I minori stranieri: diritto e cittadinanza

Redazione 16/10/00
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Di Silvia Giannini
La situazione migratoria dagli adulti ai minori.
Il fenomeno migratorio non è una realtà nuova per l’Europa. In questi ultimi anni, tuttavia, se ne è registrato un crescendo che ha portato ad affrontare due conseguenze fondamentali: l’aumento del numero di stranieri sul territorio e il problema di come “qualificare” giuridicamente la loro presenza, di come tutelarli e di come assicurare loro tutta una serie di diritti volti non solo ad ottenere una garanzia lavorativa o scolastica ma anche una piena integrazione.
A distanza di tempo il ruolo dell’Italia nel fenomeno migratorio è mutato: da terra di emigrazione si è trasformata in terra di immigrazione, posta al centro sempre più spesso di forme migratorie internazionali e intercontinentali che portano con sé problemi legati alla integrazione di realtà socio-economiche e geo-culturali completamente diverse.
Nel tempo il concetto stesso dell’emigrazione è mutato: se una volta i governanti vedevano con favore l’ingresso di popolazione con origini etniche diverse, perché viste come strumento economico e militare di gran peso, facilmente integrabile nel tessuto sociale attraverso la conversione religiosa, ora, in presenza di una crisi globale dei Paesi sottosviluppati e di una divisione internazionale del lavoro, le migrazioni aumentano ma sono motivate solo in parte da una richiesta di manodopera: la causa principale è la forza espulsiva proveniente dal paese d’origine.
Ogni paese si distingue per la sua politica d’accoglienza ed ogni politica d’accoglienza esprime il modello di intervento normativo, sociale e culturale con cui si spiegano i rapporti fra lo Stato ospite e l’immigrato. Nonostante la comune visione etnocentrica, per la quale il proprio modo di vivere e pensare è al disopra di tutti gli altri, l’atteggiamento dei singoli Paesi facenti parte dell’Europa è alquanto eterogeneo.
La Francia dispiega i propri rapporti con l’immigrato attraverso la tecnica dell’assimilazione, in base alla quale gli immigrati anziché utilizzare la propria identità culturale come spinta per una integrazione non subalterna, la abbandonano, per diventare a tutti gli effetti dei “buoni cittadini francesi”, assimilazione alla comunità che rappresenta, peraltro, uno dei requisiti fondamentali per ottenere la cittadinanza francese.
L’Inghilterra, invece, utilizza un modello che enfatizza le diversità etniche e culturali, favorendo la formazione di comunità etniche che, oltre a rafforzare le diversità, costituiscono un punto di riferimento amministrativo per l’Autorità pubblica.
Il terzo modello è quello tedesco, basato sull’istituzionalizzazione della condizione di precarietà, per la quale gli immigrati sono degli estranei, dei “lavoratori ospiti” verso cui non operare alcuna politica stabile di convivenza, specie se provenienti da paesi non membri dell’unione Europea. Tale strategia viene supportata da interventi quasi esclusivamente di prima accoglienza, oppure da tutta una serie di interventi volti a garantire e a supportare la cultura d’origine, incrementando il desiderio del ritorno, esasperando così il senso di precarietà.
L’Italia, al contrario dei propri partners europei, difetta di qualsiasi rappresentazione dei modelli sopraindicati. La ragione di ciò, probabilmente, è da rintracciare nella circostanza che al nostro Stato è mancata una solida tradizione colonialista, avendo sempre avuto un storica posizione di Paese “esportatore” di lavoratori. Questo ruolo ha evidenziato una incapacità nella gestione del fenomeno Immigrazione, fenomeno che peraltro ha interessato l’Italia solo recentemente: a partire dalla metà degli anni Settanta, per intensificarsi poi negli anni Ottanta in concomitanza con il crollo dei regimi comunisti.
L’aumento del flusso migratorio ha portato come conseguenza l’aumento della presenza di minori stranieri, fenomeno che almeno fino al 1996 presentava una difficoltà sul piano conoscitivo, legata alla mancanza di una sistematica raccolta e elaborazione dei dati.
La normativa italiana vigente in materia di stranieri sembra riconoscere al minore straniero solo diritti derivati, in quanto lega la sua presenza all’autorizzazione del permesso di soggiorno concesso al genitore (D. Leg. 286/98). In questa prospettiva assume valore l’art. 29 della L. 40 /98 che prevede che il figlio minore dello straniero, con questi convivente e regolarmente soggiornante, segua la condizione giuridica del genitore (o dello straniero affidatario) con il quale convive fino al compimento del quattordicesimo anno di età. Successivamente al compimento del quattordicesimo anno di età, al minore straniero iscritto nel permesso di soggiorno del genitore o dello straniero affidatario, è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, valido fino al compimento della maggiore età, o una carta di soggiorno: in sostanza si cerca di garantire un diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare. Il tribunale di minorenni, inoltre, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle disposizioni di legge. L’autorizzazione è revocata quando vengano a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio ovvero per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. Al compimento della maggiore età, allo straniero prima minorenne, cui erano state applicate le disposizioni sui minori, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo ovvero per esigenze sanitarie o di cura.
I minori stranieri diventano spesso oggetto di sfruttamento, specie se irregolari o clandestini, condizione questa rispetto alla quale particolare valore assume la tutela giuridica, sanitaria e scolastica assicurata loro dall’ordinamento giuridico, a garanzia di una integrazione e di una socializzazione, unici strumenti di salvaguardia delle loro potenzialità. Potenzialità che, se adeguatamente sviluppate, potranno costituire un’importante risorsa, tanto nel caso in cui il minore rimanga sul territorio italiano, quanto nel caso in cui ritorni nel paese d’origine.
La legge sull’immigrazione estera (T.U. 286/98), con un regolamento passato due volte alla verifica della Corte dei Conti, prevede all’art. 28, 2° comma, la priorità del superiore interesse del fanciullo in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali, sia nel caso in cui questo sia perseguibile attraverso l’attuazione del diritto all’unità familiare, sia nel caso in cui il ricongiungimento non venga perseguito perché non rispondente a tale superiore interesse. Legge questa conforme alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989. Da ciò deriva la possibilità di avere orientamenti chiari sulle procedure da adottare riguardo tanto ai minori soli, quanto ai minori con genitori regolari. Per i primi sono previste varie ipotesi, dal soggiorno per minore età, al rimpatrio assistito nell’interesse del minore con famiglia in patria, affermando così un piena distinzione fra il diritto al soggiorno e la tutela da accordare al minore, che assume preminenza rispetto al primo. Per i minori con genitori regolari, invece, si può avere il soggiorno per famiglia o per minore età.
La legge italiana si è inoltre fregiata del merito di aver costituito il primo Comitato permanente per i minori stranieri, i cui compiti sono di vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori (di età superiore a 6 anni ) stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato italiano, di coordinare le attività delle varie amministrazioni interessate e di tutelare i diritti dei minori stranieri. In base al recente D. Lgs. n.113/99, correttivo della disciplina dell’immigrazione, al Comitato per i minori stranieri sono attribuite le responsabilità dell’adozione del provvedimento di “rimpatrio assistito” del minore straniero non accompagnato e, più in generale, le competenze riferite alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati da parte dei servizi sociali degli enti locali; alle soluzioni praticabili, di accoglienza, di rimpatrio assistito, di ricongiungimento familiare nel paese di origine. Tali disposizioni hanno suscitato prese di posizioni assai critiche, sia sotto il profilo della legittimità costituzionale, sia in relazione alla perplessità circa l’effettiva capacità di una politica di rimpatrio dei minori non accompagnati a corrispondere tanto agli interessi superiori dei medesimi, quanto alle esigenze di sicurezza della collettività nazionale.
E’ necessario fare riferimento, infine, anche alla legge sull’adozione internazionale del minore , nella parte in cui disciplina i casi di ingresso dei minori in Italia, in parte modificando e in parte integrando la L. 40/98 che costituisce una delle leggi di riferimento del T.U. sull’immigrazione. Nella legge, infatti, viene vietato l’ingresso per motivi di lavoro del minore straniero solo, non accompagnato da un genitore o dal rappresentate legale, fatti salvi casi di adozione internazionali e le disposizioni relative al ricongiungimento familiare, all’ingresso per motivi turistici, di studio e di cura, così come quelle relative ai flussi eccezionali determinati da eventi bellici, calamità naturali (ex art. 18 del T.U. sull’Immigrazione). In quest’ultimo caso si prevede l’obbligo della segnalazione dell’ingresso del minore alla Commissione istituita dalla legge e al Tribunale dei minorenni competente territorialmente in relazione alla residenza degli accompagnatori. Uguale obbligo di segnalazione alla Commissione, per la conseguente apertura di una tutela al Tribunale dei Minorenni, viene previsto in caso di avvenuto ingresso di un minore straniero “solo” al di fuori delle ipotesi previste dalla L. 476/98.
E’ necessario coordinare parte delle disposizioni della legge n. 476/98 sulla tutela del minore straniero “solo” , avente comunque fatto ingresso in Italia al di fuori delle situazioni consentite, con le disposizioni contenute nell’art. 10 del T.U., che prevedono il respingimento con accompagnamento alla frontiera disposto dal questore nei confronti degli stranieri che siano entrati nel territorio dello Stato illegalmente e siano fermati all’ingresso o subito dopo, e di quelli che sono stati temporaneamente ammessi per necessità di pubblico soccorso. E’ evidente che il carattere di specialità della norma contenuta nella legge sull’adozione internazionale debba prevalere su quello generale della disciplina dell’immigrazione, così che il minore straniero “solo” irregolare individuato all’ingresso in Italia o subito dopo, e ricoverato in ospedale per esigenze di cura immediata, non potrà essere riaccompagnato alla frontiera una volta dimesso, così come potrebbe avvenire per lo straniero adulto, ma dovrà essere segnalato al Tribunale per i minorenni per l’apertura di una tutela con conseguente affido temporaneo all’ente locale.

Stranieri a scuola

Il vero protagonista dell’integrazione e della reciproca “contaminazione” tra le culture è sicuramente il bambino immigrato, chiamato a costruire un’identità pluralista, a partire da due diversi riferimenti culturali. Perché ciò possa avvenire senza traumi, è necessario che nella famiglia ci siano delle condizioni favorevoli: è necessario che i genitori siano convinti che l’appartenenza a due culture sia arricchente più di quanto non lo sia appartenere ad una sola cultura, e ciò implica accettare che il figlio sia in parte diverso dai propri riferimenti culturali ed educativi. La famiglia immigrata funziona così come luogo di incontro linguistico e culturale tra due mondi, reso possibile dal fatto che genitori e figli si concedano una doppia mediazione (Favaro G.- Colombo T.,’93, 32).
Nell’ambiente scolastico il ragazzo comprende, infatti, l’importanza della padronanza linguistica nella vita quotidiana; nella famiglia, in contrasto, non trova corrispondenza e sostegno alle sue fatiche di apprendimento, avvertendo così un forte sentimento di solitudine: i genitori sono presenti fisicamente, ma assenti intellettualmente. Dopo questa fase il ragazzo incomincia ad acquistare sicurezza, essendo l’unico in famiglia a padroneggiare la lingua e la cultura straniera e prendendosi di conseguenza carico dei genitori, in quanto unico mediatore tra la famiglia e la società circostante. I genitori, invece, mantengono il contatto con la loro cultura, la loro lingua e la madre, soprattutto, deve cercare di tenere i legami tra il mondo del minore, che è già quello del futuro, e quello del padre, del passato e dei ricordi.
La presenza dei bambini stranieri è destinata nei prossimi anni ad aumentare per due fattori. Da una parte, si ha l’incremento demografico dei nuclei familiari appartenenti alle comunità già da anni radicate, che fanno più figli delle famiglie autoctone. Dall’altra parte, il ricongiungimento familiare consente oggi a chi dispone di un reddito e di un alloggio di consentire il ricongiungimento con i figli minori e il coniuge. Il lungo iter burocratico, tuttavia, ha prodotto il fenomeno dei ricongiungimenti “di fatto”, ossia famiglie composte da persone che sono entrate nel paese con un permesso a breve scadenza e che poi si sono fermate in modo irregolare.
Le problematiche d’inserimento dei minori vengono, quindi, poste con urgenza da parte di educatori ed insegnanti. Ciò che accomuna questi minori è il vissuto della migrazione, del cambiamento, dell’appartenenza a due mondi tra loro distanti: servono degli strumenti per capire i bisogni reali per un’efficace accoglienza. Il tema della scolarizzazione dei minori stranieri assume, di conseguenza, una grande rilevanza sia come problema sociale nell’immediato, sia come premessa indispensabile per valorizzare una importante risorsa, in termini di capitale umano, nella prospettiva di un’equilibrata transizione verso una società multietnica. L’Italia è l’unico paese europeo che garantisce l’istruzione anche ai minori irregolari e clandestini, in virtù della circolare del Ministero della Pubblica Istruzione n.5 del 12 gennaio 1994, che, in attuazione della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, prevede che i minori abbiano titolo a essere iscritti e frequentare gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado anche se non in regola con le norme in materia di soggiorno. La presenza degli alunni stranieri non è distribuita in maniera omogenea nelle diverse regioni, ma segue l’andamento dei flussi, le caratteristiche con cui si manifestano i progetti migratori e la forza di attrazione esercitata da ciascun ambito regionale. In generale il Sud è spesso visto come zona di transito, il Centro si presenta come area di prima accoglienza, accanto a insediamenti stabili di alcuni gruppi etnici, mentre il Nord si configura come area di stabilizzazione più o meno durevole. Nel complesso il Nord assorbe il 62.8% delle presenze di studenti stranieri, il Centro il 27.5% e il Sud il 9.7%.
L’Italia è il quarto paese dell’Unione europea per presenza di stranieri sul proprio territorio, ma è quello con la più alta incidenza di immigrati provenienti da Paesi non comunitari (circa l’88%) e uno di quelli più multietnici. Circa la metà degli stranieri regolarmente soggiornanti è in Italia da almeno cinque anni, il tempo che il T.U. sull’immigrazione considera idoneo per divenire titolari di una carta di soggiorno a tempo illimitato e per godere di diritti politici a livello locale. Nonostante ciò si va a rilento, ci sono ancora discriminazioni e ciò porta all’impellenza non solo di un governo dell’immigrazione ma anche di una cultura dell’immigrazione, promossa in primo luogo dalla scuola.

La fortezza Europa

L’Europa del 2000 si avvia verso una unità economica e politica dei diversi Stati, ma ancora non è riuscita a sedare le preoccupazioni legate al fenomeno migratorio. Le questioni legate alle migrazioni internazionali sono all’ordine del giorno delle politiche nazionali, nonché dell’ultima campagna elettorale per l’elezione del nuovo parlamento europeo. E’ necessario guardare all’atteggiamento che gli Stati membri dell’Unione hanno tenuto e tengono nei confronti del problema “immigrazione”, per capire come vengono tutelati i diritti degli adulti immigrati e in prospettiva come potranno, partendo dal legame che lega il minore all’adulto-genitore, essere riconosciuti gli elementari diritti dei fanciulli.
Fino al Trattato di Maastricht (1991), la politica dell’immigrazione dipendeva dalla semplice cooperazione fra Stati. In tale contesto, l’accordo di Schengen (1985) prevedeva allora la soppressione dei controlli alle frontiere dei paesi aderenti. L’accordo Schengen nato per sancire l’apertura delle frontiere è diventato il simbolo della costruzione dell’Europa fortezza chiusa ai migranti provenienti dall’area Sud e Est del mondo: l’art. 1 del Trattato identifica lo “straniero” in colui che non è cittadino di uno Stato membro dell’Unione.
Dal 1993 ad oggi i flussi d’ingresso regolari e le richieste d’asilo sono generalmente diminuiti mentre sono aumentati i ricongiungimenti familiari, i flussi temporanei e, soprattutto, quelli irregolari. Questo è avvenuto principalmente perché tutti i Paesi europei hanno adottato politiche restrittive sugli ingressi e sull’asilo nell’ambito del cosiddetto sistema Schengen acquisito dall’ordinamento comunitario: si parla infatti di “acquis Schengen”. Le sue norme in materia di polizia e controlli alle frontiere esterne costituiranno presumibilmente le basi della futura politica europea comune, e le modifiche legislative apportate in questi ultimi anni hanno quasi completamente chiuso i canali regolari di ingresso, hanno esteso la necessità del visto a un numero sempre maggiore di Paesi, reso molto più difficile l’ottenimento dell’asilo politico e della cittadinanza, inasprito il contrasto dell’immigrazione illegale. Le misure concrete che l’Europa di Schengen sta mettendo in atto per difendersi dal rischio immigrazione sono talvolta in violazione dei diritti umani, delle carte e delle convenzioni internazionali che li tutelano ma anche con le stesse legislazioni nazionali. Per evitare che gli immigrati irregolari individuati facciano perdere le loro tracce cercando di non essere espulsi , in tutti i Paesi europei sono stati creati luoghi dove queste persone vengono trattenute in attesa dell’espulsione. Denominati centri di trattenimento o permanenza temporanea, questi luoghi non vengono definiti in alcuna disciplina comunitaria e nemmeno nelle norme di Schengen. A livello comunitario l’art. 63 del Trattato UE rimanda alla possibilità, concretamente e singolarmente attuata in ciascun Paese, di adottare misure nel settore del soggiorno irregolare e del rimpatrio.
Di fronte a questo atteggiamento può sembrare contraddittorio oltre che utopistico parlare di cittadinanza postnazionale, in quanto questa introduce una regola di esclusione, non essendo estensibile ad alcune categorie di soggetti presenti sul territorio europeo. Essa è infatti riservata solo ai cittadini degli Stati membri dell’Unione, ai quali è garantito il diritto di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio europeo, nonché il diritto di voto e di eleggibilità. Si tratta di un criterio di ineguaglianza fondato sul principio di una gerarchia in base alle origini, un criterio che istituisce un privilegio di natura quasi ereditaria. Per non rendere i vani i tentativi di riconoscimento di diritti alle persone provenienti da Paesi non comunitari, sarebbe necessario sostenere la fine della cittadinanza di Maastricht e creare una nuova cittadinanza basata non sui principi di esclusione dati dalle cittadinanze nazionali, ma sui diritti dell’uomo. Concedere il diritto al soggiorno, garantire l’esercizio dei diritti civili, economici e sociali sena accordare il diritto di votare e di partecipare alla vita politica significa sancire l’esistenza di semi-cittadini che non possono difendere i propri interessi e i propri diritti con l’azione politica. C’è chi sostiene che la residenza dovrebbe essere il solo fondamento della cittadinanza. Per essere cittadini dovrebbe essere sufficiente la partecipazione alla vita economica e sociali e l’adesione ai valori democratici e ai diritti dell’uomo. Solo in tal modo è possibile conciliare la cittadinanza di tipo transnazionale e non più postnazionale, con il multiculturalismo, con il diritto universale a conservare e praticare i propri costumi, la propria religione, la propria cultura. La costruzione di un tale tipo di cittadinanza non può che essere un processo lungo e conflittuale che esige l’attribuzione di poteri per ottenere, per conservare e rendere effettivi i diritti, primo fra tutti il voto che in alcuni paesi è prerogative di tutti i residenti, siano stranieri, comunitari o extracomunitari, e altri che lo hanno esteso solo ai cittadini dell’Unione Europea, fra questi ultimi vi sono la Francia e l’Italia.

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