I limiti della cognizione attribuita al giudice che debba decidere il reclamo avverso provvedimento di archiviazione

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(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 410-bis)

SOMMARIO: Il fatto – I motivi addotti nel ricorso per Cassazione – La posizione assunta dal G.I.P. del Tribunale di Grosseto – La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione – Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione – Conclusioni

Il fatto

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto, concluse le indagini preliminari condotte nei confronti di taluni indagati, ai quali era contestata la commissione dei reati di cui agli artt. 643 cod. pen. e 2634 cod. civ., chiedeva l’archiviazione del procedimento.

Proposta opposizione, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Grosseto disponeva l’archiviazione del procedimento a ragione della ravvisata causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen. per la posizione di una indagata e, quanto alle restanti, per l’assenza di profili di rilevanza penale riscontrabili nelle vicende societarie, oggetto dell’iniziativa di denuncia delle persone offese, siccome rientranti nelle dinamiche della compagine e frutto di scelte legittime degli organi rappresentativi.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato, gli opponenti proponevano ricorso per Cassazione che, a sua volta, veniva riqualificato come reclamo ai sensi dell’art. 410-bis cod. proc. pen. e rimesso per la decisione al Tribunale di Grosseto, il quale, dal canto suo, dichiarava la nullità del decreto di archiviazione e disponeva la trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale.

La posizione assunta dal  G.I.P. del Tribunale di Grosseto

Ricevuti gli atti, il G.I.P. del Tribunale di Grosseto, sul presupposto che la decisione assunta dal Tribunale esulasse dai poteri conferiti dall’ordinamento al giudice del reclamo, rilevava che il provvedimento di archiviazione era stato pronunciato all’esito di udienza camerale, trattata a seguito della proposizione dell’opposizione, sicché, a norma dell’art. 410-bis, comma 2, cod. proc. pen., l’ordinanza doveva essere dichiarata nulla soltanto nei casi previsti dall’art. 127, comma 5, cod. proc. pen., ossia quando sia violato il contraddittorio, mentre è precluso al giudice del reclamo considerazioni censorie che attengano al merito della decisione.

Denunciava, dunque, l’abnormità funzionale dell’ordinanza emessa dal Tribunale e sollevava conflitto negativo di competenza, trasmettendo gli atti alla Corte di Cassazione.

La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Disposta la trattazione scritta del procedimento, con requisitoria, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiedeva che venisse dichiarato insussistente il conflitto rilevando che non compete al Giudice per le indagini preliminari denunciare l’abnormità del provvedimento del Tribunale ma soltanto alle parti mediante ricorso per Cassazione e comunque che erroneamente nel caso di specie era stata segnalata la situazione di stallo processuale, potendosi il Giudice per le indagini preliminari determinare liberamente senza doversi uniformare alle osservazioni dell’ordinanza dichiarativa della nullità del provvedimento di archiviazione.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Ad avviso del Supremo Consesso, il conflitto di competenza sollevato dal Giudice per le indagini preliminari di Grosseto nei confronti del giudice del dibattimento del medesimo Tribunale non sussisteva.

Secondo gli Ermellini, invero, preso atto che il giudice monocratico del Tribunale di Grosseto, decidendo il reclamo proposto ai sensi dell’art. 410-bis cod. proc. pen., aveva dichiarato la nullità del provvedimento di archiviazione del procedimento, disponendo la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari, a ragione della ritenuta erroneità dei rilievi, espressi nel “decreto” oggetto di reclamo, sulla mancata proposizione di querela da parte delle persone offese, al contrario presente in atti, e sull’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen. per una di queste posizioni, in realtà non legato da vincoli di parentela con gli indagati o con le parti lese, la decisione così riassunta era certamente errata in punto di diritto e non rispettava i limiti della cognizione attribuita al giudice che debba decidere il reclamo avverso provvedimento di archiviazione, che, a seguito dell’introduzione della disposizione di cui all’art. 410-bis, comma 2, cod. proc. pen., è circoscritto alle sole ipotesi di nullità della pronuncia previste dall’art. 127, comma 5, cod. proc. pen., integranti violazioni delle regole che presiedono al contraddittorio essendo, invece, precluso qualsiasi intervento decisorio che attenga alle ragioni sostanziali dell’archiviazione e dell’opposizione respinta o dichiarata inammissibile, tenuto conto altresì del fatto che l’art. 410-bis cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 103 del 2017, abrogativa del previgente comma 6 dell’art. 409 cod. proc. pen., nel ridefinire gli esiti decisori del procedimento di archiviazione, ammette la presentazione di un reclamo avverso il provvedimento di archiviazione del Giudice per le indagini preliminari, ma non consente che la decisione sul reclamo sia contestabile mediante ricorso per cassazione, in guisa tale che la parte che si duole della sua erroneità può tutelare le proprie ragioni soltanto mediante proposizione di istanza di revoca da rivolgere allo stesso giudice (Sez. 6, n. 27695 del 20/05/2021; Sez. 5, n. 44133 del 26/09/2019; Sez. 6, ord. n. 17535 del 23/03/2018; Sez. 6, ord. n. 20845 del 26/04/2018).

Ciò posto, sempre secondo i giudici di piazza Cavour, la deduzione, su cui si fondava la proposizione del conflitto, trovava riscontro in punto di fatto negli atti processuali -direttamente consultabili da parte di questo giudice di legittimità, stante la natura procedurale della questione sollevata-, ma non poteva comportare il componimento del contrasto nei termini sollecitati non ritenendosi di poter ravvisare il denunciato profilo di abnormità nell’ordinanza impugnata.

Orbene, detto questo, si evidenziava a tal proposito che il provvedimento, con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell’ordinanza di archiviazione, non è avulso dal sistema processuale, ma costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento e non determina nemmeno la stasi del procedimento, potendo il giudice per le indagini preliminari determinarsi in piena autonomia senza incorrere a sua volta nel compimento di un atto affetto da nullità o da altro vizio invalidante e senza subire effetti pregiudizievoli per l’ulteriore sviluppo successivo del processo.

Tal che ne consegue che, in siffatta situazione, il provvedimento, come nel caso in esame, può certamente essere illegittimo, ma si colloca al di fuori dell’area dell’abnormità, come delineata dall’interpretazione giurisprudenziale.

Precisato ciò, veniva altresì fatto presente che l’abnormità costituisce, com’è noto, una forma di patologia dell’atto giudiziario, priva di riconoscimento testuale in un’esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite cui si è inteso porre rimedio, attraverso l’intervento del giudice di legittimità, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti nominativamente come impugnabili, ma affetti da tali anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili, rilevandosi al contempo che le Sezioni Unite, con le sentenze n. 25957 del 26/03/2009, e n. 20569 del 18/01/2018, hanno offerto una rigorosa e puntuale delimitazione dell’area dell’abnormità, ricorribile per Cassazione, la cui duplice accezione, strutturale e funzionale, ha ricondotto ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto ‘quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge.

Ebbene, per il Supremo Consesso, si stimava come dovesse darsi seguito a questa linea interpretativa: la categoria dell’abnormità così elaborata presenta carattere eccezionale e derogatorio al principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, sancito dall’art. 568 cod. proc. pen., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103, ed al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell’art. 177 cod. proc. pen. ed è, dunque, riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti.

La sua eccezionalità e residualità nel panorama delle forme di tutela accessibili impone di distinguerne l’ambito concettuale, da un lato dalle anomalie dell’atto irrilevanti perché innocue, dall’altro dalle situazioni di contrasto del pronunciamento giudiziale con singole norme processuali, la cui violazione sia rinforzata dalla previsione della nullità.

Sotto il primo profilo, è ininfluente e non riconducibile all’abnormità quell’atto, pur compiuto al di fuori degli scherni legali o per finalità diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione, che sia superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione.

Quanto al secondo aspetto, l’incompatibilità della decisione con una o più disposizioni di legge processuale vizia l’atto per mancata applicazione o errata interpretazione del referente normativo e ne determina l’illegittimità, che, se ciò sia prescritto, viene sanzionata in termini di nullità.

Ebbene, per gli Ermellini, in questa situazione, la violazione di legge, anche se sussistente, non travalica nell’abnormità se l’atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento, imponendo attività processuale ripetibile e non fodera di nessuna forma di nullità o di altra patologia.

Come chiarito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 25957 del 26.03.2009, invero, non ogni retrocessione del procedimento determinata da un atto illegittimo del giudice costituisce causa di abnormità, ma soltanto quella che consegua all’adozione di un provvedimento giudiziale che si collochi al di fuori dell’ordinamento o della struttura del sistema processuale e dunque risulti compiuta carenza di potere.

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, la Suprema Corte riteneva come dovesse escludersi che l’ordinanza oggetto del ricorso oggi in esame fosse inquadrabile in alcuna delle indicate categorie processuali, non essendo qualificabile, per il suo contenuto di singolarità e stranezza, come avulsa dall’intero ordinamento processuale, né come estranea ad esso sotto il profilo strutturale, in quanto il menzionato art. 410-bis del codice di rito ne prevede espressamente l’adozione, né la stessa presenta aspetti di abnormità. funzionale, non avendo determinato una stasi del procedimento e l’impossibilità di proseguirlo, così da giustificare la sollevazione del conflitto davanti alla Cassazione ai sensi dell’art. 28, comma 2, cod. proc. pen., sotto il profilo della ricorrenza di un caso analogo a quelli previsti dal primo comma della norma non sussistendo, infatti alcun impedimento per il giudice per le indagini preliminari alla rinnovazione della celebrazione dell’udienza ex art. 409, commi 2 e segg., del codice di rito ed all’espletamento degli incombenti successivi.

Da ciò il Supremo Consesso, come accennato in precedenza, affermava come il conflitto dovesse essere dichiarato insussistente con restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Grosseto per l’ulteriore corso del procedimento.

Conclusioni

La decisione è assai interessante, oltre per una rigorosa analisi del concetto di abnormità, anche perché viene delimitato il thema decidendum quando viene proposto avverso il provvedimento di archiviazione.

Difatti, in tale pronuncia, è postulato in buona sostanza che, nel reclamo proposto a norma dell’art. 410-bis del cod. proc. pen., ci si può riferire alle sole ipotesi di nullità della pronuncia previste dall’art. 127, comma 5, cod. proc. pen., integranti violazioni delle regole che presiedono al contraddittorio, essendo, invece, precluso qualsiasi intervento decisorio che attenga alle ragioni sostanziali dell’archiviazione e dell’opposizione respinta o dichiarata inammissibile.

In siffatto provvedimento, inoltre, è altresì precisato, sulla scorta di quanto già asserito sempre in sede di legittimità, che la decisione sul reclamo non è contestabile mediante ricorso per Cassazione, essendo l’unico rimedio esperibile la proposizione di una istanza di revoca da rivolgere allo stesso giudice.

Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di comprendere come correttamente argomentare quando si propone tale reclamo e quale rimedio va utilizzato avverso la decisione emessa in relazione ad esso.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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