I servizi pubblici alla luce del diritto comunitario

Petroni Paolo 08/03/07
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SOMMARIO : 1. Premessa introduttiva. 2. Evoluzione nel diritto comunitario dei servizi pubblici locali. 3. Il libro verde sui servizi d’interesse generale. 4. I servizi d’interesse economico generale. 5. Il servizio universale.
  1. Premessa introduttiva.
Gli studi che si sono occupati della materia dei servizi pubblici nel processo d’integrazione comunitaria, hanno concentrato le loro analisi soprattutto sull’ex art. 90 del Trattato.[1]
I “servizi” nell’ordinamento comunitario trovano residuale definizione nell’ex articolo 60, comma primo del Trattato come “prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.”
Il secondo comma poi, individua quattro categorie di servizi: quelli industriali, commerciali, artigianali e delle libere professioni. L’espresso riferimento a tale tipologia ha indotto la dottrina[2] a considerare che l’individuazione di una nozione comunitaria di servizi pubblici non potesse essere ricercata negli ex articoli 60 e ss. del Trattato, applicabili ai servizi resi a favore della pubblica amministrazione, cui deve corrispondere una controprestazione di tipo remunerativo e rapportata all’entità e qualità del servizio.
Lo strumento di erogazione dei servizi pubblici è caratterizzato da differenti elementi e presupposti.
Nella sua natura, sia soggettiva che oggettiva, si riscontra la presenza di una pubblica amministrazione che regola il sistema organizzativo, attraverso un programma teso alla soddisfazione di bisogni collettivi.
Tali elementi non sono presenti nella nozione contenuta nel citato ex art. 60.[3]
L’analisi si è allora concentrata sull’attuale art. 86 (ex art. 90), comma primo del Trattato, nella parte che prevede la sottoposizione alla disciplina comunitaria delle imprese pubbliche e di quelle a cui gli Stati membri riconoscono diritti speciali ed esclusivi, salvo il caso in cui l’applicazione delle regole del mercato unico possa bloccare il compimento della missione di interesse generale affidata all’impresa.
“Le imprese che prestano servizi di interesse economico generale possono derogare al principio della concorrenza qualora ci siano due condizioni: il monopolio deve costituire l’unico sistema organizzativo per adempiere alla funzione affidata dagli stati, e la deroga al diritto comunitario non può pregiudicare lo sviluppo degli scambi in misura tale da compromettere gli interessi della comunità. Ai sistemi nazionali sono demandate le relative scelte.[4]
L’approvazione dell’Atto Unico europeo[5] ha fornito uno stimolo ulteriore al processo d’integrazione.
La conseguenza del processo di trasformazione in corso è l’individuazione dei primi servizi d’interesse economico generale: l’elettricità, il gas, l’acqua, i trasporti pubblici, e le attività di imprese che gestiscono strade, porti marittimi e fluviali, ed i servizi di telecomunicazioni.
L’analisi non riguarda la qualificazione del fenomeno in una determinata categoria giuridica, ma si concentra sugli effetti economico-giuridici che le imprese collegate alla pubblica amministrazione possono provocare nel mercato interno.
È la natura economica dell’attività esercitata che riveste un ruolo fondamentale nella disciplina comunitaria.
 
  1. Evoluzione nel diritto comunitario dei servizi pubblici locali.
Con l’articolo 35 della l. n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) il legislatore statale ha provveduto a ridisciplinare l’intero settore dei servizi pubblici locali, apportando sostanziali e radicali trasformazioni in materia. Tale norma costituisce un importante cambiamento della disciplina dei servizi pubblici locali in quanto è andata ad innovare l’articolo 113 del Testo Unico degli enti locali.
La nuova ricostruzione dei servizi pubblici locali operata dall’articolo 14 D.L. n. 269/2003 è dovuta soprattutto all’esigenza (peraltro imposta dalla Commissione CE) di adeguarsi alla normativa comunitaria.[6]
La realtà dell’ordinamento dei servizi pubblici locali deve confrontarsi con l’ordinamento comunitario perché l’ente locale è tenuto al rispetto degli obblighi comunitari e perché in ambito comunitario trova spazio l’affermazione della libertà di concorrenza che costituisce l’elemento che maggiormente rischia di essere compromesso dall’assunzione di un pubblico servizio.
I servizi pubblici non sono regolati, quindi, soltanto dall’ordinamento nazionale ma si devono confrontare con la normativa comunitaria ed ai principi che la ispirano.
Il punto di equilibrio tra le prerogative nazionali e quelle comunitarie in materia di servizi pubblici è pacifico.
L’art. 50 (ex. art. 60) del Trattato dell’Unione qualifica come “servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone” ed indica, quali servizi, le attività di carattere industriale, quelle di carattere commerciale, le attività artigiane, le attività delle libere professioni.
A livello comunitario non esiste, però, una definizione generale ed esplicita del “servizio pubblico.”
Tale termine (“servizio pubblico”) nel lessico comunitario, ha contorni non netti ed assume significati differenti, causando confusione.
Come indicato nel “Libro Verde[7] sui servizi d’interesse generale” della Commissione della CE (21 maggio 2003) il “servizio pubblico” ha significati diversi perché, in alcuni casi si riferisce al fatto che un servizio è offerto alla collettività; in altri casi al fatto che ad un servizio è stato attribuito un ruolo specifico nell’interesse pubblico, in altri ancora si riferisce alla proprietà o allo status dell’ente che presta il servizio.
Il “servizio pubblico” è considerato soprattutto come un’attività esercitata da un’impresa pubblica o privata, svolta essenzialmente         “nel pubblico interesse” e sotto il controllo e la regolazione di un’autorità pubblica.
In ambito comunitario c’é, invece, una distinzione più netta tra “servizi d’interesse generale” e “ servizi di interesse economico generale”.
I primi non definiti da norme comunitarie, ma derivanti dalla prassi, sono servizi, prestati dietro retribuzione o meno, considerati d’interesse generale dalle autorità pubbliche e soggetti ad obblighi di servizio pubblico.  
Si tratta di attività caratterizzate dall’essere manifestazione di prerogative pubbliche o, comunque, dal non avere valenza economica (es. la scuola, la sicurezza, la giustizia, ecc..) e, come tali, sono sottratte alla normativa sulla concorrenza e sulla libertà di prestazione.
I servizi “d’interesse economico generale” sono, invece, servizi di natura economica, forniti dietro retribuzione, che assolvono una finalità d’interesse generale e sono assoggettati dagli Stati membri a specifici obblighi di servizio pubblico.
Tale concetto riguarda alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete, quali i trasporti, i servizi postali, l’energia, la comunicazione, ma il termine si estende anche a qualsiasi attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico.
Tali servizi sono citati dagli articoli 16 e 86 del Trattato: “le imprese incaricate della gestione di tali servizi sono soggette alle norme sul Trattato e, in particolare, a quelle sulla concorrenza nei limiti in cui la loro applicazione non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto della specifica missione loro affidata (art. 86. 2° comma)”.
La nozione di impresa incaricata della gestione di servizi d’interesse economico generale è stata interpretata nel senso di includere in essa tutte le attività d’interesse economico generale gestite da un soggetto pubblico o privato, al quale l’esercizio di tale specifica missione sia stato affidato da un atto del potere pubblico.
Le norme del Trattato sono finalizzate al principio di concorrenza tra le imprese, anche se gli Stati membri hanno consentito la sopravvivenza di privilegi e di mercati protetti, giustificando tutto ciò alla luce di un’assenza a livello comunitario di una specifica disciplina sul servizio pubblico, ma soprattutto sulla disparità di concezione del servizio pubblico nei diversi Stati membri.
Ai fini della riforma italiana dei servizi pubblici locali è determinante il principio secondo il quale non è sufficiente la presenza di un interesse generale per una determinata attività al fine di giustificare l’attribuzione in via esclusiva di un diritto. Questo interesse, pur consentendo interventi di regolazione e di controllo, non necessariamente porta a scelte anticoncorrenziali. Il presupposto per la creazione di un’area sottratta al mercato può essere solo la valutazione che soltanto il monopolista si pone come efficace alternativa al mercato.
È in questa prospettiva che il Trattato acconsente, con riguardo alle attività economiche d’interesse generale, restrizioni alla libertà di concorrenza solo se esse siano “ necessarie al raggiungimento delle specifica missione affidata”.
Nuove disposizioni introdotte con il Trattato di Amsterdam sottolineano la necessità che anche il settore dei servizi pubblici sia sottoposto ad una disciplina di rango comunitario.
L’art. 16 del Trattato di Amsterdam prevede che “la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell’ambito di applicazione del presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentono di assolvere i loro compiti”.
Con tale norma i servizi pubblici sono accolti tra i principi generali in funzione dell’integrazione comunitaria.
I servizi pubblici sono considerati “come fattore di coesione e di avvicinamento dei cittadini…e come condizione economica essenziale perché le imprese possano stabilirsi in ogni porzione del territorio comunitario”.[8]
 
  1. Il Libro Verde sui servizi di interesse generale
Nella riunione tenutasi a Bruxelles il 20 e 21 marzo 2003 il Consiglio europeo ha invitato la Commissione ad adottare le necessarie disposizioni per i futuri lavori al fine di salvaguardare la fornitura e il finanziamento dei servizi d’interesse generale, vigilando nel contempo sulla compatibilità con la normativa dell’Unione in materia di aiuti di Stato e concorrenza. Fu, così, approvato il 21 maggio 2003 dalla Commissione delle Comunità europee, il “Libro verde” sui “servizi d’interesse generale”.
Com’è noto il “libro verde” non è un insieme di disposizioni normative della UE, ma è un documento, pubblicato dalla Commissione, attraverso il quale si vuole stimolare la riflessione e promuovere la consultazione, a livello europeo, su temi particolari (esempio: politica sociale, moneta unica, telecomunicazioni, ecc.).
Le consultazioni effettuate attraverso il “libro verde” possono dare adito alla pubblicazione di un “libro bianco” al fine di tradurre i frutti delle riflessioni in concrete misure d’azione comunitaria.
Difatti i “libri bianchi”, anch’essi pubblicati dalla Commissione, sono documenti che contengono proposte per azioni comunitarie in campi specifici.
 Al Libro Verde fa quindi seguito il Libro Bianco (COM (2004) 374)[9] frutto della consultazione pubblica, lanciata dal Libro Verde, sul ruolo dell’Unione europea nella fornitura ai consumatori e alle imprese europee di servizi di interesse generale di qualità.
Esso conclude che non è opportuno, attualmente, proporre una direttiva quadro in tale materia e propone che la Commissione riesamini la questione in una fase successiva.
Nel “Libro Verde” sui servizi d’interesse generale si è inteso avviare un processo di riesame integrale delle politiche in materia di tali servizi, a cominciare da un dibattito sul ruolo complessivo dell’Unione europea nella definizione degli obiettivi d’interesse generale perseguiti da questi servizi e sulla maniera in cui sono organizzati, finanziati e valutati.
Il “libro verde” racchiude elementi di riflessione sul tema, propone alcune “questioni” e contiene alcuni “quesiti” ai quali gli Stati membri dovranno rispondere. Viene, così, sollecitato il confronto su temi e problemi attuali oggetto di acceso dibattito, anche da parte dei singoli Stati membri.
È quindi, un documento, per sua natura teorico, che appare talvolta lontano dalla realtà attuale quale risulta dal dibattito che si sta svolgendo a livello mondiale sui servizi pubblici.
Questo “libro verde” non tiene conto delle esperienze, talvolta negative, che sinora sono maturate nell’ambito della gestione dei servizi pubblici.
È un testo in alcuni casi contraddittorio che sottende concetti non chiariti e non di univoca interpretazione.
Ad esempio una contraddizione risulta dal §29 correlato al §37.
Nel §29[10] si parla di insufficienza dell’articolo 16 del Trattato in riferimento ai servizi di interesse generale.
Il successivo §37 [11] afferma, invece, che il quadro comune europeo deve essere sviluppato per assicurare l’applicazione coerente dei principi dell’articolo 16 del Trattato.
In altri casi il “libro verde” non si limita ad aprire un dibattito ma guida le eventuali risposte.
Ad esempio le prime domande sono dirette a conoscere se sia auspicabile che la Commissione affronti compiutamente la tematica dei servizi d’interesse generale, specie sotto il profilo della concorrenza.
Questa domanda trova una risposta nel §80[12], laddove si ricorda che gli affidamenti “in house”, che per certi servizi rappresentano la forma prevalente in ambito comunitario, sarebbero sostanzialmente illegittimi.
In ogni caso il “libro verde” non opera alcuna distinzione tra i servizi d’interesse generale dello Stato e quelli di interesse degli enti locali.
In particolare dovrebbe essere definito, in modo preciso ed univoco, che cosa s’intenda per “concessione” e per “concessioni di servizi”.
Una definizione di “concessione di servizi pubblici” deve tener conto dei principi fondamentali che caratterizzano i pubblici servizi e che sono sostanzialmente:
          la parità di trattamento;
          la trasparenza;
          la proporzionalità;
          il mutuo riconoscimento.
Il “libro verde” si sforza di far intravedere una prima seppure incompleta e sommaria, classificazione di “servizi” prevedendo:
          servizi d’interesse economico generale forniti da grandi gruppi industriali (telecomunicazioni, elettricità, gas, trasporti) che sono regolati da specifiche direttive CE;
          altri servizi di interesse economico generale forniti da grandi gruppi industriali (gestione di rifiuti, servizi idrici, televisione), non regolati da specifiche direttive CE, ma sottoposti alle regole del mercato interno;  
          servizi privi di rilevanza economica e privi di effetti sugli scambi, ma regolati da specifiche direttive CE e non sottoposti alle regole del mercato interno.
Queste prime definizioni e classificazioni presentano carattere di incertezza e di disomogeneità.
Non sono chiaramente definiti i caratteri distintivi tra:
  • servizi d’interesse generale (non indicati nel Trattato);
  • servizi d’interesse economico generale (termine estrapolato dal Trattato)[13];
  • servizi d’interesse economico generale forniti dalle grandi industrie di rete;
  • servizi non economici e servizi che non incidono sugli scambi.
Ciò comporta che è necessario definire a livello comunitario, in modo più preciso e analitico, il concetto di servizio pubblico, dato che a livello normativo non esiste una compiuta ed univoca definizione.
Occorre anche rivedere il concetto di “servizio universale” estendendolo sotto il profilo sociale.
Un ultimo profilo che mi sembra opportuno evidenziare riguarda l’assenza nel “Libro Verde” di riferimenti, per quanto riguarda i servizi pubblici locali alla realtà delle Regioni, dei Comuni e delle Province che negli ordinamenti statali presentano un ruolo di assoluta rilevanza.
Secondo il “tipo” di “servizio pubblico” la normativa in materia di concorrenza potrebbe essere di differente intensità: ad esempio una cosa è la “concorrenza” nei servizi d’interesse economico nazionale, altra cosa è quella riguardante il servizio pubblico “locale”, più modesto e limitato sotto il profilo quantitativo.
È auspicabile, come si evince dal Parere 20 novembre 2003 espresso dal Comitato delle regioni sul “Libro Verde”che vengano delineati degli spazi per i servizi pubblici locali consentendo per la loro disciplina, una normativa differente rispetto a quella delineata per i servizi pubblici di portata statale.
 
  1. I servizi d’interesse economico generale
Sul versante del diritto comunitario non esiste una definizione esplicita di “servizio pubblico”.
Sebbene non si ricorra alla nozione di servizio pubblico, nell’ordinamento comunitario, tuttavia, si rinviene un’attenzione alla specificità di alcune attività che sono ricondotte a due categorie, quella di servizio di interesse economico generale dell’art. 16 del Trattato e quella del servizio universale, sulle quali sono stati elaborati una serie di principi che riconducono tali categorie a quella dei servizi pubblici di ordinamenti nazionali come quello italiano.
La nozione di servizi d’interesse economico generale si presta, pertanto con molte difficoltà, ad una definizione di carattere generale, all’interno di una formula concisa che ne contenga le caratteristiche di carattere generale.[14]
I servizi d’interesse economico generale si differenziano dai servizi ordinari per la circostanza che le autorità pubbliche possono ritenere che debbano essere offerti anche quando il mercato non sia sufficientemente incentivato a provvedervi da solo[15].
Rispetto all’ampia categoria dei servizi, quelli che si qualificano d’interesse economico generale, rappresentano prestazioni che le autorità pubbliche possono elevare ad interesse generale e che i meccanismi di mercato potrebbero non essere in grado di garantire in maniera soddisfacente.
In questo caso i pubblici poteri potranno stabilire che le richieste di alcuni determinati servizi saranno soddisfatte mediante obblighi di servizio d’interesse generale. Si tratta dunque di attività che devono essere erogate.[16]
Ci sono dei servizi d’interesse che non possono essere prestati in regime di concorrenza, nell’ipotesi in cui soltanto un’impresa può essere posta in condizioni di operare secondo criteri di redditività.
In tal caso, le autorità pubbliche possono concedere diritti speciali o esclusivi per la prestazione del servizio d’interesse generale sotto forma di concessione.
Rispetto ai servizi ordinari, che costituiscono attività economiche, vi è un elevato grado d’interesse generale che giustifica la qualifica d’interesse economico generale.
I servizi d’interesse economico generale tendono ad adempiere le esigenze fondamentali per lo sviluppo della persona; sono rappresentati dall’elemento della doverosità che li distingue dal resto dei servizi che possono essere offerti alla collettività, ma per i quali non è presente quel dovere di prestazione. Solo che tali esigenze sono soddisfatte dal mercato. In tale ambito, ruolo dei pubblici poteri non è quello di erogatori, anche possibile in un regime di concorrenza regolato, quanto piuttosto quello di regolatori.
Il sistema naturale di prestazione dei servizi d’interesse economico generale è quindi il mercato, ma ci sono dei servizi per i quali il mercato non è adatto.
Alcune esigenze dovranno essere soddisfatte mediante l’imposizione di obblighi di servizio d’interesse generale, tra cui rientrano le prestazioni di servizio universale.
Il modello organizzativo si fonda sull’esistenza di un sistema concorrenziale all’interno del quale possono essere assegnati, a tutti gli operatori e anche ad uno solo di essi, quegli obblighi di servizio pubblico che garantiscano la solidarietà, senza tuttavia la necessità di conferire dei diritti esclusivi; mentre soltanto nell’ipotesi in cui, per alcuni servizi d’interesse economico generale risulti possibile per un solo operatore l’erogazione del servizio in condizioni di redditività, l’ordinamento comunitario consente che siano accordati diritti esclusivi, sotto forma di concessione, con procedure ad evidenza pubblica e per un periodo limitato.[17]
 
  1. Il servizio universale
Le imprese a cui vengono imposti obblighi di servizio universale sono tenute ad assicurare determinate prestazioni su tutto il territorio nazionale, a prezzi accessibili e a condizioni di qualità che prescindono dalla redditività delle singole operazioni.
 Si tratta, di uno strumento volto a garantire il rispetto del principio di solidarietà e di parità di trattamento in un sistema organizzativo fondato sulla concorrenza.[18]
Il carattere dell’universalità riferibile ai servizi economici, quali le poste, le telecomunicazioni, i trasporti, dai quali discendono obblighi di garantire l’accesso di tutti a determinate prestazioni essenziali, di qualità, ed a prezzi abbordabili.
La nozione si presenta flessibile, evolutiva, strettamente collegata agli sviluppi tecnologici e alle nuove esigenze dell’utenza.
Gli obblighi di servizio universale definiti dal diritto comunitario costituiscono, dunque , “una sorta di minimo comune denominatore, rispetto al quale ciascuno Stato membro è libero di aggiungere ulteriori elementi in coerenza con la propria concezione di servizi pubblici.”[19]
I servizi d’interesse generale rappresentano un concetto più esteso, sia rispetto ai servizi d’interesse economico generale, a differenza dei quali non possiedono il carattere dell’economicità, sia nei confronti del servizio universale, rispetto al quale non sono necessariamente diretti alla totalità della popolazione.
Il carattere dell’universalità del servizio sembra riferirsi in primo luogo ai pubblici poteri, che devono individuare una serie di regole e strumenti per garantire che siano raggiunti i livelli di servizio necessari a soddisfare il requisito dell’universalità.
La definizione di servizio universale[20] assume il compito di assicurare ai consumatori la prestazione di quei servizi finalizzati a soddisfare bisogni considerati indispensabili.
Il servizio universale rappresenta, quindi, un modello di adempimento della missione di servizio pubblico, retto da determinati principi.
Ovviamente se per effetto delle innovazioni tecnologiche si realizza la condizione che le attività sottoposte a regime di servizio universale sono prestate dalle forze del mercato, in quel settore non rileva più la nozione di servizio universale perché, d’ora in poi, sarà il mercato a garantire quella prestazione ritenuta doverosa e, in tal caso, non è più presente quell’elemento di doverosità da cui discende l’intervento pubblico.
 
 


[1]  C.f.r. M. RACCA, I servizi pubblici nell’ordinamento comunitario, in Dir. amm., 1994, 204 ss.
[2] C.f.r. G. M. RACCA, I servizi pubblici, cit., 201 ss.
 
[3] La ratio della disciplina contenuta nell’ex articolo 60 giustifica un concetto di servizio estremamente ampio, all’interno del quale possono rientrare anche i servizi pubblici. Ma la circostanza che in tutti i paesi dell’Unione europea, quando si parla di servizi pubblici ci si riferisce sempre a prestazioni che vengono eseguite dalla pubblica amministrazione e non da essa erogate, ha indotto la dottrina a ricercare differenti soluzioni. Cfr.  G.M. RACCA, I servizi pubblici, cit., 207 ss.
[4] C.f.r. V. DE FALCO, Il servizio pubblico tra ordinamento comunitario e diritti interni, Padova, 2003, 161 ss.
[5] Atto Unico Europeo firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1 luglio 1987 ( l. 23-12-1986, n. 909 in G.U. 29-12-1986, n. 300, s.o).
[6] Con la costituzione in mora del Governo italiano per l’art. 35 della legge n. 448/2001 la Commissione europea afferma, al punto 30 che “la qualificazione di alcune categorie di servizi pubblici come privi di rilevanza industriale non può avere l’effetto di sottrarre tali attività alle regole in materia di diritto comunitario degli appalti e delle concessioni”.
Commissione europea, 26/6/2002, n. C (2002) 2329.
[7]  Libro verde sui servizi d’interesse generale n. COM (2003) 270, in G.U. C 76 del 25.3.2004.
[8] C.f.r. G. MARCHIANO’, I servizi pubblici e il mercato, Milano, 2001, cit., 55.
[9] Il Libro Bianco 2004 conclude la consultazione avviata un anno prima su temi cruciali per i servizi pubblici: i criteri di legittimità dei finanziamenti, i confini della regolazione comunitaria, la definizione di regole minime comuni.
Il presente Libro bianco espone le conclusioni che la Commissione ha tratto da un’ampia consultazione pubblica avviata sulla base del Libro verde. Da essa sono emerse importanti differenze nei punti di vista e nelle prospettive; tuttavia si registra un consenso sulla necessità di garantire una combinazione armoniosa di meccanismi di mercato e funzioni di servizio pubblico. Il Libro bianco illustra la strategia adottata dalla Commissione per sviluppare un ruolo positivo dell’Unione europea come promotrice dello sviluppo di servizi di interesse generale di alta qualità e presenta i principali elementi di strategia tesa a garantire che tutti i cittadini e tutte le imprese dell’Unione possano beneficiare di servizi di alta qualità e a prezzi accessibili.
Il Libro bianco sottolinea l’importanza dei servizi di interesse generale in quanto pilastro del modello europeo di società, così come l’esigenza di garantire la fornitura di servizi di interesse generale di alta qualità e a prezzi accessibili a tutti i cittadini e a tutte le imprese dell’Unione europea. Nell’Unione i servizi di interesse generale rimangono essenziali per garantire la coesione sociale e territoriale e salvaguardare la competitività dell’economia europea. L’erogazione dei servizi di interesse generale può essere organizzata in collaborazione con il settore privato o affidata a imprese pubbliche o private. Per contro, la definizione degli obblighi e delle funzioni del servizio pubblico spetta alle autorità pubbliche ai relativi livelli di competenza. Queste ultime sono responsabili della regolamentazione del mercato e devono garantire che gli operatori svolgano le funzioni di servizio pubblico che sono state loro affidate. In questo contesto, il Libro bianco precisa che la responsabilità dei servizi di interesse generale è condivisa dall’Unione europea e dagli stati membri.
L’approccio della Commissione poggia su una serie di principi che trovano riflesso nelle politiche settoriali della Comunità e che possono essere illustrati sulla base dei risultati del dibattito sul Libro verde:
·         consentire alle autorità pubbliche di operare nell’interesse dei cittadini: La Commissione rispetta il ruolo fondamentale degli Stati membri e delle autorità regionale e locali nel settore dei servizi di interesse generale. Le politiche comunitarie riguardanti i servizi di interesse generale prevedono vari livelli di intervento e l’impiego di diversi strumenti, nel rispetto del principio di sussidiarietà;
·         realizzare gli obiettivi del servizio pubblico all’interno di mercati aperti e competitivi. Un mercato interno aperto e concorrenziale, da una parte, e lo sviluppo di servizi di interesse generale di alta qualità accessibili e a prezzi abbordabili, dall’altra, sono obiettivi compatibili;
·         garantire la coesione e l’accesso universale. L’accesso di tutti i cittadini e di tutte le imprese a servizi di interesse generale di alta qualità e a prezzi abbordabili in tutto il territorio degli Stati membri è indispensabile per la promozione della coesione sociale e territoriale dell’Unione europea, ivi compresa l’eliminazione degli svantaggi causati dalla mancanza di accessibilità nelle regioni ultraperiferiche;
·         mantenere un elevato livello di qualità e di sicurezza. Oltre a fornire servizi d’interesse generale di alta qualità, la Commissione intende garantire l’incolumità fisica dei consumatori, degli utenti, di tutte le persone che partecipano alla produzione e all’erogazione di tali servizi e del pubblico in generale, assicurando la protezione contro eventuali minacce, quali ad esempio gli attentati terroristici e le catastrofi naturali;
·         garantire i diritti dei consumatori e degli utenti. Tali diritti riguardano l’accesso ai servizi, ivi compresi i servizi transfrontalieri, in tutto il territori dell’Unione e per tutti i gruppi della popolazione, il prezzo contenuto dei servizi, con regimi speciali per le fasce a basso reddito, la sicurezza materiale, la protezione e l’affidabilità, la continuità, l’elevato livello di qualità, la varietà, la trasparenza e l’accesso alle informazioni fornite dagli operatori e dalle autorità di regolamentazione;
·         controllare e valutare il funzionamento delle prestazioni. La Commissione ritiene che valutazione e controlli sistematici rappresentino uno strumento essenziale per mantenere e sviluppare all’interno dell’Unione europea dei servizi di interesse generale accessibili, di alta qualità, efficienti e a prezzi abbordabili;
·         rispettare la diversità dei servizi e delle situazioni. Poiché le esigenze e le preferenze degli utenti e dei consumatori differiscono a seconda delle rispettive realtà economiche, sociali, geografiche e culturali, occorre preservare la diversità dei servizi. Ciò riguarda in particolare i servizi sociali e sanitari, così come la radiodiffusione;
·         aumentare la trasparenza. Il principio di trasparenza è un concetto chiave per lo sviluppo e l’attuazione di politiche pubbliche riguardanti i servizi di interesse generale. Questo principio dovrebbe essere applicato a tutti gli aspetti del processo di erogazione del servizio e dovrebbe riguardare la definizione delle funzioni di servizio pubblico, l’organizzazione, il finanziamento e la regolamentazione dei servizi, nonché la produzione e la valutazione degli stessi;
·         garantire la certezza giuridica. La Commissione è consapevole del fatto che l’applicazione del diritto comunitario ai servizi di interesse generale potrebbe sollevare dei problemi complessi. Essa si adopererà per migliorare la certezza giudica riguardante l’applicazione del diritto comunitario all’erogazione dei servizi di interesse generale.
Una delle questioni essenziali sollevate nel quadro della consultazione pubblica riguardava la necessità di una direttiva quadro sui servizi di interesse generale. I pareri espressi a tal riguardo nell’ambito della consultazione pubblica erano divergenti e il Parlamento europeo e i diversi Stati membri rimangono scettici in proposito. Di conseguenza non è accertato che una direttiva quadro rappresenti attualmente la strategia più adeguata e che essa apporti sufficiente valore aggiunto. La Commissione ritiene quindi che non sia opportuno, per il momento, presentare un proposta di questo tipo. La Commissione riesaminerà la fattibilità e l’esigenza di una normativa quadro per i servizi di interesse generale con l’entrata in vigore del trattato costituzionale, con riferimento alla nuova base giuridica che verrebbe introdotta attraverso l’articolo III- 66, il quale recita “Fatti salvi gli articoli III-55, III-56 e III-136, in considerazione dell’importanza dei servizi d’interesse economico generale in quanto servizi ai quali tutti nell’Unione attribuiscono un valore e del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l’Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione della Costituzione, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, segnatamente economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i rispettivi compiti. La legge europea definisce detti principi e condizioni”.
Sul piano internazionale, la Commissione è impegnata a garantire la coerenza tra il quadro normativo interno dalla Comunità e gli obblighi assunti dalla Comunità e dai suoi Stati membri nell’ambito degli accordi commerciali internazionali. Essa intende inoltre promuovere i servizi di interesse generale nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.
 Per un commento S.v. N. RANGONE, I servizi pubblici nell’ordinamento comunitario, in Giornale dir. amm., 4/2005, 433 ss.
  
[10] §29. Il trattato non colloca il funzionamento dei servizi d’interesse generale fra gli obiettivi comunitari e non assegna alla Comunità poteri positivi specifici in questo settore. Fino ad oggi, ad eccezione di un riferimento specifico nel titolo sui trasporti, a questi servizi si è fatto riferimento in due articoli del trattato:
·         L’articolo 16 conferisce alla Comunità e agli Stati membri la responsabilità di assicurare, in base alle rispettive competenze e attraverso le politiche messe in atto, che i servizi di interesse economico generale adempiano alla propria missione. Richiama un principio del trattato, ma non assegna alla Comunità strumenti di azione specifici.
·         L’articolo 86, paragrafo 2 riconosce implicitamente il diritto degli Stati membri di assegnare agli operatori economici specifici obblighi di servizio pubblico. Stabilisce un principio fondamentale che garantisce che i servizi di interesse economico generale possano continuare ad essere prestati e sviluppati nel mercato comune. I prestatori di servizi d’interesse generale sono esentati dal rispetto delle norme sul trattato nella misura in cui è strettamente necessario per l’assolvimento della loro missione di interesse generale. Pertanto, in caso di controversia, l’assolvimento di una missione di servizio pubblico può effettivamente prevalere sull’applicazione delle norme comunitarie, comprese quelle in materia di mercato interno e concorrenza, fatte salve le condizioni previste dall’articolo 86, paragrafo 2. Pertanto, il trattato tutela l’effettiva prestazione di un compito d’interesse generale ma non necessariamente il fornitore.
 
[11] §37. Fino ad oggi, la Comunità ha elaborato normative settoriali sui servizi di interesse generale: è stato quindi elaborato un corpus normativo specifico per settore per le differenti industrie di rete quali quelle delle comunicazioni elettroniche, dei servizi postali, del gas e dell’elettricità e dei trasporti, che forniscono servizi di interesse economico generale. Alla luce dell’esperienza acquisita, si è posta la questione se si debba sviluppare un quadro comune europeo per assicurare l’applicazione coerente dei principi alla base dell’art. 16 del trattato a livello comunitario. In questo contesto, al Consiglio di Laeken, la Commissione si è impegnata ad individuare lo strumento più adatto per garantire lo sviluppo di servizi di interesse generale di alta qualità nell’Unione europea, in stretta coerenza con tutte le politiche comunitarie.
 
[12] § 80. I fornitori di servizi di interesse economico generale compresi i fornitori di servizi in-house, sono in ogni caso imprese e quindi soggette alle norme sulla concorrenza del trattato. Le decisioni di concedere diritti speciali ed esclusivi ai fornitori di servizi in-house o di favorirli in altri modi possono costituire una violazione del trattato, nonostante la parziale tutela offerta dall’articolo 86.
La giurisprudenza ne conferma la correttezza, in particolare: nel caso in cui i requisiti di servizio pubblico che il fornitore del servizio soddisfare siano correttamente specificati; nel caso in cui il fornitore del servizio sia manifestamente incapace di soddisfare la richiesta; nei casi in cui esista un modo alternativo di soddisfare i requisiti con un effetto meno negativo sulla concorrenza.
[13] Cfr.  paragrafo 17 del “Libro verde” il quale afferma: “l’espressione (servizi di interesse economico generale) è utilizzata negli articoli 16 e 86 paragrafo 2 del trattato. Non è definita nel trattato o nella normativa derivata. Tuttavia, nella prassi comunitaria vi è un ampio accordo sul fatto che l’espressione si riferisce a servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale, gli Stati membri o la Comunità assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico. il concetto di servizi di interesse economico generale riguarda in particolare alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i trasporti, i servizi postali, l’energia e la comunicazione. Tuttavia, il termine si estende a qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico.
[14] Per tale definizione anche in rapporto al concetto di servizio pubblico nel nostro ordinamento, G. RACCA., I servizi pubblici, cit., 201 ss.
[15] Cfr. Comunicazione della Commissione 2000, in www.curia.eu.it , punto 14.
[16] Vi è la possibilità di concedere diritti speciali ed esclusivi, o anche specifici meccanismi di finanziamento o ricorrere al caso più classico di obbligazioni di servizio universale. Gli obblighi di servizio pubblico possono essere imposti a tutti gli operatori del mercato, o, in taluni casi, è possibile designare un solo operatore o un numero limitato, senza necessariamente accordare diritti esclusivi. In tal modo si favorisce la massima concorrenza e la possibilità per gli utenti di scegliere il prestatore del servizio. Cfr. Comunicazione della Commissione 2000, cit., punti 17 e 18.
[17] Comunicazione della Commissione 2000, cit., punti 14 ss.
[18] Cfr.  G. TELESE,  Servizio di interesse economico generale e servizio universale nella giurisprudenza e nella normativa comunitaria, in Jus, 1999, 947.
[19]  Cfr.   M. CLARICHServizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi, in Diritto pubblico, 1998, 184.
[20] A livello comunitario la nozione di servizio universale appare per la prima volta nella Comunicazione della CE del 1996 sui servizi di interesse generale in cui è definita come “un insieme minimo definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, ad un prezzo abbordabile”. La nozione sarà in seguito ripresa nelle successive direttive di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e delle poste (direttiva 97/33/CE del 30 giugno 1997 sull’interconnessione del settore delle comunicazioni e finalizzata a garantire il servizio universale attraverso l’applicazione dei principi di fornitura di una rete aperta).
Il fondamento del servizio universale consiste in ragioni di carattere sociale. Obiettivi fondamentali della Comunità, secondo la Comunicazione CE dell’11 settembre 1996 intitolata “I servizi di interesse generale: elemento chiave del modello europeo di società”, sono la solidarietà e la parità di trattamento nel contesto di un’economia di mercato aperto e dinamico. A tali obiettivi concorrono i servizi di interesse generale, considerati da molti Stati Membri, “veri e propri diritti sociali in quanto contribuiscono in misura considerevole alla coesione socio economica e che danno corpo a un insieme di valori comuni a tutti i nostri Stati e che fanno l’originalità dell’Europa”. Da qui l’insistenza sulla nozione di “servizio universale”, riferibile ai settori quali poste, elettricità, telecomunicazioni, trasporti. Da tale nozione discende l’obbligo di garantire ovunque l’accesso a tutti a determinate prestazioni essenziali.
 In Italia, il primo riferimento normativo al servizio universale è nella legge n. 481/1995, istitutiva dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, quindi il richiamo è comparso all’art. 5 della legge n. 249/1997, istitutiva dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
La direttiva 2002/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, dedicata al servizio universale ed ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica “Direttiva Servizio Universale”, definisce come “servizio universale” (4°considerando) “la fornitura di un insieme minimo definito di servizi a tutti gli utenti… a prezzo abbordabile”. Dai considerando emerge l’attuale punto di arrivo della nozione di servizio universale, ma anche l’ulteriore specificazione secondo cui gli obblighi di servizio universale “che sono definiti a livello comunitario dovrebbero essere periodicamente riesaminati al fine di modificarne o definirne la portata” (considerando n. 25). È pur vero che rientra nella sfera di libertà di ciascuno Stato membro la possibilità di imporre misure speciali non riconducibili agli obblighi di servizio universale e finanziarle, purché tale intervento sia conforme al diritto comunitario e non provochi effetti distorsivi della concorrenza.
 Il servizio universale viene ribadito anche nel recente Libro Verde sui servizi di interesse generale (COM (2003) 270) il quale afferma al paragrafo 50 che “il concetto di sevizio universale fa riferimento ad una serie di requisiti di interesse generale che assicurano che taluni servizi siano messi a disposizione di tutti gli utenti e consumatori finali a livello qualitativo stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi e, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, ad un prezzo accessibile. Tale concetto è stato sviluppato in particolare per alcune industrie di rete (ad esempio le telecomunicazioni, l’elettricità e i servizi postali.)
Al Libro Verde fa seguito il Libro Bianco sui servizi di interesse generale “COM (2004) 374”. Il testo dell’importante documento della Commissione dell’Unione Europea illustra le linee direttrici delle policy europee d’intervento sul campo dei Servizi di Interesse Generale. Come ormai prassi consolidata, il Libro Bianco costituisce infatti il presupposto delle future direttive comunitarie in materia. Un dato di notevole importanza è la definizione, da parte della Commissione, del settore dei servizi quale elemento fondamentale del modello di vita dell’Unione.
Nel punto 3.3 relativo alla garanzia di coesione e di accesso universale si afferma che “Nell’ambito delle sue politiche, la Commissione è impegnata a promuovere e migliorare l’accesso universale effettivo ai servizi di interesse generale.
In tale contesto, il servizio universale rappresenta un concetto chiave sviluppato dalla Comunità per garantire l’effettiva accessibilità dei servizi essenziali. Esso stabilisce il diritto di ogni cittadino di accedere a taluni servizi considerati esenziali e impone l’obbligo alle industrie di fornire un servizio definito a condizioni specificate, che includono fra l’altro una copertura territoriale totale a prezzi abbordabili.
Il servizio universale è un concetto dinamico e flessibile che ha introdotto un’efficace rete di sicurezza per coloro che non sarebbero altrimenti in grado di acquistare a titolo personale i servizi essenziali. Esso può essere ridefinito periodicamente per adeguarsi ai mutamenti in campo sociale, economico e tecnologico. Il concetto consente la definizione di principi comuni a livello comunitario, lasciando agli Stati membri il compito di attuare tali principi.
In tal modo è possibile tener conto delle situazioni specifiche dei singoli paesi, in linea con il principio di sussidiarietà. Nell’ambito delle sue politiche strutturale la Comunità è impegnata a evitare che i gruppi sociali o le regioni vulnerabili siano esclusi dall’accesso ai servizi essenziali”.
 E’ infatti nel contesto dell’apertura dei mercati dei servizi pubblici alla libera concorrenza tra più operatori che emerge la problematica del servizio universale come garanzia da parte dei pubblici poteri della accessibilità alla fruizione di determinate prestazioni essenziali per i cittadini utenti. Nel precedente regime infatti, lo Stato o gli enti pubblici economici cui lo stesso attribuiva diritti speciali o esclusivi per la gestione dei servizi pubblici assicuravano ai cittadini la fruizione di determinate “prestazioni amministrative” (energia elettrica, gas, servizio postale, servizio telefonico, trasporti) attraverso la costituzione di monopoli pubblici. In tal modo, i costi che il monopolista pubblico doveva sostenere per l’erogazione dei servizi non remunerativi dal punto di vista commerciale venivano compensati attraverso i sussidi incrociati che l’impresa praticava tra aree remunerative (ad alta produttività) e aree non remunerative (a bassa produttività). In Italia, nel settore dei servizi pubblici essenziali (energia elettrica, gas, poste, telecomunicazioni), si è avuta l’esperienza dell’impresa pubblica. L’impresa pubblica è un organismo imprenditoriale attraverso il quale lo Stato od un ente pubblico minore gestiscono direttamente o indirettamente un’attività di produzione di beni e servizi di pubblica utilità. L’ente può gestire direttamente l’impresa ed allora metterà a disposizione di essa alcuni beni del suo patrimonio, oppure può gestirla indirettamente, finanziandola e riservandosi un controllo sulla sua amministrazione. Le principali ragioni che hanno indotto alla creazione di imprese pubbliche sono state:
·         la necessità di evitare la costituzione di monopoli privati nell’esercizio di quei servizi i quali debbono essere accessibili a tutti, come nel caso dell’illuminazione, dei servizi autofilotranviari e dell’approvvigionamento di acqua, energia elettrica ecc.. nei centri cittadini;
·         l’assunzione di iniziative che necessitino di massicci investimenti o che richiedano un enorme capitale fisso, come i servizi ferroviari, le autostrade, le telecomunicazioni;
·         la necessità di raggiungere finalità extraeconomiche, come nel caso delle ferrovie, che devono essere gestite anche per tratti non produttivi.
L’impresa pubblica può essere esercitata mediante diverse forme di gestione:
·         uffici dell’organico dell’ente con gestione a carico del bilancio dello Stato. È questa una forma poco diffusa;
·         azienda autonoma appositamente istituita dalla Pubblica Amministrazione. Tale azienda si giova di una propria autonomia amministrativa, finanziaria e contabile, ed è presieduta dal Ministro competente e formata da personale munito di particolare competenza. La gran parte delle aziende autonome statali (Poste e Telecomunicazioni, ANAS, Azienda di Stato per i servizi telefonici) sono state coinvolte nel processo di privatizzazione e trasformate in ente pubblico economico o società per azioni;
·         ente pubblico economico che costituisce una particolare categoria di ente pubblico che opera non in regime di diritto amministrativo bensì di diritto privato. Tali enti hanno ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’impresa commerciale; quest’ultimo costituisce compito istituzionale compito istituzionale dell’ente ed è, di regola, strumentale per la realizzazione di interessi pubblici. Gli enti pubblici economici hanno, oltre all’autonomia finanziaria, una vera e propria personalità giuridica distinta dalla pubblica amministrazione, mentre di solito le aziende autonome non hanno una propria personalità giuridica;
·         azionariato pubblico, con il quale si affida l’esercizio di una pubblica impresa ad un ente pubblico con la struttura di S.p.A. il cui pacchetto azionario è, parzialmente o totalmente, di proprietà dell’ente pubblico. Tali imprese sono rette dalle norme comuni delle società commerciali.
Il ricorso all’impresa pubblica per la fornitura di beni e servizi è andato, però, nel corso del tempo scemando, perché si è resa sempre più palese la constatazione che nell’impresa pubblica mancavano gli incentivi alla minimizzazione, “pratica seguita dalle imprese nella scelta dei fattori produttivi che minimizzano i costi di produzione”,   dei costi e al miglioramento della qualità. Ciò ha spinto ad affidare ad imprese private la fornitura di determinati servizi pubblici seguendo diverse procedure, tra le quali le più utilizzate sono: l’appalto di pubblici servizi e l’istituto della concessione. In Italia, molte imprese pubbliche sono state oggetto di privatizzazioni nel corso degli anni Novanta.
 Occorre assicurare l’universalità del servizio in un mercato aperto alla concorrenza tra più operatori. Quest’ultimo aspetto è un tipico problema dello Stato regolatore. Dismessi i panni dello Stato gestore, in nome del principio della sussidiarietà orizzontale (cioè tra potere pubblico e società economica e civile) e per ragioni di efficienza e di economicità, il potere pubblico deve indossare la veste del regolatore, cioè di colui che per conseguire le finalità di interesse pubblico collegato all’erogazione dei servizi essenziali per la collettività, vigila sul rispetto da parte delle imprese private di standard fissati dalla legge o in via amministrativa, esercita un potere autorizzatorio e sanzionatorio, modella il regime tariffario, esercita un controllo sulla struttura e sull’evoluzione dei costi dell’erogazione dei servizi, risolve i conflitti tra erogatori di servizio e utenti.
Il servizio universale è stato sempre considerato come un attributo intrinseco e oggettivo della prestazione amministrativa essenziale da erogare ai privati.
Secondo G. NAPOLITANO., Il servizio universale e i diritti dei cittadini utenti, Mercato, concorrenza e regole, 2000, è possibile considerare il servizio universale come “uno strumento di integrazione della concorrenza laddove quest’ultimo non si dimostri sufficiente per assicurare al cittadino uti cives e uti singuli l’accessibilità a determinati servizi essenziali.” Vari fattori hanno determinato questo cambiamento di prospettiva. La nuova costituzione economica “la codificazione del mercato concorrenziale come principio fondamentale dell’ordinamento comunitario direttamente applicabile a quello degli Stati membri; le direttive di liberalizzazione dei mercati dei servizi pubblici essenziali; l’attività di interpretazione ed applicazione del suddetto principio da parte della Corte di Giustizia, l’azione delle amministrazioni indipendenti o tutela-antitrust e promozione-autorità di regolazione-di concorrenza nel mercato”) ha contribuito ad allargare lo spettro degli interessi meritevoli di tutela fino a comprendervi, oltre che gli operatori del mercato, anche i singoli utenti del servizio. Si assiste alla trasformazione della condizione del cittadino da “suddito amministrato” destinatario passivo di prestazioni amministrative ad “utente-cliente” il quale vanta un vero e proprio “diritto universale” alla fruizione di una serie minima di servizi essenziali forniti da operatori pubblici e privati in competizione fra loro.
Per una ricostruzione della nozione di servizio universale S.v. M. CLARICH., Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi, in Diritto pubblico, 1998, 180 ss.
 

Petroni Paolo

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