interesse attuale all’annullamento, può invero ancora sorreggere l’impugnativa l’interesse residuale finalizzato al risarcimento del danno (Consiglio Stato, sez. VI, 27 ottobre 2009, n. 6577).

Se è vero che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno impedisce che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto in oppugnato (Consiglio Stato, sez. VI, 21 aprile 2009, n. 2436), va tuttavia considerato che, diversamente da quanto sostenuto dal T.A.R., nei casi in cui ad un soggetto è preclusa in radice la partecipazione ad un concorso, e non sia possibile dimostrare ex post né la certezza della vittoria, né la certezza della non vittoria, la situazione soggettiva tutelabile è infatti la chance, cioè l’astratta possibilità di un esito favorevole, di cui può essere richiesto il ristoro o mediante la ripetizione dell’occasione perduta o, come nel caso che occupa, per equivalente monetario (Consiglio Stato, Sezione VI, 5 dicembre 2005, n. 6990).

Il danno da perdita di “chance” va invero tenuto distinto da quello derivante da mancata promozione; in quest’ultimo caso, il dipendente che agisca per il risarcimento deve provare sia l’illegittimità della procedura concorsuale sia il fatto che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell’elenco dei promossi, mentre nel danno da perdita di “chance”, sul presupposto della irrimediabilità di tale perdita, in ragione dell’irripetibilità della procedura con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quella ritenuta illegittima, fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile.

Ne consegue che, mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente in pieno con la perdita dei vantaggi connessi alla superiore qualifica (non solo di natura economica, ma anche normativa), il danno da perdita di “chance” può solo commisurarsi, ma non identificarsi, nella perdita di quei vantaggi, in ragione del grado di probabilità – esistente al momento della esclusione – di conseguire la promozione (Cassazione civile, sez. lav., 18 gennaio 2006, n. 852).

Ovviamente se la esclusione non sia illegittima tale probabilità è del tutto insussistente, atteso che il pregiudizio connesso alla perdita di “chance” non può che derivare dalla perdita dell’occasione di vincere un concorso per effetto dell’illegittima selezione di un altro concorrente, o della propria indebita esclusione dal procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 15 febbraio 2005, n. 478).

3.- Tanto premesso va considerato che nel caso che occupa l’appello non è suscettibile di positiva valutazione stante la insussistenza del sopra indicato fondamentale presupposto per il risarcimento della perdita di “chance” costituito dalla illegittimità della esclusione della ricorrente, che esclude in radice la sussistenza, pure se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo della probabilità, di alcuna possibilità che avrebbe avuto la ricorrente di conseguire la qualifica dirigenziale cui aspirava.

3.1.- La Sezione non ritiene invero fondate le censure formulate con il secondo motivo del ricorso in appello, volte a dimostrare la erroneità della tesi che la ricorrente non fosse in possesso della qualifica immediatamente inferiore alla qualifica dirigenziale (perché rientrava nelle categorie previste in via alternativa dal bando), e che fosse stata illegittimamente esclusa dal concorso di cui trattasi, e la conseguente sussistenza sia del danno ingiusto (in quanto la ricorrente, essendo tre i candidati ammessi alla partecipazione al concorso, aveva 25% di probabilità di vincere) che della condotta colposa dell’Amministrazione.

Sostiene la deducente di essere titolare del requisito professionale richiesto dall’art. 1, II c., lettera h) del bando di gara perché il requisito di cinque anni di lavoro corrispondenti, per contenuto, alle funzioni della qualifica immediatamente inferiore alla qualifica dirigenziale dovrebbe intendersi, contrariamente a quanto ritenuto nella impugnata sentenza, sussistente in presenza di svolgimento di funzioni corrispondenti a quelle proprie di detta qualifica, atteso che la locuzione “per contenuto” chiarirebbe che l’identificazione del profilo professionale del candidato doveva avvenire in base al dato sostanziale, sicché, pur essendo formalmente inquadrata nella VI categoria del CCNL Metalmeccanici (inferiore alla VII, corrispondente all’area quadri), la dipendente avrebbe svolto nel quinquennio attività riconducibile a quella immediatamente inferiore alla qualifica dirigenziale.

Il Tribunale, oltre ad aver frainteso il tenore letterale della clausola facendo meccanico riferimento alla qualifica posseduta, avrebbe anche errato nel valutare le specifiche funzioni svolte dall’appellante, in base ad apodittiche argomentazioni.

Aggiunge l’appellante che comunque sarebbe in possesso del requisito alternativo previsto dal bando di cinque anni di comprovato esercizio professionale correlato al titolo di studio richiesto, inerendo l’esercizio quinquennale della professione dalla stessa svolta al titolo di studio richiesto (diploma di laurea in informatica).

Né potrebbe obiettarsi che il requisito da ultimo indicato possa riferirsi solo al libero professionista, perché, a prescindere dalla circostanza che la sentenza impugnata non ha motivato in proposito, la clausola del bando sotto tale aspetto sarebbe assolutamente generica e, comunque, razionalmente interpretabile nel senso che se fosse interpretabile nel senso sopra indicato non sarebbe spiegabile perché, non richiedendo l’attività di informatico alcuna abilitazione post laurea, dovrebbe essere ritenuto idoneo a partecipare al concorso de quo chi ha svolto la attività collaborando dall’esterno con aziende e non chi abbia svolto la medesima attività alle dipendenze delle stesse. Comunque, se la disposizione fosse equivoca, avrebbe dovuto essere interpretata nel senso di favorire la partecipazione di quanti più candidati possibile al concorso di cui trattasi.

3.2.- Osserva il Collegio che il T.A.R. ha al riguardo in particolare evidenziato che la ricorrente, titolare del diploma di laurea in informatica, ha documentato di aver prestato servizio nei termini di seguito indicati: a) Alle dipendenze della IBM S.p.a. dal 13.11.89. In particolare: 1) dall’1.1.92 in qualità di responsabile delle attività commerciali per il mercato degli Enti locali della Puglia, promuovendo alleanze con le principali software house operanti nel Settore Pubblico; 2) dall’1.11.93 in qualità di responsabile relazioni commerciali dei clienti afferenti al mondo dei trasporti con particolare riguardo alla ******à Aeroporti di Roma ed alla compagnia Alitalia; 3) dall’1.1.95, nell’ambito della Travel Industry, in qualità di responsabile commerciale di tutti gli aeroporti italiani, svolgendo attività di coordinamento delle funzioni tecniche IBM nelle diverse aree dei rapporti con il cliente istituzionale.

b) Dall’ 1.09.1995 alle dipendenze della Oracle S.p.a. – divisione Italia, in qualità di account manager nella Direzione Commerciale Centro-Sud.

Alla stregua della domanda di partecipazione proposta dalla ricorrente, relativamente ai contenuti professionali dell’attività svolta il T.A.R. ha sostenuto che dall’esame del curriculum professionale non si evincevano elementi di favorevole valutazione nel senso preteso dalla ricorrente, che non aveva provato che l’esperienza di servizio di cinque anni fosse stata prestata in posizioni di lavoro corrispondenti per contenuto alle funzioni della qualifica immediatamente inferiore alla qualifica dirigenziale, in particolare con riferimento al servizio prestato presso la società IBM S.p.a. dal 13.11.89 al 12.07.95, nell’ambito del quale, come da dichiarazione della IBM SEMEA s.p.a., la ricorrente è stata dipendente della società dal 13.11.89 al 12.07.95 con qualifica di impiegato di 6^ cat. (contratto metalmeccanici).

Il Giudice di prime cure ha comparato la declaratoria della sesta categoria del CCNL metalmeccanici (che include “…lavoratori, sia tecnici che amministrativi che, con specifica collaborazione svolgono funzioni direttive o che richiedono particolare preparazione e capacità professionale, con discrezionalità di poteri e con facoltà di decisione ed autonomia di iniziativa nei imiti delle sole direttive generali loro impartite”) con la declaratoria della 7^ categoria del medesimo CCNL (nella quale sono inclusi “i lavoratori che svolgono con carattere di continuità, con un grado elevato di capacità gestionale, organizzativa, professionale, funzioni organizzativamente articolate di rilevante importanza e responsabilità, ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obbiettivi dell’impresa, per attività di coordinamento e gestione, e/o ricerca e progettazione, in settori fondamentali dell’impresa, fornendo contributi qualificati per la definizione degli obiettivi dell’impresa”).

Tanto è stato ritenuto che dimostrasse pienamente come nel contratto metalmeccanici la qualifica immediatamente inferiore a quella era la settima categoria e non già la sesta, come a conoscenza della ricorrente che, per ovviare a tanto, ha prodotto dichiarazione “interpretativa” ed è stato ritenuto idoneo a comportare la reiezione della domanda, tenuto conto che il curriculum redatto e prodotto dalla ricorrente non è idoneo a dare contezza del possesso del requisito richiesto (atteso che, peraltro, funzioni di responsabilità e di coordinamento, ovviamente entro l’ambito più limitato delle direttive generali impartite, sono proprie anche del mansionario della sesta categoria del CCNL di riferimento).

3.3.- Rileva la Sezione con riguardo alle censure formulate nel ricorso in appello avverso detta sentenza che il bando di concorso di che trattasi, all’articolo 2, lett. H, richiedeva ai fini della partecipazione “…possesso di esperienza di servizio adeguatamente documentata di cinque anni cumulabili nella Pubblica Amministrazione, Enti di diritto pubblico, Aziende pubbliche o private in posizione dirigenziale ovvero in posizioni di lavoro corrispondenti, per contenuto, alle funzioni della qualifica immediatamente inferiore alla qualifica dirigenziale, ovvero di cinque anni di comprovato esercizio professionale correlato al titolo di studio richiesto”; tale requisito doveva essere posseduto alla scadenza del termine per la presentazione delle domande, cioè il 3 aprile 1997.

La locuzione “per contenuto” non si ritiene che possa interpretarsi nel senso, prospettato con l’atto di appello, che l’identificazione del profilo professionale del candidato doveva avvenire in base al dato sostanziale ed il requisito poteva sussistere quindi anche in presenza del mero svolgimento di funzioni corrispondenti a quelle proprie di detta qualifica, anche in assenza del relativo inquadramento.

A tanto osta, infatti, la consolidata e condivisibile giurisprudenza affermativa dell’assoluta sterilità di effetti giuridici delle mansioni superiori di fatto svolte che, così come non consentono il superiore, formale inquadramento, così non possono logicamente essere assunte a fondamento del requisito concorsuale legato esplicitamente al dato formale dell’inquadramento in determinate qualifiche, atteso che, se potesse essere condivisa la tesi della appellante, irrazionalmente tra i requisiti l’Amministrazione avrebbe previsto lo svolgimento di servizio in posizione dirigenziale (quindi con formale inquadramento in essa e non di fatto) e invece, nell’estendere il requisito anche al personale di qualifica immediatamente inferiore a quella, avrebbe addirittura consentito l’ulteriore estensione di esso requisito anche a coloro che di fatto avessero esercitato le relative mansioni senza il relativo inquadramento, con evidente disparità di trattamento ed intrinseca irrazionalità di una siffatta previsione.

La clausola de qua è stata quindi correttamente interpretata dal T.A.R., che, in assenza di inquadramento della appellante in qualifica immediatamente inferiore a quella dirigenziale, ha confermato la disposta esclusione della suddetta dal concorso de quo.

Quanto alla censura che il Giudice di prime cure avrebbe fatto meccanico riferimento alla qualifica posseduta, errando nel valutare le specifiche funzioni svolte dall’appellante, in base ad apodittiche argomentazioni, la censura è, oltre che generica, smentita dalla puntuale disamina contenuta nella sentenza delle funzioni proprie della qualifica posseduta dalla attuale appellante in relazione a quelle proprie dei dirigenti.

Neppure possono condividersi le censure affermanti il possesso da parte della dipendente di cui trattasi del requisito alternativo previsto dal bando di cinque anni di comprovato esercizio professionale correlato al titolo di studio richiesto, (diploma di laurea in informatica), nell’assunto che tale requisito non poteva riferirsi solo al libero professionista, perché, a prescindere dalla circostanza che la sentenza impugnata non ha motivato in proposito, la clausola del bando sotto tale aspetto sarebbe assolutamente generica e comunque razionalmente interpretabile nel senso sostenuto dalla appellante, perché, viceversa, non sarebbe spiegabile per quali motivi, non richiedendo l’attività di informatico alcuna abilitazione post laurea, dovrebbe essere ritenuto idoneo a partecipare al concorso de quo chi ha svolto la attività collaborando dall’esterno con aziende e non chi abbia svolto la medesima attività alle dipendenze delle stesse.

La Sezione non condivide tale tesi, essendo innegabile la diversità dei profili di esperienza professionale riconducibili alle due specie del medesimo genere dell’attività, quella espletata ad esclusivo beneficio dell’ente di dipendenza e quella svolta in qualità di libero professionista che opera sul libero mercato di tali prestazioni, diversità che risulta del resto esser stata presa in considerazione dal bando, lì dove, per l’appunto, viene ammesso un duplice, alternativo percorso di esperienza idoneo come requisito di ammissione al concorso, sull’evidente presupposto della normale non cumulabilità e della infungibilità di tali alternative strade.

Tanto esclude anche che la disposizione fosse equivoca, sicché è inapplicabile al caso di specie il principio del “favor partecipationis”.

4.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata, come da motivazione, la prima decisione.

5.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello.

 

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2010 con l’intervento dei Signori:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

***********************, Consigliere

Marco Lipari, Consigliere

Nicola Russo, Consigliere

Antonio Amicuzzi, ***********, Estensore

 

L’ESTENSORE               IL PRESIDENTE

 

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/12/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

Lazzini Sonia

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