I vizi e i gravami dell’immobile promesso in vendita

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    Indice

  1. Contratto preliminare di compravendita e vizi dell’immobile
  2. I vizi del bene venduto
  3. Valutazione della gravità dell’inadempimento
  4. Pignoramento taciuto: è grave inadempimento – i rimedi in caso di immobile con gravami
  5. La clausola di esclusione dalla garanzia contro i vizi ex art. 1490, comma 2 c.c.
  6. La responsabilità dell’agenzia immobiliare

 1. Contratto preliminare di compravendita e vizi dell’immobile

Normalmente, l’acquisto di un immobile è preceduto dalla stipula di un preliminare (cd. compromesso). Il contratto preliminare non trasferisce la proprietà dell’immobile (cioè, tecnicamente non è un contratto a effetti reali) ma crea semplicemente un obbligo: il venditore (promittente venditore) promette e si obbliga a vendere e l’acquirente (promissario acquirente) si obbliga e promette di acquistare. Pertanto esso è una promessa di stipulare un futuro contratto che è appunto, il contratto definitivo di compravendita dell’immobile. L’immobile, dopo la stipula del preliminare sarà sempre e ancora nella proprietà del venditore e sarà a questi intestato nei Registri immobiliari. Normalmente il preliminare contiene le condizioni del contratto di compravendita da stipulare e il termine entro il quale le parti si recheranno dal notaio per la stipula.
Il codice civile si limita a disciplinare la forma del contratto preliminare (art. 1351) prevedendo che deve avere la stessa forma del contratto definitivo. Esso deve essere stipulato per scrittura privata autenticata da notaio o atto pubblico. Va ricordato che il d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 convertito in l. 28 febbraio 1997, n. 30 ha introdotto l’obbligo della trascrizione per i preliminari (risultanti da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente) aventi ad oggetto la conclusione di taluni contratti indicati dall’art. 2643 c.c. (tra cui quelli strumentali al trasferimento del diritto di proprietà). La trascrizione del preliminare è sempre consigliata perché potrebbe accadere che, nonostante il “compromesso”, il venditore venda lo stesso immobile ad altra persona oppure costituisca sullo stesso diritti reali di godimento (per esempio, un usufrutto) o che iscriva un’ipoteca. Oppure l’immobile può essere pignorato dai creditori del venditore. In questi casi, il compratore potrà chiedere al giudice solo il risarcimento dei danni e non l’annullamento della vendita o dell’iscrizione dell’ipoteca né potrà far valere l’anteriorità del compromesso rispetto al pignoramento. Per evitare di trovarsi in una situazione del genere, la legge prevede la possibilità di trascrizione del preliminare nei registri immobiliari. In tal modo, eventuali vendite dello stesso immobile o la costituzione di altri diritti a favore di terze persone non pregiudicheranno i diritti del compratore.
Sempre il codice civile prevede all’art. 2932 che le parti che hanno stipulato il preliminare, qualora una di esse non voglia adempiere presentandosi avanti al notaio come convenuto, possono adire l’autorità giudiziaria e chiedere al giudice di trasferire il diritto di proprietà sul bene in sostituzione del consenso non prestato dall’altra parte inadempiente. Importante è, inoltre, la normativa di cui al d. Lgs 20 giugno 2005, n. 122 in tema di immobili da costruire che prevede l’obbligo per il venditore di un immobile da costruire o in costruzione o in ristrutturazione di rilasciare alle persone fisiche che stipulino un contratto che preveda il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento di rilasciare una garanzia fideiussoria. La tutela opera anche per coloro che, anche non soci di una cooperativa edilizia, abbiano ottenuto dalla stessa l’assegnazione di un immobile da costruire o in costruzione o in ristrutturazione.

La fideiussione garantisce tutte le somme in denaro e ogni altro corrispettivo che prima del trasferimento della proprietà del bene il costruttore abbia percepito: se fallisse medio tempore o non terminasse mai la costruzione, le persone acquirenti possono ottenere in restituzione dette somme.
E’ da chiarire che molto spesso acquirente e venditore non sono consapevoli di aver stipulato un preliminare. Normalmente è l’agenzia immobiliare che si occupa di mettere in relazione le parti e si occupa anche delle trattative. Le trattative terminano con una proposta di acquisto sottoscritta da chi intende acquistare, il quale propone al proprietario dell’immobile di venderglielo a determinate condizioni e a un certo prezzo. La proposta è normalmente irrevocabile, con l’effetto che il proponente, fino alla scadenza del termine indicato nella proposta, rimane vincolato e non può tornare sui suoi passi prima della scadenza. Dopo la scadenza normalmente la proposta perde la sua efficacia e quindi non potrà più essere accettata. La proposta è portata a conoscenza del venditore che può o no accettarla. Se la proposta è accettata e questa accettazione viene portata a conoscenza del proponente (di solito lo fa l’agente immobiliare) e questi  firma (di nuovo) per presa conoscenza dell’accettazione, il contratto è concluso ed è vincolante per le parti (art. 1326 e ss. c.c.).
Il contratto che così è concluso è proprio il preliminare, cioè la promessa di acquistare e vendere l’immobile.
Chiarito che il preliminare ha effetti obbligatori (promessa di vendere e acquistare), si capisce come si siano potuti avere problemi interpretativi per il caso in cui, in fase di acquisto di un immobile, stipulato il preliminare, l’acquirente scopriva l’esistenza di vizi del bene. Il problema rinviene dal fatto che il codice civile riconosce la tutela contro i vizi dell’immobile come tutela dell’acquirente e quindi esperibile a rigore, dopo che è stato stipulato il definitivo di compravendita.

2. I vizi del bene venduto

I vizi che l’acquirente può scoprire, sono di vario tipo: “documentale”, ossia relativi, ad esempio, all’assenza di ipoteche, servitù o pignoramenti che possano pregiudicare i diritti dell’acquirente; ovvero di tipo “catastale /urbanistico”, ossia divergenza tra lo stato di fatto e le planimetrie catastali, mancanza di titoli edilizi e presenza di opere abusive; o vizi sullo stato di fatto dell’immobile, ossia presenza di difetti più o meno gravi. L’obbligo del venditore è, infatti, quello di fornire un bene immune da vizi e in regola con le normative urbanistiche vigenti. In tal caso, se l’acquirente riscontrasse la difformità dell’immobile rispetto a quello descritto nel preliminare o la presenza di vizi, e dunque l’inadempimento e la responsabilità contrattuale del venditore, potrebbe recedere dal contratto o agire per la risoluzione del contratto. Infatti, si applica l’art. 1385 c.c.: “Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di caparra una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta”.   Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.  Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali”. Se nel preliminare è prevista una caparra confirmatoria l’acquirente può recedere dal contratto chiedendo il doppio di quanto già versato senza dover provare di aver subito un danno. In tal caso, la dazione del doppio di quanto versato (che però deve essere stato versato e non basta la consegna di un assegno non incassato) è automatica. Non si ha però il risarcimento del danno. Altrimenti, se vuole richiedere il risarcimento del danno che ha subito (se è maggiore del doppio che si ha diritto a ricevere, ma il danno dovrà però essere in questo caso provato), potrà agire per la risoluzione del contratto (art.1453c.c.). E’ chiaro però che la richiesta di risoluzione o il recesso non possono essere contestati solo per mascherare un ripensamento. Dipende quindi dal tipo e gravità dei vizi all’immobile. Non tutti i vizi, infatti, legittimano l’acquirente ad agire con i predetti rimedi. Solo nel caso di  vizi particolarmente gravi, riguardanti ad es. la struttura dell’immobile, o vizi che possono incidere sulla stabilità dello stesso o sulla possibilità di utilizzarlo nella maniera pattuita, o il mancato rilascio del certificato di abitabilità, (Cass. 17.9.2013, n. 21189), si potrà richiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti. Invece, se si tratta di difetti di minore importanza, e che comunque non incidono sull’effettiva utilizzabilità del bene, l’acquirente potrà chiedere la riparazione del vizio o il risarcimento del danno quantificato in misura corrispondente alla spesa necessaria per ripararlo, o può chiedere la riduzione del prezzo (esercitando la c.d. actio quanta minoris). Il prezzo potrà essere ridotto in misura “pari a quella rappresentante la menomazione che il valore effettivo della cosa consegnata subisce a causa dei vizi, in modo tale da essere posto nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi” (Cass., 21.5.2008, n. 12852).

3. Valutazione della gravità dell’inadempimento

Comunque, se le parti discutono su chi di loro sia inadempiente, sarà il giudice a decidere in applicazione dell’art. 1460 c.c. compiendo un’indagine sulla gravità dell’inadempienza tenendo conto di tutti gli elementi in gioco comparando i comportamenti delle parti.
L’articolo 1460 c.c. è interpretato nel senso che: “Nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione del proprio rifiuto di adempiere, l’inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche di quello logico, essendo necessario che vi sia una relazione causale e adeguatezza tra inadempimento dell’uno e precedente inadempimento dell’altro.” (Cassazione 12 ottobre 2012 n. 17478).
La giurisprudenza ha anche chiarito quale è il termine entro cui devono essere denunciati i vizi.
Nella compravendita, a norma dell’art. dell’art. 1490 c.c., il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’utilizzo cui è destinata ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. L’art. 1495 c.c. prevede che il compratore deve denunciare al venditore i vizi entro il termine di decadenza di otto giorni dalla loro scoperta e deve agire in giudizio entro il termine di prescrizione di un anno dalla consegna.
Questi termini, e l’onere della loro tempestiva denuncia, presuppongono che sia avvenuto il trasferimento del diritto di proprietà (Cass. 11.10.2013 n. 23162). Secondo la giurisprudenza, in caso di stipulazione di un contratto preliminare di vendita, anche nel caso in cui sia prevista la consegna dell’immobile prima della stipula dell’atto definitivo di vendita, se l’acquirente scopre l’esistenza di vizi della cosa non è necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 1495 cod. civ. per la denuncia dei vizi della cosa venduta. Qualora il venditore chieda all’acquirente di recarsi dal notaio per la stipulazione del contratto definitivo (e lo diffidi a presentarsi con raccomandata a/r) e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, il promissario acquirente può proporre l’exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore, e potrà chiedere, a contrario, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa. In caso di preliminare, anche se l’immobile sia stato consegnato e vi sia stata immissione dell’acquirente nel possesso dell’immobile, non decorrerà alcuno dei termini di cui all’art. 1495 c.c. non essendosi ancora perfezionato il passaggio della proprietà del bene. La giurisprudenza ha anche statuito che nel caso di preliminare d’immobile del quale siano stati scoperti vizi edilizi gravi dei quali il promissario acquirente avesse ignorato l’esistenza al momento della stipulazione del preliminare, si può parlare solo di inadempimento del venditore e non invece di nullità del contratto.
Infatti, in alcuni casi, la legge commina la nullità di atti traslativi di immobili abusivi. Ci sono violazioni della normativa edilizia che non consentono sanatoria. Se la legge ne consentisse la possibilità di trasferimento, allora il venditore ben avrebbe sempre potuto trovare soggetti cui vendere comunque l’immobile, pur se non in regola con la normativa. Perciò, la legge 28 febbraio 1985, n.47 all’art. 40 commina la sanzione della nullità dei contratti di compravendita o costituzione di diritti reali su immobili con vizi insanabili. Precisamente, la norma prevede che: “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione cui al sesto comma dell’art. 35. Per le opere iniziate anteriormente al 2 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto medesimo”.
Nel caso in cui l’immobile abusivo è oggetto del preliminare, secondo la Corte di Cassazione è validamente costituito. Secondo la Corte di Cassazione (Corte di Cassazione – Sezione Seconda Civile, Sentenza 26 aprile 2017, n. 10297), la sanzione della nullità prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale è il preliminare di vendita con il quale le parti si obbligano semplicemente a stipulare in futuro un contratto definitivo. Ne consegue che, non applicandosi la norma sanzionatoria di cui sopra ai contratti preliminari, anche nel caso in cui questi abbiano ad oggetto un immobile viziato, il vincolo giuridico tra le parti è validamente costituito e il contratto non è nullo. E’ evidente che possa invece essere eccepito l’inadempimento del venditore.


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4. Pignoramento taciuto: è grave inadempimento – i rimedi in caso di immobile con gravami

Se, in sede di contratto preliminare, il promittente venditore nasconde la presenza di un pignoramento sul bene, il compratore come può tutelarsi? La Corte di Cassazione con una recente sentenza del 13 aprile 2022 n. 12032 ha affermato che, l’omessa informazione della pendenza di un procedimento esecutivo determina un “grave inadempimento avente carattere definitivo” e tale gravità non viene meno in ragione della possibilità di rimuovere la trascrizione pregiudizievole prima della scadenza fissata nel preliminare. Quindi, il promittente venditore deve restituire al promissario acquirente il doppio della caparra  ai sensi dell’art. 1385 c. 2 c.c.

In questo caso il promissario acquirente aveva esercitato il diritto di recesso e aveva chiesto la restituzione del doppio della caparra. La controparte lamentava che il recesso fosse stato esercitato ante tempus, ossia prima dello spirare del termine previsto nel contratto preliminare e si doleva del fatto che, se tale termine fosse stato rispettato, egli sarebbe riuscito a cancellare i gravami. Secondo i giudici di legittimità, la circostanza che il recesso sia stato esercitato prima della scadenza del termine convenuto per la stipula del contratto definitivo è irrilevante e ha ribadito che l’omessa informazione della pendenza di un procedimento esecutivo determina grave inadempimento avente carattere definitivo. La valutazione della gravità dell’inadempimento rientra nell’apprezzamento di merito e, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 12182/2020; Cass. 6401/2015). La Suprema Corte ricorda, quindi, quali siano le soluzioni messe a disposizione del promissario acquirente al quale sia garantito che l’immobile sia libero da gravami mentre, in realtà, così non è. Il compratore ha tre rimedi tra loro alternativi:

  1. la facoltà (non l’obbligo) di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la liberazione del vincolo ad opera del venditore (ex art. 1482 c.c.),
  2. la facoltà di recesso ex art. 1385 c.c.,
  3. la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453 c. 2 c.c.

Solo nella prima ipotesi (sub a) il venditore (o promittente venditore) può attivarsi per la cancellazione dell’ipoteca, nelle altre due, tale possibilità è preclusa (Cass. 15380/2000; Cass. 20961/2017; Cass. 3565/2002; Cass. 19097/2009; Cass. 23956/2013). L’art. 1482 c.c. (ipotesi sub a) dispone che il compratore possa sospendere il pagamento del prezzo, se il bene venduto risulta gravato da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro, non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorati. La norma è prevista in materia di compravendita e si applica anche all’ipotesi del contratto preliminare. Il secondo comma prevede che il compratore possa far fissare dal giudice un termine, alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata, il contratto è risolto con obbligo del venditore di risarcire il danno. Per la dottrina, si tratta di un’ipotesi di risoluzione di tipo automatico e stragiudiziale che opera in maniera equivalente alla diffida ad adempiere. Si badi, non si tratta di un rimedio esclusivo o speciale ma alternativo, posto a tutela dell’interesse del compratore all’adempimento. L’acquirente resta libero di esperire l’azione di risoluzione se ricorre il presupposto della gravità dell’inadempimento (Cass. 9498/1994; Cass. 10506/1996; Cass. 15380/2000).

5. La clausola di esclusione dalla garanzia contro i vizi ex art. 1490, comma 2 c.c.

In conclusione e per completezza vale la pena ipotizzare il caso in cui il promissario venditore ignorasse al momento della proposta l’esistenza di un pignoramento e lo abbia taciuto al promissario compratore che lo scopra prima di arrivare a stipulare il preliminare.

E’ valido il patto di esclusione della garanzia se il venditore ignorava i vizi lamentati (sent. N. 9651 dell’11.05.2016 Cass. Civ. sez. II).

La disposizione pone un limite all’autonomia negoziale a tutela del contraente più debole perché sottintende la condotta del venditore come una sorta di raggiro attuato tramite il calido silenzio di danni del compratore che è indotto ad accettare la clausola di esonero da garanzia che altrimenti non avrebbe accettato (sic Sent. 2313 del 5.02.2016).

Nella norma non trova spazio il caso in cui il venditore non sia a conoscenza, sia pure per colpa grave, dei vizi della cosa venduta. Qui la condotta del tacere sarebbe conseguenza d’ignoranza (sia pure colposa) dei vizi e non della consapevole condotta decettiva richiesta dalla legge. In tal senso la Cassazione già con sent. 767 del 8.03.1968 precisa nei vizi della cosa venduta la mala fede del venditore sussiste se egli conosceva o avrebbe potuto conoscere il vizio usando l’ordinaria diligenza. Il silenzio del venditore ha valenza ingannatoria solo se conosceva tali vizi altrimenti nessuna volontà decettiva può ravvisarsi nel silenzio e nessun rilievo tale silenzio può assumere sul piano della verifica della lealtà della condotta nello svolgersi delle trattative. La differenza tra mala fede e colpa grave è fatta propria dallo stesso legislatore il quale non a caso ove ha inteso riferirsi a entrambe vi ha fatto espresso riferimento (art. 96 cpc). L’art. 1490 esige la mala fede del venditore e non si accontenta della colpa grave questo perché il 1490 si riferisce al momento della conclusione dell’accordo negoziale e mira a salvaguardare la genuinità dello scambio dei consensi.

6. La responsabilità dell’agenzia immobiliare

Da ultimo ma non per questo meno importante, il ruolo giocato dall’agenzia immobiliare. Consolidata giurisprudenza propende nella direzione dell’esclusione della responsabilità della agenzia immobiliare in ordine ai gravami pendenti sul bene ritenendo esaurirsi la responsabilità alla sola funzione di intermediazione tra le parti. Gli stessi incarichi di agenzia vengono congeniati in modo tale che sia il promissario venditore a garantire (e quindi a rendersi responsabile) la libertà del bene da pesi e vincoli e non anche l’agente immobiliare. Che cosa succede quando si acquista una casa o si firma semplicemente il compromesso e solo dopo ci si accorge che sull’immobile c’è un’ipoteca? Ci si può rivalere sul mediatore? L’agenzia immobiliare è responsabile se c’è un’ipoteca sulla casa? In caso di intermediazione in una compravendita immobiliare, non è ricompreso nella prestazione professionale del mediatore l’obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà dell’immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli. In difetto di particolare incarico, infatti, il mediatore non è tenuto a eseguire specifiche indagini di tipo tecnico-giuridico. Questo è quanto afferma il Tribunale di Taranto nella sentenza n. 561/2021. Nel caso esaminato dal Tribunale di Taranto, vi era una proposta di acquisto di un immobile, eseguita tramite agenzia immobiliare, con la quale il soggetto interessato al cespite versava una caparra di 5 mila euro. In seguito all’accettazione della proposta, quest’ultimo era informato dal notaio della presenza di un’ipoteca giudiziale e di una procedura di esecuzione forzata in corso, di cui non era stato reso edotto né dal proprietario del bene né dall’agente immobiliare. Di qui il rifiuto alla stipula del preliminare e la citazione in giudizio per ottenere indietro la caparra ingiustamente versata. Nello specifico, il mancato acquirente contestava la condotta dell’agente immobiliare, il quale avrebbe dovuto sin dall’inizio comunicare la formalità pregiudizievole, di cui avrebbe dovuto essere a conoscenza. Dal canto suo, il mediatore si difendeva sostenendo di essersi comportato diligentemente, non essendo tenuto, salvo specifico incarico, a effettuare approfondimenti istruttori sull’immobile. Scontata la responsabilità del proprietario del bene gravato da ipoteca, il Tribunale salva da ogni responsabilità l’agente immobiliare, ritenendo rientrante nella comune diligenza di tale figura professionale la condotta tenuta nella fattispecie. Ebbene, spiega il giudice, l’obbligo d’informazione gravante sul mediatore, ex articolo 1759 cod. civ., «va commisurato alla normale diligenza cui deve conformarsi il professionista di media capacità», ai sensi dell’articolo 1176 codice civile. E in essa non può dirsi rientrante l’obbligo di compiere specifiche indagini sullo stato giuridico dell’immobile, salvo che non vi sia stato uno specifico incarico in tal senso». In altri termini, il Tribunale afferma che, tra gli obblighi del mediatore non rientra quello di verificare se l’immobile proposto in vendita sia o meno gravato da vincoli pregiudizievoli. Questo significa anche che, se l’acquirente, dopo aver firmato il compromesso – ossia il contratto preliminare – dovesse accorgersi della presenza di un’ipoteca sulla casa:

  • potrebbe rifiutarsi di presentarsi dal notaio per firmare il rogito, salvo che il venditore non faccia cancellare l’ipoteca per quella data (cosa che potrebbe avvenire solo se dovesse pagare per intero il debito che ha determinato l’ipoteca). In tal caso, posta la giusta causa di recesso, gli dovrà essere restituito il doppio della caparra eventualmente versata;
  • non potrebbe comunque chiedere all’agenzia immobiliare il risarcimento dei danni causati dall’affare andato a vuoto e dalla perdita di chance commerciali sfumate;
  • potrebbe chiedere il risarcimento dei danni al proprietario del bene gravato da ipoteca poiché ha celato l’esistenza della stessa.

L’orientamento non è condiviso da tutti i giudici. Esiste un contrasto all’interno della Cassazione in merito al contenuto dell’obbligo informativo a carico del mediatore immobiliare: mentre alcune sentenze esprimono l’orientamento favorevole a ricomprendere in esso le informazioni sull’esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli sull’immobile oggetto della trattativa, come quella relativa all’iscrizione precedente d’ipoteca, con il contestuale obbligo di controllare, altresì, la veridicità di quelle ricevute e successivamente trasmesse, al contrario un altro indirizzo esprime la diversa posizione che esclude dalla prestazione professionale del mediatore l’obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà del bene oggetto della trattativa da trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli come appunto le ipoteche. Resta comunque inteso che, nell’ipotesi in cui il cliente abbia già sottoscritto il rogito notarile, la responsabilità ricade sul notaio, il quale, salvo sia stato dispensato dal cliente, è tenuto ad effettuare i controlli circa l’esistenza di vincoli e pesi sull’immobile in compravendita e ad avvisare il compratore della presenza di un’ipoteca o di un pignoramento.

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FONTI

  1. Legittimo il recesso dal preliminare se il venditore nascondeva che il bene è pignorato – Avv.  Marcella Ferrari – 23.05.2022 Altalex;
  2. Pignoramento sull’immobile taciuto dal venditore: conseguenze – Paolo Remer -15.04.2022 La Legge per tutti;
  3. Contratto preliminare di compravendita e vizi dell’immobile Avv. Franca Miccolis – 07.05.2018 Immobiliare –locazione e condominio.

Avv. Cristina Vanni

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