I farmers markets: minestra riscaldata o uovo di Colombo?

Bombi Marilisa 17/01/08
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“Acquisti a chilometri 0 per tutelare l’ambiente”. Mentre un giornalista – ciclista prova a vivere a basso contenuto di CO2 per dare il suo contributo alla Terra malata, il sistema di acquisti che sta dietro allo slogan dei “chilometri 0” pare essere sempre più condiviso. In quest’ottica, il recente decreto 20 novembre 2007 sui farmers markets pubblicato sulla Gazzetta del 29 dicembre è il regalo di Natale che il Governo ha fatto ai consumatori. Ma è tutto oro ciò che luccica? O la decisione del Governo è più promozionale che di sostanza?
Sbucato dal cappello della finanziaria di un anno fa, il contenitore dove trovano ospitalità i “contentini” più politici che di consenso generale, il comma 1065[1], abominevole esempio di malgoverno generalizzato perché viola le più banali regole di legistica ed elude platealmente l’articolo 72[2] della Costituzione, pare essere l’uovo di colombo per contenere l’inflazione dei prezzi. Ma qual è la novità se da sempre ai produttori e agli imprenditori agricoli è consentito vendere nei mercati pubblici ed anzi – da vent’anni almeno – c’è l’obbligo di riservare un’area apposita per i produttori? Nessuna novità – alla fin fine – quindi, se non l’amara considerazione che queste aree riservate rimangono molto spesso inutilizzate perché evidentemente per i produttori è molto più conveniente conferire l’intera produzione al grossista piuttosto che rischiare l’invenduto.
 
Ben lo sa il Comune di Cervignano del Friuli, che il farmers market l’aveva voluto prima ancora che la finanziaria 2007 ne facesse nascere l’embrione, e che ha dovuto amaramente archiviare il progetto perché nessun produttore era interessato, nonostante la passione e l’entusiasmo che un assessore e dirigente della Coldiretti regionale ci aveva messo  per realizzare l’iniziativa. Insomma, convince di più la decisione di quelle imprese che aprono il punto di vendita in azienda e magari consentono anche al consumatore di andare direttamente nel campo a raccogliere la frutta e verdura che poi porterà a casa. Così, il produttore risparmia sul personale e, per l’acquirente, all’ evidente utile di scegliersi la merce, si associa il diletto di un’esperienza che è più impegnativa di quanto si possa immaginare, ma che all’inizio è permeata da bucolica novità. Tra l’altro, a seguito della legge di orientamento 228 del 2001 i produttori possono vendere anche i frutti della terra di altri agricoltori con ciò avendo la possibilità, già ora, di attivare un farmers market pluriaziendale
Comunque, si dà conto, diligentemente, per dovere professionale, della novità normativa pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre, anche se sull’argomento ne hanno già parlato in molti, sebbene nessuno si sia ancora soffermato sull’analisi della disciplina.
Il decreto, innanzitutto, non è un regolamento. La precisazione è contenuta nelle premesse, e pone quindi una barriera ad ogni ipotetico ricorso per invasione di campo da parte delle regioni, tenuto conto che, dopo la novella del titolo V della Costituzione, la potestà regolamentare dello Stato è limitata per le sole materie in cui lo Stato stesso ha potestà legislativa esclusiva. In pratica, quelle contenute nel decreto di fine anno sono le modalità per la realizzazione dei mercati, le linee guida che i comuni potranno seguire per raggiungere l’obiettivo che il Mipaaf (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) ha previsto di 100 farmers markets entro il 2008 con un coinvolgimento di circa duemila imprese agricole. E quando si andrà a regime nel 2010, ha precisato lo stesso Ministero, i mercati agricoli potranno arrivare a quota 500 con ottomila aziende agricole e con un giro d’affari stimato tra i 100 e i 150 milioni.
Chi vivrà vedrà.
 
L’attività di supporto e i finanziamenti
 
La premessa all’articolato normativo contiene due ulteriori passaggi che, nei fatti, potranno essere forieri di qualche novità. Il primo è il riferimento ai possibili finanziamenti previsti dalla legislazione in materia. Un riferimento generico che non dà la possibilità di capire quali sono le reali risorse che lo Stato metterà a disposizione. E’ utopistico, infatti, pensare che i comuni “nell’ambito delle ordinarie dotazioni di bilancio”[3] riescano a promuovere (finanziare?) azioni di informazione per i consumatori. Il secondo passaggio, dal contenuto un po’ oscuro, è quello che demanda al Mipaaf di provvedere alla realizzazione di tutte le attività di supporto e assistenza tecnica ai comuni per l’adempimento delle funzioni loro assegnate. Questo conferimento trasfuso, formalmente, al comma 4 dell’articolo 4, potrebbe creare qualche conflitto di attribuzione tra gli enti preposti, tenuto conto che le regioni non perdono occasione per ribadire le proprie prerogative. Il decreto fa riferimento alla riunione della Conferenza Stato – città ed autonomie locali del 15 novembre 2007, ma nella apposita sezione del sito internet della Presidenza del Consiglio dei Ministri, riservata ai lavori della Commissione, l’ultimo verbale disponibile per la consultazione è quello della riunione di maggio 2007 e, di conseguenza, non è data la possibilità di conoscere la motivazione di questo attribuzione. Governo cattivo maestro!
 
Gli standard per i farmers markets
 
Quali siano le linee guida è presto detto: valorizzazione dei prodotti del territorio, e questo è coerente con la politica del “chilometro 0”, ma analizzando l’articolato normativo qualche sorpresa, comunque, c’è.
 
Art. 1. Mercati riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli
1. In attuazione dell’art. 1 comma 1065, della legge 27 dicembre 2006,   n.   296,   sono definite le linee di indirizzo per la realizzazione dei mercati riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 del codice civile, ivi comprese le cooperative di imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.
 
2. I comuni, anche consorziati o associati, di propria iniziativa o su richiesta degli imprenditori singoli, associati o attraverso le associazioni di produttori e di categoria, istituiscono o autorizzano i mercati agricoli di vendita diretta che soddisfano gli standard di cui al presente decreto. Le richieste di autorizzazione complete in ogni   loro   parte, trascorsi inutilmente sessanta giorni dalla presentazione, si intendono accolte.
 
Prima osservazione da fare. Così come la disposizione è stata scritta, un singolo produttore può richiedere l’istituzione di un mercato a lui riservato. La richiesta, soggetta a silenzio assenso, deve essere completa in ogni sua parte, ma su quali siano gli elementi costitutivi della domanda, il decreto tace. L’ipotesi di un unico produttore – che il decreto non vieta – porterebbe ad un regime di monopolio che va contro la politica del contenimento dei prezzi che, invece, intendeva perseguire. Il comma 2 dell’articolo 1 precisa, anche, che le domande al comune possono essere presentate attraverso le associazioni di produttori, ma anche attraverso le associazioni di categoria. In pratica, la domanda può essere inoltrata dall’associazione dei produttori di miele, di pere, di bovini, di rape e chi più ne ha più ne metta, ma anche dalla associazione di categoria: Coldiretti, Confagricoltura, CIA e similari. Saranno quindi, questi ad essere autorizzati e a gestire il farmers market se, ovviamente, non vi provvederà lo stesso comune.
 
3. I mercati agricoli di vendita diretta possono essere costituiti, su area pubblica, in locali aperti al pubblico nonche’ su aree di proprieta’ privata.
 
Relativamente alle possibili aree da destinare alla vendita dei prodotti agricoli, già si pone un altro problema. Per un’estate intera, nel 2005, l’allora Ministero delle Attività Produttive e l’Anci confutarono l’interpretazione della disposizione contenuta all’articolo 4 del decreto legislativo 228 del 2001, nella parte in cui è previsto che nella parte in cui è previsto che l’attività di vendita esercitata in locali aperti al pubblico è soggetta a comunicazione.
In pratica, secondo il Map, non era consentita l’attività di vendita all’aperto su area privata ma solo su area pubblica, in forma itinerante o nei mercati. Di diverso avviso era l’Anci, che risolse definitivamente la questioni facendo modificare la norma, cosicché oggi, per effetto di un inciso aggiunto, “per la vendita al dettaglio esercitata su superfici all’aperto nell’àmbito dell’azienda agricola o di altre aree private di cui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità non è richiesta la comunicazione di inizio attività” .Il periodo è stato aggiunto dall’art. 2-quinquies, D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione
Oggi, il decreto fa un passo indietro rispetto all’evoluzione della disciplina, nel senso che assoggetta ad autorizzazione anche l’attività di vendita esercitata su aree private all’aperto, che prima invece non era necessaria.
 
4. I comuni, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, il   Ministero   delle politiche agricole alimentari e forestali nell’ambito delle ordinarie dotazioni di bilancio, promuovono azioni di informazione per i consumatori sulle caratteristiche qualitative dei prodotti agricoli posti in vendita.
 
Art. 2 Soggetti ammessi alla vendita nei mercati agricoli di vendita diretta
1. Possono esercitare la vendita diretta nei mercati di cui all’art. 1 gli imprenditori agricoli iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, che rispettino le seguenti condizioni:
a) ubicazione   dell’azienda agricola nell’ambito territoriale amministrativo della regione o negli ambiti definiti dalle singole amministrazioni competenti;
b) vendita nei mercati agricoli di vendita diretta di prodotti agricoli provenienti dalla  propria azienda o dall’azienda dei soci imprenditori agricoli, anche ottenuti a seguito di attivita’ di manipolazione o trasformazione, ovvero anche di prodotti agricoli ottenuti   nell’ambito territoriale di cui alla lettera a), nel rispetto del limite della prevalenza di cui all’art. 2135 del codice civile;
c) possesso dei requisiti previsti dall’art. 4, comma 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.
 
Con questo articolo è promossa la politica del “chilometro 0”. In pratica, il produttore di arance del Sud non potrà venire a vendere al Nord i suoi prodotti, negli spazi del farmer’s market, ma dovrà aprire, per suo conto, un locale commerciale, oppure frequentare uno dei tanti mercati su aree pubbliche che, obbligatoriamente, devono riservare una percentuale di posteggi agli imprenditori agricoli, da qualsiasi parte d’Europa essi provengano. Rispetto alla lettera a) del primo comma, non è dato di sapere a quali ambiti si faccia riferimento, e quali siano le amministrazioni competenti che hanno la possibilità di definire tali ambiti.  Una possibile interpretazione potrebbe essere quella di un’associazione di comuni – appartenenti a due regioni diverse – che intende organizzare un farmer’s market.
 
Le lettere b) e c) richiamano, in toto, le disposizioni che già disciplinano l’attività di vendita da parte dei produttori. Una sola puntualizzazione diventa, tuttavia, doverosa, ed è il riferimento “ai prodotti agricoli ottenuti nell’ambito territoriale di cui alla lettera a), nel rispetto del limite della prevalenza di cui all’art. 2135 del codice civile”  In pratica, sembrerebbe, che all’imprenditore agricolo sia consentita la vendita di prodotti anche acquistati da terzi, purchè coltivati in aziende ubicate nel territorio di riferimento. E’ evidente che il limite alla prevalenza di cui all’articolo 2135 in questo passaggio è del tutto improprio, in quanto il limite che il produttore deve rispettare è, comunque, quello espressamente previsto dal comma 8[4] dell’articolo 4 del decreto legislativo 228 del 2001 oltre, ovviamente, quello della prevalenza di cui alla disposizione civilistica.
Relativamente ai soggetti autorizzati ad esercitare l’attività di vendita nei farmers markets, incomprensibilmente, il decreto vuole escludere i produttori non imprenditori. Si è trattato di una scelta voluta o di una banale non voluta omissione? Di dopolavoristi, hobbisti, pensionati che coltivano l’orticello e magari racimolano qualche euro in più vendendo la frutta e la verdura prodotta, ce ne sono molti in Italia. Per questi, che esercitano l’attività di vendita in forza della legge 59 del 1963 gli spazi destinati alla loro attività continueranno ad essere i mercati tradizionali.
 
2. L’attivita’ di vendita all’interno dei mercati agricoli di vendita diretta e’ esercitata dai titolari dell’impresa, ovvero dai soci in caso di societa’ agricola e di quelle di cui all’art. 1, comma 1094, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dai relativi familiari coadiuvanti, nonche’ dal personale dipendente di ciascuna impresa.
 
Perché tanto rigore nel prevedere che l’attività di vendita può essere effettuata oltre che dal titolare dell’impresa o dai suoi soci, dai familiari e dai dipendenti?  Ormai esistono e sono consolidati tantissimi altri rapporti di collaborazione che non si configurano come “lavoro in nero”! che evidentemente la norma così come scritta, intendeva reprimere. Insomma, oltre, ai collaboratori familiari (art. 230 bis del C.C.), ai dipendenti (Collocamento ordinario), esiste il lavoratore interinale (Legge 196/1997), l’associato in partecipazione (art. 2549-2554 del C.C.), al collaboratore coordinato e continuativo (art. 2 Legge 335/1995). Perché impedire queste opportunità?
 
3. Nei mercati agricoli di vendita diretta conformi alle norme igienico-sanitarie   di   cui al regolamento n. 852/2004 CE del Parlamento e del Consiglio del 29 aprile 2004 e soggetti ai relativi controlli da parte delle autorita’ competenti, sono posti in vendita esclusivamente prodotti agricoli conformi alla disciplina in materia di igiene degli alimenti, etichettati nel rispetto della disciplina in vigore per i singoli prodotti e con l’indicazione del luogo di origine territoriale e dell’impresa produttrice.
 
Art. 3. Disciplina amministrativa dei mercati agricoli di vendita diretta
1. Fatte salve le disposizioni regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano in materia di vendita diretta di prodotti agricoli, gli imprenditori agricoli che intendano esercitare la vendita nell’ambito dei mercati agricoli di vendita diretta devono ottemperare a quanto prescritto dall’art. 4 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.
 
Nulla cambia rispetto al passato.
 
2. L’esercizio dell’attivita’ di vendita all’interno dei mercati agricoli di vendita diretta, in conformita’ a quanto previsto dall’art. 4 del decreto legislativo n. 114 del 1998 e dall’art. 4 del decreto legislativo n. 228 del 2001, non e’ assoggettato alla disciplina sul commercio.
 
Nulla cambia rispetto al passato
 
3. Il mercato agricolo di vendita diretta e’ soggetto all’attivita’ di controllo del comune nel cui ambito territoriale ha sede. Il comune accerta il rispetto dei regolamenti comunali in materia nonche’   delle disposizioni di cui al presente decreto e del disciplinare di mercato di cui all’art. 4, comma 3, e, in caso di piu’ violazioni, commesse anche in tempi diversi, puo’ disporre la revoca dell’autorizzazione.
 
Il comma 3 dell’articolo 3 del decreto denota diversi elementi di criticità. E’ assegnato al comune il compito di accertare il rispetto dei regolamenti comunali in materia, ma non si chiarisce a quali regolamenti si faccia riferimento, non certamente al disciplinare relativo al funzionamento del mercato, in quanto questo è espressamente citato. Invece, nulla viene detto a proposito del rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 228 del 2001 che, com’è noto, non prevede alcuna disciplina sanzionatoria.[5] Altro elemento oscuro è il riferimento all’autorizzazione che può essere revocata in caso di più violazioni anche se commesse in tempi diversi. Di quale autorizzazione si parla? L’attività di vendita da parte dei produttori agricoli, infatti, in base all’articolo 4 del decreto legislativo 228 del 2001 non è soggetta ad autorizzazione, bensì a mera comunicazione che, peraltro, come ha avuto modo di precisare il Map (ora Ministero dello sviluppo economico) nella risoluzione del 21 dicembre 2006 “….. la comunicazione, ripetutamente richiamata nelle disposizioni del decreto n. 228, è (anche) un istituto diverso dalla dichiarazione di inizio di attività di cui alla legge n. 241 del 1990.”
 
Art. 4 Modalita’ di vendita dei prodotti agricoli
1. All’interno dei mercati agricoli di vendita diretta e’ ammesso l’esercizio dell’attivita’ di trasformazione dei prodotti agricoli da parte   degli   imprenditori   agricoli   nel rispetto delle norme igienico-sanitarie richiamate al comma 3, dell’art. 2.
2. All’interno dei mercati agricoli di vendita diretta possono essere realizzate attivita’ culturali, didattiche e dimostrative legate ai prodotti alimentari, tradizionali ed artigianali del territorio rurale di riferimento, anche attraverso sinergie e scambi con altri mercati autorizzati.
3. I comuni istituiscono o autorizzano i mercati agricoli di vendita diretta sulla base di un disciplinare di mercato che regoli le modalita’ di vendita, finalizzato alla valorizzazione della tipicita’ e della provenienza dei prodotti medesimi e ne danno comunicazione agli assessorati all’agricoltura delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.
4. I comuni favoriscono la fruibilita’ dei mercati agricoli di vendita diretta anche mediante la possibilita’, per altri operatori commerciali, di fornire servizi destinati ai clienti dei mercati. Il Ministero   delle   politiche   agricole alimentari e forestali – attraverso forme di collaborazione con l’A.N.C.I. – provvede alla realizzazione di tutte le attivita’ di supporto e assistenza tecnica ai comuni per l’adempimento delle funzioni loro assegnate.
5. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, d’intesa con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, effettua un monitoraggio annuale dei mercati di vendita diretta dei prodotti agricoli autorizzati e delle attivita’ in essi svolte.
 
Di tutto, di più. Degno di nota, come già indicato in premessa, è il contenuto del comma 4. Si rimane, quindi, in attesa del supporto del Ministero per chiarire tutti i dubbi posti. Nel frattempo, non possiamo esimerci da un’unica, ultima, amara considerazione: Nonostante l’invito dell’Autorità antitrust ad evitare di introdurre nell’ordinamento ulteriori norme, soprattutto in un campo dove risulta possibile l’autoregolamentazione, il comma 3 dell’articolo 4 del decreto appena emanato prevede l’obbligo per i comuni di predisporre un disciplinare di mercato che regoli le modalità di vendita, invece di lasciare agli operatori la possibilità di autogestirsi. Insomma, se questo decreto non è uno specchietto per le allodole, e qualcuno ci crede alla possibilità di contenere i prezzi di mandarini, zucchine e cetrioli, è tempo di rimboccarsi le maniche e metter mano al regolamento comunale. Solo questo strumento, infatti, potrà coordinare le diverse disposizioni già previste nell’ordinamento e che questo decreto ha il merito di aver richiamato all’attenzione nel momento in cui i prezzi dei prodotti agricoli stanno, ingiustamente, aumentando. Ancora una volta tocca ai comuni la sfida più grande, ma vista l’esperienza del Comune di Cervignano del Friuli, è bene siano i produttori a compiere, domani, il prossimo passo.
 
 
31 dicembre 2007


[1] Il comma 1065 della finanziaria 2007 dispone che: “Al fine di promuovere lo sviluppo dei mercati degli imprenditori agricoli a vendita diretta, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di natura non regolamentare, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i requisiti uniformi e gli standard per la realizzazione di detti mercati, anche in riferimento alla partecipazione degli imprenditori agricoli, alle modalità di vendita e alla trasparenza dei prezzi, nonché le condizioni per poter beneficiare degli interventi previsti dalla legislazione in materia”
[2] “Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale.” È quanto prevede il primo comma dell’art. 72 Cost. che ogni anno viene disatteso in occasione dell’approvazione della legge finanziaria che, al fine di porre in approvazione, con un unico voto, la legge, prevede commi anziché articoli.
[3] E’ quanto testualmente prevede il comma 4 dell’articolo 1 del decreto in questione.
[4]L’ultimo comma dell’articolo 4 del decreto legislativo 228 del 2001 che detta norme per la vendita dei prodotti agricoli, dispone che: “Qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998.”
[5] Per l’approfondimento di questi aspetti si rinvia all’articolo di M.Bombi La vendita dei prodotti agricoli, luglio 2007 pubblicato sul sito www.marilisabombi.it, sezione articoli

Bombi Marilisa

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