Il Comune e i suoi Collaboratori: la funzione di sostituto d’imposta

Redazione 24/01/01
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di

Gerardo Fulgione

(Istruttore amministrativo nel Comune di Bologna)

La crescente utilizzazione, da parte degli Enti Locali, e soprattutto dei Comuni, di persone fisiche non inquadrate nell’organizzazione dell’Ente, in pratica non dipendenti dello stesso, pone in primo piano la necessità di un corretto inquadramento fiscale dei compensi corrisposti a tali persone, alla luce anche degli obblighi previdenziali (introdotti con la Legge 8 agosto 1995, n.335) ed assicurativi (introdotti con il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n.38) venuti in essere a carico dei committenti.

Tale inquadramento fiscale scaturisce dalla valutazione di diversi fattori tra cui assumono un posto di rilievo sia lo “status” del collaboratore, in altre parole la sua posizione nei confronti dell’Erario e la sua situazione previdenziale, sia il tipo di incarico che viene affidato allo stesso, con particolare riferimento a caratteristiche tipo: durata, liquidazione del compenso, mansioni, utilizzazione o meno di strutture e/o materiale dell’Ente e, in linea di massima, tutti quegli elementi che identificano il tipo di rapporto che si ha con l’amministrazione.

1. Le tipologie di reddito previste dal DPR 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).

Gli artt. 47, 49 e 81 del DPR 917/1986 (T.U.I.R.) disciplinano le tipologie di reddito maggiormente coinvolte nell’ambito degli incarichi abitualmente conferiti dai Comuni, e delle relative implicazioni, a livello di imposte e di contribuzioni, bisogna tenerne conto al fine di determinare la spesa complessiva da impegnare all’atto del conferimento stesso.

1.1 Art. 47 – Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

L’art. 47 tratta dei redditi che, pur non avendo le caratteristiche dei redditi da lavoro dipendente, vengono considerati assimilati ad essi, e tra quelli elencati, appaiono di rilevante importanza quelli descritti dalle seguenti lettere:

“b) le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge devono essere riversati allo Stato;

c) le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante;

c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’articolo 46 comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente o nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’articolo 49 comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente;

[…]

f) le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni nonché i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza, ad esclusione di quelli che per legge debbono essere riversati allo Stato;

g) le indennità di cui all’art. 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, e all’art. 1 della legge 13 agosto 1979, n. 384, percepite dai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo e le indennità, comunque denominate, percepite per le cariche elettive e per le funzioni di cui agli artt. 114 e 135 della Costituzione e alla legge 27 dicembre 1985, n. 816. […]

[…]

l) i compensi percepiti dai soggetti impegnati in lavori socialmente utili in conformità a specifiche disposizioni normative”.

Riguardo ai redditi descritti dalla lettera b) va tenuto conto che essi vengono in essere solo qualora l’incarico venga conferito ad un lavoratore dipendente in relazione alle funzioni della sua qualifica ed in dipendenza del suo rapporto di lavoro e che comunque ricorrono quando lo stesso incarico viene conferito a seguito di disposizione normativa, come previsto nella Risoluzione del Ministero delle Finanze del 17/09/1996, n. 220/E.

In base alla suddetta risoluzione e ad altre precedenti, quindi, questa tipologia di reddito si produce in tutti quei casi, previsti da leggi, statuti e/o regolamenti, in cui sia prevista all’interno di un organismo collegiale la presenza di un dipendente di una amministrazione o ente, incaricato non a titolo personale, ma in relazione alla sua qualifica o mansione svolta nell’amministrazione da cui dipende.

La lettera c-bis), introdotta con la legge 21 novembre 2000, n. 342 (collegato fiscale alla finanziaria 2000), descrive quei redditi percepiti in base a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, precedentemente disciplinati dall’art. 49 del T.U.I.R.

Questi rapporti di collaborazione sono caratterizzati da elementi quali la continuità nel tempo, ovvero la permanenza del vincolo che lega il collaboratore al suo committente, il coordinamento, ovvero l’attenersi alle direttive programmatiche formulate dagli organi dell’Ente e la preminenza della prestazione personale del soggetto.

La suddetta lettera c-bis), infatti, parla di rapporto unitario e continuativo, facendo esplicito riferimento alle caratteristiche organizzative e temporali del rapporto di lavoro, in più evidenziando l’assenza del vincolo di subordinazione, requisito esclusivo del rapporto di lavoro dipendente, nonché l’esistenza di una retribuzione periodica prestabilita.

Con il passaggio sotto i redditi assimilati di questi tipi di rapporti, non é più previsto, tra gli elementi caratterizzanti il rapporto, il “contenuto intrinsecamente artistico professionale della prestazione” come figurava invece nell’abrogata lettera a) del T.U.I.R.

Gli obblighi contributivi sono previsti nella misura del 10% o del 13%, a seconda della situazione soggettiva del collaboratore, ovvero se sia già coperto da contribuzione previdenziale obbligatoria o meno, ripartiti per due terzi a carico del committente e per un terzo a carico del collaboratore stesso.

Tra le figure di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente che abitualmente ricorrono negli incarichi conferiti dal Comune figurano le borse di studio e le borse di lavoro, rientranti nella lettera c), i compensi ai componenti delle commissioni obbligatorie per legge (commissione elettorale, commissione edilizia, di concorso, per l’aggiudicazione di appalti e forniture, …), rientranti, a seconda che l’incarico sia attribuito in relazione alla qualità di lavoratore dipendente o no, nella lettera b) o f), nonché le indennità di funzione per gli amministratori locali, come da art. 82 della legge 18 agosto 2000, n.267.

Una certa attenzione va prestata ai redditi da collaborazione coordinata e continuativa, essendo infatti questi ultimi, in genere definiti “non tipicizzati”, frequenti nei rapporti con il Comune.

Le tipologie di incarichi conferiti dall’Ente, in cui si manifestano le caratteristiche proprie di questi redditi, come l’unitarietà, la continuità e la retribuzione periodica prestabilita, sono piuttosto variegate, le più ricorrenti sono: incaricati per rilevazioni scientifiche e/o economiche, incaricati per supporto tecnico a staff e uffici comunali, docenti e consulenti per periodi prestabiliti, mediatori culturali, guide turistiche e/o museali, operatori di centri sociali e/o giovanili, assistenti domiciliari e nei centri estivi, etc.

In aggiunta ai suddetti occorre citare coloro che compongono gli uffici stampa, si occupano di pubbliche relazioni, nonché quelli che vengono incaricati come componenti dello staff o della segreteria del sindaco ad “intuitu personae”, in ossequio al principio dello spoil system, introdotto negli ultimi anni dalle leggi Bassanini.

Andrebbero ricompresi nelle collaborazioni coordinate e continuative anche i componenti delle commissioni e dei collegi non obbligatori per legge ed i componenti dei consigli di amministrazione delle Istituzioni (ex. Art. 114 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

Nel caso però, in cui un incaricato svolga delle mansioni rientranti nell’ambito della sua attività professionale (titolare quindi di partita IVA), va inquadrato fiscalmente come lavoratore autonomo.

Sui compensi inquadrati come redditi assimilati al lavoro dipendente deve essere operata una ritenuta d’acconto[1] sulla parte imponibile degli stessi come determinata dall’art. 48-bis del T.U.I.R. applicando le detrazioni previste dagli artt. 12 e 13 dello stesso testo unico, tale ritenuta d’acconto si opera sulla base degli scaglioni di aliquota.

Occorre però tenere presente l’enunciato del comma 3 dell’art. 47 del T.U.I.R. il quale esclude le detrazioni previste dall’art.13 per i redditi indicati dalle lettere e), f), g). h), i).

L’ultima incombenza a carico del committente rimane la comunicazione che esso deve effettuare, entro il 12 gennaio del periodo d’imposta successivo, al datore di lavoro del collaboratore che ha percepito il reddito, del totale dei compensi e delle ritenute fiscali e previdenziali effettuate.

1.2 Art. 49 – Redditi di lavoro autonomo.

L’art. 49 disciplina i redditi che derivano dall’esercizio di arti e professioni, definiti redditi da lavoro autonomo.

Occorre sottolineare che il C.C. compie una distinzione tra la figura dell’imprenditore (art. 2082 e segg.) e quella del lavoro autonomo (art. 2222 – 2230 e segg.) regolata dal contratto d’opera o d’opera intellettuale.

Questa distinzione produce una differente classificazione reddituale a seconda che un soggetto figuri imprenditore o lavoratore autonomo, con le relative implicazioni fiscali e previdenziali, poiché nel caso in cui un soggetto sia un imprenditore non si opera nessuna ritenuta d’acconto né si configura la possibilità di poter addebitare al committente una parte del contributo previdenziale a cui sarebbe soggetto l’imprenditore.

Non è sempre agevole, però, fare una netta distinzione tra le due figure professionali e di conseguenza operare un netto inquadramento fiscale, poiché vi sono delle attività che possono essere svolte sia in regime d’impresa che in quello di lavoratore autonomo.

E’ frequente, infatti, che nella vita amministrativa del Comune si conferiscano incarichi a figure professionali come fotografi (abitualmente utilizzati in occasione di feste, o per la realizzazione di cataloghi, mostre fotografiche, pubblicazioni, etc.) o come grafici (spesso impiegati per produrre loghi, locandine, depliant pubblicitari, etc.), e, in tempi recenti, ci si è trovati di fronte a figure nuove come i cosiddetti “webmasters” (coloro che si occupano della creazione e della manutenzione di siti web) la cui utilizzazione previo affidamento di incarico tende ad essere sempre più ricorrente, vista l’importanza sempre crescente dell’uso dei siti web da parte dei Comuni e la carenza di personale in possesso di specificità professionali adeguate all’interno degli stessi.

Ebbene, le attività esercitate dai soggetti precedentemente menzionati vengono comunemente svolte da società o aziende individuali, ma non è infrequente trovarsi di fronte a dei professionisti che svolgono tali attività in regime di lavoro autonomo.

Ritornando all’art. 49, esso afferma che:

“1. Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’art. 5.

2. Sono inoltre redditi di lavoro autonomo:

[…]

b) i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali;

[…]”

Dall’enunciato dell’articolo si pongono in evidenza i requisiti della professionalità e dell’abitualità.

Il requisito della professionalità si realizza quando un soggetto compie una pluralità di prestazioni finalizzate allo svolgimento di un’attività economica, mentre quello dell’abitualità si realizza quando l’attività stessa viene svolta con regolarità e stabilità.

E’ da tenere in evidenza che, per poter qualificare l’attività come professionale, non é necessaria l’iscrizione ad albi professionali o ordini, per cui sono da considerare lavoratori autonomi anche coloro che svolgono tali attività, in cui figurino in ogni caso i requisiti di professionalità ed abitualità, in mancanza di apposita iscrizione.

I titolari di redditi di lavoro autonomo, di cui al primo comma dell’art. 49 sono soggetti passivi IVA, come si evince dall’art. 5 del DPR 633/1972, pertanto devono possedere una Partita IVA.

Per quanto riguarda le attività del Comune, quando si conferiscono incarichi a titolari di Partita IVA, bisogna considerare nella spesa complessiva l’importo dell’IVA (se prevista), a carico del Comune stesso in quanto consumatore finale.

La prestazione, però, non rientra nel campo di applicazione dell’IVA qualora il professionista venga inquadrato in un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, qualora cioè venga incaricato per lo svolgimento di un’attività non rientrante tra le sue abituali (basti pensare, ad esempio, a un avvocato chiamato a partecipare, per qualsiasi motivo, ad un convegno sull’arte……).

Anche le tipologie di redditi da lavoro autonomo sono molto frequenti negli incarichi conferiti dai Comuni, a titolo esemplificativo é utile ricordare: ingegneri ed architetti (incaricati per lavori di restauro, collaudo, interventi di recupero edilizio, ….), avvocati (per rappresentanza dell’Ente nei procedimenti giudiziari..), medici (per verifica delle condizioni sanitarie nei centri di prima accoglienza, case di riposo, orfanotrofi, visite mediche per personale dipendente,….), psicologi (per formazione e/o selezione del personale,….), pedagoghi (coordinamento del personale insegnante di scuole elementari e nidi d’infanzia,….), dottori commercialisti (per analisi economiche e consulenze in materia fiscale,….).

Sui compensi inquadrati come redditi da lavoro autonomo va operata una ritenuta[2] a titolo di acconto nella misura del 20%. Il professionista ha a sua volta la facoltà di addebitare al committente la rivalsa del contributo previdenziale, nella misura del 4% se iscritto alla Gestione Separata INPS (in tal caso l’importo del contributo è imponibile IRPEF), oppure nella misura del 2% se iscritto ad una Cassa Nazionale di Previdenza (in tal caso l’importo del contributo non è imponibile IRPEF).

1.3 Art. 81 – Redditi diversi (attività non esercitate abitualmente).

L’art. 81 disciplina i redditi diversi, una categoria residuale in cui compaiono quei redditi che non rientrano tra quelli di capitale, da lavoro dipendente ed assimilato e da lavoro autonomo.

Della elencazione dei tipi di reddito, che scaturisce dalla lettura dell’articolo, vanno evidenziate le segg. lettere:

“[…]

i) i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente;

l) i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere;

[…]”.

La fattispecie descritta dalla lettera i) ha di recente assunto rilevanza nelle attività dei Comuni grazie allo sviluppo dei servizi (autocertificazioni, estrazione e vendita di carte topografiche, …) via Internet resi dagli stessi.

L’utilizzazione di banners pubblicitari nei siti, infatti, può consentire agli Enti introiti tali da coprire, almeno parzialmente, le spese per la creazione e la gestione dei siti stessi, pertanto tali introiti sarebbero da considerare delle attività commerciali occasionali, descritte per l’appunto dalla lettera i) dell’art.81, e di conseguenza non soggette a ritenuta d’acconto.

Riguardo le tipologie di reddito descritte dalla lettera l), va distinta l’attività di lavoro autonomo occasionale da quella delle obbligazioni di fare, non fare o permettere.

La prima tipologia presuppone il requisito della professionalità ma non quello dell’abitualità, intesa come il ripetersi, nel tempo, di una serie di prestazioni non singole, ma tra di loro coordinate e rientranti in una serie di attività programmate dal committente.

Va considerata occasionale, dunque, una prestazione episodica, saltuaria, svolta in piena autonomia dal prestatore d’opera, ovviamente senza vincolo di subordinazione e senza l’impiego di mezzi propri.

La seconda tipologia, gli obblighi di fare, non fare o permettere, non presuppone il requisito della professionalità, e non è condizionata dalla durata nel tempo della prestazione, e precisamente, secondo la dottrina civilistica, gli obblighi di fare sono quelli che hanno per oggetto lo svolgimento di un’attività materiale, senza obbligo di risultato.

Le tipologie di incarichi che un Comune può conferire a dei lavoratori autonomi occasionali sono tra le più varie, a titolo esemplificativo si possono elencare coloro che si occupano dell’organizzazione di una manifestazione sporadica, chi é incaricato per un’operazione di traduzione o interpretariato, chi si occupa di condurre un’attività di laboratorio educativo in scuole e/o nidi d’infanzia, etc ….., se queste stesse attività non rientrano tra le sue abituali, per cui si tratterebbe di lavoro autonomo soggetto ad IVA.

Tra le attività rientranti nelle obbligazioni di fare, non fare e permettere, possiamo considerare chi si occupa di lavori di facchinaggio, della custodia di beni archeologici, di lavori di manutenzione del verde, di attività di guida turistica (per manifestazioni sporadiche).

Sui proventi da lavoro autonomo occasionale o da obbligazioni di fare, non fare o permettere, il committente è tenuto ad operare una ritenuta[3] a titolo di acconto nella misura del 20%.

2. Compensi per diritto d’autore.

La gestione, da parte di un Comune, di musei, biblioteche, cinema e teatri, nonché redazione di opuscoli e riviste, porta lo stesso a dover corrispondere di frequente dei compensi per la cessione, o la concessione di diritti di sfruttamento, relativa a beni immateriali tutelati dalle norme sul diritto d’autore.

Se l’utilizzazione economica di opere dell’ingegno avviene da parte dell’autore o dell’inventore (del brevetto, formula, articolo, libro, disegno, software, …) il reddito scaturito viene configurato come lavoro autonomo, ex art. 49 del T.U.I.R., comma 2, lettera b), ovviamente se non è conseguito nell’esercizio di imprese commerciali.

Non è però considerato requisito necessario l’abitualità di detta utilizzazione economica, per cui viene considerato lavoro autonomo anche se svolto in modo occasionale.

Qualora però, i redditi derivanti dallo sfruttamento economico di opere dell’ingegno avvenga non da parte dell’autore o inventore, ma da parte di terzi, come cessionari o eredi, tali redditi si configurano come redditi diversi, ex art. 81 del T.U.I.R., comma 1, lettera g).

Sui compensi per diritto d’autore, ridotti nella misura del 25% a titolo di deduzione forfetaria, si applica una ritenuta[4] a titolo di acconto pari al 20%.

Riguardo i vari casi di tali compensi, di frequente erogati dai Comuni, bisogna evidenziare quelli erogati a coloro che partecipano alla redazione di giornali e riviste, poiché, se l’attività consiste nello scrivere articoli in totale autonomia, allora si può parlare di riconoscimento di diritto d’autore, ma se l’attività stessa consiste in un lavoro di organizzazione della redazione, predisposizione del materiale informativo, raccolta di dati, gestione di rapporti interpersonali, correzione di bozze etc…, allora tale rapporto rientra in una collaborazione coordinata e continuativa ex art. 47 del T.U.I.R., lettera c-bis).

3. Contribuzioni.

L’attività di contribuzione, da parte degli Comuni, nei confronti di enti o imprese commerciali, è soggetta a ritenuta IRPEG a titolo di acconto nella misura del 4%, ex art. 28, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600[5].

3.1 Enti non commerciali.

Particolare attenzione va invece posta quando l’erogazione di contributi viene svolta a beneficio di enti non commerciali, associazioni ed ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale).

Per quanto riguarda gli enti non commerciali, bisogna premettere che essi sono tali (non commerciali) quando lo prevede una legge, lo statuto o l’atto costitutivo dell’ente stesso, e se tale attività (quella prevista nello statuto) è quella abitualmente esercitata.

Ai fini IRPEG non si considerano commerciali, e quindi non assoggettabili al tributo, quelle prestazioni di servizi, non rientranti nell’art. 2195 del C.C., rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente e verso un pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione.

Le associazioni, pur se considerate all’interno della categoria degli enti non commerciali, godono di un ulteriore trattamento di favore[6], in genere non è considerata commerciale l’attività che essa svolge:

· in diretta attuazione degli scopi dell’ente;

· nei confronti di soci, associati o partecipanti (somministrazione di alimenti, bevande, organizzazione di viaggi e soggiorni turistici ….);

· senza una esplicita corrispettività.

Sono considerate, però, attività commerciali, anche se effettuate a beneficio degli interessati:

· la vendita di nuovi prodotti;

· la somministrazione di pasti e la gestioni di spacci e/o mense;

· erogazione di acqua, gas o energia elettrica;

· gestione di fiere e(o esposizioni a carattere commerciale;

· pubblicità commerciale e sponsorizzazioni di qualsiasi tipo;

· telecomunicazioni a carattere commerciale.

La qualifica di ente non commerciale viene meno qualora eserciti prevalentemente attività commerciali per un intero periodo d’imposta (art. 111 bis, comma 1) del T.U.I.R.).

Ai fini della contribuzione agli enti associativi, pertanto, bisogna in primo luogo individuare le finalità per cui viene erogato il contributo e successivamente valutare le attività sopra descritte, allo scopo di applicare correttamente la ritenuta d’acconto.

3.2 ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale).

Il decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, sul riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali ha introdotto un nuovo soggetto nell’ambito della stessa categoria: le ONLUS.

Va premesso che lo stesso decreto stabilisce quelle categorie di enti che sono ONLUS di diritto e quelle che non possono essere ONLUS.

In particolare sono ONLUS di diritto:

· le organizzazioni di volontariato;

· le organizzazioni non governative;

· le cooperative sociali;

· gli enti non ecclesiastici;

· le associazioni di promozione sociale.

Non possono, invece, essere ONLUS:

· gli enti pubblici;

· le società commerciali (diverse da quelle cooperative);

· le fondazioni bancarie;

· i partiti ed i movimenti politici;

· le organizzazioni sindacali;

· le associazioni di datori di lavoro;

· le associazioni di categoria.

Possono essere ONLUS:

· le associazioni;

· i comitati;

· le fondazioni;

· le cooperative.

Le ONLUS devono redigere uno statuto in cui indicano le aree di attività, l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale, l’utilizzo della dicitura ONLUS e il divieto di svolgere attività che non siano tra quelle indicate nello statuto stesso (ad eccezione di quelle direttamente connesse alle attività istituzionali).

Sui contributi corrisposti alle ONLUS non si applica la ritenuta d’acconto IRPEG, ex art. 28, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600[7].

4. Operazioni a premio.

Qualora un Comune decida di istituire un concorso o una manifestazione, in cui sono previste vincite, entra in gioco un’altra categoria reddituale: quella dei proventi scaturiti da operazioni a premio, descritti dall’art. 81 del T.U.I.R., comma 1, lettera d).

Tali proventi sono soggetti a ritenuta[8] alla fonte a titolo di imposta, tale ritenuta, però, non si applica se il valore del premio attribuito nel periodo d’imposta al medesimo soggetto supera le Lit. 50.000.

L’aliquota della ritenuta è nella misura del 10% per premi scaturiti da lotterie, tombole etc… a favore di enti e/o comitati di beneficenza, e del 20% per premi relativi a giochi svolti durante spettacoli radiotelevisivi, competizioni sportive o manifestazioni generiche nei quali tali giochi si svolgono mediante prove di abilità da parte dei partecipanti. L’aliquota è fissata nella misura del 25% nei restanti casi.

Per quei premi, corrisposti per opere a contenuto artistico, letterario o scientifico, vi è l’esenzione dall’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta, ma la vincita ha in ogni modo natura reddituale per il percipiente, che dovrà tenerne conto in sede di dichiarazione dei redditi.

5. Soggetti non residenti.

Il conferimento di un incarico a persone fisiche straniere comporta un diverso inquadramento reddituale dei compensi, bisogna infatti tenere conto dello status fiscale del soggetto, ed in particolare modo il suo domicilio fiscale. Si considera infatti fiscalmente residente in Italia la persona straniera che permane nel territorio dello Stato per un periodo superiore i 180 giorni.

Nel caso in cui l’incaricato abbia domicilio fiscale in Italia, allora il suo inquadramento sarà identico a quello delle persone italiane (lavoro autonomo, reddito assimilato a lavoro dipendente, …), qualora invece non sia fiscalmente residente, allora il suo compenso subirà una ritenuta[9] a titolo di imposta, nella misura del 30%, e sarà esonerato dal presentare dichiarazione dei redditi (per le sole somme percepite in Italia).

La ritenuta non va operata quando il soggetto straniero, mediante presentazione di apposita documentazione, dichiara di volersi avvalere della convenzione contro la doppia imposizione stipulata tra la Repubblica Italiana ed il paese di cui il collaboratore possiede cittadinanza.

6. Casi particolari.

6.1 Revisori dei conti.

I componenti del collegio dei revisori dei conti dovrebbero essere trattati come collaboratori coordinati e continuativi, ad eccezione di coloro che, titolari di Partita IVA, svolgono all’intero del collegio stesso la loro professione abituale, o un’attività che si riconduca alla stessa, in tal caso considerati prestatori di lavoro autonomo e tenuti alla fatturazione dei compensi, assoggettati ad IVA.

A titolo esemplificativo si possono ricordare quei membri che svolgono l’attività di dottori commercialisti.

6.2 Difensore civico.

Colui che svolge la funzione di difensore civico, ove prevista, sarebbe da considerare collaboratore coordinato e continuativo, ad eccezione di chi esercita l’attività di avvocato, il quale si troverebbe a svolgere un lavoro che rientri nell’esercizio abituale della sua stessa professione.

6.3 Nonni vigili.

L’impiego di pensionati per attività di vigilanza davanti alle scuole potrebbe essere considerato obbligazione del fare, trattandosi di mera attività materiale.

Alla luce però della nuova disciplina sulle collaborazioni coordinate e continuative, che ha cancellato, tra gli elementi caratterizzanti il rapporto, il requisito “artistico professionale” della prestazione, tale attività potrebbe rientrare tra questi redditi, occorrerà pertanto valutare attentamente altri elementi, quali la durata del rapporto.

6.4 Mediatori scolastici.

L’uso di soggetti non professionisti (studenti, immigrati, …) per attività di sostegno ai portatori di handicap dovrebbe rientrare tra le obbligazioni del fare oppure tra le collaborazioni coordinate e continuative, valutando con attenzione altri requisiti come la durata nel tempo.

6.5 Assistenti domiciliari.

Anche le attività di assistenza domiciliare dovrebbero essere delle collaborazioni coordinate e continuative, essendo improbabile che si svolgano in un’unica, sporadica prestazione.

[1] Vedi art. 24 del D.P.R. 19 settembre 1973, n. 600 – (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).

[2] Vedi art. 25 del D.P.R. 19 settembre 1973, n. 600 – (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).

[3] Vedi art. 25 del D.P.R. 19 settembre 1973, n. 600 – (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).

[4] Vedi art. 25 del D.P.R. 19 settembre 1973, n. 600 – (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).

[5] Vedasi anche la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 11/733 del 11 novembre 1991.

[6] Vedi art. 111, comma 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.)

[7] Vedi art. 16, comma 1) del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 (Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilita` sociale)

[8] Vedi art. 30 del D.P.R. 19 settembre 1973, n. 600 – (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).

[9] Vedi art. 24, comma 1-ter) del D.P.R. 19 settembre 1973, n. 600 – (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi)

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