Il Consiglio di Stato non ammette la rinuncia abdicativa nella materia dell’espropriazione per pubblica utilità

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Dottrina e Giurisprudenza si sono a lungo interrogate sulla possibilità di riconoscere la rinuncia abdicativa nell’atto di proposizione in giudizio della richiesta di risarcimento del danno per perdita della proprietà illecitamente occupata dalla P.A. in seguito all’irreversibile trasformazione del fondo occupato.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non condivide la possibilità di configurare la rinuncia abdicativa, trattandosi di un istituto privo di uno specifico fondamento normativo nell’ambito della materia delle espropriazioni per p.u.

Il principio di diritto enunciato dalla sentenza n. 2 del 20/01/2020 è il seguente:

“[…] per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis TUEs., l’illecito permanente dell’Autorità viene meno nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva e la rinuncia abdicativa non può essere ravvisata.” 

La rinuncia abdicativa nel giudizio civile

La rinuncia abdicativa è un negozio giuridico unilaterale non recettizio che consente al titolare di una facoltà di legge di rinunciarvi, senza con ciò trasferire tale diritto ad un altro soggetto.

Tale negozio giuridico unilaterale, pur essendo riconducibile alle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c. e, precisamente, alle obbligazioni derivanti “da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, non risulta disciplinato da alcuna specifica norma di legge.

Tuttavia, la prevalente dottrina è concorde nel riconoscerne l’ammissibilità, così come la S.C. di Cassazione ne ha più volte confermato la validità nel diritto civile.

Anche nella materia degli espropri, la rinuncia abdicativa è stata ammessa dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, per i casi devoluti alla giurisdizione del giudice civile, nei giudizi instaurati prima della entrata in vigore della legge n. 205 del 2000, che ha previsto la giurisdizione amministrativa esclusiva.

Favorevole alla rinuncia abdicativa è stata anche la sentenza Cass. civ., Sez. Un., n. 3517-2019, resa in materia di impugnazione di un atto di asservimento coattivo in sanatoria ex art. 42-bis T.U. espropriazione ha richiamato la rinuncia abdicativa al fine di consentire una ‘via d’uscita’ le controversie devolute al giudice civile dopo che la Corte Europea aveva segnalato la necessità del superamento della prassi della espropriazione indiretta.

La rinuncia abdicativa non sembra contemplata nel sistema espropri

Come noto, l’articolo 42 bis prevede che l’Autorità che utilizza sine titulo un bene immobile per scopi di interesse pubblico, dopo aver valutato, con un procedimento d’ufficio, gli interessi in conflitto, adotti un provvedimento conclusivo del procedimento con cui sceglie se acquisire il bene o restituirlo, al fine di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto. In particolare, “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico” […] “può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale”.

Tale disposizione, elaborata dal legislatore all’interno dei parametri costituzionali e nel rispetto a quanto affermato dai principi europei, ha disciplinato la c.d. occupazione provvedimentale o acquisizione sanante, con cui viene attribuito alla Pubblica Amministrazione il potere di acquisire in sanatoria con atto ablativo avente effetti ex nunc.

La disciplina del procedimento espropriativo ex art. 42 bis d.P.R. n.327/2001 non sembra contemplare la rinuncia abdicativa. Pertanto, il Consiglio di Stato, V Sezione, nell’ordinanza di rimessione alla Plenaria n. 5391 del 30 luglio 2019 dubita che nel sistema previsto dal testo unico sugli espropri sia concepibile una rinuncia abdicativa. L’ordinanza, nella quale i giudici si esprimono con formula dubitativa, giunge a sostenere che la ‘rinuncia abdicativa’, salve le questioni concernenti le controversie all’esame del giudice civile, non può essere ravvisata quando sia applicabile l’art. 42 bis. L’art. 42 bis, in definitiva, avrebbe esaurito la disciplina della fattispecie, con una normativa completa ed autosufficiente, rispetto alla quale non dovrebbero rilevare prassi ulteriori, limitative dell’applicazione della legge.

Per completezza occorre evidenziare come, in passato, anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è pronunciata nel senso dell’ammissibilità della rinuncia abdicativa in materia espropriativa (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2018, n. 3105; Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 2018, n. 2396). L’orientamento favorevole evidenzia che tale linea ricostruttiva presenta, sul piano pratico, aspetti favorevoli per il privato espropriato, offrendo maggiori garanzie di compensare l’utilità perduta dallo stesso.

Si legga anche:” All’Adunanza Plenaria la configurabilità della rinuncia abdicativa davanti al giudice amministrativo”

Le Plenarie del 20/01/2020 non ammettono la rinuncia abdicativa nella materia espropriativa

Le tre Plenarie del 20/01/2020 contestano l’ammissibilità della rinuncia abdicativa nel sistema espropri.

L’Adunanza Plenaria, sentenza n.2 del 20/01/2020 ritiene che la rinuncia abdicativa nell’atto di proposizione in giudizio della richiesta di risarcimento del danno per perdita della proprietà illecitamente occupata dalla P.A. non possa essere condivisa, rilevando un triplice ordine di obiezioni.

Non idoneità a determinare l’acquisto della proprietà in capo all’Autorità espropriante

La rinuncia abdicativa potrebbe comportare astrattamente la perdita della proprietà privata.

Tuttavia, la rinuncia da parte del privato non trasla tale diritto su altri.

Pertanto, la rinuncia abdicativa non costituisce titolo idoneo per il trasferimento della proprietà in capo all’Autorità espropriante.

Mancanza delle caratteristiche dell’atto implicito

La rinuncia abdicativa viene ricostruita quale atto implicito, senza tuttavia avere le caratteristiche essenziali del provvedimento implicito ovvero la manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e la non equivocità di una specifica volontà provvedimentale.

Assenza di fondamento normativo

In particolare, la Plenaria afferma che la rinuncia abdicativa non è provvista di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato sia dalla Costituzione (art. 42 Cost.), sia dal diritto europeo.

Inoltre, ammettere la rinuncia abdicativa significherebbe reintrodurre una forma di espropriazione indiretta non contemplata dalla norma, riproducendosi una problematica analoga a quella passata relativa all’istituto della c.d. occupazione “appropriativa” o “acquisitiva”. Come noto, l’istituto, che pure rispondeva all’esigenza pratica di definire l’assetto proprietario di un bene illegittimamente occupato, risultava privo di base legale ed è stato pertanto ritenuto illegittimo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

L’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 2 del 20/01/2020 non ammette la rinuncia abdicativa nella materia degli espropri ed enuncia il seguente principio di diritto: “[…] per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis TUEs., l’illecito permanente dell’Autorità viene meno nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva e la rinuncia abdicativa non può essere ravvisata.”

L’Adunanza Plenaria, sentenza n. 3 del 20/01/2020 non ammette la rinuncia abdicativa nel sistema espropri.

Chiarisce come la scelta di acquisizione o restituzione del bene sia effettuata esclusivamente dall’Amministrazione o dal commissario ad acta nominato dal giudice. Pertanto, il compimento della scelta non spetta né al privato né al giudice.

Inoltre, precisa come una domanda solo risarcitoria, può essere accolta dal giudice, tuttavia tale accoglimento consiste necessariamente nell’accertamento della illegittimità della procedura espropriativa e nella scelta da parte del privato di uno dei rimedi dati dalla legge. Infatti, è la legge ad indicare gli effetti dell’accertata illegittimità. In tal caso non si realizza il trasferimento, ed il bene va restituito, tuttavia l’amministrazione in tal caso è tenuta, nell’esercizio di un suo dovere, di una sua funzione, a valutare se procedere alla restituzione del bene previa riduzione in pristino o ad acquisire il bene nel rispetto dei dettami dell’articolo 42 bis T.U.Es..

Il privato, pertanto, ha adeguati strumenti previsti dalla legge nel caso di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico e giunge a pronunciare il medesimo principio di diritto a cui è pervenuta la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2.

L’Adunanza Plenaria, sentenza n. 4 del 20/01/2020 negando l’ammissibilità della rinuncia abdicativa in materia espropriativa, in particolare, sottolinea come la trasposizione della figura negoziale della rinuncia abdicativa dall’ambito privatistico al settore dell’espropriazione per pubblica utilità, come rimedio per il privato spogliato del suo bene, genera a ben vedere un’irrazionalità amministrativa in quanto lascia irrisolta la questione dell’effetto acquisitivo in favore della pubblica amministrazione, non potendosi ricondurre all’articolo 827 c.c., il quale prevede l’acquisto (a titolo originario) dei beni vacanti da parte dello Stato.

Peraltro, anche la giurisprudenza a favore dell’ammissibilità della rinuncia abdicativa nella materia espropriativa, non ha individuato una soluzione in ordine all’individuazione del titulus e del modus adquirendi del diritto di proprietà in capo all’amministrazione occupante obbligata al risarcimento dei danni.

Pertanto, l’Adunanza Plenaria n. 4 del 2020 formula il seguente principio di diritto «Per le fattispecie rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 la rinuncia abdicativa del proprietario del bene occupato sine titulo dalla pubblica amministrazione, anche a non voler considerare i profili attinenti alla forma, non costituisce causa di cessazione dell’illecito permanente dell’occupazione senza titolo».

La “cristallizzazione” della centralità del ruolo dell’amministrazione nel procedimento espropriativo

In conclusione, la disciplina del procedimento espropriativo ex art. 42 bis d.P.R. n.327/2001 regola in modo tipico, esaustivo e tassativo il procedimento di composizione del contrasto tra l’interesse privato del proprietario e l’interesse generale.

Nel caso di utilizzazione senza titolo di un bene, spetta all’amministrazione il potere-dovere di eliminare la situazione di incertezza attraverso l’emissione di un provvedimento che determina la restituzione o l’acquisizione dell’immobile.

Pertanto, la scelta, la ponderazione di interessi, può avvenire soltanto attraverso il procedimento delineato dal legislatore nel T.U.Es.

Il privato può partecipare al procedimento o concludere con l’Amministrazione un contratto traslativo, ma al privato non può essere totalmente attribuita la scelta dell’acquisizione o della restituzione e neppure al giudice, tanto è vero che, anche in questo caso, è prevista la nomina di un commissario ad acta.

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Dott.ssa Laura Facondini

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