Il danno da mancato godimento del bene occupato illegittimamente e l’applicazione analogica dell’art 42 bis comma 3

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Qualora a seguito di occupazione sine titulo  l’ente espropriante restituisca il bene al proprietario privato, quest’ultimo potrà procedere a richiedere il risarcimento dei danni patiti a seguito dell’illegittima occupazione. Nello specifico il proprietario avrà diritto a far valere in giudizio ogni fonte di danno che sarà in grado di allegare che possa ritenersi conseguenza immediata e diretta dell’attività illecita posta in esse dalla P.A..

Per quanto attiene le voci di danno dipendenti dall’esclusivo mancato godimento del bene, non può più essere applicato quale criterio comparativo il valore del cinque per cento del valore venale del bene, previsto dall’art. 42 bis, comma 3, del D.P.R. 327/2001. Secondo quanto statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2020, l’art. 42 bis, comma 3, rappresenta una norma di carattere speciale, non applicabile analogicamente nell’ipotesi in cui l’autorità espropriante non abbia emesso il relativo provvedimento di acquisizione sanante. Conseguentemente, è stato chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 4709/2020, che al proprietario cui è stato restituito il bene successivamente all’occupazione sine titulo, che non alleghi altre fonti di danno, potrà essere riconosciuto un risarcimento del danno per il solo mancato godimento del bene, calcolato in via equitativa, tenuto conto delle singole vicende che hanno caratterizzato le fasi dell’esproprio e dell’occupazione illegittima.

L’esproprio per pubblica utilità e il concetto di “giusto indennizzo”

Secondo quanto previsto dall’art. 42 della Costituzione, la proprietà è un diritto reale, pubblico o privato, che consente al titolare di godere liberamente della cosa, garantendone piena tutela nei modi previsti dalla Legge.

L’ordinamento, altresì, riconosce alla Pubblica Amministrazione il potere di incidere negativamente sulla sfera giuridica del privato, limitando o estinguendo tale diritto, qualora sussista un “interesse generale”.

In particolare, l’art. 834 c.c. statuisce che può essere esercitata una limitazione totale o parziale del diritto di proprietà qualora venga dichiarata legalmente l’esistenza di un pubblico interesse, contemperando l’interesse privatistico con quello della collettività.

Tale interesse viene generalmente fatto coincidere con la realizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata.

Di tal ché la Pubblica Amministrazione, nel disciplinare le attività di trasformazione del territorio per mezzo di strumenti di controllo e indirizzo dello sviluppo urbanistico – quali il piano regolatore generale e i piani particolareggiati – individua le aree destinatarie di detti interventi con conseguente limitazione del diritto di proprietà.

Tuttavia l’esercizio del potere ablatorio è vincolato al rispetto di specifiche procedure codificate, oggi, nel D.P.R. 327/2001; ciò consente uno stringente controllo dell’attività della P.A. in ossequio alla riserva di legge posta dall’art. 42 comma 3 Cost.

Quale contropartita della cennata limitazione del diritto di proprietà, il Legislatore ha dato applicazione alla previsione contenuta nella Carta Costituzionale, riconoscendo al destinatario dell’atto ablatorio un intervento economico di parziale reintegra della condizione patrimoniale del privato, alterata dall’esproprio.

Deve, dunque, consistere “in una somma di denaro che si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene”, non simbolica ed adeguata (cfr. sent. Corte Costituzionale n. 348/2007).

Il D.P.R. 327/2001 e i criteri per determinare l’ammontare dell’indennizzo

Il Testo Unico Espropri (DPR 327/2001) costituisce una fonte di coordinamento del sistema delle procedure espropriative, dettando un procedimento specifico per ogni tipologia di intervento espropriativo.

Per ragioni espositive, si tralasciano le procedure di cui agli art. 46 e ss. del T.U., procedendo all’analisi della disciplina di cui all’art. 8 e ss del D.P.R. 327/2001.

Nel modello tipizzato dal Legislatore, sono individuabili quattro fasi procedimentali così identificabili:

  1. Apposizione del vincolo preordinato all’esproprio: la P.A. provvede ad individuare il luogo interessato dalla realizzazione dell’opera pubblica, con conseguente approvazione del piano urbanistico, localizzando le aree da espropriare;
  2. Dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare;
  3. Determinazione dell’indennità di esproprio: consistente in un subprocedimento di cui si dirà a breve;
  4. Emanazione del decreto di esproprio: provvedimento per mezzo del quale viene prodotto l’effetto di trasferimento del diritto di proprietà nella sfera giuridica della P.A. a cui deve seguire l’immissione nel possesso del bene.

Per quanto qui di diretto interesse, la subprocedura di determinazione dell’ammontare dell’indennizzo rappresenta una fase autonoma rispetto alla procedura di esproprio.

Essa è contraddistinta dal contraddittorio con la parte espropianda e si articola in due distinte fasi, a seconda che il proprietario accetti o meno la proposta di indennità avanzata dalla P.A.

Ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 327/2001, successivamente alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare, il soggetto espropriante formula e notifica una proposta di indennizzo nei confronti della quale è ammesso presentare osservazioni e documentazione.

Decorsi trenta giorni dalla determinazione provvisoria dell’indennità, qualora il proprietario non manifesti il proprio assenso, la somma si intende non concordata e l’autorità espropriante ne dispone il deposito, entro trenta giorni, presso la Cassa depositi e prestiti.

La mancata accettazione dell’indennità apre la fase di determinazione definitiva, prevista dal successivo art. 21 del D.P.R. 327/2001.

Detta norma disciplina dettagliatamente il procedimento di stima dell’indennità da parte della speciale commissione provinciale per le espropriazioni, tenendo fede alle indicazioni di cui agli art 37 e ss. del testo normativo.

Di seguito si indicano alcuni esempi di stima dell’indennità in ragione della tipologia del bene espropriato:

  • Qualora si tratti di bene ricadente in area edificabile, l’indennità è determinata nel valore venale del bene (con eventuale riduzione del 25% qualora vengano realizzati interventi di natura economico-sociale);
  • Se l’opera espropriata è abusiva, viene calcolato il solo valore dell’area di sedime (art. 38);
  • Ove l’esproprio riguardi aree non edificabili trova applicazione il criterio del valore agricolo, con riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo.

Il riparto di giurisdizione in materia di esproprio

Sul punto vige il generale principio del criterio di riparto “per materia” di cui all’art. 133 c.p.a., restando devolute al Giudice Amministrativo le controversie inerenti agli “atti” della Pubblica Amministrazione, identificabili quale esercizio di un potere pubblico.

Al contrario, l’art. 29 del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 ha espressamente istituito la giurisdizione esclusiva della Corte d’Appello del distretto ove insiste il bene espropriato con riferimento alle opposizioni alla stima dell’indennizzo in ambito espropriativo.

In tal caso l’opposizione va proposta, nelle forme del rito sommario di cognizione e a pena di inammissibilità, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio.

Il ricorso deve essere notificato all’autorità   espropriante, al promotore dell’espropriazione e, se  del  caso,  al   beneficiario dell’espropriazione, se attore è il proprietario  del  bene,  ovvero all’autorità espropriante e al proprietario del bene, se  attore  è il promotore dell’espropriazione. Il ricorso è notificato anche al concessionario dell’opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell’indennità. 

L’occupazione illegittima da parte della P.A. e il risarcimento del danno

Le stringenti norme sul procedimento amministrativo, come si è detto, consentono di esercitare un controllo sulla legittimità dell’operato della Pubblica Amministrazione nelle fasi di esercizio del potere ablativo.

Non di rado, infatti, accade che il soggetto espropriante – per ragioni d’urgenza – provveda ad occupare anticipatamente il bene del privato onde procedere ad una, per quanto possibile, celere realizzazione dell’opera d’interesse pubblico.

Al rigido formalismo dei provvedimenti amministrativi, dunque, sopperiscono le esigenze di urgenza che – secondo quanto previsto dalla normativa di settore – trovano tutela nel bilanciamento di reciproci interessi, deferendo ad un momento successivo l’adozione degli atti necessari per la corretta esecuzione dell’esproprio.

Bisogna, tuttavia, comprendere quali siano le conseguenze scaturenti da occupazioni connesse a procedimenti di esproprio non conclusisi con le modalità previste dal legislatore.

Detto in altri termini, il proprietario privato del godimento del bene ha diritto alla refusione dei danni subiti per illegittima compressione del diritto di proprietà? E, più specificatamente, la corresponsione del “giusto indennizzo” – così come quantificato normativamente – può essere considerata integralmente satisfattiva di ogni conseguenza negativa futura?

La Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato hanno sempre ritenuto risarcibili i danni patiti dal proprietario in ipotesi di procedure espropriative che, avendo comportato la compressione della facoltà di godimento del bene, non siano stati conclusi ovvero si siano conclusi con atti amministrativi annullati per illegittimità dei medesimi.

A tal fine, è lo stesso Legislatore a prevedere specifiche modalità di ristoro del pregiudizio subito a seconda della fattispecie concreta posta in essere dalla Pubblica amministrazione:

  • Nell’ipotesi in cui il fondo sia occupato anteriormente al conseguimento del titolo di proprietà da parte dell’ente espropriante, ai sensi dell’art. 50 comma 1, il proprietario avrà diritto al riconoscimento di una somma di denaro per il periodo di occupazione sine titulo;
  • Qualora l’occupazione senza titolo sia seguita dall’emanazione di un atto di acquisizione sanante da parte della P.A., troverà applicazione la disciplina di cui all’art. 42 bis, comma 3, del D.P.R. 327/2001.

Cosa accade, tuttavia, qualora l’amministrazione, successivamente all’occupazione del bene del privato non completi le procedure di esproprio e restituisca l’area al legittimo proprietario? Il danno patito è in re ipsa per il solo fatto di aver perduto temporaneamente il godimento del bene ovvero deve essere allegato e provato dalla parte che si ritiene danneggiata? Può essere applicato in via analogica il paramento di cui all’art. 42 bis, comma 3 del DPR 327/2001.

Un primo orientamento giurisprudenziale riteneva applicabile il criterio del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, utilizzando il medesimo parametro fornito dal legislatore in caso di acquisizione sanante, per mezzo di un’operazione di valutazione equitativa ex art. 2056 e 1226 c.c.

Tuttavia detto principio è stato smentito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ove è stato chiarito che l’art. 42 bis comma 3 rappresenta una “fattispecie normativa di diritto amministrativo settoriale in materia espropriativa, quale tassativamente predeterminata dal legislatore” (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 20 gennaio 2020, n. 4).

In assenza di una specifica disciplina, il proprietario che si limiti ad allegare la lesione del godimento del bene, senza ulteriori danni, avrà diritto ad un risarcimento?

Secondo la pronuncia del Consiglio di Stato 23 luglio 2020, n. 4709, il giudice amministrativo dovrà tenere conto delle circostanze salienti relative al singolo caso di specie, procedendo ad una liquidazione del danno da mancato godimento utilizzando criteri equitativi.

Da ciò ne discende che in caso di occupazione senza titolo poi seguita dalla restituzione, troveranno applicazione i criteri di cui all’art. 2043, 2056 e 1226 c.c. in sede di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133 del codice del processo amministrativo.

Considerazioni conclusive

Il proprietario del fondo occupato illegittimamente dalla pubblica amministrazione, salvo prova del maggiore danno subito, potrà ottenere il risarcimento del danno derivante dal mancato godimento del bene, valutato in via equitativa in ragione delle singole vicende che hanno caratterizzato la fattispecie oggetto di giudizio.

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Cons. Stato Sez. IV, Sent 23 luglio 2020, n. 4709

Ravvisata l’inapplicabilità in via automatica dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri – da riservarsi dunque ai casi da esso disciplinati – ritiene il Collegio che, per la quantificazione del danno, in difetto di una prova più puntuale sulle poste negative legate al mero mancato godimento dell’immobile, possa farsi applicazione di altri criteri equitativi. Nel compiere tale valutazione, il giudice amministrativo deve tenere conto delle circostanze salienti relative al caso di specie, come emergenti dalle allegazioni delle parti e dagli atti di causa, così da liquidare un danno, che rispecchi, nella misura maggiore possibile, il pregiudizio economico sofferto.

Cons. Stato Ad. Plen. N. 4/2020

All’interprete non è consentito più di ricorrere all’analogia iuris per integrare la fattispecie normativa di diritto amministrativo settoriale in materia espropriativa, quale tassativamente predeterminata dal legislatore

Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 8 ottobre 2019) 6 novembre 2019, n. 7559

Occorre distinguere tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, secondo una linea di discrimine che ha un preciso fondamento costituzionale, in quanto l’art. 42 Cost. prevede separatamente l’espropriazione (terzo comma) e i limiti che la legge può imporre alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale (secondo comma). Per meglio dire, i vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata.

Cons. St. Sez. IV, Sent., (ud. 09/05/2019) 13-08-2019 n. 5703

La condotta materiale di apprensione da parte dell’Amministrazione, pur ove protratta nel tempo ed accompagnata dall’irreversibile trasformazione del bene, non ha strutturalmente (recte, ontologicamente) idoneità ad incidere sul regime proprietario del cespite

Cass. Civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15111

Il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente “in re ipsa” e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo peraltro pur sempre avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti

Cass. Civ., sez. III, 25 maggio 2018, n. 13071

l danno derivante dall’avere continuato ad occupare senza titolo un immobile, pur dopo la cessazione dell’originario contratto di comodato, non è un danno in re ipsa, ma un danno conseguenza che deve essere allegato e provato da parte del proprietario, ad esempio mediante la dimostrazione della sua intenzione concreta di concederlo in locazione durante tale periodo, ovvero mediante la dimostrazione di avere sostenuto spese che altrimenti non avrebbe dovuto affrontare per risiedere egli stesso durante tale periodo in un altro immobile, ovvero ancora mediante la dimostrazione di avere avuto concreta intenzione nel frattempo di venderlo.

Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2018 n. 2670

Spetta, inoltre, agli appellanti il risarcimento del danno causato dall’illegittima detenzione delle aree da parte del Comune, ovviamente per la porzione del terreno effettivamente occupata. Tale danno deve coprire il solo valore d’uso del bene dal momento della sua illegittima occupazione, cioè dal momento della scadenza del provvedimento di occupazione d’urgenza (cfr. art. 20 della legge n. 865 del 1971), e fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, ovvero fino alla restituzione dell’area o al suo legittimo acquisto, confluendo peraltro in tale ultima ipotesi la posta risarcitoria, in senso lato, nell’indennizzo dovuto per l’acquisizione sanante (cfr. comma 3 del citato art. 42 bis, comma 3 del d.P.R. n. 327 del 2001).
Tale valore d’uso può quantificarsi, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell’interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore con il citato comma 3 dell’art. 42 bis, oltre gli interessi legali”.

Giovanni Valenti

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