I motivi nuovi nel giudizio amministrativo di appello

sentenza 03/03/11
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Il divieto di motivi nuovi in appello nell’ambito del processo amministrativo costituisce la logica conseguenza dell’onere di specificità dei motivi di impugnazione (in primo grado) del provvedimento amministrativo, e più in generale dell’onere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in giudizio, ed è pertanto riferibile soltanto al ricorrente e non anche al convenuto (o al controinteressato). Ed infatti, l’amministrazione intimata, e più in generale chiunque sia convenuto in giudizio, come non ha onere di specificare le difese (tant’è che può rimanere contumace o assente dal giudizio), così nel caso di soccombenza può proporre appello contro la sentenza adducendo qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge) che ritenga utile per dimostrare l’infondatezza della domanda del ricorrente accolta dal giudice di primo grado.

Altresì occorre chiarire che il divieto dei motivi nuovi in appello, sancito dall’art. 345, comma 1, c.p.c. (ed ora, dall’art. 104 Cod. proc. amm.), concerne esclusivamente i motivi sollevati da chi introduce il giudizio di prime cure, mentre il divieto delle nuove eccezioni, sancito dal secondo comma del medesimo articolo, non si applica alle mere difese, che sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello.

Invero, nel processo amministrativo, il divieto di proporre motivi nuovi in appello è riferibile solo al ricorrente originario e non anche ai resistenti, che possono addurre qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge) per dimostrare al giudice di secondo grado l’infondatezza della domanda del ricorrente.

N. 01154/2011REG.PROV.COLL.

N. 00240/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 240 del 2006, proposto da***

contro***

per la riforma

dell’ ordinanza sospensiva del T.A.R. VENETO – VENEZIA, SEZIONE III, n. 2423/2005, resa tra le parti, concernente INSERIMENTO NELLA GARDUATORIA DEFINITIVA DEL PERSONALE SUPPLENTE.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2011 il Cons. **************** e uditi per le parti l’Avvocato ******* e l’Avvocato dello Stato *******.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto e recante il n. 922/2005, il dott. ********* impugnava il provvedimento con cui ************* era stato inserito nella graduatoria di istituto definitiva del personale da assumersi con contratto a tempo determinato (supplenti) nella classe di concorso 26/C (“laboratorio di elettronica”) dell’Istituto Tecnico Industriale Euganeo di Este.

Nell’occasione, il dott. ********** contestava sotto svariati aspetti la richiamata iscrizione la quale, una volta approvata la conseguente graduatoria, aveva consentito al dott. ***** di precederlo e deduceva, in particolare, la violazione del d.m. 30 gennaio 1998, n. 39 (‘Testo coordinato delle disposizioni impartite in materia di ordinamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento tecnico-pratico e di arte applicata nelle scuole ed istituti di istruzione secondaria ed artistica’).

Con la sentenza oggetto del presente appello, il primo giudice accoglieva il ricorso e disponeva l’annullamento degli atti impugnati, osservando che “ai sensi della tabella C annessa al D.M. 30.1.1998 – prodotta in stralcio dallo stesso ricorrente – il diploma di maturità professionale di tecnico delle industrie elettriche ed elettroniche costituisce titolo di studio valido per l’ammissione alle classe di concorso 27/C ( cfr. pag. 205, colonne 1 e 2) a posti di insegnamento tecnico-pratico negli istituti di istruzione secondaria”.

La sentenza veniva gravata in appello dal prof. ***** il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando i seguenti motivi di doglianza:

1) Violazione di legge – Violazione del D.M. 10 agosto 1998, n. 354 – Erronea interpretazione del D.M. 39/98;

2) Carenza di interesse ad agire.

Si costituiva in giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

Si costituiva a propria volta il dott. ********* il quale concludeva a propria volta nel senso della reiezione del gravame.

Con ordinanza n. 771/2006 (resa all’esito della camera di consiglio del 14 febbraio 2006) questa Sesta sezione del Consiglio di Stato accoglieva l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della pronuncia gravata, osservando che “il ricorso appare assistito da sufficienti elementi di fumus boni iuris, in particolare con riferimento all’intervenuto accorpamento o aggregazione di classi di concorso 26 C e 27 C, disposto con D.M. del 10.08.1998”.

All’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da un docente iscritto in una graduatoria di istituto per le supplenze nella classe di concorso 26/C – “laboratorio di elettronica” avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con cui è stato accolto il ricorso proposto da altro insegnante iscritto nella medesima graduatoria e, per l’effetto, è stato annullato il provvedimento di iscrizione dell’appellante nella richiamata graduatoria di istituto.

2. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione sollevata dall’appellato prof. **********, secondo cui l’odierno appellante ***** sarebbe incorso nel divieto di nova in appello, per essere rimasto contumace nel corso del primo giudizio e per aver articolato per la prima volta specifici motivi di doglianza nella presente sede di gravame. In realtà il prof. ***** non potrebbe ampliare il thema decidendum proponendo motivi di doglianza non esaminati nel corso del primo giudizio, ovvero versando in atti nuovi documenti.

2.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

Secondo un orientamento ormai tradizionale, il divieto di motivi nuovi in appello nell’ambito del processo amministrativo costituisce la logica conseguenza dell’onere di specificità dei motivi di impugnazione (in primo grado) del provvedimento amministrativo, e più in generale dell’onere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in giudizio, ed è pertanto riferibile soltanto all’attore /il ricorrente) e non anche al convenuto (il controinteressato). Ed infatti, l’amministrazione intimata, e più in generale chiunque sia convenuto in giudizio, come non ha onere lo specificare le difese (tant’è che può rimanere contumace o assente dal giudizio), così nel caso di soccombenza può proporre appello contro la sentenza adducendo qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge) che ritenga utile per dimostrare l’infondatezza della domanda dell’attore o ricorrente accolta dal giudice di primo grado (in tal senso: Cons. Stato, V, 3 gennaio 1992, n. 2).

Più di recente, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che il divieto dei motivi nuovi, sancito dall’art. 345, comma 1, Cod. proc. civ. (ed ora, dall’art. 104 Cod. proc. amm.), concerne esclusivamente i motivi sollevati da chi introduce il giudizio di prime cure, mentre il divieto delle nuove eccezioni, sancito dal secondo comma del medesimo articolo, non si applica alle mere difese, che sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello. Invero, nel processo amministrativo, il divieto di proporre motivi nuovi in appello è riferibile solo al ricorrente originario e non anche ai resistenti, che possono addurre qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge) per dimostrare al giudice di secondo grado l’infondatezza della domanda del ricorrente (Cons. Stato, IV, 15 settembre 2010, n. 6862).

Ora, dal momento che la difesa del prof. ***** è affidata a un’eccezione in senso tecnico (fondata sul cattivo governo che l’amministrazione avrebbe fatto delle previsioni di cui ai dd.mm. 39 e 354 del 1998), non vi è ragione per dubitare della sua ammissibilità nel presente grado di appello.

Per le medesime ragioni (ossia, per il carattere assorbente dei motivi fondati sulle previsioni dei richiamati decreti), non risulta neppure necessario esaminare l’eccezione fondata sul divieto del deposito di nuovi documenti in appello.

3. Con il primo motivo di appello il dott. ***** lamenta l’erroneità della sentenza oggetto di gravame per la parte in cui ha osservato che, in base al pertinente quadro disciplinare, il titolo di studio posseduto dall’appellante (si tratta del diploma di maturità professionale di tecnico delle industrie elettriche ed elettroniche) avrebbe consentito di accedere all’insegnamento per la classe di concorso 27/C (‘laboratorio di elettrotecnica’), ma non anche per la classe di concorso 26/C (‘laboratorio di elettronica’, ossia per la classe di concorso relativa alla graduatoria di istituto all’origine dei fatti di causa).

Nella tesi dell’appellante, la decisione in questione risulterebbe erronea per avere limitato le proprie osservazioni al disposto di cui al d.m. 39/1998, senza tenere in adeguata considerazione, ai fini del decidere, le innovazioni che nella materia de qua erano state apportate dal successivo d.m. 10 agosto 1998, n. 354 (recante la ‘Costituzione di Ambiti Disciplinari per aggregazione di classi di concorso finalizzata allo snellimento delle procedure concorsuali ed altre procedure connesse’).

2.1. Il ricorso è meritevole di accoglimento.

Ed infatti, il d.m. 354 del 1998 ha disposto l’istituzione di un unico ambito disciplinare (denominato A.D. 16), all’interno del quale sono state incluse per aggregazione le preesistenti classi di concorso 26Ce 27C.

La Tabella 1 allegata al decreto in questione ha stabilito che all’insegnamento nell’ambito del neo istituito ambito disciplinare A.D. 16 potesse accedersi con il possesso del diploma di maturità professionale di tecnico delle industrie elettriche ed elettroniche (vale a dire con il titolo posseduto dall’odierno appellante).

Conseguentemente, resta confermato che (al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice) il prof. ***** era in possesso del titolo di studio necessario per accedere all’insegnamento di ‘laboratorio di elettronica’ (la graduatoria contestata, come esposto in narrativa, risale al febbraio del 2005).

4. Per le ragioni che precedono il ricorso in appello deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, deve essere disposta la reiezione del primo ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della pronuncia gravata, dispone la reiezione del primo ricorso.

Condanna il prof. ********** e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca alla rifusione in favore del prof. ***** delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 1.000 (mille), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

*****************, Presidente

********************, Consigliere

******************, Consigliere

***************, Consigliere

Claudio Contessa,***********e, Estensore

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/02/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

sentenza

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